La legge 19 maggio 1971, n. 403 , istitutiva della professione di massofisioterapista, non detta norme sul relativo percorso formativo, di talché, in seguito al trasferimento di detta competenza alle Regioni, lo stesso risulta essere disciplinato in modo non unico sul territorio nazionale.
Il titolo in questione, pertanto, può essere rilasciato sulla base di corsi con monte ore di insegnamento teorico-pratico e programmi, in concreto, variabili, con conseguente incertezza in ordine alle competenze acquisite dai singoli discenti (sul punto vedasi Cons. Stato, Sez. III, 16 gennaio 2018, n. : “Nel caso dei massiofisioterapisti, vale precisare che la L. n. 403/1971, istitutiva di tale professione sanitaria ausiliaria, non detta norme sul relativo percorso formativo, di talché – una volta trasferita alla Regioni la relativa competenza – lo stesso è stato disciplinato in modo difforme sul territorio nazionale. In concreto, il titolo in questione risultava quindi rilasciato, a seconda dei casi, sulla base di corsi dalla durata indifferentemente triennale o biennale e con un monte ore di insegnamento teorico-pratico conseguentemente variabile. Ai sensi dell’art. 7 del d. lgs. 7 dicembre 1993 n. 517, modificativo dell’art. 6, co. 3, del d. lgs. n. 502 del 1992, il quale disciplina la formazione del personale della riabilitazione, il Ministro della Sanità avrebbe dovuto individuare le figure professionali da formare ed i relativi profili, con conseguente soppressione, entro due anni dal 1 gennaio 1994, dei corsi di studio relativi alle figure professionali così individuate e previste dal precedente ordinamento, che non fossero stati già riordinati ai sensi dell’art. 9 della l. 19 novembre 1990 n. 341. Non essendo però intervenuto un atto di individuazione della figura del massofisioterapista, come una di quelle da riordinare, né essendo intervenuti atti di riordinamento del relativo corso di formazione o di esplicita soppressione, quella professione (e relativa abilitazione) è in sostanza rimasta configurata nei termini del vecchio ordinamento, con conseguente conservazione dei relativi corsi di formazione”).
TAR Puglia, Sez. I, 24 maggio 2018, n. 785
Accesso a numero programmato corsi a numero chiuso-Massofisioterapista
N. 00785/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00651/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 651 del 2017, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avvocato Benedetta Leone, con domicilio eletto presso lo studio [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Perchinunno in Bari, via Calefati, n.6;
contro
Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca, Università degli Studi di Foggia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, presso i cui uffici in Bari, via Melo, n.97, sono domiciliati;
per l’annullamento
1) del Decreto Rettorale dell’Università degli Studi di Foggia n. 524/2017, prot. n. 12416 del 9.5.2017, ratificato dal Senato Accademico in data 10.5.2017;
2) del Decreto dei Direttori dei Dipartimenti di Scienze Mediche e Chirurgiche e di Medicina Clinica e sperimentale dell’Università di Foggia n. 283/2017, prot. n. 12747 del 10.5.2017;
3) di tutti gli altri atti connessi, presupposti e consequenziali;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e dell’Università degli Studi di Foggia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 marzo 2018 la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso introduttivo, gli odierni ricorrenti, tutti in possesso di diploma di massofisioterapista conseguito presso l’istituto “[#OMISSIS#] Fermi” di Perugia, ai sensi della L. n. 403 del 19.5.1971, impugnano, chiedendone l’annullamento previa concessione di misure cautelari, i provvedimenti, meglio indicati in oggetto, mediante i quali l’Università degli Studi di Foggia ha annullato in via di autotutela l’intera procedura volta all’ammissione dei massofisioterapisti al III anno del corso di laurea in fisioterapia, senza previo superamento dei test di ingresso.
Giova premettere in punto di fatto che, l’Università di Foggia, con determinazioni rese dai propri organi (delibera del Consiglio del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale del 20.9.2016; delibera del Consiglio del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche del 22.9.2016 e successiva determina del Senato Accademico del 9.11.2016), accoglieva, in via generale, le richieste di iscrizione diretta al III anno del suindicato corso di laurea, avanzate da circa duecento studenti in possesso del predetto diploma.
In particolare, con la delibera del 9.11.2016, il Senato Accademico, recependo la posizione già espressa dai Dipartimenti, sulla scorta della relazione del Rettore in esso compiutamente riportata, ricostruito il complesso quadro normativo in materia e ravvisata l’esigenza di conformarsi a pronunce rese da questo Tribunale e dal Consiglio di Stato- seppur, precisa il Collegio, adottate in seguito alla valutazione di specifiche e peculiari fattispecie ed in presenza di un quadro giurisprudenziale parzialmente diverso da quello attuale- esprimeva parere favorevole in ordine all’accoglimento delle suddette richieste di iscrizione, assumendo a fondamento della propria determinazione, da un lato, la generale equipollenza del diploma di massofisioterapista a quello Universitario, a prescindere dalla data di conseguimento e, dall’altro, la superfluità del test d’ingresso.
Riguardo a quest’ultimo profilo, sottolineava che, in base alla pronuncia del CdS n. 1105/2015, scopo principale della prova selettiva prevista per l’accesso al corso di laurea in fisioterapia (e, in generale, di tutti i corsi ad accesso programmato nazionale ex L. n. 264/1999) è la verifica della predisposizione del candidato rispetto al percorso di studi prescelto, nella specie già ampiamente provata.
La delibera in questione (e, di conseguenza, gli ulteriori atti su di essa basati) non effettuava in alcun modo una valutazione specifica della posizione dell’aspirante, prendendo in considerazione, ad es. gli eventuali titoli di studio ulteriori (che, pertanto, laddove esistenti, esulano dai presupposti di fatto posti a fondamento degli atti impugnati), essendosi limitata ad esaminare il solo diploma triennale di massofisioterapista conseguito ai sensi della L. n. 403 del 19.5.1971.
Seguivano, quindi, diverse delibere e comunicazioni mediante le quali l’Università faceva proprio il predetto parere e forniva informazioni in ordine allo svolgimento delle attività didattiche.
In data 24.3.2017, tuttavia, il MIUR, con apposita nota, invitava l’Università ad annullare la procedura d’iscrizione evidenziandone l’illegittimità, in quanto “volta ad ammettere un numero illimitato di soggetti in possesso di titolo ritenuto equipollente, senza che ne ricorrano i presupposti”.
L’Università di Foggia, pertanto, aderendo all’indirizzo espresso dal MIUR, con nota dell’11.4.2017, pubblicata sul proprio sito web, avviava il procedimento di annullamento in via di autotutela degli atti de quibus, conclusosi con l’adozione dei provvedimenti oggetto del presente gravame.
L’Amministrazione osservava, in seguito ad un più attento esame del quadro normativo di riferimento e dei rilievi ministeriali, che l’equipollenza al diploma universitario di diplomi e attestati conseguiti al di fuori di strutture universitarie debba essere limitata ai soli titoli conseguiti anteriormente alla riforma delle professioni sanitarie, dovendosi invece ritenere che i titoli successivamente conseguiti, seppur non del tutto inefficaci, rilevino ai soli fini del riconoscimento di CFU, nel numero massimo di 12, in seguito all’eventuale superamento di una prova selettiva per l’accesso ai corsi di laurea.
Rilevava, conclusivamente, l’invalidità dei provvedimenti annullati, in quanto adottati in violazione delle disposizioni che disciplinano l’accesso programmato ai corsi di laurea nelle professioni sanitarie e altresì dell’art. 2, comma 147, d.l. n. 262/2006, convertito in L. n. 286/2006, come modificato da ultimo dall’art. 14, L. n. 240/2010, atteso che l’ammissione diretta al III anno avrebbe comportato l’attribuzione di 120 CFU (a fronte dei 12 massimi previsti dalla disposizione).
Insorgono contro i predetti atti gli odierni ricorrenti, affidando il ricorso a quattro motivi di censura, riconducibili principalmente alla violazione dell’art. 21 nonies, L. n. 241/1990, sui quali, per esigenze di sintesi, ci si soffermerà compiutamente nel prosieguo motivazionale.
Sostengono, questo in estrema e doverosa sintesi il contenuto delle doglianze, che non sussisterebbero, nella specie, i presupposti previsti per l’annullamento in autotutela.
L’Amministrazione, infatti, non avrebbe effettuato la necessaria comparazione tra l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata ed alla rimozione degli atti illegittimi e quello privato, essendosi, tra l’altro, ormai consolidato l’interesse dei ricorrenti alla conservazione degli stessi.
Difetterebbe, inoltre, il fondamentale presupposto per procedere all’annullamento in autotutela, essendo legittimi gli atti inizialmente adottati.
Asseriscono, poi, l’illegittimità dei provvedimenti impugnati nella parte in cui consentono il riconoscimento di un massimo di 12 CFU.
Con l’ultimo motivo, i ricorrenti si dolgono degli ulteriori vizi da cui sarebbe inficiato il procedimento de quo, per non avere l’Amministrazione esaminato le osservazioni da essi presentate ex art. 10 bis, L. n. 241/90.
Si è costituita in resistenza l’Avvocatura dello Stato per l’Università degli Studi di Foggia ed il MIUR, la quale, a seguito di una puntuale ed esauriente ricostruzione del quadro giuridico-normativo e dei principali orientamenti giurisprudenziali in materia (v. memoria dep. telematicamente in data 11.8.2017) ha replicato alle censure mosse dalle parti ricorrenti, instando per la reiezione del ricorso.
All’udienza camerale del 5.7.17, il Collegio, “rilevato che la complessità delle questioni in diritto prospettate in ricorso impone l’approfondimento proprio della fase di merito e ritenuto che l’esigenza cautelare può essere adeguatamente soddisfatta a mezzo della sollecita fissazione dell’udienza di merito ai sensi dell’art. 55, co 10 cpa”, ha fissato la successiva udienza di trattazione del merito.
Le parti hanno provveduto, quindi, con relative memorie, a rassegnare le proprie conclusioni.
All’udienza pubblica del 7.3.2018, sentite le parti, la causa è stata definitivamente trattenuta in decisione.
Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 21 nonies, L. n.241/90; dell’art. 4, L. n.42/99 e dell’art. 6, co 3, d.lgs. n. 502/92, lamentando, altresì, l’eccesso di potere per travisamento dei fatti e sviamento.
Sostengono che, dal quadro normativo di riferimento e, in particolare, dalla disposizione contenuta nel sopracitato art. 4, L. n. 42/99, si desumerebbe la generale equipollenza tra diploma di massofisioterapista e titolo universitario in fisioterapia, sicché pacificamente spetterebbe ai massofisioterapisti l’accesso diretto al terzo anno del suddetto corso di laurea.
Affermano, inoltre, che sarebbe superfluo il superamento di una prova selettiva, dovendosi ritenere che la ratio sottesa alla previsione di detta prova sia quella di accertare la predisposizione del candidato per le discipline oggetto dei corsi alla cui iscrizione ambisce, nella specie già acclarata dal possesso del diploma di massofisioterapista.
Non rileverebbe, quindi, il superamento dei posti disponibili previsti nell’ambito della programmazione nazionale.
Le doglianze sono infondate, pur conoscendo il Collegio il diverso orientamento talvolta affermatosi in giurisprudenza.
Occorre preliminarmente soffermarsi sulla disciplina prevista dal legislatore in materia di accesso ai corsi universitari, cristallizzata nella L. n. 264/1999, la quale subordina l’accesso del corso di laurea in esame al previo superamento di una prova selettiva, senza alcuna ipotesi di deroga.
In tal senso depone l’analisi dell’art. 3, L. n. 264/99, mediante il quale il legislatore descrive puntualmente l’iter previsto per la determinazione annuale dei posti programmati nelle facoltà a “numero chiuso”.
Detta disposizione prevede, anzitutto, che il numero annuale dei posti disponibili debba essere determinato con decreto del MIUR, sentiti gli altri ministeri interessati, “sulla base della valutazione dell’offerta potenziale del sistema universitario, tenendo anche conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo” e che, successivamente, tale numero debba essere ripartito tra le Università “tenendo conto dell’offerta potenziale comunicata da ciascun ateneo”.
Detta “offerta potenziale” è determinata sulla base di una serie di parametri individuati dallo stesso legislatore, quali appunto, posti nelle aule, attrezzature e laboratori scientifici, personale docente, personale tecnico etc.
Orbene, dall’esame di tale disposizione si evince chiaramente che, scopo della prova selettiva ai fini dell’iscrizione all’Università, non è la sola valutazione della predisposizione e dell’inclinazione dello studente per una determinata disciplina, ma anche l’individuazione del numero massimo di studenti, al fine di garantire l’allocazione ottimale delle risorse ed il rispetto di adeguati standard di insegnamento (diversamente, infatti, non si spiegherebbe il riferimento alle “capacità recettive” dell’Università).
Deve ritenersi, quindi, che le disposizioni previste in materia di accesso universitario siano insuscettibili di deroga generalizzata e che, pertanto, il test d’ingresso, qualora previsto, sia ineludibile.
Non possono che ritenersi illegittimi, pertanto, provvedimenti volti ad ammettere gli studenti direttamente, in modo generale ed indistinto, ad un corso di laurea per il quale sono stati previsti posti limitati (per l’a.a. 2016/2017, 30 posti).
Tra l’altro, diversamente opinando, si giungerebbe alla conclusione che ove tutti i candidati dimostrassero tale inclinazione, l’Università dovrebbe ammetterli, senza rispettare il numero massimo programmato.
In ordine, poi, alla previsione della prova selettiva anche per l’iscrizione ad anni di corso successivi al primo – peraltro non oggetto di specifica contestazione – dall’esame degli artt. 1, lett. a e 4, L. n.264/99 non emerge che l’obbligo di sostenere il test d’ingresso alle facoltà a numero chiuso sia previsto solo per il primo anno di corso, dovendosi, quindi, ritenere che detto obbligo sussista anche nel caso di domanda di accesso di studenti già in possesso di titoli di studio conseguiti in seguito a corsi che possono dar luogo al riconoscimento di crediti (amplius v. decisione della Sezione di pari data, in analogo ma non omologo ricorso recante rg.n. 648/2017).
Quanto alla questione dell’equipollenza del titolo di massofisioterapista al diploma universitario, il Collegio ben conosce l’esistenza di contrapposti orientamenti anche del Giudice d’Appello sul punto (v. CdS n. 1105/2015 e CGA n. 212/2017 che si sono pronunciati nel senso reclamato dai ricorrenti e CdS n. 219/2018; CdS ord. n. 3319/2017, punti 11 e ss. secondo il quale, soltanto i diplomi e gli attestati conseguiti anteriormente alla riforma delle professioni sanitarie, avviata con il d.lgs. n. 502/92, possono essere riconosciuti dalle Università ai fini dell’equipollenza al diploma universitario).
Esigenza di sintesi impongono di rinviare alle predette pronunce per la indicazione delle diverse posizioni.
Tra le tesi su cui le parti dibattono e sulle quali la Sezione è chiamata a pronunciarsi, va ritenuta preferibile- anche alla luce dei recenti arresti, successivi alla pronuncia di questa Sezione n. 952/2016, relativa peraltro, ad una fattispecie che presentava profili di diversità rispetto a quella odierna- quella che nega la reclamata equipollenza.
Ciò in quanto la tesi ritenuta preferibile risulta, da un lato, più aderente al dato testuale delle disposizioni in materia; dall’altro, maggiormente coerente con i principi di parità di trattamento (in quanto esclude che possano iscriversi al corso in esame soggetti privi di un diploma di scuola secondaria superiore, richiedendo per tutti gli aspiranti tale titolo, senza deroga) e tutela della salute pubblica di cui all’art. 32 Cost., ammettendo all’esercizio della professione di fisioterapista soggetti che possano vantare un percorso formativo completo e selettivo e, dunque, di maggiore garanzia per i pazienti.
Infatti, seguendo la tesi della generale equipollenza si giungerebbe a concludere che anche soggetti privi di diploma di scuola superiore, muniti di un titolo- quello di massofisioterapista- conseguito all’esito di un corso di durata assai variegata, possano accedere alla professione di fisioterapista, che implica la riabilitazione di pazienti affetti da patologie anche complesse.
Il Collegio ritiene, comunque, opportuno chiarire come ciò non equivalga ad affermare la totale irrilevanza del titolo in questione, condividendosi al riguardo le considerazioni espresse dal Tar Catania con sentenza n. 2999/2015, circa la possibilità per i singoli atenei di apprezzare, comunque, quali “conoscenze e abilità professionali certificate ai sensi della normativa vigente in materia”, la relativa esperienza abilitante mediante l’attribuzione di taluni crediti formativi universitari (come, peraltro, la stessa Università ha previsto, nel decreto del Rettore impugnato, del 9.5.2017; v. pag. 4; I Considerato dello stesso).
Viene, dunque, fatta salva la facoltà dei ricorrenti di avanzare all’Ateneo un’istanza di valutazione del proprio diploma di massofisioterapista che- seppur privo di una utilità professionale ed abilitativa pari al titolo universitario- potrebbe, comunque, essere in sé valutato ai fini del suo conseguimento, con conseguente abbreviazione del relativo percorso di studi a ciò finalizzato.
Giova, comunque, precisare, in ordine al numero massimo di crediti formativi passibili di riconoscimento (circostanza sulla quale le parti, nel corso della discussione orale, si sono a lungo soffermate), quanto segue.
L’art. 2, comma 147, d.l. n. 262/2006, convertito in L. n. 286/2006, come modificato da ultimo dall’art. 14, L. n. 240/2010, che attualmente disciplina il riconoscimento di crediti formativi, espressamente prevede che “Le Università disciplinano nel proprio regolamento didattico le conoscenze e le abilità professionali, certificate ai sensi della normativa vigente in materia, nonché le altre conoscenze e abilità maturate in attività formative di livello post-secondario da riconoscere quali crediti formativi. In ogni caso, il numero di tali crediti non può essere superiore a dodici. Il riconoscimento deve essere effettuato esclusivamente sulla base delle competenze maturate da ciascuno studente. Sono escluse forme di riconoscimento attribuite collettivamente.”
Il riferimento, nel dettato normativo, alle “conoscenze e abilità professionali”, nonché alle “altre conoscenze e abilità maturate in attività formative”, per la sua natura omnicomprensiva esclude che il limite massimo di 12 CFU riguardi solo le competenze professionali.
Non può, pertanto, riconoscersi per qualunque tipo di conoscenze e competenze (quali quelle derivanti dal diploma in possesso dei ricorrenti) un numero di CFU maggiore a 12.
In ragione delle suesposte considerazioni, deve ritenersi destituito di fondamento anche il terzo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti lamentano l’illegittimità degli atti impugnati nella parte in cui prevedono il riconoscimento di un massimo di 12 CFU, ponendosi, in tesi, in contrasto con il Regolamento didattico di Ateneo e il Regolamento di Ateneo, i quali attribuiscono all’Università la facoltà di riconoscere fino a 60 CFU (v. art. 2, Reg. didattico di Ateneo).
Fermo restando quanto sopra, occorre evidenziare che, dalla piana lettura delle disposizioni soprarichiamate, emerge il contrasto del Regolamento didattico di Ateneo con norme di rango superiore, con conseguente sua disapplicazione (difformità spiegata dall’Avvocatura in quanto adottato nel 2006, cioè in data anteriore all’ultima modifica legislativa dell’art. 2, comma 147, d.l. n. 262/2006, convertito in L. n. 286/2006, come modificato da ultimo dall’art. 14, L. n. 240/2010).
Con il secondo motivo di ricorso, poi, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 21 nonies, L. n. 241/90 sotto altro profilo, per avere l’Amministrazione annullato la procedura di iscrizione, prescindendo da ogni valutazione in ordine all’affidamento dalla stessa ingenerato in capo ai ricorrenti.
Sostengono, inoltre, che ai fini dell’annullamento in autotutela, l’illegittimità degli atti adottati e il relativo interesse al ripristino della legalità violata, costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente, dovendo, altresì, sussistere un ulteriore specifico interesse alla rimozione degli stessi.
In tesi, i provvedimenti impugnati, difetterebbero di tale ultimo requisito.
La censura non può trovare accoglimento.
In merito, è opportuno rammentare che la delibera del Senato Accademico mediante la quale si è provveduto all’ammissione universitaria dei massofisioterapisti risale al 9.11.2016, mentre il procedimento di annullamento ex art. 21 nonies, avviato nell’aprile 2017, si è definitivamente concluso tra maggio e giugno 2017 (v. Decreto rettorale del 9.5.2017 e ratifica del Senato Accademico del 10.5.2017 e conseguenti delibere di recepimento dei singoli dipartimenti).
Il rispetto dei termini prescritti dal legislatore per l’adozione di provvedimenti di annullamento in autotutela risulta, evidentemente, per tabulas.
Appare, comunque, evidente che, in una vicenda come quella in esame, attesa la particolare complessità del quadro normativo di riferimento e in assenza di un orientamento consolidato in giurisprudenza, difficilmente, l’affidamento ingenerato nei privati avrebbe potuto ritenersi ormai consolidato.
Peraltro, seppur sinteticamente, in ossequio, tra l’altro, al principio di economicità cui la P.A. è informata, l’Amministrazione resistente ha chiaramente individuato le esigenze di interesse pubblico, diverse ed ulteriori rispetto alla rimozione dell’atto illegittimo, sottese all’annullamento dei provvedimenti precedentemente adottati.
Né tale motivazione difetta di ragionevolezza.
È, infatti, palese, che l’ammissione indistinta di un elevato numero (nell’ordine delle centinaia) di studenti al corso di laurea in fisioterapia, senza il previo superamento di una prova selettiva, oltre ad appalesarsi contra legem (per come meglio si chiarirà in seguito), comporterebbe- come ha evidenziato l’Università- una violazione del principio di parità di trattamento; lesione che sarebbe particolarmente rilevante, in quanto, da un lato, idonea a riflettersi su di un numero elevato di soggetti, dall’altro non circoscritta ad una limitata ed esigua parte del territorio, ma estesa a tutto quello nazionale.
Essa sarebbe, altresì, idonea a ledere l’effettiva tutela di ulteriori diritti costituzionalmente garantiti.
Come correttamente affermato dalle parti resistenti, infatti, l’ammissione diretta dei massofisioterapisti al terzo anno, comporterebbe un’ingiustificata lesione del principio di parità di trattamento, consentendo ai ricorrenti di eludere la normativa prevista in materia di accesso ai corsi universitari, a detrimento di tutti gli altri studenti iscritti a corsi di laurea a numero chiuso.
Aggiungasi che da tale generalizzata ammissione, deriverebbe un concreto vulnus all’esercizio della professione di fisioterapista in regime di libera concorrenza, scaturente dall’immissione nel “mercato” delle professioni di un numero di operatori spropositato ed esorbitante rispetto alla domanda, con notevoli ripercussioni a livello occupazionale.
Né può escludersi che l’ammissione diretta al terzo ed ultimo anno di un corso di laurea nel settore delle professioni sanitarie sia idonea, seppur potenzialmente, a violare il fondamentale diritto alla salute sancito dall’art. 32 Cost.
In assenza di prova selettiva e della effettiva frequenza ai precedenti due anni di corso, infatti, vi sarebbe la non remota possibilità che gli studenti non abbiano maturato concrete ed adeguate competenze sanitarie e, dunque, l’effettiva capacità di operare, anche autonomamente, in un settore, quale appunto quello sanitario, nel quale una preparazione non adeguata potrebbe avere conseguenze rilevanti sulla salute dei pazienti.
A fortiori, tale timore sussiste, laddove si consideri che la L. n. 403/71, istitutiva della professione di massofisioterapista, non detta norme sul relativo percorso formativo, di talché, in seguito al trasferimento di detta competenza alle Regioni, lo stesso risulta essere disciplinato in modo non uniforme sul territorio nazionale.
Il titolo in questione, pertanto, può essere rilasciato sulla base di corsi con monte ore di insegnamento teorico-pratico e programmi, in concreto, variabili, con conseguente incertezza in ordine alle competenze acquisite dai singoli discenti (sul punto vedasi CdS n. 219/2018: “Nel caso dei massofisioterapisti, vale la pena precisare che la L. n. 403/1971, istitutiva di tale professione sanitaria ausiliaria, non detta norme sul relativo percorso formativo, ti talché- una volta trasferita alle Regioni la relativa competenza-lo stesso è stato disciplinato in modo difforme sul territorio nazionale. In concreto, il titolo in questione risultava quindi rilasciato, a seconda dei casi, sulla base di corsi dalla durata indifferentemente triennale o biennale e con un monte ore di insegnamento teorico-pratico conseguentemente variabile. Ai sensi dell’art.7 del d.lgs. 7 dicembre 1993 n. 517, modificativo dell’art. 6, co. 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, il quale disciplina la formazione del personale della riabilitazione, il Ministero della Sanità avrebbe dovuto individuare le figure professionali da formare ed i relativi profili, con conseguente soppressione, entro due anni dal 1 gennaio 1994, dei corsi di studio relativi alle figure professionali così individuate e previste dal precedente ordinamento, che non fossero già stati riordinati ai sensi dell’art. 9 della L. 19 novembre 1990 n. 341. Non essendo però intervenuto un atto di individuazione della figura del massofisioterapista, come una di quelle da riordinare, né essendo intervenuti atti di riordinamento del relativo corso di formazione o di esplicita soppressione, quella professione (e relativa abilitazione) è in sostanza rimasta configurata nei termini del vecchio ordinamento, con conseguente conservazione dei relativi corsi di formazione”).
Con il quarto ed ultimo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 7 e 10, L. 241/90, nonché l’eccesso di potere per motivazione insufficiente.
Sostengono che l’Università di Foggia non avrebbe opportunamente valutato le osservazioni da essi prodotte in seguito alla comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela, omettendo di indicare nel provvedimento finale le ragioni del loro mancato accoglimento.
Il motivo è infondato.
Dalla piana lettura del provvedimento rettorale impugnato (v. pag. 3 dello stesso) si desume che, con le predette osservazioni, i ricorrenti si siano limitati ad addurre, come ragione ostativa all’adozione del provvedimento di annullamento in autotutela, l’equipollenza del titolo di massofisioterapista al diploma universitario di fisioterapista.
Né tale assunto appare confutabile, attesa la mancata produzione in giudizio delle note contenenti le osservazioni de quibus.
Alla luce delle precedenti considerazioni sul tema è, quindi, evidente l’inidoneità di tali osservazioni a scalfire la correttezza della valutazione operata dall’Amministrazione in sede di autotutela, nonché la loro puntuale considerazione, avendo l’Università puntualmente motivato in ordine alla questione posta in sede partecipativa.
Per le considerazioni sopra esposte, il ricorso non può trovare accoglimento.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese, attesi la complessità del quadro normativo di riferimento ed i contrasti giurisprudenziali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese integralmente compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i ricorrenti.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Angelo [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] Grazia D'[#OMISSIS#], Referendario
Pubblicato il 24/05/2018