TAR Campania, Napoli, Sez. II, 18 giugno 2018, n. 4011

Equiparazione tecnico funzionario-Ricercatore-Ricostruzione carriera

Data Documento: 2018-06-18
Area: Giurisprudenza
Massima

a figura del funzionario tecnico è equiparabile a quella del tecnico laureato, trattandosi di una mera riformulazione formale della medesima qualifica precedentemente denominata “tecnico laureato”; pertanto, anche il funzionario tecnico rientra nell’elencazione delle qualifiche contenuta nell’art. 103 del d.P.R. n. 382/1980, la quale deve ritenersi tassativa ai fini del riconoscimento del servizio utile, ma è suscettibile di un’interpretazione logica (cfr. Cons. Stato, VI, n. 5668/2011 e n.2412/2013).

Contenuto sentenza

N. 04011/2018 REG.PROV.COLL.
N. 04467/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4467 del 2007,
proposto da 
[#OMISSIS#] Capuano, rappresentata e difesa dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Pietroluongo, con domicilio eletto presso lo studio [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Napoli, via dei Mille, 16; 
contro
Università Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Abignente, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio Angelo Abignente in Napoli, viale Gramsci n.14; 
Rettore dell’Università Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II”, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Depretis,19 (Studio Cunzio); 
I.N.P.D.A.P. Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Marina Savastano, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via A.De Gasperi, 55; 
per l’accertamento
a) della natura di rapporto di pubblico impiego di fatto dell’attività medico-assistenziale svolta dalla ricorrente alle dipendenze dell’Università degli Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II”;
b) del diritto della ricorrente al conseguimento di tutte le differenze retributive calcolate nella differenza tra quanto percepito a titolo di gettone e quanto spettante secondo le retribuzioni dei pubblici dipendenti dell’Amministrazione sanitaria con mansioni analoghe, ivi compresa la tredicesima mensilità, l’indennità integrativa speciale, il contributo pasto, il premio di produzione e ogni altra indennità spettante ai sensi del C.C.N.L., oltre all’indennità sostitutiva di ferie non godute; c) del diritto della ricorrente al trattamento assicurativo, assistenziale e previdenziale, con la conseguente condanna dell’Amministrazione resistente al versamento dei relativi contributi, anche in favore dell’I.N.P.D.A.P. di Napoli;
d) conseguentemente, per l’accertamento e la declaratoria del diritto al conseguimento dell’indennità di buonuscita, rapportata al periodo di attività prestato, con la condanna dell’Amministrazione datrice di lavoro al versamento dei relativi contributi presso l’I.N.P.D.A.P., e di quest’ultima al suo pagamento, al momento della maturazione del relativo diritto.
Visto il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II”, del Rettore dell’Università Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II” e dell’I.N.P.D.A.P. di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 maggio 2018 la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato in data 11.07.2007, la sig.ra [#OMISSIS#] Capuano, dopo avere premesso di avere prestato, per il periodo intercorrente dal 1° agosto del 1981 al 31 novembre 1992, prestazioni mediche quale collaboratrice professionale laureata esterna presso le strutture sanitarie del II° Policlinico annesso alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Napoli [#OMISSIS#] II – prestazioni comprovate dal certificato di servizio rilasciato dall’Università degli Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II” -, agisce per l’accertamento e la declaratoria della natura di rapporto di pubblico impiego di fatto, dell’attività medico assistenziale svolta dalla medesima alle dipendenze dell’Università degli Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II”, e quindi per l’accertamento del proprio diritto al conseguimento di tutte le differenze retributive perciò dovute, ivi compresa la tredicesima mensilità, l’indennità integrativa speciale, il contributo pasto, il premio di produzione e ogni altra indennità spettante ai sensi del C.C.N.L., oltre all’indennità sostitutiva di ferie non godute; la ricorrente agisce, altresì, per l’accertamento e la declaratoria del proprio conseguente diritto al trattamento assicurativo, assistenziale e previdenziale, con condanna dell’Amministrazione resistente al versamento dei relativi contributi, anche in favore dell’I.N.P.D.A.P. di Napoli, e per il riconoscimento del proprio diritto all’indennità di buonuscita rapportata al periodo di attività prestata, con condanna dell’Amministrazione datrice di lavoro al versamento dei relativi contributi presso l’I.N.P.D.A.P. e di quest’ultima al suo pagamento, al momento della maturazione del relativo diritto.
La ricorrente, in particolare, evidenzia che pur avendo svolto attività assistenziale presso le strutture sanitarie del II° Policlinico annesso alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II”, con rapporto definito dall’Università come “collaborazione libero-professionale esterna”, ha di fatto svolto vere e proprie prestazioni medico assistenziali in regime di rapporto di pubblico impiego, sia pur di fatto, senza tuttavia ricevere il relativo trattamento assicurativo, assistenziale e previdenziale, né tantomeno ottenere, all’atto della cessazione del rapporto, l’ indennità di fine rapporto, pur asseritamente dovuta.
Si sono costituiti in giudizio l’Università Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II”, il Rettore dell’Università Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II” in proprio e l’I.N.P.D.A.P. di Napoli, eccependo l’inammissibilità per decadenza e comunque l’infondatezza nel merito dello spiegato ricorso e codesto T.A.R., con ordinanza n° 5169 del 09.11.2016, ha disposto la c.d. “sospensione impropria” del giudizio sino alla definizione, da parte della Corte Costituzionale, delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, sollevate sia dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con ordinanza n. 6981 dell’8 aprile 2016, sia dal T.A.R. Campania – Napoli, sez. III, ordinanza n. 2655 del 24 maggio 2016, sia dal T.A.R. Lazio, Sez. III Quater, con ordinanza n. 4776 del 26 aprile 2016; quindi, a seguito della riassunzione del giudizio ex art. 80 c.p.a. effettuata dalla ricorrente all’esito della pronuncia, da parte della Corte Costituzionale, della sentenza n° 6/2018, all’udienza pubblica del 22.05.2018, sulle conclusioni delle parti, la causa è stata trattenuta per la decisione.
Tanto premesso, osserva il Collegio che lo spiegato ricorso è inammissibile per intervenuta decadenza dell’azione ai sensi dell’art. 69, comma 7, D. Lgs. 165/2001, non risultando la domanda avanzata dalla ricorrente, riguardante l’asserita sussistenza di un rapporto di pubblico impiego di fatto anteriormente al 30 giugno 1998, proposta entro il termine di decadenza del 15.9.2000, stabilito dalla citata norma.
Al riguardo, codesto T.A.R. non ignora che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza “Staibano” del 04.02.2014, ha ritenuto violato l’art.6, § 1, CEDU proprio a causa del breve termine di decadenza previsto dal menzionato art. 69, comma 7, D. Lgs. 165/2001, considerato tale da impedire di fatto l’esercizio del diritto ad un processo equo, sotto il profilo del diritto di accesso ad un tribunale; non a caso, codesta Sezione ha disposto, con ordinanza n° 5169 del 09.11.2016, la c.d. “sospensione impropria” del presente giudizio ai sensi dell’art. 80 c.p.a., sino alla definizione, da parte della Corte Costituzionale, delle questioni di legittimità costituzionale proprio dell’art. 69, comma 7, del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, sollevate sia dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con ordinanza n. 6981 dell’8 aprile 2016, sia dal T.A.R. Campania – Napoli, sez. III, ordinanza n. 2655 del 24 maggio 2016, sia dal T.A.R. Lazio, Sez. III Quater, con ordinanza n. 4776 del 26 aprile 2016, in relazione sia al fatto che la prefata norma preveda la decadenza delle azioni proposte al G.A. dopo il 15.09.2000 per controversie attinenti al pubblico impiego anteriori al 30.06.98, sia in relazione al fatto che nemmeno consenta – per tali fattispecie – almeno di adire il G.O. successivamente alla scadenza del predetto termine.
Orbene, la Corte Costituzionale, con la recente sentenza n° 6/2018, ha dichiarato in parte inammissibili e in parte ha respinto le scrutinate questioni di legittimità costituzionale rispettivamente sollevate dalle SS.UU della Cassazione, dal T.A.R. Campania Napoli e dal T.A.R. Lazio, ritenendo che la sentenza “Staibano” della Corte E.D.U. non abbia in realtà radicalmente escluso la legittimità del termine decadenziale del 15.09.2000 – previsto per la proponibilità delle domande relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30.06.1998 -, stabilito dal menzionato art. 69, comma 7, D. Lgs. 165/2001, ed anzi sottolineando come la stessa Corte E.D.U., proprio in tale pronunzia, abbia ritenuto il citato termine di per se non eccessivamente breve; la Corte Costituzionale, nella sentenza n° 6/2018 in parola, ha altresì evidenziato come la sentenza “Staibano” in discorso, si fondi in realtà sulla – non correttamente – rappresentata sussistenza di un mutamento di indirizzo giurisprudenziale, che avrebbe di fatto impedito agli interessati l’accesso alla tutela giurisdizionale.
Secondo quanto può desumersi dal citato pronunciamento della Corte Costituzionale, pertanto, la menzionata sentenza “Staibano” della Corte E.D.U. non afferma – né conseguentemente comporta-, la contrarietà in se alla C.E.D.U. dell’art. 69, comma 7, D. Lgs. 165/2001 citato, nella parte in cui prevede il termine decadenziale del 15.09.2000 per la proposizione innanzi al G.A. delle domande relative a questioni attinenti al rapporto di pubblico impiego anteriori al 30.06.1998.
Da quanto sin qui evidenziato consegue, a parere del Collegio, l’inammissibilità del presente ricorso perché avente ad oggetto domande attinenti a un rapporto di pubblico impiego di fatto, instaurato e conclusosi anteriormente al 30.06.1998, proposto oltre il citato termine di decadenza del 15.09.2000, stabilito dal menzionato art. 69, comma 7, D. Lgs. 165/2001; al riguardo, il Tribunale evidenzia come tale norma sia insuscettibile di essere interpretata in un modo diverso, – considerato che la stessa reca una comminatoria di decadenza espressa per la proponibilità della domanda giudiziale (cfr. C. Cost. 26.5.2005, ordinanza n. 213, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 4/2007) -, e che la Corte delle Leggi ne ha nuovamente escluso, con la citata sentenza n° 6/2018, l’illegittimità costituzionale.
Peraltro, il Collegio ritiene che nemmeno possa fondatamente sostenersi, come fa invece a ricorrente nei propri scritti difensivi, che il giudice nazionale possa applicare direttamente le norme della C.E.D.U. così come interpretate dal Giudice di Strasburgo, nonostante l’esistenza di norme interne di segno contrario, in forza della costituzionalizzazione del principio del rispetto degli “obblighi internazionali”, disposta dall’art.117, comma 1, Costituzione, e della “particolare forza di resistenza” da riconoscere alle norme convenzionali (e a quelle della C.E.D.U. in particolare) rispetto alla legislazione nazionale sopravvenuta.
A tale ultimo riguardo, e preso atto di quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n° 6/2018, codesto T.A.R. si limita a richiamare la condivisibile giurisprudenza che evidenzia come sia inibito al giudice nazionale (ordinario o amministrativo) disapplicare la norma interna per contrasto con la C.E.D.U., sul presupposto che, ove “si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della Convenzione europea, il giudice nazionale comune deve procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale, fino a dove ciò sia consentito dal testo delle disposizioni a confronto e avvalendosi di tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica. Solo quando ritiene che non sia possibile comporre il contrasto in via interpretativa, il giudice comune, il quale non può procedere all’applicazione della norma della CEDU (a differenza di quella comunitaria provvista di effetto diretto) in luogo di quella interna contrastante, tanto meno fare applicazione di una norma interna che egli stesso abbia ritenuto in contrasto con la CEDU, e pertanto con la Costituzione, deve sollevare la questione di costituzionalità” (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, ordinanza del 4 marzo 2015 n° 2).
Conclusivamente, per le ragioni sopra sinteticamente illustrate, lo spiegato ricorso va dichiarato inammissibile per l’intervenuta decadenza della proposta azione, mentre sussistono i presupposti di legge, in considerazione della complessità e di taluni profili di assoluta novità dell’oggetto del giudizio, per dichiarare integralmente compensate tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Primo Referendario, Estensore

​Pubblicato il 18/06/2018