Cassazione civile, Sez. VI, 14 marzo 2018, n. 6355

Università e Servizio Sanitario Nazionale-Specializzandi-Contributo minimo borsa di studio

Data Documento: 2018-03-14
Area: Giurisprudenza
Massima

Gli obblighi di attuazione della normativa comunitaria in tema di adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia derivanti dalle direttive CE n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 – che non prevedono una precisa misura del compenso minimo spettante agli specializzandi – devono ritenersi adempiuti dallo Stato italiano con la borsa di studio introdotta dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, nella sua misura originaria; la direttiva comunitaria n. 93/16 non introduce alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della suddetta adeguata remunerazione.
Di conseguenza, la previsione di un trattamento economico più elevato per i medici specializzandi, a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in coincidenza con la riorganizzazione dell’ordinamento delle scuole di specializzazione e con l’introduzione del contratto di formazione specialistica operate nell’ordinamento interno con il D.Lgs. 6 settembre 1999, n. 368, non costituisce il primo atto di adempimento dei suddetti obblighi comunitari in relazione all’adeguatezza della remunerazione, e non comporta alcun obbligo dello Stato di estendere il nuovo trattamento economico ai medici che hanno frequentato le scuole di specializzazione negli anni accademici anteriori al 2006/2007.

Contenuto sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA [#OMISSIS#] – Presidente –
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere –
Dott. POSITANO [#OMISSIS#] – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI [#OMISSIS#] – Consigliere –
Dott. TATANGELO [#OMISSIS#] – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 22463 del ruolo generale dell’anno 2016, proposto da:
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore;
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Ministro pro tempore MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Ministro pro tempore MINISTERO DELLA SALUTE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Ministro pro tempore tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: (OMISSIS));
– ricorrenti –
nei confronti di:
D.P. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] (C.F.: SNT VCN 68T24 H501Q);
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di L’Aquila n. 956/2015, pubblicata in data 28 luglio 2015;
udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in data 30 gennaio 2018 dal consigliere [#OMISSIS#] Tatangelo.
Svolgimento del processo
D.P., medico iscritto ad un corso di specializzazione per le professioni sanitarie in anni accademici successivi al 1999 ed anteriori al 2006/2007, ha agito in giudizio nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dell’Università degli Studi di L’Aquila, nonchè del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per ottenere il riconoscimento della differenza economica tra la borsa di studio percepita (pari ad Euro 11.603,52 annui, ai sensi del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257) ed il compenso previsto dal D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, con il quale erano state recepite nell’ordinamento italiano le direttive comunitarie n. 75/362, n. 82/76 e n. 93/16 (con le successive integrazioni), ma la concreta operatività dei cui effetti economici era stata differita fino all’anno accademico 2006/2007.
La domanda è stata accolta dal Tribunale di L’Aquila nei confronti di tutti gli enti convenuti.
La Corte di Appello di L’Aquila, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Università degli Studi di L’Aquila, confermando invece la condanna degli altri enti convenuti.
Ricorrono la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso il D..
E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente fondato.
E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.
Il controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.
Motivi della decisione
1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di tardività del ricorso, sollevata dalla parte controricorrente.
La sentenza impugnata è stata pubblicata in data 28 luglio 2015 ed il ricorso è stato notificato a mezzo del servizio postale con raccomandata spedita in data 28 settembre 2016. Nella specie è certamente applicabile il termine cd. lungo di cui all’art. 327 c.p.c. (diversamente da quanto dedotto dal controricorrente), in quanto la sentenza non risulta notificata alle amministrazioni soccombenti.
Il giudizio di primo grado ha avuto inizio nel 2006, e quindi il termine in questione ha durata annuale, ed è soggetto alla sospensione feriale (pari a 31 giorni, sia nell’anno 2015 che nell’anno 2016, dal 1 al 31 agosto).
Detto termine scadeva quindi esattamente il giorno 28 settembre 2016: il ricorso è pertanto tempestivo.
2. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303, art. 3 in combinato disposto con l’art. 101 c.p.c. – Difetto di legittimazione passiva dei Ministeri convenuti in giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
Con il secondo motivo si denunzia “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
In particolare: – dell’art. 11 disp. gen., comma 1; – del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6; – del D.Lgs. n. 368 del 1999,artt. 37, 39, 41 e 46; – del D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 8; – della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300; – degli artt. 234, 249 Trattato Cee, e delle Direttive nn. 82/76; 75/363; 75/362, dell’art. 13 direttiva n. 82/76 Cee e dell’art. 1, comma 1, direttiva 93/16, dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia con sentenze 25 febbraio 1999 – causa C-131/97 ([#OMISSIS#]) e 3 ottobre 2000 – causa C-371/97 (GOZZA); – del D.L. n. 384 del 1992, art. 7convertito nella L. n. 483 del 1992, della L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 36, della L. 2 dicembre 1995, n. 549, art. 1, comma 33, (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), della L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12, della L. n. 488 del 1999, art. 22, della L. n. 289 del 2002, art. 36 (finanziaria 2003)”.
E’ logicamente preliminare ed assorbente l’esame del secondo motivo – attinente alla fondatezza nel merito delle doma,nde proposte – che è manifestamente fondato.
Secondo la corte di appello, l’Italia avrebbe adeguatamente recepito le direttive comunitarie che impongono il riconoscimento ai medici specializzandi di una “adeguata remunerazione” solo con il D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368(di recepimento della Direttiva CEE n. 93/16), e con effetti economici decorrenti esclusivamente dall’anno accademico 2006/2007, in relazione al contratto di formazione-lavoro (oggi denominato di “formazione specialistica”) introdotto da tale legge; di conseguenza, agli specializzandi che hanno percepito compensi inferiori negli anni accademici anteriori al 2006 andrebbe riconosciuta la relativa differenza economica, a titolo risarcitorio.
Tale assunto non risulta però conforme all’indirizzo di questa Corte, già espresso con le sentenze della Sezione Lavoro n. 794 del 16/01/2014 e n. 15362 del 04/07/2014 ed al quale si intende dare continuità, secondo il quale il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto una adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione (direttive non applicabili direttamente nell’ordinamento interno, in considerazione del loro carattere non dettagliato) è avvenuto con la L. 29 dicembre 1990, n. 428 e con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257(che ha riconosciuto agli specializzandi una borsa di studio pari ad Euro 11.603,52 annui), e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368.
Quest’ultimo decreto, nel recepire la direttiva CEE n. 93/16 (che ha codificato, raccogliendole in un testo unico, le precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363, con le relative successive modificazioni), ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato “contratto di formazione-lavoro” e successivamente “contrattcfldi formazione specialistica”) da stipulare, e rinnovare annualmente, tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali.
Tale contratto, secondo l’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, non dà luogo ad un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, nè è riconducibile alle ipotesi di para-subordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l’art. 36 Cost. ed il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto (cfr., ex plurimis: Cass., Sez. L, Sentenza n. 27481 del 19/11/2008, Rv. 605890 – 01; Sez. L, Sentenza n. 20403 del 22/09/2009, Rv. 610255 – 01; Sez. L, Ordinanza n. 18670 del 27/07/2017, Rv. 645008 – 01).
Ai sensi della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300, peraltro, gli effetti delle nuove disposizioni, contenute nel D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. da 37 a 42 (le quali prevedono sia la stipula del nuovo contratto di formazione, con gli specifici obblighi che ne derivano, sia il corrispondente trattamento economico), sono applicabili solo a decorrere dall’anno accademico 2006/2007. Il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica è stato in concreto fissato con i D.P.C.M. 7 marzo, 6 luglio e 2 novembre 2007.
Per gli iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti al 2006/2007 è stato espressamente disposto che continuasse ad operare la precedente disciplina di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (sia sotto il profilo ordinamentale che sotto il profilo economico).
La Direttiva CEE n. 93/16 (che costituisce, dichiaratamente, un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti) non ha d’altra parte carattere innovativo, con riguardo alla misura dei compensi da riconoscersi agli iscritti alle scuole di specializzazione.
La previsione di una adeguata remunerazione per i medici specializzandi è infatti contenuta nelle precedenti direttive n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 (le cui disposizioni la direttiva n. 93/16 si limita a recepire e riprodurre senza alcuna modifica), e i relativi obblighi risultano già attuati dallo Stato italiano con l’introduzione della borsa di studio di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257.
L’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi di per sè sufficiente ed idoneo adempimento agli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo la direttiva n. 93/16, quanto meno sotto il profilo economico, come confermano le pronunzie di questa Corte che ne hanno riconosciuto l’adeguatezza, nella sua iniziale misura, anche a prescindere dagli ulteriori incrementi connessi alla svalutazione monetaria, originariamente previsti dallo stesso D.Lgs. n. 257 del 1991 e poi sospesi dalla successiva legislazione, sottolineando che “nella disciplina comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, nè sono posti i criteri per la determinazione della stessa (vedi: Cass. 26 maggio 2001 n. 11565)” (Cass., Sez. L. Sentenza n. 12346 del 15 giugno 2016; Sez. L, Sentenza n. 18710 del 23 settembre 2016; l’indirizzo trova indiretta conferma nella stessa sentenza n. 432 del 23 dicembre 1997 della Corte Costituzionale, che ha escluso l’illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative che avevano disposto la sospensione degli adeguamenti della borsa alla svalutazione monetaria).
Il nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il D.Lgs. n. 368 del 1999 (a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in base alla legge n. 266 del 2005), e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono pertanto ritenersi il primo atto di effettivo recepimento ed adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi.
L’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è cessato con l’emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991.
Ogni eventuale questione sul punto può quindi riguardare esclusivamente l’ordinamento interno (ma il presente ricorso non pone tali questioni, essendo l’oggetto del contendere limitato al risarcimento del danno da inadempimento agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie).
Sotto gli aspetti fin qui indicati, il ricorso risulta sufficientemente specifico, e le questioni di diritto con esso poste non possono ritenersi in alcun modo precluse nella presente sede, riguardando lo stesso fondamento giuridico delle domande avanzate dalla parte attrice, già contestato in sede di gravame.
In definitiva, dunque, devono ribadirsi i seguenti principi di diritto:
gli obblighi di attuazione della normativa comunitaria in tema di adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia derivanti dalle direttive CE n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 – che non prevedono una precisa misura del compenso minimo spettante agli specializzandi – devono ritenersi adempiuti dallo Stato italiano con la borsa di studio introdotta dal D.Lgs. n. 257 del 1991, nella sua misura originaria; la direttiva comunitaria n. 93/16 non introduce alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della suddetta adeguata remunerazione;
la previsione di un trattamento economico più elevato per i medici specializzandi, a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in coincidenza con la riorganizzazione dell’ordinamento delle scuole di specializzazione e con l’introduzione del contratto di formazione specialistica operate nell’ordinamento interno con il D.Lgs. n. 368 del 19991 non costituisce il primo atto di adempimento dei suddetti obblighi comunitari in relazione all’adeguatezza della remunerazione, e non comporta alcun obbligo dello Stato di estendere il nuovo trattamento economico ai medici che hanno frequentato le scuole di specializzazione negli anni accademici anteriori al 2006/2007.
E’ in proposito appena il caso di osservare, infine, che l’indirizzo di questa Corte cui si intende dare continuità nella presente sede solo apparentemente potrebbe risultare contraddetto da due identiche e coeve decisioni della stessa Sezione Lavoro (Cass., Sez. L, Sentenze n. 8242 e 8243 del 22/04/2015, cui fa richiamo la stessa parte controricorrente), la cui motivazione non affronta peraltro espressamente la problematica relativa alla fattispecie fin qui illustrata (cioè quella relativa alla situazione degli iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici successivi al 1998 ed anteriori al 2006/2007), e richiama invero gli indirizzi espressi da questa Corte in relazione alla diversa situazione dei medici che avevano frequentato le scuole di specializzazione anteriormente al 1991.
L’infondatezza delle pretese di parte attrice assorbe ogni questione relativa alla legittimazione passiva degli enti convenuti in giudizio e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, consente la decisione nel merito della controversia, con il rigetto delle domande proposte.
3. Il ricorso è accolto.
La sentenza impugnata è cassata e, decidendo nel merito, le domande di parte attrice sono integralmente rigettate.
Le spese dell’intero giudizio possono essere integralmente compensate tra tutte le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in considerazione della novità delle questioni trattate in sede di merito e delle oggettive oscillazioni giurisprudenziali in relazione alle stesse.
P.Q.M.
La Corte:
– accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le domande proposte dalla parte attrice;
– dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2018