TAR Umbria, Perugia, Sez. I, 23 febbraio 2016, n. 148

Equiparazione tecnico laureato e funzionario tecnico/collaboratore tecnico-Recupero somme corrisposte

Data Documento: 2016-02-23
Area: Giurisprudenza
Massima

Benché parte della giurisprudenza opini nel senso della illegittimità degli atti gestionali a firma congiunta (nel caso di specie, del Direttore generale, de facto competente, e anche del Rettore) la sottoscrizione contestuale da parte del dirigente, nell’ottica del principio oramai fondamentale di “strumentalità delle forme” e di “utile per inutile non vitiatur”, garantisce appieno il rispetto delle attribuzioni dirigenziali, specie laddove non risulti alcun elemento in base al quale si possa anche solo ipotizzare contraddittorietà di valutazioni o di posizioni.

L’omogeneità dei compiti di ricerca costituisce la ratio della continuità tra i servizi del funzionario tecnico e del ricercatore: è con ciò confermata la sostanziale non equiparabilità tra le figure del collaboratore, anche laureato, e del funzionario, pur accomunate dall’appartenenza al ruolo tecnico, rimanendo distinte le caratteristiche dei compiti propri di ciascuna di esse, con specifico riguardo al campo della ricerca.

È tuttora valido l’orientamento giurisprudenziale che, in materia di annullamento d’ufficio di provvedimenti che comportano illegittimo esborso di denaro pubblico, individua l’interesse pubblico “in re ipsa” senza dunque rilievo al decorso del tempo e alla comparazione con il contrapposto interesse privato, rilevando la buona fede del percipiente solo al fine delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente. Non di meno, si registra da ultimo la decisa volontà da parte del legislatore di apporre un rigido sbarramento temporale all’esercizio del potere di autotutela, fissato in diciotto mesi “dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”. Pertanto, l’ampiezza del tempo trascorso (nel caso di specie, oltre cinque anni) e la rilevanza dell’affidamento incolpevole del privato, legittimano la non recuperabilità delle somme corrisposte in seguito all’illegittimo riconoscimento dei servizi pre-ruolo prestati dal privato quale collaboratore tecnico.

Quantomeno in seno all’ordinamento comunitario non è precluso all’amministrazione di modulare gli effetti del provvedimento di autotutela, laddove la delimitazione della decorrenza ex nunc costituisca il mezzo indispensabile per coniugare il ripristino della legalità con il principio di derivazione comunitaria del legittimo affidamento. La giurisprudenza nazionale, in fattispecie analoghe, non ha mancato di evidenziare come a seguito dell’annullamento del provvedimento il recupero delle somme erroneamente corrisposte non ne costituisca conseguenza automatica, essendo anzi detto recupero illegittimo laddove l’amministrazione abbia ingenerato nei propri dipendenti la ragionevole convinzione di avere diritto a determinati emolumenti e questi siano stati percepiti e consumati in buona fede per le normali esigenze di vita.

La regola della necessaria retroattività degli effetti vizianti risulta oggi rimeditata quanto all’annullamento giurisdizionale da parte del g.a., laddove anche sulla scia del diritto comunitario si è affermata la possibilità per il giudice di modularne gli effetti a seconda delle circostanze e comunque “dell’interesse posto a base dell’impugnazione”.

Contenuto sentenza

N. 00148/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00007/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7 del 2015, proposto da: 
[#OMISSIS#] Ricci, rappresentato e difeso dagli avv.ti [#OMISSIS#] Formica ed [#OMISSIS#] Bovari, con domicilio eletto presso l’avv. [#OMISSIS#] Bovari in Perugia, corso Vannucci, 10; 
contro
Università degli Studi di Perugia, in persona del Rettore pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici è pure legalmente domiciliata in Perugia, Via degli Offici, 14; 
per l’annullamento
del decreto rettorale n. 1831 del 10.10.2014, di annullamento d’ufficio del decreto n. 327 in data 28 aprile 2009 di riconoscimento dei servizi pre-ruolo, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Perugia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 giugno 2015 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente premette di essere professore associato per il settore scientifico-disciplinare MED/31-Otorinolaringoiatria presso il Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Biomediche dell’Università degli Studi di Perugia a decorrere dal 31 dicembre 2010.
Espone che nel periodo compreso tra l’1 gennaio 1991 e l’8 agosto 2000 ha prestato servizio nel ruolo di collaboratore tecnico (VII q.f.), svolgendo attività di ricerca in forma autonoma, e comunque mansioni superiori a quelle formalmente riconducibili alla propria qualifica.
Aggiunge che con sentenza della Corte costituzionale n. 191 del 6 giugno 2008 è stato dichiarato illegittimo l’art. 103, comma 3, del d.P.R. n. 382 del 1980 nella parte in cui non riconosceva ai ricercatori universitari, all’atto della loro immissione nella fascia di ricercatori confermati, per intero ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza e per due terzi ai fini della carriera, l’attività effettivamente prestata nelle Università in qualità di tecnici laureati con almeno tre anni di ricerca.
Con nota n. 35522 del 22 luglio 2008, il Rettore dell’Università di Perugia ha invitato il personale docente interessato, nominato ricercatore confermato ai sensi della legge n. 4 del 1999, seppure inquadrato in altre qualifiche, a produrre richiesta di riconoscimento ai fini della progressione di carriera nel ruolo di ricercatore confermato del servizio prestato nelle figure che hanno dato il titolo alla partecipazione ai concorsi riservati di cui alla già ricordata legge n. 4 del 1999, e dunque anche nella qualifica di collaboratore tecnico.
Il ricorrente ha presentato l’istanza per il riconoscimento del servizio di collaboratore tecnico dall’1 gennaio 1991 all’8 agosto 2000, e quale dipendente di categoria “D” dell’area tecnica, tecnico-scientifica ed elaborazione dei dati dal 9 agosto 2000 al 23 aprile 2002, per complessivi anni 7, mesi 6 e giorni 15.
Con decreto dirigenziale n. 327 del 28 aprile 2009, l’Università ha accolto l’istanza del ricorrente (così come invero di altri ricercatori nella medesima posizione), assegnandolo, a fare tempo dal 24 aprile 2002 (ai soli fini giuridici), alla III classe di stipendio.
Il provvedimento è stato annullato, a seguito di contraddittorio procedimentale, con il decreto rettorale n. 1831 del 10 ottobre 2014, oggetto del presente gravame, il quale, in forza del mancato riconoscimento del servizio di collaboratore tecnico, ha richiesto altresì la restituzione dell’indebito.
Il ricorrente deduce, a sostegno del ricorso, i seguenti motivi di diritto :
1) In via preliminare : eccezione di intervenuta prescrizione quinquennale del diritto dell’Amministrazione alla ripetizione dei ratei stipendiali ex art. 2948, n. 4, del cod. civ., con la conseguenza che è illegittimo l’integrale recupero delle somme corrisposte, senza limitare tale recupero ai soli emolumenti erogati nel quinquennio precedente alla data di comunicazione del decreto rettorale.
2) Violazione degli artt. 3, 10-bis e 21-nonies della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione e contraddittorietà interna; eccesso di potere per violazione dei principi di ragionevolezza, legittimo affidamento e proporzionalità; ingiustizia manifesta; violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.
Va anzitutto evidenziato il vizio motivazionale del provvedimento impugnato, che, a fronte della situazione di affidamento ingeneratasi in capo al ricorrente in forza del provvedimento oggetto di riesame, si è limitato ad affermare, in modo apodittico, la preminenza dell’interesse pubblico, senza effettuare alcuna ponderazione dello stesso con l’interesse privato. Ciò tanto più considerando che nella vicenda controversa è ravvisabile un affidamento “qualificato”, per il fatto che il provvedimento oggetto di riesame è stato adottato a seguito di un’istanza sollecitata dallo stesso Ateneo (con la nota prot. n. 35522 del 22 luglio 2008). In difetto, l’istanza del ricorrente sarebbe stata ben più meditata, anche in ragione della non diretta riferibilità della pronuncia della Consulta alla figura del collaboratore tecnico; deve dunque essere stigmatizzata una condotta avventata ed intempestiva dell’Ateneo, che ha tratto in inganno il ricorrente, inducendolo a ritenere di avere diritto all’attribuzione di un vantaggio economico che, in seguito, la stessa Amministrazione ha ritenuto non più dovuto.
Parimenti, la motivazione dell’atto gravato appare carente anche sotto il profilo della ragionevolezza del termine intercorso tra l’adozione del provvedimento oggetto di riesame e la decisione di annullamento, essendo passati quasi sei anni dal momento della concessione del beneficio a quello della sua rimozione, e dunque un significativo lasso temporale.
Le carenze dell’apparato motivazionale del provvedimento gravato risultano aggravate dal fatto che il ricorrente, nel contesto delle osservazioni presentate ai sensi dell’art. 10-bis, ha puntualmente messo in evidenza l’esigenza di accordare la dovuta attenzione ai parametro del legittimo affidamento e del termine ragionevole, senza che tali profili siano stati puntualmente presi in considerazione dall’Ateneo.
Il denunciato vizio motivazionale è peraltro la conseguenza dell’inadeguatezza, sul piano sostanziale, dell’attività istruttoria posta in essere dall’Università in sede di riesame, resa evidente anche dal fatto che la decisione è stata adottata senza avere provveduto preliminarmente al calcolo dei ratei dello stipendio già corrisposti, passibili di essere recuperati, nonché dell’importo delle quote degli emolumenti che saranno oggetto di futura decurtazione.
A favore di una decisione di segno opposto rispetto a quella adottata depongono anche le considerazioni relative al fattore “tempo”, e cioè al carattere ragionevole o meno del termine intercorso fra l’adozione dell’atto oggetto di riesame ed il provvedimento avversato. Tale arco temporale appare tanto più irragionevole, ove si consideri che già nel 2011 l’Università di Perugia aveva esercitato il medesimo potere di autotutela con un identico provvedimento adottato nei confronti di un altro docente; ciò significa che l’esercizio del potere di autotutela avrebbe dovuto essere attivato già tre anni or sono, allorchè l’Amministrazione ha avuto per la prima volta contezza dell’illegittimità del riconoscimento, ai fini della progressione di carriera dei ricercatori, del servizio prestato come collaboratori tecnici. Ciò dimostra che l’esercizio del potere di autotutela non è stato conforme al fondamentale canone della ragionevolezza, e ciò ha ovviamente incrementato il pregiudizio subito per effetto dell’avversato provvedimento.
Circa la questione del termine, può assumere valore, quale tertium comparationis, anche la disposizione dell’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004 che ha previsto solamente un termine massimo di tre anni entro il quale esercitare il potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti illegittimi.
Nel rispetto del principio di proporzionalità, l’interesse pubblico deve essere perseguito con il minore sacrificio possibile da parte del corrispondente interesse privato; anche in tale prospettiva il provvedimento impugnato è privo di qualsivoglia motivazione. Invero, una corretta valorizzazione del principio in questione avrebbe dovuto indurre l’Ateneo a garantire, anche in ragione della condizione di affidamento vantata dal ricorrente, la tutela e la conservazione delle attribuzioni patrimoniali già acquisite, limitando gli effetti caducatori pro futuro.
Il difetto di istruttoria e la contraddittorietà del provvedimento emergono anche con riferimento alla mancata valutazione della buona fede del privato ai fini della richiesta di interessi sulle somme oggetto di ripetizione, con la conseguenza che parte ricorrente non sa se l’atto di recupero provvederà o meno a richiedere detti accessori del credito.
3)Violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990; incompetenza relativa del Rettore ad annullare in autotutela un provvedimento dirigenziale, allegandosi che il provvedimento gravato è stato adottato dal Rettore dell’Università degli Studi di Perugia, e dunque da un organo diverso da quello che aveva emanato l’originario atto oggetto di riesame, posto che quest’ultimo reca la firma del dirigente della Ripartizione del Personale. Nessuna disposizione normativa attribuisce un potere generale di annullamento delle determinazioni dirigenziali al Rettore.
4) In subordine, nel caso di mancato annullamento del provvedimento impugnato, il ricorrente ha diritto ad ottenere, in via riconvenzionale, il risarcimento del danno sofferto per violazione dell’obbligo di buona fede e del principio del “non venire contra factum proprium”.
Contrasta infatti con il principio di buona fede la condotta dell’Ateneo che ha ritenuto, dapprima, di propria iniziativa, di indurre il ricorrente a presentare un’istanza per il riconoscimento di un beneficio, per poi disporre, a distanza di ben sei anni, l’annullamento in autotutela della concessione di tale beneficio, oltre tutto con effetto retroattivo, e non solo pro futuro. La condotta dell’Amministrazione si è rivelata ingannevole e fuorviante per il privato. Ulteriore profilo di scorrettezza nella gestione del rapporto di lavoro risiede nella mancata tempestiva attivazione, da parte dei competenti organi, del procedimento di autotutela che ha portato all’annullamento dell’atto gravato.
La violazione dell’obbligo di correttezza appare di per sé gravemente colposa a causa dei ripetuti e plurimi affidamenti ingenerati dall’Amministrazione e determina un sicuro diritto al risarcimento del danno sia patrimoniale che morale, ed anche esistenziale e biologico.
Si è costituita in giudizio l’Università degli Studi di Perugia controdeducendo alle censure avversarie e chiedendone la reiezione.
All’udienza del 24 giugno 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. – Con il decreto in epigrafe n. 1831 del 10 ottobre 2014 il Rettore dell’Università di Perugia:
– ha annullato il provvedimento n. 327 del 2009 con cui sono stati riconosciuti, ai fini della progressione di carriera ex art. 103, d.P.R. n. 382/1980, i servizi prestati dal ricorrente quale collaboratore tecnico dal 1 gennaio 1981 all’8 agosto 2000 e quale dipendente di categoria “D” dell’area tecnica, tecnico scientifica ed elaborazione dati dal 9 agosto 2000 al 23 aprile 2002, per complessivi anni 7, mesi 6 e giorni 15;
– ha riconosciuto al ricorrente per il servizio prestato anteriormente all’immissione nel ruolo ai sensi dell’art. 103, d.P.R. n. 382/1980 ai fini della progressione di carriera e con effetto dal 24 aprile 2002, data di nomina a ricercatore universitario confermato, unicamente anni 1, mesi 1 e giorni 20;
– ha rideterminato lo stipendio, l’assegno aggiuntivo nonché l’indennità integrativa speciale secondo la progressione giuridico-economica risultante dalla nuova articolazione delle classi e scatti;
– ha demandato all’Ufficio Stipendi l’adeguamento del trattamento economico futuro e all’Ufficio Recupero Crediti la restituzione delle somme indebitamente erogate per il passato, oltre interessi dal giorno della notifica.
2. – Nel provvedimento è fatto riferimento alla delibera del 25 giugno 2014 con la quale il Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo ha preso atto della sentenza del Consiglio di Stato n. 1776/2014 e ha, conseguentemente, autorizzato il Rettore ad avviare il riesame dei provvedimenti di riconoscimento ai sensi dell’art. 103, D.P.R. n. 382/1980 del servizio pre-ruolo prestato in qualità di “collaboratore tecnico” per la ricostruzione della carriera in favore dei dipendenti con la qualifica di ricercatore universitario confermato.
3. – Posponendo l’ordine delle censure, va preliminarmente esaminata quella di incompetenza del Rettore, sviluppata nel terzo motivo, stante il carattere prioritario ed assorbente della medesima (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 27 aprile 2015, n. 5).
E’ indubbio come l’atto impugnato, quale esercizio di autotutela con funzione di riesame (ai sensi dell’art. 21-nonies della legge 241 del 90) nei confronti di atti dirigenziali in materia di trattamento economico del personale, rientri nel novero delle competenze dirigenziali, ai sensi sia del d.lgs. n. 165 del 2001 che dello stesso Statuto dell’Ateneo (artt. 10 e 50).
In aggiunta alla sottoscrizione da parte del Rettore del 10 ottobre 2014 l’atto risulta peraltro contestualmente firmato dal Direttore Generale, dal Responsabile d’Area e dal Responsabile dell’Ufficio.
Trattasi, ad avviso del Collegio, di circostanza determinante ai fini dell’escludere la violazione del principio – di rilievo costituzionale (Corte Costituzionale sent. 3 maggio 2013 n. 81) – di separazione tra attività gestionale e di indirizzo politico.
Infatti, benché parte della giurisprudenza opini nel senso della illegittimità (per violazione del principio di tipicità) degli atti gestionali a firma congiunta (T.A.R. Lazio, Latina, 29 luglio 2014, n. 667), ritiene il Collegio che la sottoscrizione contestuale da parte del dirigente nell’ottica del principio oramai fondamentale di “strumentalità delle forme” (ex multis T.A.R. Sardegna, Sez. I, 19 settembre 2014, n. 725) e di “utile per inutile non vitiatur” (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 4 novembre 2015, n. 5107) garantisca appieno il rispetto delle attribuzioni dirigenziali, specie laddove non risulti alcun elemento in base al quale si possa anche solo ipotizzare contraddittorietà di valutazioni o di posizioni (T.A.R. Liguria, Sez. I, 5 febbraio 2014, n. 186).
E comunque, aggiuntivamente, può osservarsi che, secondo una parte della giurisprudenza, il vizio di incompetenza che affligge un provvedimento amministrativo, soprattutto quando si contesta che la competenza appartiene ad un organo diverso dello stesso ente, è un mero vizio procedimentale (T.A.R. Toscana, Sez. III, 17 settembre 2013, n. 1263), come tale sanabile, avendo l’Università resistente fornito prova, secondo quanto emergerà dalla esposizione seguente, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge 241 del 1990, della impossibilità di adottare una decisione diversa ovvero della non incidenza del vizio di incompetenza sul contenuto dispositivo del provvedimento (la giurisprudenza ha sottolineato, al riguardo, come l’art. 21-octies abbia una propria vis expansiva che lo rende applicabile a qualsiasi vizio puramente formale, dato che l’acclarata necessaria reiterazione del provvedimento, da parte dell’organo in ipotesi competente, dimostra che la censura, quand’anche fondata, non è sorretta da un concreto interesse : T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 21 maggio 2013, n. 1132).
4. – Non suscettibile di positiva valutazione è anche il primo motivo di ricorso, con il quale viene eccepita la prescrizione quinquennale del diritto dell’Amministrazione alla ripetizione dei ratei stipendiali (corrisposti prima del 10 ottobre 2009) ai sensi dell’art. 2948, n. 4, del cod. civ.
Ed infatti viene in tale caso in rilievo una prospettiva inversa rispetto a quella del dipendente pubblico che vanta un credito esigibile nel termine di prescrizione fissato per le prestazioni periodiche, ed il regime prescrizionale è, piuttosto, quello ordinario, decennale, dell’azione di recupero di somme indebitamente corrisposte al pubblico dipendente da parte dell’Amministrazione (tra le tante, T.A.R. Lazio, Sez. III, 11 giugno 2014, n. 6233).
5. – Quanto al secondo, articolato, motivo, più propriamente attinente alla fondatezza della pretesa azionata, osserva il Collegio quanto segue.
Con la citata sentenza n. 1776/2014 del Consiglio di Stato ha trovato conferma la decisione n. 340/2012 di questo Tribunale Amministrativo che aveva riconosciuto a fini giuridici e di carriera l’anzianità pari a due terzi del periodo di ricercatore universitario con esclusione dell’attività prestata in qualità di collaboratore tecnico; all’Amministrazione era preclusa la valutazione del servizio effettivamente prestato dal ricorrente con la qualifica di collaboratore tecnico di VII livello.
E’ stata perciò ritenuta corretta l’autotutela nei confronti del riconoscimento al ricorrente dell’anzianità di servizio maturata nel periodo anteriore all’immissione nel ruolo di ricercatore universitario confermato, in applicazione dell’art. 103, comma 3, d.P.R. n. 382/1980, come interpretato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 191/2008.
Al proposito, la giurisprudenza ha precisato che le funzioni dei tecnici laureati (di ausilio ai docenti e di gestione dei laboratori) sono diverse da quelle dei ricercatori e ha più volte affermato, anche in epoca recente, che, nonostante una certa assimilazione dei rispettivi compiti, rimane l’essenziale differenziazione tra le due categorie (ordinanze n. 160 del 2003 e nn. 262 e 94 del 2002 della Corte costituzionale), e che la previsione di un meccanismo di transito agevolato da un ruolo all’altro, come il concorso riservato, non è di per sé sufficiente a colmare queste differenze.
Secondo la sentenza n. 1776/2014 del Consiglio di Stato, l’omogeneità dei compiti di ricerca costituisce la ratio della continuità tra i servizi (e la conseguente parità di trattamento economico) del funzionario tecnico e del ricercatore: è con ciò confermata la sostanziale non equiparabilità tra le figure del collaboratore, anche laureato, e del funzionario, pur accomunate dall’appartenenza al ruolo tecnico, rimanendo distinte le caratteristiche dei compiti propri di ciascuna di esse, con specifico riguardo al campo della ricerca.
Anche se la figura del funzionario tecnico ha sostituito quella del tecnico laureato nell’ordinamento previgente alla legge n. 312 del 1980 ed anche se il riconoscimento dei relativi servizi deriva dal diritto attribuito ai tecnici laureati dall’art. 103 d.P.R. n. 382 del 1980 nel testo risultante dalla più volte citata sentenza della Corte Costituzionale, non altrettanto può dirsi per la figura professionale del collaboratore tecnico, per la quale il d.P.C.M. 24 settembre 1981 prevede la settima qualifica.
5.1. – Analogamente al Giudice d’appello, si osserva come le mansioni effettivamente svolte dal ricorrente nella veste di collaboratore tecnico, attinenti, in tesi, a compiti propri della figura professionale del funzionario tecnico laureato, da un lato confermano l’autonomia delle due figure professionali, dall’altro sono ininfluenti ad una diversa conclusione, configurando una ipotesi di svolgimento di mansioni superiori che, nel settore del pubblico impiego, non può condurre a conseguenze contrarie al formale inquadramento.
6. – Dall’insieme delle suesposte considerazioni, emerge che il decreto rettorale in esame risulta immune da censure nella parte relativa al disconoscimento, ai fini della progressione di carriera ex art. 103, d.P.R. n. 382/1980, dei servizi prestati dal ricorrente quale collaboratore tecnico.
7. – Se è perciò legittima la rideterminazione della progressione giuridico-economica in base alla nuova articolazione delle classi stipendiali in relazione al trattamento economico con una diversa (e minore) anzianità di servizio, diverse conclusioni devono essere raggiunte con riferimento al recupero delle somme sino ad allora spontaneamente erogate benché indebite.
Come già evidenziato, con la nota prot. n. 35522 del 22 settembre 2008 a firma del Rettore, il personale docente nominato ricercatore confermato ai sensi della L. 4/199, seppure attualmente inquadrato in diversa qualifica, è stato invitato a produrre richiesta di riconoscimento, ai fini della progressione di carriera nel ruolo di ricercatore confermato, del servizio prestato nelle figure che hanno dato titolo alla partecipazione ai concorsi riservati di cui alla citata legge n. 4/1999 (tecnico laureato, funzionario tecnico, collaboratore tecnico, EP).
Successivamente alla suddetta nota, ove era tra l’altro precisato che “detto riconoscimento verrà operato nella misura e nei limiti di cui all’art. 103 del d.P.R. 382/1980 vale a dire rispettivamente per due terzi e per un massimo di otto anni”, l’Amministrazione ha avviato una complessa procedura partecipata con gli interessati culminata nell’adeguamento stipendiale oltre che contributivo, dal quale il ricorrente ha tratto una legittima aspettativa consistente nel mantenimento di un corrispondente tenore di vita durante l’occupazione lavorativa.
Non ignora certo il Collegio l’orientamento giurisprudenziale che in materia di annullamento d’ufficio di provvedimenti che comportano illegittimo esborso di denaro pubblico, individua l’interesse pubblico “in re ipsa” senza dunque rilievo al decorso del tempo e alla comparazione con il contrapposto interesse privato (ex multis T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 8 gennaio 2015, n. 140; T.A.R. Basilicata 10 luglio 2015, n. 426; Consiglio di Stato, Sez. III, 11 novembre 2014, n. 5539) rilevando la buona fede del percipiente solo al fine delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vuta del dipendente (in termini, recentemente, T.A.R. Lazio, Sez. III, 10 marzo 2015, n. 3934; Cons. Stato, Sez. V, 4 novembre 2014, n. 5435).
Non di meno, posto che l’art. 21-nonies della legge 241 del 1990, sin dal testo originario introdotto con legge 11 febbraio 2005 n. 15, non fa alcun cenno ad un potere di riesame scisso dal decorso del tempo e dalla comparazione con gli interessi antagonistici al ripristino della legalità, va evidenziato che, all’opposto, si registra da ultimo la decisa volontà da parte del legislatore (vedi d.l. 12 settembre 2014 n. 133 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014 n. 164) di apporre un rigido sbarramento temporale all’esercizio del potere di autotutela, fissato in diciotto mesi “dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5625)
Giova evidenziare nel particolare caso di specie, oltre l’ampiezza del tempo trascorso (oltre cinque anni) – di per sé ben superiore sia al suddetto parametro di diciotto mesi sia alla stessa “ragionevolezza” nel termine per l’esercizio del potere di annullamento in riferimento ad atti non riconducibili alle “autorizzazioni o attribuzione di vantaggi economici” – la rilevanza dell’affidamento, del tutto incolpevole, del ricorrente, ingenerato proprio dal comportamento serbato da parte della stessa Università, che ha sollecitato unilateralmente il personale interessato alla presentazione dell’istanza per il riconoscimento del servizio pre-ruolo.
In tale contesto ritiene il Collegio che l’Università, nella veste di parte datoriale, non possa esimersi dall’”indennizzare” la ricorrente nella misura pari agli arretrati maturati in iure ma pagati e percepiti legittimamente.
D’altra parte, nella sentenza n. 340/2012, questo stesso Tribunale Amministrativo aveva ammesso come “a fronte del riconoscimento da parte della stessa Corte costituzionale del fenomeno del cosiddetto “mansionismo” che ha caratterizzato il pubblico impiego dagli anni ’80 (…) alla metà degli anni ’90 di emanazione del d.lgs. n. 29/1993 (…), non appare del tutto coerente che la qualifica di collaboratore tecnico laureato non possa essere ritenuta “sostanzialmente corrispondente” a quella del tecnico laureato e che detta corrispondenza sia riservata soltanto a quella del funzionario tecnico laureato, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa d’appello …”.
8. – Alla stregua di quanto premesso, ritiene il Collegio che l’Università di Perugia, ferma restando la legittimità del disposto annullamento, avrebbe dovuto escluderne l’effetto retroattivo, e. conseguentemente, il preannunciato recupero delle somme già erogate, percepite in buona fede e destinate a soddisfare bisogni essenziali.
Va d’altronde evidenziato come quantomeno in seno all’ordinamento comunitario non sia precluso all’Amministrazione di modulare gli effetti del provvedimento di ritiro, laddove la delimitazione della decorrenza ex nunc costituisca il mezzo indispensabile per coniugare il ripristino della legalità con il principio di derivazione comunitaria del legittimo affidamento.
La giurisprudenza, in fattispecie analoghe, non ha mancato di evidenziare come a seguito dell’annullamento del provvedimento, il recupero delle somme erroneamente corrisposte non ne costituisca conseguenza automatica, essendo anzi detto recupero illegittimo laddove l’Amministrazione abbia ingenerato nei propri dipendenti la ragionevole convinzione di avere diritto a determinati emolumenti e questi siano stati percepiti e consumati in buona fede per le normali esigenze di vita (Consiglio di Stato sez. V, 13 luglio 2006, n. 4413).
Del resto, anche in ipotesi di revoca di atti ad efficacia durevole incidente su rapporti negoziali (art. 21-quinquies) – pur nella diversità dei presupposti tipici – il legislatore prevede il diritto all’indennizzo del danno emergente, a ristoro dell’affidamento della parte privata che in buona fede confidava nell’esecuzione del contratto (Consiglio di Stato sez. IV, 14 gennaio 2013, n. 156; sez. III, 16 ottobre 2012, n. 5282).
D’altronde, la regola della necessaria retroattività degli effetti vizianti risulta oggi rimeditata quanto all’annullamento giurisdizionale da parte del g.a., laddove anche sulla scia del diritto comunitario, si è affermata la possibilità per il giudice di modularne gli effetti a seconda delle circostanze e comunque “dell’interesse posto a base dell’impugnazione” (Consiglio di Stato, Sez VI, 10 maggio 2011 n. 2755) in coerenza con il principio della “pienezza ed effettività della tutela” elevato a principio generale dal vigente codice del processo amministrativo.
9. – Sotto questo profilo, la domanda di annullamento deve conclusivamente essere accolta, pur se nei suddetti limiti, né si pone un’esigenza di condanna dell’Università alla restituzione degli importi sottratti al ricorrente, atteso che è lo stesso ricorrente a precisare, nei propri scritti difensivi, che non risulta ancora disposto il recupero da parte dell’Ateneo, e neppure quantificato l’importo.
Per queste ragioni è altresì infondata la domanda di risarcimento del danno, proposta peraltro in via subordinata, in quanto il profilo di illegittimità del provvedimento, riconosciuto in questa sede, e sostanzialmente riconducibile all’efficacia retroattiva dell’annullamento, ed alla conseguente ripetizione dell’indebito, trova adeguata tutela specifica mediante l’annullamento parziale del provvedimento gravato.
Sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese di lite, attesa l’obiettiva complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei limiti di cui in motivazione.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nelle camere di consiglio dei giorni 24 giugno 2015, 4 novembre 2015, con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)