Con sentenza del 12 giugno 2023, n. 1447, il TAR Lombardia, Milano, Sez. I, ha ritenuto legittima la sanzione disciplinare (della sospensione per un mese) inflitta dall’Ateneo a un professore universitario che, su Facebook, aveva condiviso un meme offensivo nei confronti del genere femminile (in particolare, si trattava di un’immagine raffigurante il Vice Presidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, allora appena eletta, accompagnata dal testo “she will be an inspiration to young girls by showing that if you sleep with the right powerfully connected men the you too can play second fiddle to a man whit dementia. It’s basically a Cinderella story”, e cioè “sarà una fonte di ispirazione per le giovani ragazze giacché ha dimostrato che se vai a letto con gli uomini giusti e potenti anche tu puoi diventare il secondo violino di un uomo affetto da demenza. Essenzialmente è la storia di Cenerentola”, senza aggiungere alcun commento o considerazione).
A fronte dell’impugnazione della sanzione disciplinare da parte del docente, il Collegio ha chiarito, innanzitutto, che, in tal evenienza, occorre in primo luogo accertare se il fatto storico sia imputabile al docente e quale sia la carica offensiva del neme.
In particolare, “la “condivisione” che si fa sulla propria pagina di Facebook o di altro social di un post realizzato da altri, anche sotto forma di neme, che non sia accompagnato da espresse cautele o da prese di distanza dal contenuto del documento che si rende pubblico anche nella cerchia delle proprie conoscenze, equivale, secondo l’id quod plerumque accidit, ad “approvazione” del contenuto di quel documento. Secondo il comune agire l’aver acquisito con una prima azione informatica un documento di altri e aver poi postato, con una seconda azione informatica, quel documento nell’ambito di un social di cui si ha la gestione equivale a porre in essere una condotta di approvazione di quel contenuto. Per evitare di sconfinare in supposizioni o arbitri, l’offensività di post o di una pubblicazione sociale non va valutata in senso soggettivo, bensì oggettivo, ossia verificando quale sia il significato da attribuirsi secondo il senso comune. Il contenuto intrinseco della pubblicazione di specie, non accompagnata da alcuna precisazione o da altri elementi di contrario avviso, è sicuramente offensivo del genere femminile, in quanto il neme pubblicato veicola senza dubbio la convinzione, che la società e la morale comune non approva, dell’opportunità di strumentalizzare i rapporti intimi per raggiungere scopi diversi da quelli che li caratterizzano e di fatto asseconda una determinata categoria di persone a tenere simili comportamenti. Il docente, al contrario, inserendo un simile messaggio offensivo nella propria pagina social e condividendo con la cerchia di persone che si relazionano con la sua pagina social, ha di fatto approvato quel contenuto offensivo“.
Prosegue il Collegio: “Il docente universitario […] se indica nei propri canali social il ruolo istituzionale ricoperto nell’Ateneo, evidentemente interagisce con persone interessate alle idee della persona anche in virtù del ruolo del docente. Ne deriva che l’esporre pubblicamente il proprio ruolo comporta ragionevolmente il coinvolgimento dell’istituzione di cui si fa parte nelle conseguenze, positive e negative, derivanti dalle proprie condotte. L’approvazione da parte di un docente del contenuto offensivo di un post, tramite “condivisione” nella propria pagina social […] contrasta con il ruolo e la funzione del docente universitario chiamato ad assolvere un importante compito formativo ed educativo verso i discenti e ledono, quindi, la dignità della stessa professione svolta“. “L’Università, non approvando il contenuto del neme, ha ritenuto che un simile comportamento, per le modalità in cui si è esplicata nel social facente capo a quest’ultimo e per le reazioni sociali che ne sono scaturite, lede non solo il decoro dell’attività professionale del decente ma altresì la propria la reputazione e l’immagine, incrinando così il patto di fiducia stretto tra l’istituzione universitaria e cittadini/utenti“.
A seguito di tale passaggio logico-argomentativo, il giudice amministrativo ha altresì ritenuto che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, l’Università: da una parte, avesse correttamente individuato, oltre alla fonte del potere disciplinare, quale fosse la norma di condotta violata e la sanzione inflitta; dall’altra, avesse irrogato una sanzione disciplinare proporzionata rispetto alla condotta.
Di conseguenza, il TAR Lombardia ha rigettato il ricorso.