TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 12 marzo 2018, n. 529

Procedura concorsuale posto ricercatore-Chiamata-Potere commissione esaminatrice

Data Documento: 2018-03-12
Area: Giurisprudenza
Massima

La Corte Costituzionale ,nella sentenza 27 luglio 2007, n. 329/2007,  espressamente assimila il potere di ponderazione della proporzione tra la gravità del comportamento presupposto e il divieto di concorrere ad altro impiego, a quello “analogo riconosciuto da questa Corte ai fini dell’ammissione al concorso, con riferimento alla riabilitazione ottenuta dal candidato”, sicché “la discrezionalità che l’amministrazione pubblica eserciterà in tal modo sarà limitata dall’obbligo di tenere conto dei presupposti e della motivazione del provvedimento di decadenza, ai fini della decisione circa l’ammissione a concorrere ad altro impiego nell’amministrazione”.

Contenuto sentenza

N. 00529/2018 REG.PROV.COLL.
N. 01533/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1533 del 2017, proposto da:
Massimo [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] Rametta e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio del primo in Catania, via Umberto I, n. 187;
contro
Università degli Studi di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Cernuto, con domicilio eletto presso l’avvocatura dell’ente in Catania, piazza Università, n. 2;
nei confronti di
[#OMISSIS#] Coco, rappresentata e difesa dagli avvocati [#OMISSIS#] Corea e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Corea in Catania, via Milano, n. 85;
per l’annullamento
– della delibera del Consiglio di Amministrazione dell’Università degli Studi di Catania n. 217 del 29 maggio 2017(punto 34, pag. 95), comunicata con nota prot. n. 67311 del 19 giugno 2017 e solo successivamente pubblicata sul sito, con cui l’Ateneo, in esecuzione dell’ordinanza cautelare del C.G.A.R.S. n. 692/16, si è espresso “nel senso della non ostatività della dichiarazione mendace resa in data 27.1.2010 dalla dott.ssa Coco all’ammissione alla selezione per il contratto di ricercatore a tempo determinato in esame con conseguente conferma dell’esito originario della selezione e della chiamata già approvata dal Consiglio nella seduta del 2.2.2016”;
– di ogni atto preparatorio, presupposto, connesso e/o conseguenziale od esecutivo, non conosciuto;
– nonché per la declaratoria di inefficacia del contratto di lavoro, qualora intercorso nelle more, tra l’amministrazione e la dott.ssa Coco per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato nel settore 05/D1 Fisiologia presso il Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche dell’Università di Catania.
 Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Catania e di [#OMISSIS#] Coco;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 marzo 2018 la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO e DIRITTO
Questa Sezione interna con sentenza n. 1972/2016 accoglieva il ricorso iscritto al n.r.g. 286 del 2016 proposto dall’odierno ricorrente – volto all’annullamento della determinazione dirigenziale n. 4613 del 15 dicembre 2015, con cui il Direttore generale dell’Università degli Studi di Catania individuava la controinteressata dott.ssa [#OMISSIS#] Coco, quale candidata migliore e, dunque, vincitrice “nella selezione pubblica per la stipula di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato per lo svolgimento di attività di ricerca, di didattica integrativa e di servizio agli studenti, ai sensi dell’art. 24 comma 3 lettera a) della legge 240/2010 per il settore concorsuale 05/D1 Fisiologia” – “sotto l’assorbente profilo della dedotta mancanza in capo alla controinteressata di un requisito di ammissione espressamente richiesto, a pena di estromissione dalla procedura, dal relativo Bando di concorso (primo motivo di doglianza), secondo cui, infatti, il candidato “dovrà altresì dichiarare, sotto la sua personale responsabilità, ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. 28.12.2000, n. 445, pena l’esclusione dal concorso: (…) 8. di non essere stato destituito dall’impiego presso una Pubblica Amministrazione per persistente insufficiente rendimento e di non essere stato dichiarato decaduto da un impiego statale, ai sensi dell’art. 127 lettera d) del D.P.R. 10.1.1957 n. 3” (in tal senso, l’art. 3, punto 8, alle pagine 10 e 11 del Bando)”, evidenziandosi come “la vincitrice … è stata sostanzialmente dichiarata decaduta da altro impiego statale, ai sensi del citato art. 127, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 3/1957, … essendo il Collegio dell’avviso che – al di là dei termini ivi utilizzati – in tal senso debba intendersi il contenuto dispositivo del … decreto rettoriale n. 4546 del 30 novembre 2011, anche alla luce del contenuto della sentenza del C.G.A.R.S. n. 1042/2012, in ossequio alla quale tale decreto è stato emanato”, in cui “risulta, infatti, essere stato giudizialmente accertato con sentenza passata in giudicato, relativamente ad una precedente procedura concorsuale indetta dal medesimo Ateneo …, che, per l’appunto, “l’impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile””.
La controinteressata proponeva appello avverso tale sentenza, corredata da relativa richiesta di sospensione cautelare che il C.G.A.R.S., con ordinanza n. 692/2016, accoglieva “considerato che le censure mosse alla sentenza impugnata si presentano, almeno prima facie, suscettibili di condivisione nella parte in cui è dedotto che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, l’Università di Catania dovrebbe comunque compiere la valutazione discrezionale prevista dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 329/2007 in termini di ponderazione della proporzione tra la gravità del comportamento precedente tenuto dall’appellante e il divieto di concorrere ad altri impieghi previsto dall’art. 128 T.U. imp. civ., valutazione la quale deve essere effettuata necessariamente caso per caso in concreto”.
In dichiarato ossequio a tale provvedimento cautelare, l’Università resistente, nell’eseguire detta valutazione, si esprimeva nel senso della non ostatività della dichiarazione mendace, con conseguente conferma dell’esito originario della selezione e della chiamata in favore della controinteressata.
Il ricorrente insorge, quindi, avverso tale provvedimento, assumendone l’illegittimità sostanzialmente per i seguenti motivi:
1) Violazione di legge in relazione all’art. 128 del d.P.R. n. 3/57 ed eccesso di potere per difetto di competenza dell’organo, che ha espresso la valutazione di cui a tale art. 128 (come interpretato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 359/07) sull’accesso della dott.ssa Coco ad altro incarico pubblico, evidenziandosi al riguardo l’incompetenza del Consiglio di Amministrazione dell’Università, dovendo tale valutazione essere espressa, non in sede di deliberazione sulla chiamata del candidato collocato in posizione utile, come ritenuto dall’Ente, quanto piuttosto, come esplicitamente chiarito già dai giudici costituzionali nella citata pronuncia, in sede di ammissione al concorso, con la conseguenza che è alla Commissione giudicatrice, all’uopo nominata, che andava lasciato il compito di apprezzare la circostanza;
2) Illegittimità dell’azione amministrativa per omessa motivazione, difetto di istruttoria ed eccesso di potere, in relazione alla carenza di ogni riferimento alla necessaria ponderazione della proporzione tra la gravità del comportamento presupposto e il divieto di concorrere ad altro impiego, non avendo l’amministrazione tenuto conto, a tale fine, dei presupposti e della motivazione del provvedimento di decadenza, come, invece, stabilito nella citata sentenza della Corte Costituzionale.
Si costituivano in giudizio sia l’università resistente che la controinteressata, entrambe eccependo in [#OMISSIS#] l’improcedibilità (rectius inammissibilità) del ricorso in relazione al non aver il ricorrente impugnato la precedente deliberazione dell’Università di Catania, di cui al verbale n. 11 del 21 ottobre 2016, con il quale il Consiglio di Dipartimento Scienze Biomediche e Biotecnologiche, chiamato a pronunciarsi dopo la citata sentenza di questo Tribunale n. 1972/2016 sulla chiamata del dott. [#OMISSIS#], esprimeva al riguardo una votazione contraria (in tal senso, il relativo punto 4.10.), nonché l’incompetenza funzionale di questo Tribunale, atteso che il ricorrente avrebbe dovuto far valere le doglianze proposte, non già con autonomo ricorso innanzi al T.A.R., bensì, necessariamente, in sede di ottemperanza all’ordinanza del C.G.A.R.S., in ossequio alla quale il gravato provvedimento è stato emanato, atteso che è sempre e solo il giudice dell’ottemperanza il “giudice naturale” dell’esecuzione, che in accoglimento della relativa domanda, può dichiarare la nullità e/o l’inefficacia di atti eventualmente intervenuti in violazione o elusione del giudicato, determinando le corrette modalità esecutive e conoscendo, più in generale, di tutte le questioni relative all’ottemperanza.
Sia l’ateneo che la dott.ssa Coco evidenziavano in atti anche l’infondatezza nel merito delle censure proposte dal ricorrente, tra l’altro rappresentando: (i) come l’obbligo di procedere alla contestata valutazione discrezionale sia stato, nel caso di specie, concretamente posto a carico dell’amministrazione per effetto della richiamata pronuncia cautelare del C.G.A.R.S.; (ii) la competenza del Consiglio di amministrazione, assegnando il citato art. 127 a tale organo il potere di irrogare la sanzione della decadenza per le ipotesi di cui alle lettera d), qui in considerazione; (iii) la mancanza di una motivazione in ragione dell’adozione dell’impugnato provvedimento al solo limitato fine di dare integrale esecuzione a un provvedimento cautelare, nelle more della conclusione del relativo giudizio di merito.
La Sezione, con ordinanza n. 766/2017, accoglieva l’istanza cautelare in ragione “dell’incompetenza del Consiglio di Amministrazione dell’Università, considerato che la determinazione di “non ostatività” della dichiarazione mendace resa dalla controinteressata, con conseguente conferma dell’esito originario della selezione e della chiamata, doveva essere espressa non – come avvenuto – in sede di deliberazione sulla chiamata del candidato collocato in posizione utile, quanto piuttosto in sede di ammissione al concorso e, pertanto, a cura della commissione giudicatrice all’uopo nominata, alla quale andava lasciato il compito di apprezzare la circostanza”.
Il C.G.A.R.S. con ordinanza cautelare n. 789/2017 respingeva il relativo appello cautelare proposto dalla controinteressata, “considerato che … il ricorso in appello non presenta motivi che giustificano l’annullamento dell’ordinanza impugnata che il Collegio ritiene meritevole di essere confermata”.
All’udienza pubblica dell’8 marzo 2018, il legale dell’università, con il consenso dei legali delle altri parti (che rinunciavano anche a chiedere rinvio), veniva autorizzato dal Presidente al deposito di due note, entrambe del 05.03.2018, pervenute a diversi Organi dell’Università il 06.03; con la prima, il Presidente della Commissione giudicatrice comunica che quest’ultima “ha competenze giudicatrici relative al lavoro scientifico dei candidati e circoscritte ai documenti che ogni candidato presenta al concorso in oggetto”, e che “non è compito istituzionale della Commissione giudicatrice intervenire su fatti che esulano dal carattere di giudizio nel merito della produzione scientifica e della conoscenza della materia inerente al settore scientifico disciplinare per cui il concorso è stato indetto”.
Con la seconda, un membro della commissione, la prof.ssa Parenti, dichiara di concordare con quanto affermato dal presidente della commissione, alla cui nota rinvia, ma che comunque, con specifico riferimento alla circostanza (l’avvenuta destituzione della controinteressata da altro impiego per falsa dichiarazione) che l’ordinanza di questa Sezione aveva obbligato la commissione ad “apprezzare”, ritiene “non sussista alcuna ostatività all’ammissione della dott.ssa Coco alla selezione…”.
La causa veniva, quindi, trattenuta in decisione.
Deve essere, innanzi tutto rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, formalmente sollevata sia dall’amministrazione intimata che dalla controinteressata in relazione alla mancata impugnazione della deliberazione del Consiglio di dipartimento n. 11 del 21 ottobre 2016 (con la quale tale Consiglio medesimo avrebbe respinto la proposta di chiamata del ricorrente con la conseguenza che – in tesi – sarebbe per costui definitivamente preclusa ogni possibilità di conseguire l’agognato bene della vita), ribadendo il Collegio quanto già evidenziato dalla Sezione in sede cautelare, circa la sostanziale motivazione della mancata approvazione ivi espressa, in ragione della pendenza del giudizio d’appello avverso la citata sentenza di questa Sezione n. 1972/2016.
Rileva, infatti, a tal proposito come il Consiglio di dipartimento, non abbia respinto nel merito la chiamata del ricorrente (come, invece, tenta di sostenere la controinteressata), bensì non approvato la relativa proposta non già per voto contrario ma “per il mancato raggiungimento della maggioranza assoluta dei professori di prima e seconda fascia”, con conseguente natura non decisoria dell’esito della relativa deliberazione, nonché come la relativa astensione di ben otto docenti, che ha determinato il mancato raggiungimento della suddetta maggioranza assoluta, sia stata da costoro espressamente riferita alla necessità di “attendere la sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa adito dalla Dott.ssa Coco per ricorso alla sentenza del TAR Sicilia – Catania n. 1972/2016”.
Deve essere, altresì, disattesa anche l’altra eccezione processuale fondata sull’asserita erroneità nella scelta del mezzo impugnatorio proposto dal ricorrente, ritenuto che l’impugnata determinazione, per quanto dichiaratamente adottata in esecuzione della richiamata ordinanza cautelare, sia, come già rilevato in sede cautelare, impugnabile con autonomo ricorso in ragione de “l’ampio margine di discrezionalità comunque lasciato all’Ateneo nel valutare la proporzione tra la gravità del comportamento precedentemente tenuto dalla controinteressata ed il divieto di concorrere ad altri impieghi”, non risultando, per l’effetto, elusiva o violativa del relativo giudicato cautelare, bensì autonomamente lesiva, coprendo spazi lasciati in bianco dal giudicato medesimo.
Come, infatti, chiarito da autorevole giurisprudenza, l’intento del nuovo codice di concentrare nel giudizio di ottemperanza tutte le questioni che sorgono dopo un giudicato in relazione alla sua esecuzione non si spinge, infatti, sino al punto di affermare che qualsivoglia provvedimento adottato dopo un giudicato, e in conseguenza di esso, debba essere portato davanti al giudice dell’ottemperanza, dovendo il rapporto di incidenza fra riesercizio del potere amministrativo e giudicato essere risolto, non già aprioristicamente, bensì in concreto, affidandolo al riscontro dell’esatta portata del medesimo giudicato e del bene della vita riconosciuto, “sicché, ove il giudicato non inibisca l’esercizio dei tratti liberi dell’azione amministrativa (secondo la regola generale sancita adesso dall’art. 34, co. 2, primo periodo, c.p.a.), ovvero ne consenta espressamente la riedizione (come nel caso di specie), è inconfigurabile una situazione di inottemperanza (nella triplice enfatica epifania della mancata esecuzione, violazione o elusione)” (in tal senso, Consiglio di Stato, Sezione V, n. 3078/2011).
Ciò premesso, il ricorso è fondato.
E’, infatti, innanzi tutto, meritevole di accoglimento il primo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente eccepisce l’incompetenza del Consiglio di amministrazione dell’ateneo ad assumere l’impugnato provvedimento, confermandosi al riguardo il giudizio già espresso in sede cautelare e condiviso anche in sede di relativo appello, dovendo la valutazione discrezionale ivi espressa essere eseguita, non già – come avvenuto – in sede di deliberazione sulla chiamata del candidato collocato in posizione utile, quanto piuttosto in sede di ammissione al concorso, con la conseguenza che era alla Commissione giudicatrice all’uopo nominata che andava lasciato il compito di apprezzare la gravità del comportamento precedentemente tenuto dalla dott.ssa Coco rispetto al divieto di concorrere ad altri impieghi.
In tal senso depone quanto precisato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 329/2007, che espressamente assimila il potere di ponderazione della proporzione tra la gravità del comportamento presupposto e il divieto di concorrere ad altro impiego, a quello “analogo riconosciuto da questa Corte ai fini dell’ammissione al concorso, con riferimento alla riabilitazione ottenuta dal candidato”, sicché “la discrezionalità che l’amministrazione pubblica eserciterà in tal modo sarà limitata dall’obbligo di tenere conto dei presupposti e della motivazione del provvedimento di decadenza, ai fini della decisione circa l’ammissione a concorrere ad altro impiego nell’amministrazione”.
A ciò si aggiunga come una diversa opzione ermeneutica non solo frusterebbe la finalità di tutela perseguita dai giudici costituzionali nella sentenza del 2007, ma pregiudicherebbe gravemente principi fondamentali quali l’imparzialità dell’azione amministrativa (ordinariamente garantita nelle procedure concorsuali dalla nomina di una commissione terza cui affidare la valutazione comparativa dei candidati) oltre che la parità dei concorrenti, lesa gravemente da una valutazione di gravità del comportamento pregresso della candidata resa quando l’esito della selezione è ormai noto.
E’ parimenti degna di accoglimento la censura di difetto di motivazione, non essendo rinvenibile nell’impugnato provvedimento alcuna argomentata valutazione di gravità della condotta della controinteressata né alcun accenno alle ragioni della ritenuta sproporzionalità, in eccesso, del divieto positivizzato al citato art. 128, bensì soltanto un’asettica esposizione dei fatti priva di qualsiasi giudizio di valore sulla vicenda.
Né rileva sotto tale aspetto l’asserita mancata considerazione del titolo falso da parte della Commissione di concorso in cui si realizzò il falso non essendo tale circostanza – del tutto esterna alla controinteressata – in grado di predicare alcunchè rispetto al mendacio di cui si essa si è resa responsabile, tanto più alla luce di quanto affermato dal C.G.A.R.S. nella sentenza n. 1042/12, emanata all’esito del giudizio avente a oggetto la pregressa selezione pubblica, secondo cui “Va sgombrato il campo dall’asserzione della Commissione, di non aver riconnesso alcuna valutazione alla frequenza di Oxford. Essa integra una mera petizione di principio inammissibilmente resa in via postuma rispetto all’integrale svolgimento delle attività valutative: e trova, infatti, integrale smentita nei fatti già verificatisi. Il fatto che ogni commissario, nonché la stessa Commissione, nei verbali delle operazioni concorsuali abbiano dato atto dell’attività dichiaratamente svolta all’estero dalla dr.ssa Coco, altro non può significare se non che tale esperienza sia stata considerata: sicché, in misura non enucleabile, essa ha concorso alla formazione del giudizio. Tale conclusione, evidente e ovvia, non è posta nel nulla da una postuma affermazione di segno opposto (factum infectum fieri nequit)”.
Allo stesso modo, non coglie nel segno l’ulteriore difesa svolta in atti secondo cui l’ateneo avrebbe implicitamente valutato l’irrilevanza del mendacio all’atto dell’ammissione della dott.ssa Coco alla nuova procedura concorsuale, atteso che l’adozione dell’impugnato provvedimento risulta essere stata disposta dal C.G.A.R.S. proprio sul presupposto che una siffatta ponderazione non sia stata mai eseguita.
Il ricorso deve, quindi, essere accolto e il provvedimento impugnato deve essere conseguentemente annullato.
Per l’effetto il Collegio ordina alla Commissione di concorso di procedere, collegialmente, nel senso di cui in motivazione, tenendo conto dell’effetto conformativo della presente pronuncia – ed, in particolare, di quanto sopra evidenziato in merito all’effettiva considerazione del titolo falso da parte della Commissione di concorso in cui si realizzò il falso, come accertato nella richiamata sentenza del C.G.A.R.S., espressamente pronunciatasi su tale aspetto – evidenziandosi al riguardo come la mancata esecuzione della presente sentenza integri, ai sensi dell’art. 328, comma 1, c.p., il reato di rifiuto di atti d’ufficio.
Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo ponendole a carico dell’Università e della controinteressata.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione, per l’effetto annullando l’impugnato provvedimento.
Condanna l’Università e la controinteressata alla rifusione, in favore del ricorrente, delle spese di lite liquidate in euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) ciascuna, oltre accessori di legge se dovuti, nonché al rimborso del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Dauno Trebastoni, Presidente FF
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Referendario
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Referendario, Estensore
 Pubblicato il 12/03/2018