La qualificazione delle università come enti autonomi, e non come articolazioni dello Stato, risulta dall’art. 1, comma ,2 d. lgs. 3 febbraio 1993 n.29, successivamente confluito nell’art. 1 del vigente T.U. 30 marzo 2001 n.165, il quale le annovera in modo esplicito fra le amministrazioni pubbliche non statali. Coerente con ciò, da ultimo, è l’art. 1 comma 2 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, secondo il quale “In attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 33 e al titolo V della parte II della Costituzione, ciascuna università opera ispirandosi a principi di autonomia e di responsabilità”. Di conseguenza, il Ministero non è titolare, come tale, di alcun potere di supremazia sulle istituzioni universitarie, con le quali ai sensi del citato art. 1 l. 240/2010 coopera, di massima, attraverso accordi di programma, ovvero attraverso uno strumento che presuppone il pari rango di chi vi partecipa.E’ invece titolare, come previsto dall’art. 1, comma 4, legge 240/2010 succitata, del potere di indicare “obiettivi e indirizzi strategici per il sistema e le sue componenti”, ma sempre “nel rispetto della libertà di insegnamento e dell’autonomia delle università”.Coerentemente, la giurisprudenza ha dunque ritenuto la materia dei concorsi per docenti universitari estranea alle competenze del Ministero stesso, sì da escluderne la legittimazione passiva nei ricorsi giurisdizionali proposti contro gli atti relativi (così per implicito Cons. Stato, Sez. VI 22 aprile 2004, n.2364, mentre per un’affermazione esplicita v. TAR Lazio, Roma, Sez. III, 27 novembre 2002 n.10825).
Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2018, n. 507
Procedura concorsuale professore Associato-Estraneità Ministero
N. 00507/2018 REG.PROV.COLL.
N. 03585/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3585 del 2017, proposto dal
Ministero dell’istruzione dell’universita’ e della ricerca, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
la signora Margherita Musello, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Roma, via di Villa Sacchetti 11;
nei confronti di
Università degli studi “Suor [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]”, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, via Sicilia, 50;
per l’annullamento ovvero la riforma
previa adozione di misure cautelari
della sentenza del TAR Campania, sede di Napoli, sezione II, 14 novembre 2016 n.5234, resa fra le parti, che ha pronunciato sul ricorso n.4300/2016, proposto per l’annullamento:
della deliberazione 14 giugno 2016 n.14 del Senato accademico e della deliberazione 27 giugno 2016 del Consiglio della facoltà di Scienze della formazione dell’Università “Suor [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]” di Napoli, nella parte in cui hanno deliberato di non attivare la procedura di chiamata della prof. Margherita Musello;
di ogni atto presupposto, conseguente o connesso, in particolare:
della nota 1 maggio 2016 prot. n.2109 di richiesta di un parere al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca scientifica – MIUR;
nonché per l’accertamento
del diritto della prof. Musello ad essere destinataria della chiamata;
In particolare la sentenza ha accolto la domanda di annullamento e dichiarato inammissibile la domanda di accertamento;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Margherita Musello e dell’Università “Suor [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]”;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2017 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti l’avvocato dello Stato [#OMISSIS#] Pia Camassa e gli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’art. 18 della l. 30 dicembre 2010 n.240 disciplina in generale la “chiamata dei professori di prima e di seconda fascia” nel rispetto di una serie di criteri, e per quanto qui interessa prevede alla lettera b) ultima parte del primo comma che “In ogni caso, ai procedimenti per la chiamata, di cui al presente articolo, non possono partecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo”;
L’art. 24 della stessa legge prevede a sua volta alle università di assumere ricercatori mediante due tipologie di contratti di lavoro subordinato, detti “contratti A” e “contratti B”.
Interessano in questa sede, per le ragioni di cui si dirà, i contratti B, ovvero i “contratti triennali, riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti di cui alla lettera a), ovvero che hanno conseguito l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore di prima o di seconda fascia di cui all’articolo 16 della presente legge, ovvero che sono in possesso del titolo di specializzazione medica, ovvero che, per almeno tre anni anche non consecutivi, hanno usufruito di assegni di ricerca ai sensi dell’articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, o di assegni di ricerca di cui all’articolo 22 della presente legge, o di borse post-dottorato ai sensi dell’articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri”. Per i titolari di contratti B è infatti previsto, dal successivo comma 5 dell’articolo in esame, un meccanismo agevolato per accedere all’insegnamento quale professore associato “ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera e)”, ovvero della procedura prevista in via generale.
Secondo il comma 6 dello stesso art. 24, la procedura speciale di chiamata dei titolari di contratto B “dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino al 31 dicembre dell’ottavo anno successivo”, ovvero in via transitoria, “può essere utilizzata per la chiamata nel ruolo di professore di prima e seconda fascia di professori di seconda fascia e ricercatori a tempo indeterminato in servizio nell’università medesima, che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica”.
Con la deliberazione meglio indicata in epigrafe, l’Università intimata appellata ha deliberato di non attivare la procedura di chiamata ai sensi del comma 6 appena descritto a favore della ricorrente appellata, poiché la stessa, come è pacificamente da lei ammesso e non contestato, è coniuge del Rettore della stessa Università. La deliberazione ha in sintesi ritenuto che il divieto di partecipazione per i parenti ed affini previsto per la procedura ordinaria dall’art. 18 nei termini sopra illustrati, si applichi anche alla procedura straordinaria in questione.
La ricorrente appellata ha impugnato tale deliberazione.
Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha accolto il ricorso, e ritenuto che la limitazione sia invece inapplicabile per asseriti caratteri di specialità della procedura straordinaria stessa.
Contro tale sentenza il MIUR ha proposto impugnazione, riproponendo la tesi contraria seguita dall’atto impugnato.
Hanno resistito l’Università intimata appellata, con memoria 22 giugno 2017, e la ricorrente appellata, con memoria 23 giugno 2017.
Nelle loro difese, nel merito, sostengono comunque la correttezza della tesi sostenuta nella sentenza impugnata; in via preliminare, deducono però che l’appello del MIUR è stato proposto in prossimità della scadenza dei termini, e che nelle more l’Università ha attivato la procedura straordinaria di che trattasi, nella quale la ricorrente appellata è stata dichiarata idonea quale professore di prima fascia ed ha assunto servizio come tale, senza che alcuno di tali atti, pur asseritamente noti al Ministero, sia stato impugnato (cfr. doc. ti da 7 a 13 ricorrente appellata, copie atti della procedura di chiamata; sono agli atti in particolare due raccomandate, del 24 gennaio 2017, ricevuta timbrata il giorno 8 febbraio successivo, e 31 gennaio 2017, ricevuta timbrata il giorno 13 febbraio successivo, di trasmissione dell’approvazione della procedura e della nomina dell’interessata).
La ricorrente appellata ha eccepito quindi la improcedibilità dell’appello;
Con l’ordinanza 28 giugno 2017 n.2753, la Sezione ha accolto la domanda cautelare al solo fine della sollecita fissazione della udienza pubblica per la trattazione del merito.
Con memoria 9 novembre 2017, l’Università intimata appellata ha ribadito le proprie difese, e con esse l’eccezione di improcedibilità dell’appello nei termini appena esposti.
Con memoria 10 novembre 2017, da ultimo, la ricorrente appellata ha ulteriormente eccepito l’inammissibilità dell’appello, in quanto a suo dire il Ministero non sarebbe legittimato a impugnare un atto di un’università, che come tale è un soggetto autonomo; ha ribadito l’eccezione di inammissibilità, meglio detto di improcedibilità, già esposta, ha infine chiesto la conferma della sentenza impugnata nel merito, e in mancanza ha chiesto al Collegio di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24 comma 6 della l.240/2010, in rapporto agli articoli 3, 33 e 51 della Costituzione, in quanto a suo dire la norma, ove interpretata nel senso di applicare anche alla procedura per cui è causa le cause di incompatibilità previste in via generale per le altre procedure di reclutamento, violerebbe il principio di autonomia universitaria di cui all’art. 33 Cost. e il principio di uguaglianza nell’accesso ai pubblici impieghi di cui agli artt. 3 e 51 Cost.
All’udienza del giorno 12 dicembre 2017, fissata così come si è detto, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
DIRITTO
1. L’eccezione preliminare di inammissibilità dell’appello – come ricordato in premesse proposta dalla ricorrente appellata soltanto nella memoria 10 novembre 2017, e quindi in un momento successivo alla decisione cautelare di cui all’ordinanza 2753/2017- è fondata e va accolta, per le ragioni esposte nella memoria citata, che il Collegio deve condividere.
2. Occorre partire dalla norma costituzionale dell’art. 33 comma 6, secondo la quale “Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”. La norma in questione, così come ritenuto nella giurisprudenza della Corte costituzionale, configura un’autonomia di livello non secondario, considerata pari, ad esempio, a quella riconosciuta alle regioni: in tal senso, nella motivazione, ad esempio C. cost. 17 giugno 1992 n. 281.
La norma costituzionale, come ricordato anche dalla difesa della ricorrente appellata, ha trovato una prima attuazione nella l. 9 maggio 1989 n.168, di istituzione del Ministero dell’università – attualmente confluito nella struttura del MIUR, la quale all’art. 6, rubricato appunto “autonomia delle università”., stabiliva che le stesse “sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell’articolo 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti”.
La qualificazione delle università come enti autonomi, e non come articolazioni dello Stato, risulta poi dall’art. 1 comma 2 d. lgs. 3 febbraio 1993 n.29, successivamente confluito nell’art. 1 del vigente T.U. 30 marzo 2001 n.165, il quale le annovera in modo esplicito fra le amministrazioni pubbliche non statali.
Coerente con ciò, da ultimo, è l’art. 1 comma 2 della già citata l. 240/2010, secondo il quale “In attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 33 e al titolo V della parte II della Costituzione, ciascuna università opera ispirandosi a principi di autonomia e di responsabilità”.
Di conseguenza, il Ministero non è titolare, come tale, di alcun potere di supremazia sulle istituzioni universitarie, con le quali ai sensi del citato art. 1 l. 240/2010 coopera, di massima, attraverso accordi di programma, ovvero attraverso uno strumento che presuppone il pari rango di chi vi partecipa.
E’ invece titolare, come previsto dall’art. 1 comma 4 l. 240/2010, del potere di indicare “obiettivi e indirizzi strategici per il sistema e le sue componenti”, ma sempre “nel rispetto della libertà di insegnamento e dell’autonomia delle università”.
Coerentemente, la giurisprudenza ha poi ritenuto la materia dei concorsi per docenti universitari estranea alle competenze del Ministero stesso, sì da escluderne la legittimazione passiva nei ricorsi giurisdizionali proposti contro gli atti relativi: così per implicito C.d.S. sez. VI 22 aprile 2004 n.2364, mentre l’affermazione esplicita è nella decisione di I grado, TAR Lazio Roma sez. III 27 novembre 2002 n.10825.
3. Applicando i principi appena esposti al caso di specie, si deve allora affermare che nel I grado di questo procedimento il Ministero è stato convenuto a giudizio non correttamente, in quanto come si è detto difettava di legittimazione.
Il Ministero avrebbe piuttosto potuto, al più, proporre un intervento in causa ad opponendum, in quanto titolare, come si è visto, di un potere di “indirizzo strategico” sul sistema universitario, e quindi di un interesse di fatto rispetto alla controversia, dipendente e accessorio rispetto all’interesse azionato in via principale e tale da apportare soltanto un vantaggio indiretto e riflesso nel caso di accoglimento del ricorso: così in termini generali C.d.S. sez. III 22 marzo 2017 n.1303 e sez. V 5 febbraio 1993 n.220.
Conseguentemente, argomentando dall’art. 102 c.p.a., per cui “l’interventore può proporre appello soltanto se titolare di una posizione giuridica autonoma”, l’appello del Ministero nel caso di specie avrebbe potuto riguardare solo le statuizioni della sentenza di primo grado le quali, eventualmente, lo avessero riguardato, ovvero non gli avessero riconosciuto la legittimazione ad intervenire, non invece le statuizioni di merito delle quali in questa sede si tratta: sul principio, per tutte, C.d.S. sez. VI 1 febbraio 2013 n.639.
4. L’inammissibilità dell’appello comporta, lo si precisa per chiarezza, la irrilevanza della questione di legittimità costituzionale che la ricorrente appellata ha richiesto di sollevare nei termini spiegati in premesse, dato che si tratta di norme delle quali questo Giudice non deve fare applicazione, non decidendo nel merito.
5. La particolarità della questione decisa, sulla quale non constano precedenti editi negli esatti termini, è giusto motivo per compensare le spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n.3585/2017 R.G.), lo dichiara inammissibile. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Barra [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] Mele, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Pubblicato il 25/01/2018