N. 00158/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00497/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
in sede giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 497 del 2014, proposto da [#OMISSIS#] Paterniti, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] Scuderi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato [#OMISSIS#] Di [#OMISSIS#] in Palermo, via N. [#OMISSIS#], 40;
contro
Università degli Studi di Catania, Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Palermo, via De Gasperi, 81;
nei confronti di
[#OMISSIS#] Scalia, rappresentata e difesa dall’avvocato Donato De [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato [#OMISSIS#] Allotta in Palermo, via Trentacoste, 89;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. SICILIA – CATANIA, sez. III n. 284/2014, resa tra le parti, concernente approvazione atti relativi alla procedura di valutazione comparativa per un posto di ricercatore universitario nella facoltà di giurisprudenza
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Catania, del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca e di [#OMISSIS#] Scalia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2018 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti l’avvocato [#OMISSIS#] Scuderi, l’avvocato Donato De [#OMISSIS#] l’avvocato dello Stato La Rocca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’avvocato [#OMISSIS#] Paterniti, partecipante alla procedura comparativa per l’assegnazione di un posto di ricercatore universitario nel settore IUS 17 (diritto penale) avviata con decreto del Rettore dell’Università di Catania n. 7793 del 10 dicembre 2010, impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sez. di Catania, 31 gennaio 2014, n. 284 che ha respinto il ricorso dallo stesso proposto avverso gli atti che hanno compendiato le operazioni valutative svolte nell’ambito della suddetta procedura ed in particolare l’esito della selezione, che si è conclusa con l’assegnazione del posto alla dottoressa Scalia, risultatane vincitrice.
L’appellante si duole della erroneità della impugnata sentenza e ne chiede la riforma riproponendo in questa sede le censure a suo dire ingiustamente disattese dal giudice di primo grado.
Si sono costituiti l’Università di Catania ed il Ministero dell’istruzione per resistere al ricorso in appello e chiederne la reiezione. Si è altresì costituita la controinteressata Scalia per chiedere la reiezione del gravame e la conferma della impugnata sentenza.
Le parti hanno scambiato memorie in vista dell’udienza di discussione.
All’udienza pubblica del 21 febbraio 2018 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
2. L’appello è infondato e va respinto.
3. Col primo motivo, l’appellante torna a prospettare in questo grado la questione della incompatibilità del presidente della commissione giudicatrice, professore [#OMISSIS#] Picotti, sotto il profilo che lo stesso, avendo conosciuto e valutato l’attività di ricerca della dottoressa Scalia nell’ambito dei progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN) relativi agli anni 2005 e 2007, avrebbe dovuto astenersi dal partecipare ai lavori della commissione, in applicazione dei principi di imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa desumibili dall’art. 1 della l. n. 241 del 1990, dall’art. 97 Cost. e dall’art. 51 c.p.c.
3.1. Il motivo non appare suscettibile di favorevole scrutinio.
Premessa la condivisibile applicabilità, anche nel settore dei concorsi universitari, della disciplina prevista dalla legge processuale civile (art. 51 c.p.c.) in ordine ai casi di astensione obbligatoria e facoltativa del giudice, l’appellante non adduce elementi concreti per dimostrare che, nella fattispecie in esame, ricorressero quelle gravi ragioni di convenienza che avrebbero dovuto indurre il professor Picotti a formalizzare la sua astensione.
La giurisprudenza amministrativa ha sottolineato come le esigenze di trasparenza ed imparzialità dell’amministrazione in tema di procedure selettive devono pur sempre coniugarsi con il buon andamento, che impone particolare rigore nel valutare i casi di effettiva sussistenza di ragioni di incompatibilità in capo ai componenti delle commissioni giudicatrici, ad evitare che in settori molto ristretti, in cui operano pochi accademici, semplici esperienze pregresse in progetti di ricerca comuni tra docenti ed allievi possano rappresentare casi di astensione del docente con intralcio alla speditezza delle operazioni valutative ed alla finalizzazione delle procedure comparative.
In tale prospettiva, come non ha mancato di sottolineare il giudice di prime cure nel caso qui all’esame, le situazioni di incompatibilità capaci di radicare un obbligo di astensione vanno limitate ai casi in cui sussista una continuativa e persistente attività collaborativa comune tra docente ed allievo, tanto da far presumere una comunanza di interessi tra i due soggetti (anche solo scientifici, e senza necessariamente ipotizzare ricadute di ordine economico).
Per vero, secondo un diffuso indirizzo giurisprudenziale (di recente, Cons. St., sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5865), non costituisce ragione di incompatibilità la sussistenza sia di rapporti di mera collaborazione scientifica, sia di pubblicazioni comuni, essendo ravvisabile obbligo di astensione del componente della commissione solo in presenza di una comunanza di interessi anche economici, di intensità tale da porre in dubbio l’imparzialità del giudizio (ex plurimis: Cons. St., sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3366; Id., sez. III, 20 settembre 2012, n. 5023; Id., sez. VI, 31 maggio 2012, n. 3276).
Come già si è detto, nei concorsi universitari, l’esistenza di rapporti scientifici di collaborazione costituiscono ipotesi frequenti nel mondo accademico, che non sono tali da inficiare in maniera giuridicamente apprezzabile il principio di imparzialità dei commissari, visto che nel campo degli specialisti è assai difficile trovare un esperto che in qualche modo non abbia avuto contatti di tipo scientifico o didattico con uno dei candidati (Cons. St., sez. II, 7 marzo 2014, n. 3768); per tal ragione, allorquando la collaborazione scientifica tra candidato e componente la commissione d’esame abbia avuto carattere di mera occasionalità non ne deriva in via automatica (in assenza di elementi ulteriori) l’illegittimità degli atti valutativi cui ha partecipato il commissario che abbia omesso di formalizzare la sua astensione.
E’ certamente incompatibile con il ruolo di commissario d’esame il docente, chiamato ad esprimere una valutazione comparativa di candidati, uno dei quali sia un suo stabile e assiduo collaboratore, anche soltanto nell’attività accademica o pubblicistica. L’apprezzamento da esprimere in tale contesto, circa le attitudini dei concorrenti, potrebbe infatti essere determinato da fattori di stima e conoscenza a livello personale, o dalle possibili ricadute delle scelte da operare sul rapporto di collaborazione instaurato. Il giudizio di valore, da esprimere sui lavori scientifici dei concorrenti, difficilmente potrebbe restare pienamente imparziale, quando una parte rilevante della produzione pubblicistica di un candidato fosse riconducibile anche al soggetto, chiamato a formulare tale giudizio.
Nel caso di specie il coinvolgimento del presidente della commissione non attinge i livelli di allarme che avrebbero imposto la formalizzazione dell’obbligo di astensione, posto che la candidata Scalia ha partecipato a dei progetti di ricerca su scala nazionale (PRIN) in cui il professor Picotti era solo il coordinatore del progetto.
Peraltro, dalla censura genericamente formulata dall’appellante non si ricava – e deve pertanto escludersi – che detti progetti di ricerca (al di là della rilevanza oggettiva e di per sé neutra che ha avuto anche nel concorso di che trattasi la mera partecipazione della candidata) non si è tradotta nella stesura di lavori scientifici a due mani tra coordinatore e candidata o in altre forme di intensa collaborazione scientifica che possano far ritenere integrata la fattispecie di pericolo al cui ricorrente l’obbligo di astensione deve trovare applicazione.
Per tali ragioni tale prima censura va disattesa.
4. [#OMISSIS#] sorte non merita il secondo motivo d’appello con il quale l’appellante ripropone la questione della ristrettezza ed inadeguatezza dei tempi impiegati dalla commissione giudicatrice per la comparazione dei profili curriculari dei due candidati, essendosi svolta l’intera procedura di valutazione comparativa nella sola giornata del 9 dicembre 2010, con un’attività complessiva di cinque ore e trenta minuti.
4.1. Osserva il Collegio che, come peraltro correttamente rilevato dal giudice di primo grado, i tempi di correzione o di espressione di giudizi valutativi nell’ambito delle procedure selettive pubbliche sono censurabili in sede di legittimità soltanto nei casi in cui si rivelino palesemente incongrui o manifestamente incompatibili con un esame ponderato e approfondito delle distinte posizioni soggettive dei concorrenti: la valutazione è rimessa necessariamente al prudente apprezzamento del giudicante posto che, nella normativa di riferimento, manca una predeterminazione, sia pure di massima, dei tempi da dedicare alle predette operazioni, sicché la sussistenza del vizio di eccesso di potere per illogicità può ravvisarsi soltanto nei casi più evidenti, in cui emerga ex se la incompatibilità oggettiva di un equilibrato giudizio valutativo sui candidati nei tempi impegnati dalla commissione.
Ciò detto in linea di principio, nel caso in esame vale in senso dirimente osservare che la tempistica osservata dalla commissione giudicatrice (5 ore e trenta minuti) appare pienamente compatibile con la valutazione dei due soli candidati da scrutinare, tanto più se si considera che ogni componente della commissione aveva ricevuto, ben prima della seduta dedicata alla valutazione dei profili curriculari dei candidati, la documentazione contenente le pubblicazioni e ogni altro elemento utile alla valutazione del loro percorso scientifico.
5. Venendo al terzo motivo d’appello, con lo stesso l’appellante si duole della erroneità della impugnata sentenza sotto il profilo che la stessa avrebbe obliterato le censure inerenti la non adeguata valutazione delle pubblicazioni scientifiche, dell’attività convegnistica e di ricerca dei candidati trincerandosi dietro il tradizionale argomento dell’insindacabilità di tali valutazioni nel giudizio di legittimità, salvo i casi della manifesta ingiustizia, della palese irragionevolezza o della illogicità delle valutazioni compiute.
5.1. Il Collegio osserva che tali considerazioni sono state opportunamente richiamate dal giudice di primo grado al fine di ricordare che il giudizio di legittimità sulle operazioni valutative proprie della commissione d’esame non può mai tradursi in una riedizione del giudizio sui singoli lavori scientifici dei candidati ovvero sulla loro specifica attività di ricerca, pena altrimenti la plateale invasione nella sfera delle attività riservate all’amministrazione.
Per contro, premessa la correttezza e la condivisibilità di tali assunti, il Collegio non può che rimarcare la assoluta genericità della censura in esame che non ha affatto confutato quanto il giudice di primo grado ha evidenziato a comprova della ragionevolezza del giudizio comparativo espresso dalla commissione giudicatrice. In particolare, non risulta smentito il rilievo, correttamente svolto dal Tar, circa il non immediato collegamento con la disciplina penalistica delle attività didattiche indicate dall’appellante in materia agroalimentare e ambientale nonché, per converso, l’inerenza con la materia penalistica della tesi di dottorato svolta dalla dottoressa Scalia in materia di tutela dei diritti umani (la tesi aveva infatti un titolo già particolarmente significativo “Diritti fondamentali, principio di legalità e obblighi di tutela penale tra sovranità statale e integrazione europea”), a fronte, peraltro, della mancata presentazione della tesi di dottorato da parte dell’odierno appellante.
Sul punto, il giudice di primo grado, senza essere stato smentito da specifiche censure d’appello o da puntuali deduzioni fattuali che potessero diversamente orientare questo giudice d’appello, ha condivisibilmente osservato come fosse motivato il giudizio della commissione sul carattere non pienamente congruente, con il settore scientifico disciplinare IUS 17, degli incarichi d’insegnamento di diritto agroalimentare e di legislazione alimentare, presso la facoltà di Agraria e di diritto dell’ambiente, presso la facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali nonché sulla docenze svolte presso il corso di formazione per la Polizia Penitenziaria e presso la scuola forense dell’ordine degli avvocati di Catania ritenute “non di livello universitario” con valutazione priva dei caratteri della irragionevolezza o arbitrarietà.
Il giudice di primo grado ha inoltre osservato come dai verbali n. 4, n. 5 e dalla relazione conclusiva, si potesse desumere che la commissione ha proceduto alla formulazione dei giudizi individuali, collegiali e complessivi esternando, in ciascuna fase, le motivazioni del relativo giudizio (dal quale emerge la prevalenza della produzione scientifica della dott. Scalia) con giudizi che risultano coerenti rispetto alle tematiche oggetto delle rispettive produzioni scientifiche.
Anche in ordine alla rilevanza sul piano della sua valutazione comparativa della tesi di dottorato la tesi dell’appellante circa la sua irrilevanza è smentita, come correttamente osservato dal giudice di prime cure, dall’art. 7 del bando, recante le modalità di svolgimento della valutazione comparativa, in base al quale “la valutazione comparativa dei candidati è effettuata sulla base dei titoli, illustrati e discussi davanti alla commissione, e delle pubblicazioni dei candidati, ivi compresa la tesi di dottorato”. E’ evidente pertanto che, essendo la tesi di dottorato uno degli elementi valutabili previsti dalla lex specialis, la produzione o meno della stessa, lungi dal costituire un requisito di ammissione del candidato alla valutazione comparativa, non poteva tuttavia restare senza conseguenze sul piano della diversa valutazione della produzione scientifica dei candidati a confronto.
6. Con altro motivo l’appellante torna a dolersi in questo grado dell’ammissione a valutazione in pro della controinteressata Scalia di una saggio, non ancora pubblicato, dal titolo “L’espulsione dello straniero alla prova degli obblighi internazionali di protezione dei diritti fondamentali”; tale lavoro scientifico, in quanto soltanto consegnato al direttore di una rivista, non avrebbe dovuto essere preso in considerazione dalla commissione d’esame (che invece lo avrebbe positivamente scrutinato), neppure secondo le più benevole previsioni del d.m. n. 89/2009, nella parte in cui consentono la valutazione anche dei testi accettati per la pubblicazione, ma non ancora pubblicati.
L’appellante critica sul punto la sentenza impugnata rilevando che il richiamo a tale ultima previsione normativa non avrebbe dovuto indurre, per le ragioni già svolte, il giudicante di primo grado a ritenere ammissibile la valutazione di quella pubblicazione e che, in ogni caso, sarebbe un fuor d’opera l’aver ritenuto comunque irrilevante quella pubblicazione ai fini della valutazione complessiva dei candidati a confronto, in base ad una non consentita ed arbitraria prova di resistenza.
6.1. A tale riguardo, il Collegio osserva che anche tale censura non appare meritevole di favorevole esame.
Il giudice di primo grado si è limitato ad osservare come nel caso in esame fosse applicabile il disposto del citato d.m. nella parte in cui ammette a valutazione, nelle procedure comparative per la docenza universitaria, le opere non ancora pubblicate, tanto più che nella specie la parte qui appellante aveva rinunciato (non importa qui per qual ragione) all’impugnativa del predetto decreto ministeriale n. 89/2009. In secondo luogo, il giudice di primo grado ha osservato che, anche a prescindere da ogni considerazione sulle modalità di consegna e di accettazione del testo in questione, la valutazione largamente positiva espressa dalla commissione in favore della dottoressa Scalia in base al suo profilo curriculare complessivo non potesse sostanzialmente risultare sovvertita anche ad espungere in via astratta il giudizio positivo espresso sulla pubblicazione controversa.
Il Collegio ritiene che tali conclusioni siano condivisibili sia in relazione alla applicabilità alla fattispecie del riferito d.m. recante “parametri per la valutazione dei titoli e delle pubblicazioni dei candidati nelle procedure di valutazione comparativa per i posti di ricercatore universitario” sia per ciò che riguarda l’intangibilità del giudizio largamente positivo espresso dalla commissione all’indirizzo della controinteressata Scalia, sia in termini assoluti che relativi rispetto alla odierna parte appellante, anche a prescindere dalla questione della valutabilità della predetta opera scientifica. La sentenza merita pertanto di essere confermata anche in questa sua parte.
7. Con il quinto motivo, l’appellante torna a trattare del mancato effettivo confronto concorrenziale tra i candidati che non sarebbe stato svolto sulla base dei criteri fissati nel bando e che non avrebbe tenuto conto della ben diversa quantità delle opere scientifiche di esso appellante rispetto a quelle della dottoressa Scalia. Sul punto il giudice di primo grado si sarebbe limitato, secondo la prospettazione dell’appellante, a richiamare il principio di insindacabilità nel merito dei giudizi espressi dai componenti la commissione.
7.1. Anche tale motivo, sostanzialmente riproduttivo di analoga precedente censura, non può trovare favorevole esame.
Il Collegio ritiene che vada qui condivisa l’impostazione della impugnata sentenza nella parte in cui la stessa fa leva sulla irrilevanza del mero dato quantitativo delle pubblicazioni esibite dai candidati e sulla incensurabilità nel merito del giudizio circa la complessiva migliore intensità e consistenza qualitativa dei lavori e dell’attività scientifica della dottoressa Scalia, immune da vizi logici o da palese irragionevolezza.
Inoltre, anche il rilievo censorio in ordine alla pretesa estraneità al settore disciplinare del diritto penale della pubblicazione della controinteressata dal titolo “Profili penalistici e obblighi di tutela nella giurisprudenza della camera dei diritti dell’uomo per la Bosnia e l’Erzegovina” non appare condivisibile posto che la prospettiva di carattere internazionale del lavoro non [#OMISSIS#] i caratteri della pertinenza al diritto penale della pubblicazione e non ne rende pertanto irragionevole la valutazione che in concreto ne è stata fatta dalla commissione d’esame.
Da ultimo, sul punto, va disatteso anche il rilievo fattuale secondo cui l’appellante non sarebbe stato ammesso alla illustrazione dei titoli, circostanza smentita dal contenuto del verbale n. 3, laddove si specifica espressamente che: “La seduta è pubblica. I candidati vengono invitati, in ordine alfabetico, a illustrare e discutere i propri titoli…..”.
8. Con il sesto motivo l’appellante ripropone la questione della mancata adozione, da parte della commissione d’esame, di un indice di rilevanza oggettiva delle pubblicazioni scientifiche come il c.d. indice di “impact factor”, volto a stabilire il grado di diffusione e di apprezzamento delle pubblicazioni presso la comunità scientifica.
8.1. Con detto motivo non vengono tuttavia svolte specifiche censure alla articolata motivazione con la quale il giudice di primo grado è giunto condivisibilmente a ritenere che in base al d.m. n. 89 del 2009 (in particolare, art. 2, comma 1, numeri da I) ad IV), il ricorso a parametri quali l’impact factor o l’indice bibliografico non va inteso in termini rigidamente vincolanti, tali parametri potendo costituire uno o più fra i tanti elementi di valutazione che la Commissione prende in considerazione per esprimere il suo giudizio nei confronti dei candidati. In sostanza il giudice di primo grado ha escluso che sussista una relazione diretta tra la quantificazione dei predetti indici e la valutazione discrezionale della commissione, che deve tenere conto, non solo della rilevanza scientifica, della collocazione editoriale delle pubblicazioni e loro diffusione all’interno della comunità scientifica, ma anche della loro originalità ed innovatività nonché della loro congruità con il settore scientifico disciplinare di cui si tratta. Ora, tale parte della sentenza, che richiama ampia giurisprudenza conforme, non è stata specificamente impugnata, essendosi limitata parte appellante a riprodurre il motivo di primo grado sulla pretesa sussistenza di un obbligo giuridico di adottare uno dei suddetti indici di valutazione delle pubblicazioni.
Per tal sola ragione il motivo d’appello non dovrebbe superare l’esame dell’ammissibilità processuale posto che l’appello deve contenere specifiche censure ai capi della sentenza appellata (cfr. art. 101 c.p.a.).
In ogni caso, la censura è infondata anche nel merito posto che lo stesso appellante nel richiamare l’art. 4 del bando non ha potuto fare a meno di richiamare il carattere sostanzialmente eventuale (“ove possibile”) dell’adozione dell’impact factor o di altri analoghi criteri valutativi delle pubblicazioni ben potendo le commissioni d’esame prevedere di avvalersene in maniera eventuale rispetto ai criteri principali espressi dal comma 2 dell’art 2 del d.m. n. 89/2009.
Nessuna incidenza, infine, ha avuto nello specifico la mancata applicazione dei suddetti criteri valutativi, essendo molto articolari i giudizi espressi, singolarmente e collegialmente, dai commissari in ordine alle pubblicazioni dei candidati, soprattutto in relazione ai caratteri della originalità ed innovatività delle stesse oltre che della loro congruenza rispetto al pertinente settore disciplinare.
9. Infine, alla luce dei rilievi che precedono circa l’attendibilità delle operazioni valutative svolte dalla commissione d’esame, nessun seguito può trovare la domanda di reintegrazione in forma specifica dell’appellante e tantomeno la domanda risarcitoria, richieste il cui accoglimento avrebbe necessitato, come prima condizione indefettibile, la illegittimità – qui non riscontrata – dell’azione amministrativa.
10. Difetta, infine, in capo all’appellante soccombente, l’interesse a contestare il capo decisorio sulle spese di lite del primo grado, che l’adito Tar ha compensato quando ne avrebbe potuto disporre l’onere a carico della parte ricorrente, secondo il principio della soccombenza. Essendo infatti l’originario ricorrente soccombente anche in appello, non può ottenere in suo favore una riforma del capo sulle spese, e, anzi, il capo che dispone la compensazione è a lui più favorevole di un capo che disponesse la condanna in ossequio al principio della soccombenza.
11. In definitiva, l’appello va respinto e va confermata la impugnata sentenza.
In considerazione della particolarità della vicenda trattata ricorrono giusti motivi per far luogo alla compensazione tra le parti anche delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] Modica de [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] Verde, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Pubblicato il 19/03/2018