Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 29 maggio 2015, n. 421

Personale azienda ospedaliera universitaria-Attività assistenziale- Indennità di posizione spettante ex art. 6, d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517

Data Documento: 2015-05-29
Area: Giurisprudenza
Massima

L’interpretazione per cui l’indennità di posizione spettante, ex art. 6, d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, al personale universitario che svolge anche attività assistenziale decorre  dalla sua esecuzione attraverso il sopraggiungere dei protocolli di intesa, è  obiettivamente favorevole alla parte pubblica, e contribuisce a differire nel tempo l’applicazione del nuovo trattamento economico aggiuntivo, lasciando in piedi medio tempore il trattamento c.d. di equiparazione di cui al citato art. 6, co. 2 (in tesi, più penalizzante per la parte privata), ma non integra gli estremi di un errore di fatto, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., ove sia stata consapevole.

Contenuto sentenza

N. 00421/2015REG.PROV.COLL.
N. 00912/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
in sede giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 912 del 2012, proposto da: 
Cerasola Giovanni, rappresentato e difeso dall’avv. Salvatore [#OMISSIS#], presso il cui studio ha eletto il domicilio in Palermo, Via [#OMISSIS#], 10; 
contro
Università degli Studi di Palermo, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Palermo, Via De Gasperi, 81; 
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia n. 268/2012, resa tra le parti, concernente il riconoscimento del diritto all’indennità di posizione prevista dall’art. 6 del d.lgs 517/1999
Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 aprile 2015 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], uditi per le parti l’Avvocato [#OMISSIS#] e l’Avvocato dello Stato Tutino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’odierno ricorrente, professore ordinario di medicina interna presso la Facoltà di Medicina dell’Università degli studi di Palermo, è stato a lungo Responsabile di Unità operativa complessa presso l’Azienda ospedaliera Policlinico della stessa città.
In tale veste chiedeva il riconoscimento dell’indennità di posizione di cui all’art. 6 del d.lgs. 517/1999.
2. Proposto ricorso avverso il relativo diniego chiedendo il riconoscimento del diritto a percepire l’indennità prevista dall’art. 6 citato, il Tar con sentenza 1264 del 2009, ritenuta la propria giurisdizione, lo ha respinto, con decisione confermata in appello dal Consiglio di Giustizia Amministrativa con sentenza 268 del 2012. La reiezione è motivata, in entrambi i giudizi, sul rilievo che l’operatività del trattamento aggiuntivo richiesto, previsto per il personale universitario che svolge anche attività assistenziale presso le aziende ospedaliere-universitarie, fosse dal d.lgs. 571/1999 condizionata all’approvazione di protocolli di intesa tra l’Università e Regione e che, nel caso in esame, al protocollo fosse stata data attuazione solamente a far data dal 1.11.2005.
3. Avverso la sentenza di appello è proposto ricorso per revocazione, deducendo due errori di fatto, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.
3.1. Per un verso il ricorrente lamenta l’erroneità dell’affermazione racchiusa nella sentenza secondo cui nel caso di specie ai protocolli di intesa sarebbe stata data corretta attuazione con decorrenza dal 1.11.2005, quando invece, sostiene il ricorrente, il protocollo di intesa tra l’Università di Palermo e la Regione è stato approvato con decreto del 10.12.2003, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 16.1.2004, n. 3, di modo che la sentenza avrebbe equivocato tra approvazione del protocollo e sua attuazione, nonostante che il punto fosse stato evidenziato nell’atto di appello, lamentando l’allora appellante la mancata corresponsione dell’indennità di posizione anche dopo l’approvazione del protocollo, per gli anni 2004 e 2005.
3.2. Per un altro verso, il ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza laddove ha affermato che il Prof. Cerasola avrebbe percepito sino al 31.12.2005 il trattamento economico di equiparazione previgente, in veste di dirigente di struttura complessa responsabile di dipartimento, quando invece tale trattamento aggiuntivo gli sarebbe stato corrisposto solamente dal 1.1.2006.
3.3. Si è difesa l’Azienda ospedaliera, replicando con articolata memoria.
3.4. Dopo un precedente rinvio disposto sull’accordo delle parti, all’udienza pubblica del 15.4.2015, in vista della quale la difesa ricorrente ha depositato ulteriore memoria illustrativa, la causa è stata discussa ed è passata in decisione.
4. Il ricorso è inammissibile, non sussistendo per nessuno dei profili dedotti gli estremi della revocazione per errore di fatto, per le seguenti ragioni.
4.1. Data per conosciuta la giurisprudenza amministrativa sviluppatasi in tema di errore revocatorio, (v. Cons. St., Ad. Plen. n. 1/2013, cui si rinvia, per economia processuale), quanto alla questione della decorrenza dell’indennità di posizione ex art. 6 d.lgs. 517/1999 spettante al personale universitario che svolge anche attività assistenziale – se direttamente dall’entrata in vigore della modifica legislativa del 1999 oppure dalla sua compiuta esecuzione attraverso i protocollo d’intesa da essa previsti – è evidente come il richiamo al precedente di questo stesso Consiglio, sentenza n. 1489/2010, non sia rilevante, ai fini revocatori.
Se è pur vero che con questo precedente il Consiglio si era pronunciato in maniera differente dalla sentenza qui impugnata, seguendo in quel caso la prima delle due opzioni astrattamente possibili, il contrasto tra le due decisioni rivela piuttosto una diversità di opinioni sul piano del diritto e non certo un abbaglio dei sensi, non senza osservare peraltro come l’indirizzo prevalente in giurisprudenza sia quello seguito dalla sentenza n. 268/2012, che subordina l’operatività dell’indennità al protocollo d’intesa tra università e regione (v. Cons. St., VI, n. 7983/2010).
4.2. La difesa di parte ricorrente è peraltro consapevole dell’irrilevanza, ai fini revocatori, di questo contrasto, sottolineando come l’errore revocatorio sarebbe dato, piuttosto, dall’avere il Consiglio, nella sentenza 268/2012, equivocato tra approvazione del protocollo e sua concreta applicazione.
Premettendo che, nel caso di specie, il protocollo di intesa tra Università e Regione era stato approvato il 10.12.2003 e pubblicato in G.U. il 16.1.2014 n. 3, e che l’applicazione del protocollo era invece avvenuta a far data solamente dal 1.11.2005, deduce infatti come la sentenza abbia erroneamente spostato la decorrenza dell’indennità da questo secondo momento, omettendo di pronunciarsi sulla richiesta di parte ricorrente (presentata in via subordinata) di vedersi riconosciuta l’indennità – quantomeno – per gli anni 2004 e 2005, quindi subito dopo la sottoscrizione del protocollo di intesa.
4.3. Così riassunti i termini della questione, il Collegio deve premettere come in linea generale la giurisprudenza in materia si sia pronunciata sulla decorrenza dell’indennità – se dall’immediata entrata in vigore dell’art. 6 citato o dalla sua esecuzione attraverso il sopraggiungere dei protocolli di intesa, aderendo prevalentemente, come veduto, a questa seconda opzione interpretativa – ma senza approfondire, non almeno espressamente a quanto consta, il profilo più specifico ed eventuale della possibile non coincidenza tra la sottoscrizione del singolo protocollo d’intesa e la sua concreta applicazione.
Nel caso in esame, dalla lettura della parte motiva, si può comunque ritenere che la sentenza, spingendo alle estreme conseguenze l’accoglimento della seconda opzione, abbia escluso qualunque spettanza dell’indennità prima della completa attuazione delle previsione di legge.
Si tratta di un’interpretazione obiettivamente favorevole alla parte pubblica, e che contribuisce a differire nel tempo l’applicazione del nuovo trattamento economico aggiuntivo, lasciando in piedi medio tempore il trattamento c.d. di equiparazione di cui al citato art. 6, co. 2 (in tesi, più penalizzante la parte privata), ma che non integra gli estremi di un errore di fatto, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., ove sia stata consapevole.
5. Con il secondo errore dedotto a fondamento della revocazione si assume che il Giudice dell’appello avrebbe erroneamente dichiarato in sentenza l’avvenuta percezione da parte del Prof. Cerasola, fino al 31.12.2005, per effetto della vecchia normativa, prima che fosse data concreta esecuzione all’art. 6 citato, di un importo sensibilmente maggiore di quello effettivamente da lui conseguito, in quegli anni.
5.1. Reputa il Collegio, in via del tutto preliminare, come l’errore in questo modo dedotto sia di dubbia rilevanza, sul presupposto che l’azione promossa dal ricorrente, sin nel giudizio dinanzi al Tar, sia stata incentrata sul (mancato tempestivo) riconoscimento della nuova indennità, di responsabilità e di risultato, ex art. 6 del d.lgs. 517/1999, senza mai dedurre – non almeno nel ricorso introduttivo di primo grado – alcuna pretesa concernente il pagamento (corretto o meno) della vecchia indennità ex art. 31 del d.p.r. 761/1979 o di altre indennità, come ad esempio quella di esclusività, che si fondano comunque su presupposti differenti (v., in questo senso, Cons. St., VI, n. 35/2011).
Sicché, coglie probabilmente nel segno l’obiezione della difesa erariale (v. memoria del 13.1.2013) laddove sottolinea come tale seconda pretesa non fosse stata dedotta né con il ricorso dinanzi al Tar, né con l’atto di appello, ma introdotta, tardivamente e irritualmente, a partire dalla memoria difensiva depositata nel giudizio di appello il 7.5.2010.
5.2. In ogni caso, anche assumendo che, in una logica accentuatamente sostanzialistica, l’originaria azione di accertamento e condanna – al pagamento di maggiori somme, a titolo contrattuale – andasse riferita, pur sempre, implicitamente, anche alle maggiori somme spettanti seconda la normativa ante art. 6 (ossia l’art. 31 del d.p.r. 761/1979); giova precisare, in un’ottica giuslavoristica, come nel giudizio di appello fosse stata disposta istruttoria su questo specifico punto e come l’azienda ospedaliera avesse depositato un conteggio sufficientemente analitico (cfr. documento del 15.6.2011), nei cui confronti la difesa del ricorrente non aveva mosso contestazioni specifiche e puntuali, come sarebbe stato suo onere fare (cfr. memoria 15.11.2011).
5.3. Sicché deve ritenersi che la sentenza di appello abbia correttamente ricostruito la vicenda sostanziale, secondo le risultanze dell’istruttoria, solamente incorrendo in un mero errore materiale laddove ha indicato l’importo mensile conseguito dal Prof. Cerasola, negli anni dal 2000 al 2005 in cui era Responsabile del Dipartimento di medicina interna del Policlinico, in 2.375 anziché in 1.721 di vecchie lire. Con la precisazione che l’importo effettivamente percepito in quegli anni, pari a 1.721 di vecchie lire, si giustificava alla luce di quanto previsto dalla contrattazione collettiva per i dirigenti medici con rapporto non esclusivo e in forza della circostanza – incontestata in punto di stretto fatto ed espressamente richiamata in sentenza – che appunto il Prof. Cerasola non aveva optato per il rapporto esclusivo (impugnando con un distinto ricorso, a distanza di anni dichiarato poi perento, l’atto dell’Azienda Universitaria che lo invitava ad esercitare l’opzione tra rapporto di lavoro esclusivo e attività libero professionale).
6. In conclusione, per tutte le ragioni sinora esaminate, il ricorso è inammissibile.
7. Il Collegio reputa che vi siano giustificati motivi per compensare le spese del giudizio revocatorio, derogando alla regola della soccombenza, in ragione di alcune imprecisioni contenute sia nella sentenza di primo grado (sull’anticipato pensionamento del Prof. Cerasola) che in quella di appello (sulle somme mensilmente percepite tra il 2000 e il 2005), imprecisioni che, pur non incidendo sulla correttezza di entrambe le decisioni, possono avere indotto la parte privata a proporre il presente ricorso.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale,
definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, lo dichiara inammissibile.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] La Guardia, Consigliere
[#OMISSIS#] Mineo, Consigliere
[#OMISSIS#] Corbino, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/05/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)