Con sentenza n. 1962 del 24 giugno 2024, il TAR Lombardia si è pronunciato sulla legittimità del provvedimento con cui un Ateneo rigettava la richiesta di una docente a contratto universitaria di essere regolarizzata (i.e.: stabilizzata), in virtù della assimilabilità sotto ogni aspetto della sua posizione a quella di un professore associato confermato a tempo pieno).
La ricorrente, che aveva svolto attività di docenza a contratto dal 2002 al 2017, lamentava la violazione delle norme che regolano tale rapporto di lavoro (dapprima l’art. 25 del d.p.r. 382/1980, D.M. 21 maggio 1998, n. 242, e poi l’art. 23 della l. 240/10, D.M. 21 luglio 2011 n. 313, insieme all’art. 20 del d.lgs. 25 maggio 2017 n. 75, “Regolamento della disciplina dei contratti per l’attività d’insegnamento ai sensi dell’art. 23 della legge 30 dicembre 2010, n. 240), per avere l’Ateneo abusato di uno strumento per sua natura straordinario qual è il contratto di docenza annuale, utilizzabile solo in casi eccezionali e comunque non rinnovabile più di due volte in uno stesso quinquennio.
Il Tribunale adito ha tuttavia rigettato nel merito il ricorso affermando che, ai sensi dell’art. 36, comma 5, del D.lgs. 165/2001, non è possibile procedere alla riqualificazione del rapporto di lavoro da professore “a contratto” a rapporto di lavoro a tempo determinato, poiché secondo tale norma dalla violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori non può mai conseguire la costituzione di rapporti a tempo indeterminato. Secondo i giudici, infatti, se così non fosse, verrebbe pregiudicato il principio della necessaria assunzione per concorso, sancito dall’art. 97, comma 4 della Costituzione e il principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione, specie laddove si consentisse l’immissione stabile nei ruoli a prescindere dall’effettivo fabbisogno del personale e dalla previa programmazione delle assunzioni, indispensabili per garantire efficienza ed economicità della gestione dell’ente pubblico.
A parere dei giudici, anche a voler ammettere la possibilità di una riqualificazione del rapporto di professore a contratto in termini di prestazione di opera in regime di subordinazione, non sussisterebbero indici di “subordinazione”, che non può essere desunta dall’obbligo di rispettare rigidamente gli orari, né alla soggezione alle direttive provenienti dal direzione, poiché tali regole sono strettamente funzionali alla realizzazione dell’attività di docenza. Ugualmente, la necessità di coordinare gli orari delle lezioni e degli appelli con il calendario della università, di compilare il registro delle lezioni o di presentare una relazione sulla attività svolta costituiscono elementi propri di qualunque prestazione di docenza in ambito universitario e non sono affatto elementi peculiari e connotanti di un rapporto di ruolo o comunque subordinato.
Nemmeno l’impegno quotidiano in attività di ricerca e di pubblicazione scientifica o di partecipazioni a conferenze, seminari, convegni e congressi può costituire di per sé indizio di subordinazione, posto che occorrerebbe quantomeno dimostrare che tali attività non siano state svolte su base volontaria, ma costituissero adempimenti esigibili dall’Ateneo in quanto rientranti in un quadro di obblighi di tipo istituzionale.