TAR Lazio, Roma, Sez. I, 22 giugno 2018, n. 7000

Data Documento: 2018-06-22
Area: Giurisprudenza
Contenuto sentenza

N. 07000/2018 REG.PROV.COLL.
N. 05090/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5090 del 2017, proposto da 
Università Dunarea De Jos e Fondo Proserpina S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], elettivamente domiciliate in Roma, viale Gorizia n. 14, presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]; 
contro
Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
del provvedimento adottato all’esito dell’adunanza del 1° marzo 2017 notificato via PEC il 17 maggio 2017 conclusivo del procedimento promosso su iniziativa del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, e di ogni altro atto precedente, presupposto, successivo e comunque connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 giugno 2018 la dott.ssa [#OMISSIS#] Cicchese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Sulla base di una segnalazione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR), pervenuta nel corso del 2015, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito, “AGCM” o anche “Autorità”) comunicava alla Fondazione Proserpina l’avvio di un procedimento istruttorio (PS10212) avente ad oggetto presunte pratiche commerciali scorrette da essa poste in essere ed integranti la violazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo.
In tale sede l’Autorità prospettava la possibile ingannevolezza del messaggio diffuso via internet che, nel segnalare l’apertura ad Enna, da parte dell’Università rumena Dunarea de Jos, di un’estensione universitaria della propria facoltà di medicina e farmacia e l’avvio di due corsi di laurea in area medico-sanitaria, aveva affermato, senza alcuna riserva, che il titolo conseguito alla fine dei corsi avrebbe avuto valore in tutti i paesi dell’Unione Europea, senza necessità di ulteriori validazioni.
Nel corso dell’istruttoria veniva ravvisata la necessità di procedere all’estensione oggettiva del procedimento, in relazione a quanto affermato sul sito internet www.fproserpina.it in merito al contenuto di un ordinanza emessa dal Tribunale di Caltanissetta il 22 giugno 2016, e all’estensione soggettiva del medesimo nei confronti della Università Dunarea de Jos.
All’esito dei un lungo e complesso procedimento istruttorio, veniva adottato il provvedimento impugnato, con il quale l’Autorità riteneva la sussistenza delle pratiche commerciali scorrette contestate e irrogava a ciascuna società la sanzione amministrativa di € 5.000 (cinquemila).
In particolare, osserva l’Autorità, come “Il messaggio […] afferma in modo categorico e senza riserva alcuna che il diploma di laurea conseguito avrebbe valore in tutti i paesi dell’Unione Europea senza necessità di ulteriori validazioni, lasciando ragionevolmente intendere che lo stesso sia del tutto assimilabile all’omologo titolo rilasciato da un ateneo italiano. Secondo la normativa di settore, invece, il titolo rilasciato da una Università straniera, lungi dall’essere sic et simpliciter valido in Italia come evocato dal messaggio, è soggetto ad una procedura amministrativa per il suo riconoscimento quantomeno ai fini dell’esercizio di una professione sanitaria in Italia (in questo caso, infatti, l’autorità italiana competente può subordinare il riconoscimento a una misura integrativa come un esame attitudinale o un tirocinio di adattamento). In conclusione, i titoli accademici esteri, anche se validamente rilasciati, possono essere ammessi alla procedura di riconoscimento, non automatico ma deciso caso per caso, che rimane comunque necessaria ai fini dell’acquisizione di autonoma validità in Italia e della spendibilità del titolo stesso nell’ordinamento italiano (in tal senso, l’art. 170 del r.d. 1592 del 1933 e la procedura prevista dal citato decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 in tema di riconoscimento delle qualifiche professionali, di recepimento della direttiva 2005/36/CE)”.
Il provvedimento è stato impugnato dall’Università Dunarea De Jos e dal Fondo Proserpina S.r.l., che ne hanno sostenuto l’illegittimità per i seguenti motivi:
Violazione di legge ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, oltre che per contraddittorietà e manifesta illogicità ed ingiustizia, violazione del principio del contraddittorio, oltre che carenza di motivazione sull’aspetto più rilevante sul quale esso si fonda
L’Autorità avrebbe errato nel ritenere l’ingannevolezza del messaggio, peraltro ravvisata, nel provvedimento finale, sotto profili più ampi di quelli prospettati dal Miur nella sua denuncia ovvero contestati dall’AGCM in corso di procedimento.
In tal modo sarebbero state compromesse le garanzie partecipative riservate ai destinatari dell’atto.
La diffusione di notizie riguardanti la fruizione di un insegnamento, poi, non sarebbe in alcun modo assimilabile alla vendita di un bene materiale, unica fattispecie a cui si applicherebbero, a giudizio delle ricorrenti, le norme in materia di pratiche commerciali.
Il messaggio diffuso, inoltre, era perfettamente comprensibile da parte dei destinatari dello stesso (studenti in possesso del diploma di maturità o genitori degli stessi), ben consapevoli delle problematiche connesse al riconoscimento in Italia di titoli di studio rilasciati all’estero.
Il riconoscimento reciproco ed automatico dei titoli di studio universitari esteri rilasciati da università di altri Stati membri dell’Unione Europea, in ogni caso, sarebbe stato affermato con la direttiva n. 36/2005.
La legittimità dei messaggi, del resto, sarebbe già stata ritenuta dal giudice civile (Tribunale di Caltanissetta) al quale il Miur si era rivolto per ottenere una pronuncia cautelare.
Il provvedimento, infine, presenterebbe una motivazione carente, oltre che in contraddizione con quanto ritenuto dal giudice civile nelle decisioni sopra richiamate.
Si è costituita l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, pure costituito in giudizio, ha chiesto una declaratoria di carenza di legittimazione passiva.
Alla camera di consiglio del 5 luglio 2017 l’istanza di sospensione del provvedimento è stata respinta.
Alla pubblica udienza del 6 giugno 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
In via preliminare deve essere disposta, come richiesto dalla difesa erariale, l’estromissione del Miur per difetto di legittimazione passiva, non avendo lo stesso emanato atti amministrativi gravati nel presente ricorso.
Nel merito il ricorso è infondato.
Il provvedimento impugnato ha ritenuto la ricorrenza di una pratica commerciale scorretta posta in essere da entrambe le ricorrenti.
In particolare, quanto alla fondazione Proserpina, la pratica commerciale è consistita nella diffusione, sui suoi siti internet, di un messaggio pubblicitario con il quale si promuovevano due corsi di laurea in ambito medico – sanitario, prospettando la possibilità di conseguire titoli che avevano valore in tutti i paesi dell’Unione Europea senza necessità di ulteriori validazioni, nonché nella diffusione di ulteriori informazioni in ordine ai contenuti dell’ordinanza del tribunale di Caltanissetta secondo cui tale giudice avrebbe legittimato la prosecuzione dell’attività didattica relativa ai corsi di laurea in questione.
L’ingannevolezza avrebbe, in generale, riguardato la prospettata automatica validità dei titoli, profilo ulteriormente enfatizzato, in alcuni messaggi, mediante il richiamo incompleto e suggestivo ad una ordinanza del Tribunale di Caltanissetta che aveva negato la tutela cautelare chiesta dal Miur, sebbene il provvedimento, pronunciato in sede di reclamo avverso una decisione monocratica, avesse ritenuto sussistente il fumus [#OMISSIS#] juris e negato la concessione della misura invocata solo in ragione della carenza del periculum in mora.
Quanto invece alla Università Dunarea de Jos la stessa avrebbe diffuso materiale pubblicitario cartaceo sui corsi in laurea in questione, riportante contenuti sostanzialmente analoghi a quelli pubblicizzati sul sito internet del Fondo Proserpina.
Il provvedimento, richiamato quanto segnalato dal Miur in ordine alla necessità di una previa autorizzazione ministeriale in assenza della quale i titoli non avrebbero valore legale né a fini accademici né professionali, ravvisa dunque l’ingannevolezza del messaggio, ai sensi degli art. 20, 21 e 22 del codice del consumo, nella misura in cui comunica una serie di elementi di fatto non veritieri e omette informazioni rilevanti.
In via preliminare appare opportuno precisare come sia estranea al presente giudizio la questione concernente la legittimità o meno dello svolgimento dei corsi di laurea oggetto della pratica commerciale scorretta, avendo il provvedimento gravato avuto ad oggetto la sola decettività dei messaggi pubblicitari diffusi dalle ricorrenti nella parte in cui non specificavano la necessità di un procedimento amministrativo volto a consentire che i titoli rilasciati fossero riconosciuti in Italia.
L’omessa menzione di tale profilo nei claims diffusi su internet o a mezzo di materiale cartaceo non è, in sostanza, contestata dalle ricorrenti.
Che la procedura di riconoscimento, anche a mezzo di superamento di una misura integrativa, fosse invece necessaria può dirsi, dunque, conclusione non controversa, sulla cui correttezza si è pronunciato pure il Tribunale di Caltanissetta, il quale, adito in sede di reclamo avverso il provvedimento monocratico che aveva respinto la domanda cautelare per difetto dei requisiti del fumus [#OMISSIS#] juris e del periculum in mora, ha respinto il reclamo e confermato la non concedibilità della tutela cautelare solo in ragione dell’assenza di profili di irreversibilità e irreparabilità del pregiudizio lamentato dal Miur, ferma la condivisibilità della ricostruzione in diritto proposta dal Ministero (cfr. copia dell’ordinanza depositata in atti sia dalle ricorrenti che dall’Autorità).
Ne deriva che, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, l’Autorità ha legittimamente ritenuto l’ingannevolezza di messaggi pubblicitari diffusi, i quali non davano adeguatamente conto della circostanza per cui, in assenza di riconoscimento, il titolo di studio universitario conseguibile all’esito della frequenza dei corsi della Università rumena Dunarea de Jos non presentava alcun autonomo valore legale in Italia (cfr. in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile, Consiglio di Stato sez. VI, 24 novembre 2015, n. 5318).
La prospettazione di parte va pure respinta nella parte in cui essa ha lamentato la non coincidenza tra la condotta segnalata dal Miur e contestata in sede procedimentale e la condotta in seguito sanzionata a mezzo del provvedimento gravato.
E infatti, quanto al contenuto della segnalazione da cui ha tratto origine il procedimento, deve rilevarsi come, nel provvedimento sanzionatorio in materia di pratiche commerciali scorrette, la produzione di esposti e segnalazioni all’A.G.C.M. ha valore di atto finalizzato a sollecitare l’esercizio dei poteri di controllo e vigilanza devoluti alla competenza dell’Autorità; sulla base di tali atti d’impulso, poi, l’amministrazione procede d’ufficio, non rimanendo condizionata, quanto ai limiti e all’oggetto del provvedere, dalla prospettazione ed elementi introdotti dal segnalante (cfr. Tar Lazio Roma, sez. I, 3 settembre 2014, n. 9314, Consiglio di Stato, sez. VI, 27 ottobre 2011, n. 5785).
Quanto alle contestazioni comunicate in sede procedimentale, poi, deve rilevarsi, in fatto, come sia nella comunicazione di avvio inviata alla Fondazione Proserpina che nelle successive comunicazioni di integrazione oggettiva e soggettiva del procedimento, le condotte contestate sono descritte in maniera estremamente puntuale, tale per cui si comprende chiaramente come l’ingannevolezza era stata ravvisata nella prospettazione del conseguimento di un titolo automaticamente valido in tutti i Paesi dell’Unione (cfr. allegati 2, 4 e 5 della produzione versata in atti dalla difesa erariale, con particolare riferimento ai punti 3, 4, 5, 8 e 9 della comunicazione di avvio, al punto II, secondo e terzo capoverso, dell’estensione oggettiva – riferito alla parziale e strumentale menzione del contenuto dell’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta- e ai punti I e II della comunicazione di estensione soggettiva).
Con riferimento al medesimo profilo, va pure richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, sebbene le disposizioni normative e regolamentari impongono “senz’altro all’Autorità di indicare con la massima precisione possibile l’oggetto del procedimento fin dalla comunicazione di avvio dell’istruttoria, ma non è pensabile che in tale fase iniziale del procedimento l’Autorità disponga di ogni utile elemento per specificare ogni dettaglio oggettuale della propria indagine, che evidentemente si arricchirà di nuovi elementi soltanto nel corso dell’istruttoria e anche grazie agli apporti partecipativi dei soggetti interessati” (così, Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2011, n. 3511).
L’eventuale maggior diffusione o specificità dell’oggetto del procedimento sanzionatorio rispetto a quello indicato in sede di comunicazione di avvio, di conseguenza, non si riverbera sulla validità del provvedimento finale, tanto più che i ricorrenti non hanno individuato specifici profili nei quali si sarebbe concretizzata la pure lamentata violazione delle garanzie partecipative.
La ricostruzione di parte non può essere seguita neppure laddove prospetta una particolare competenza dei destinatari del messaggio (studenti dell’ultimo anno del ciclo di istruzione superiore o genitori dei medesimi), i quali, dovrebbero, secondo i ricorrenti, essere esperti delle problematiche connesse al riconoscimento in Italia di titoli di studio rilasciati all’estero.
In proposito, premesso il fatto che tale approfondita competenza risulta affermata in ricorso in modo assolutamente apodittico e indimostrato – peraltro assolutamente non verosimile, in considerazione del notevole tecnicismo che connota la materia – va poi considerato come, per constante giurisprudenza, la funzione delle norme in materia di pubblicità ingannevole non è solo quella di assicurare una reazione alle lesioni arrecate dalla detta forma di pubblicità agli interessi del consumatore, bensì quella, collocata su un più avanzato fronte di prevenzione, di evitare effetti dannosi anche soltanto ipotetici di una pratica commerciale.
La giurisprudenza ha, conseguentemente, escluso “la necessità…che rispetto ad un dato comunicato venga accertata la condizione soggettiva media di intelligenza del consumatore” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 29 novembre 2014, n. 11995; nel senso che la tutela apprestata dalle norme sulla pubblicità ingannevole non si commisura alla posizione degli acquirenti dotati di specifica competenza, avvedutezza e di particolari cognizioni merceologiche, ma a quella degli acquirenti di media accortezza o alla generalità dei consumatori, cfr. pure T.A.R. Lazio, Roma, 3 luglio 2012, n. 6026).
Assolutamente non condivisibile, da ultimo, appare la argomentazione secondo cui la pubblicità concernente la fruizione di un insegnamento, in quanto non riferita ad un bene materiale, sarebbe estranea alla tutela dettata dal codice del consumo.
La fattispecie rientra infatti perfettamente nella previsione dell’art. 18, comma 1, lettere da a) a d), del d.lgs. 206/2005, a norma del quale, “si intende per: a) “consumatore”: qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale; b) “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista; c) “prodotto”: qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni; d) “pratiche commerciali tra professionisti e consumatori” (di seguito denominate: “pratiche commerciali”): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori; …”.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
dispone l’estromissione dal giudizio del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;
respinge il ricorso;
condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 3.000,00 in favore dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato ed € 1.000,00 in favore del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2018 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Volpe, Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] Cicchese, Consigliere, Estensore

Pubblicato il 22/06/2018