[X] Il dovere di versamento dei compensi ricevuti previsto dall’art. 53, comma 7, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, tale da legittimare l’adozione di un provvedimento da parte dell’amministrazione universitaria di appartenenza con cui si dispone il recupero delle somme dovute tramite ritenute stipendiali, costituisce una figura distinta rispetto alla responsabilità erariale disciplinata dal successivo comma 7-bis. Infatti, è solo l’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore (cioè la condotta logicamente e cronologicamente distinta e successiva rispetto alla trasgressione e alla quantificazione del profitto conseguito) che testualmente costituisce, ai sensi del suddetto comma 7-bis, “ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”, operando non in sede sanzionatoria, bensì in sede risarcitoria, e con riferimento non già ad una condotta commissiva, bensì ad una (diversa e successiva) condotta omissiva del dipendente, da valutare alla stregua dei presupposti tipici della responsabilità amministrativa (danno; colpa o dolo; nesso di causalità). Il credito fatto valere dall’amministrazione universitaria con l’intimazione di pagamento e con le successive trattenute sorge ai sensi dell’art. 53, comma 7, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in virtù del mero svolgimento, da parte del docente, di attività extra-lavorative non autorizzate, atteso che il diritto dell’amministrazione a riscuotere, ai sensi di tale disposizione di legge, una somma pari ai profitti conseguiti dal dipendente, da acquisire al proprio bilancio con destinazione vincolata, non presuppone la sussistenza di un “danno” a carico dell’amministrazione, ma deriva dalla mera antigiuridicità della condotta (commissiva) posta in essere dal dipendente, sanzionata in misura predeterminata dal legislatore. L’actio negatoria dei presupposti della responsabilità erariale è ammissibile nelle ipotesi in cui a carico dell’istante sia stato elevato, in sede amministrativa, addebito per danni o siano state mosse intimazioni di pagamento da parte dell’amministrazione, o quando la responsabilità dello stesso, nei suoi riflessi patrimoniali, sia stata accertata in sede giurisdizionale, pur se in un processo diverso da quello contabile. La verifica della legittimità del provvedimento disciplinare adottato dall’Amministrazione, da rendersi sulla base dei distinti presupposti e criteri che regolano l’esercizio del potere disciplinare, in nulla può rivestire quel carattere pregiudiziale di necessario antecedente, quale richiesto dall’art.106 d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, per la sospensione del giudizio di responsabilità amministrativa che non tiene in considerazione gli atti in quanto tali, nei loro profili di legittimità/illegittimità, ma solo in quanto elementi idonei a formare il quadro fattuale in cui si colloca la fattispecie di responsabilità amministrativa da esaminare. Al fine di individuare esattamente il dies a quo da cui far decorrere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno è necessario considerare quanto in proposito declinato dall’art. 2935 c.c., ovvero che “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”. Pertanto, il dies a quo della prescrizione va collocato non già alla data dello svolgimento delle prestazioni non autorizzate o della percezione del relativo compenso, bensì a quella, successiva, in cui l’amministrazione ha potuto disporre degli elementi necessari e sufficienti per poter procedere nei confronti del proprio dipendente. Con riferimento all’individuazione della data di esordio del termine prescrizionale è ravvisabile, comunque, una forma di occultamento doloso, posto in essere dal docente – nei termini chiariti dalla giurisprudenza che richiede non il mero silenzio, ma l’ulteriore condotta volta ad impedire la conoscenza del fatto e/o a prevenire il suo disvelamento – sia nei confronti della propria amministrazione universitaria di appartenenza – alla quale ha dichiarato di operare in regime di tempo pieno, fuorviando la conoscenza delle attività incompatibili o soggette ad autorizzazione nel frattempo dal medesimo espletate all’esterno – sia nella dichiarazione resa, in favore dei propri committenti privati, di non essere in rapporto di dipendenza con strutture sanitarie pubbliche e, pertanto, in situazione di incompatibilità a svolgere la propria attività di lavoro autonomo presso quella struttura. L’art. 53 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, dopo aver elencato al comma 6, in via tassativa, i soggetti e le tipologie di incarichi sottratti al generale regime autorizzatorio di cui ai successivi commi dal 7 al 13, dispone, al comma 7, in modo esplicito ed inequivoco, il divieto per i dipendenti pubblici di svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza e, per i professori universitari a tempo pieno, rimette agli statuti o ai regolamenti degli atenei la disciplina dei “criteri e delle procedure per il rilascio dell’autorizzazione” nei casi previsti dal decreto stesso, circoscrivendo in tal modo l’ambito dell’autonomia regolamentare che, in ogni caso, non potrebbe innovare il quadro normativo appena richiamato, ammettendo ipotesi ulteriori e diverse rispetto a quelle previste dal legislatore. Ai fini della responsabilità erariale ex art. 53, comma 7-bis, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 è irrilevante la conoscenza, da parte dei vertici dell’Ateneo, delle attività esterne svolte dal docente. Infatti, quand’anche tale conoscenza fosse provata, avrebbe dovuto in ogni caso tradursi in una formale autorizzazione scritta ed espressa, secondo il normale atteggiarsi dei rapporti tra amministrazione pubblica e propri dipendenti, basata su formali comunicazioni scritte, imposte dalla vigente normativa legislativa e contrattuale.
Quanto alla sussistenza e alla quantificazione del danno, la condotta del docente che accetti, senza autorizzazione, incarichi extra officio integra una violazione del principio costituzionale di esclusività della prestazione lavorativa a favore del datore pubblico (art. 98 Cost.), dettato per preservare le energie del lavoratore e per tutelare il buon andamento della pubblica amministrazione. Quando tale principio risulti compromesso dall’espletamento di attività caratterizzata da centri di interesse alternativi, atti a turbare la regolarità del servizio o attenuare l’indipendenza del lavoratore pubblico ed il prestigio della pubblica amministrazione si configura un danno patrimonialmente ai danni dell’amministrazione, quantitativamente definito dal legislatore in misura pari all’ammontare dei compensi effettivamente percepiti dal dipendente per le prestazioni svolte e non versate in favore dell’amministrazione di appartenenza. Circa il computo della somma dovuta quale risarcimento del danno erariale cagionato con lo svolgimento di attività extra officio incompatibili, l’interpretazione dell’art. 53, comma 7, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 deve essere nel senso che la somma da recuperare sia da computare al netto delle ritenute d’acconto, e, comunque, nell’importo effettivamente entrato nella sfera patrimoniale del dipendente.
Corte dei conti reg., Lombardia, 29 settembre 2017, n. 140
Professori a tempo pieno – Incompatibilità – Actio negatoria dei presupposti della responsabilità erariale – Rapporti procedimento disciplinare e giudizio di responsabilità – Prescrizione – Quantificazione del risarcimento
REPUBBLICA ITALIANA SENT.N. 140/2017
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA
Composta dai Magistrati:
Silvano Di Salvo Presidente
[#OMISSIS#] Tenore Componente [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Componente relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 28791 del registro di segreteria, instaurato sul ricorso prodotto ex art.172 del Codice di giustizia contabile, D.lgs. 26 agosto 2016, n.174, dal prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], C.F. FFRPQL51B22H834Z, residente in Milano, alla Piazza [#OMISSIS#] n. 1, ed elettivamente domiciliato presso lo studio degli Avv.ti [#OMISSIS#] Bellocchio e [#OMISSIS#] Cappellini, in Milano, Via Marina n. 6, che lo assistono e difendono nel presente giudizio in virtù di procura in calce al suddetto ricorso, proposto contro:
– l’ Università degli Studi di Milano, in persona del Rettore pro tempore, rappresentato e domiciliato ex lege presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato;
– la Procura regionale della Corte dei conti – Sezione giurisdizionale dalla Lombardia, in persona del Procuratore regionale in carica, domiciliato presso la sede della Procura Regionale medesima;
VISTO il d.lgs. 26 agosto 2016, n.174;
VISTO l’atto introduttivo del giudizio;
LETTI gli atti e i documenti di causa;
UDITI, nella pubblica udienza del giorno 21 giugno 2017 il magistrato relatore [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], l’Avv. [#OMISSIS#] Bellocchio per il ricorrente, l’Avv. [#OMISSIS#] Vignoli per l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano in difesa dell’ Università degli Studi di Milano, il Sostituto Procuratore Generale [#OMISSIS#] Scarpa per la Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale della Corte dei conti;
Ritenuto in
FATTO
Con ricorso presentato ai sensi dell’art. 172, comma 2, lettera b) del D.lgs. 174/2016, il prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ha adìto questa Corte dei conti contro l’ Università degli Studi di Milano, in persona del Rettore pro tempore, e contro la Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale, avverso l’atto dell’ Università degli Studi di Milano, prot. ris. 0017881/17 del 21/03/2017, con cui è stata disposta ed allo stesso comunicata la ritenuta pari al quinto dello stipendio a causa dell’asserita violazione dell’art. 53 del D.Lgs. 30.3.2001 n. 165, nonché per la dichiarazione dell’insussistenza dei presupposti di dette ritenute, previo accertamento dell’insussistenza del danno erariale e della responsabilità amministrativa al medesimo docente ascritti per un importo complessivo di € 141.794,59.
Nello specifico, è stato contestato al Prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], ordinario presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’ Università degli Studi di Milano, di aver svolto, nel periodo dal 2005 al 2010, contestualmente alla prestazione di attività accademica “a tempo pieno”, attività libero-professionali, incompatibili con il regime di lavoro prescelto, nonché attività di consulenza e collaborazione scientifica in favore di enti ed istituti pubblici e privati, in assenza della preventiva autorizzazione del proprio Ateneo.
Tale contestazione è stata mossa a seguito della trasmissione, da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, al Rettore dell’ Università di Milano, della relazione della Guardia di finanza di Lecco, datata 3 agosto 2015 nella quale, nell’ambito di un’operazione finalizzata alla repressione dei fenomeni corruttivi, erano state individuate a carico del prof. [#OMISSIS#] undici fattispecie di violazioni del disposto di cui all’art.53, comma 7, D.lgs. n.165/2001.
L’ Università aveva proceduto, quindi, ai sensi dell’art. 10 della L. n. 240/2010 e dell’art. 33 dello Statuto di Ateneo, ad avviare un procedimento disciplinare caratterizzato da articolata istruttoria e condotto in contraddittorio con l’interessato, all’esito del quale il Collegio di Disciplina aveva ritenuto che sette degli undici incarichi segnalati dalla Guardia di Finanza fossero riconducibili ad attività di carattere formativo e divulgativo e, pertanto, “attività compatibili, non soggette ad autorizzazione” mentre rimanevano confermate le seguenti violazioni:
1) incarico di componente del Nucleo di valutazione presso l’Azienda Ospedaliera Istituto Ortopedico [#OMISSIS#] Pini (dal 2005 al 2008), espletato senza la prescritta autorizzazione;
2) attività svolta presso la Fondazione Betania (negli anni 2007 e 2008) da configurarsi, in assenza della documentazione relativa al conferimento di incarico, come attività libero-professionale, vietata ai docenti a tempo pieno, oppure come attività di consulenza tecnico scientifica soggetta ad autorizzazione, mai richiesta dall’interessato;
3) attività libero-professionali rese in favore di Istituto Clinico Città Studi S.p.A., vietate ai docenti a tempo pieno;
4) attività libero-professionali rese in favore di G.B. Mangioni Hospital S.p.A., vietate ai docenti a tempo pieno.
Conclusivamente l’Organo di disciplina dell’Ateneo valutava le condotte del docente idonee ad integrare la fattispecie di cui alla lettera b) dell’art. 89 del R.D. 1592/1933, relativa all'”abituale mancanza ai doveri di ufficio» e formulava proposta di irrogazione della sanzione della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per un mese, successivamente comminata dal Consiglio di Amministrazione dell’ Università , con delibera del 31 marzo 2016 e comunicata al Prof. [#OMISSIS#] in data 20.4.2016.
Contestualmente all’avvio del procedimento disciplinare, l’ Università oggi resistente, con nota prot. 28369 del 6.11.2015 diffidava il docente al pagamento delle somme indebitamente percepite a titolo di compensi per i complessivi undici incarichi inizialmente contestati e, successivamente, a conclusione del procedimento disciplinare, rideterminava quanto dovuto dal docente nell’importo di euro 141.794.59, quale somma dei compensi indebitamente percepiti per gli incarichi sanzionati, per la rifusione del quale l’Ateneo formulava nuova
diffida con nota prot. 19752 del 10.6.2016.
A seguito di richiesta dell’interessato, datata 13.7.2016, di non procedere ad ingiunzioni prima che la magistratura contabile assumesse le proprie determinazioni, l’ Università chiedeva un parere alla Procura Regionale presso questa Sezione, in ordine all’ipotesi di sospensione del recupero del credito sino alla definizione del procedimento di responsabilità erariale.
Al predetto quesito l’Ufficio rispondeva con nota del 25.8.2016, in cui evidenziava l’autonomia dei due procedimenti e l’obbligo dell’Amministrazione di procedere al recupero del credito.
Seguiva una proposta dell’Ateneo di rateizzazione dell’importo dovuto, ed, in assenza di ogni riscontro da parte del docente, la successiva nota prot. 17881 del 21.3.2017 con la quale l’Amministrazione comunicava al prof. [#OMISSIS#] l’applicazione, in sede di recupero del credito in argomento, della trattenuta di 1/5 dello stipendio.
Nel ricorso introduttivo del presente giudizio, il prof. [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dagli avv. [#OMISSIS#] Bellocchio, [#OMISSIS#] Sabbioni ed [#OMISSIS#] Cappellini ha escluso, in via preliminare, il presupposto del preteso recupero ed ha contestato, con riguardo a ciascuno dei summenzionati quattro incarichi, la sussistenza di una responsabilità erariale.
Circa l’attività svolta per l’Azienda Ospedaliera – Istituto Ortopedico [#OMISSIS#] Pini, il docente, nominato membro del Nucleo di Valutazione nei bienni 2005-2006 e 2007-2008, si sarebbe limitato a partecipare alle riunioni del Nucleo (una volta ogni 2/3 mesi) senza che detto incarico avesse mai pregiudicato l’attività didattica e di ricerca contestualmente svolta per l’Ateneo.
Rileva, altresì, l’interessato, che detta attività, soggetta ad autorizzazione ai sensi dell’art.6 del Regolamento vigente all’epoca dei fatti, emanato con decreto del Rettore n. 5590 del 1999 (doc.16 di parte ricorrente) risulterebbe, invece, liberamente esercitabile, anche da parte di professori a tempo pieno e senza necessità di alcuna autorizzazione, ai sensi dell’art.4 del Regolamento universitario attualmente vigente (doc.15 di parte ricorrente) adottato con decreto del Rettore n. 14013 in data 7.2.2012.
Peraltro, evidenzia ancora l’istante la non inequivocità della precedente disciplina – che sembrerebbe porre l’obbligo della richiesta di autorizzazione a carico del soggetto, pubblico o privato, committente e non del docente – nonché l’esistenza, negli anni in questione, di “rapporti di collaborazione vigenti tra le due Istituzioni”, adeguatamente valutati nell’ambito del procedimento disciplinare, che farebbero venir meno, nel presente giudizio, l’elemento psicologico della colpa grave o del dolo.
Viene affermata, inoltre, l’intervenuta prescrizione della pretesa risarcitoria dell’Amministrazione, per il decorso di cinque anni dal compimento dei fatti, dovendosi escludere, nel caso di specie, ogni forma di “occultamento doloso”.
Circa il quantum, parte ricorrente contesta che la somma da recuperare
sia da computarsi al lordo delle imposte e ritenute versate sui compensi percepiti e conclude chiedendo, in subordine, la rideterminazione di quanto eventualmente dovuto al netto della tassazione, per un importo di € 13.265,38 anziché di € 21.000,00.
Analoghe argomentazioni sono esposte per l’attività svolta, negli anni 2007 e 2008, dal [#OMISSIS#] presso la Fondazione Betania Onlus.
Si tratterebbe di attività di docenza, formazione e ricerca scientifica, pertanto “libera” nello svolgimento senza necessità di autorizzazione preventiva, ovvero – qualora si ritenesse di inquadrarla nella (diversa) categoria della “collaborazione scientifica” e/o della “consulenza” – da assoggettare alla più favorevole disciplina dettata dall’attuale Regolamento universitario che esclude la necessità di un’autorizzazione.
Anche per tale ipotesi l’istante oppone la piena conoscenza, da parte dell’Ateneo, delle attività dal medesimo svolte presso detta struttura, in ragione della convenzione che legava i due enti e che vedeva il nominato docente nella qualità di responsabile del rapporto di collaborazione.
Tale circostanza attesterebbe la buona fede dello stesso esponente, peraltro indotto, da quanto accaduto in passato, a ritenere a carico del committente l’obbligo di chiedere l’eventuale autorizzazione.
Anche per l’attività svolta presso la Fondazione Betania sono offerte considerazioni analoghe all’incarico sopra richiamato, sia con riguardo al profilo della prescrizione che del quantum dell’importo richiesto, reputato da calcolarsi al netto e non al lordo delle imposte versate, dunque, con conseguente rideterminazione della somma dovuta in ragione del compenso in euro € 39.899,00 anziché in quella contestata
di euro 65.000,00.
Relativamente all’attività svolta per la struttura G.B. Mangioni Hospital, parte istante afferma trattarsi di attività riconducibile alla categoria della “collaborazione scientifica” e/o della “consulenza”, con le annesse considerazioni in punto di prevalenza della nuova più favorevole disciplina, della buona fede nel ritenersi non dovuta la richiesta di autorizzazione, dell’esistenza di un rapporto di collaborazione scientifica tra l’ Università e la Fondazione Sansavini (Fondazione del Gruppo di appartenenza della G.B. Mangioni) che dimostrerebbe la conoscenza, se non il sostanziale avallo, da parte dei vertici accademici, dello svolgimento degli incarichi contestati e che escluderebbe il presunto “danno” causato all’Amministrazione di appartenenza nonché il carattere doloso e/o di colpa grave della condotta del docente.
Anche per tale incarico sono formulate analoghe considerazioni in punto di prescrizione e di definizione del quantum, reputato da rideterminarsi, al netto delle imposte versate, nell’importo di € 14.904,00 in luogo della contestata somma di € 22.500,00.
In ultimo, circa l’attività svolta per l’Istituto Clinico Città Studi S.p.A. dall’1.6.2010 al 31.12.2010, l’istante, richiamate tutte le argomentazioni appena esposte, oppone anche in questo caso la prescrizione – da ritenersi intervenuta a fronte dei primi atti di diffida e messa in mora risalenti al 2016 e dell’inefficacia in tal senso delle precedenti missive del 2015 – e ne contesta il quantum, che reputa doversi rideterminare, al netto delle imposte, nella minore somma di
€ 20.650,27 in luogo di € 33.294,59.
Infine, la difesa del prof. [#OMISSIS#] chiede al Collegio l’esercizio del potere riduttivo, in ragione dell’alto profilo ricoperto dal docente nel campo della didattica e della ricerca e di un principio di equità e ragionevolezza, alla luce dell’attuale disciplina legislativa e regolamentare universitaria che nessuna autorizzazione chiederebbe per gli incarichi oggi contestati.
Con memoria depositata il 1° giugno 2017, si è costituita l’ Università di Milano, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato.
La difesa erariale ha rilevato, anzitutto, la stretta connessione tra il presente contenzioso e quello già pendente avanti al TAR Lombardia di Milano (R.G. n. 1409/2016) instaurato dal prof. [#OMISSIS#] avverso il provvedimento disciplinare irrogato nei suoi confronti con delibera del Consiglio di Amministrazione del 31.3.2016.
Pertanto – ritiene l’Avvocatura – rinvenendo l’accertamento richiesto a questa Corte il suo presupposto logico nella verifica della legittimità del provvedimento disciplinare, ricorrerebbero le condizioni per la sospensione del processo ai sensi dell’art. 106, comma 1, del D.Lgs. n. 174/2016.
In ogni caso, con riferimento ai motivi di doglianza esposti nel ricorso, l’Avvocatura distrettuale dello Stato evidenzia la legittimità e doverosità della condotta tenuta dall’Amministrazione alla luce del quadro normativo di riferimento, riconducibile all’art. 53, comma 7, D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 ed al regolamento di Ateneo, emanato con Decreto del Rettore n. 5590 del 1999 e vigente all’epoca dei fatti oggetto del
presente giudizio.
Con specifico riferimento ai singoli incarichi svolti, la difesa erariale, confutando le argomentazioni dell’istante, ne evidenzia la natura libero-professionale che ne imporrebbero il divieto, nonché, in ogni caso, le caratteristiche distinte ed esorbitanti l’ambito delle convenzioni intercorse tra gli Istituti committenti e l’ Università , invocate dal ricorrente a giustificare la mancata richiesta di autorizzazione.
Circa il soggetto sul quale l’onere di tale richiesta incomberebbe, l’Avvocatura richiama [#OMISSIS#] giurisprudenza volta ad affermare, ove i soggetti che intendano conferire l’incarico non vi provvedano, l’obbligo del dipendente pubblico di attivarsi in tal senso.
La difesa erariale si oppone, inoltre, con molteplici argomentazioni, allo scomputo, dai compensi percepiti dal docente e dovuti all’ Università delle imposte pagate.
Infine, quanto alla sollevata eccezione di prescrizione, ravvisato nel caso di specie un occultamento doloso posto in essere dal docente – responsabile non di una mera condotta omissiva ma anche di un’attività commissiva, consistente nel rilascio, agli enti conferenti gli incarichi, di una (non veritiera) dichiarazione di assenza di cause di incompatibilità – l’Avvocatura afferma l’idoneità della diffida formalizzata dall’Ateneo, con nota prot. 28369 del 6.11.2015, a costituire formalmente in mora il docente e, dunque, ad interrompere i termini della prescrizione. In conclusione, la difesa erariale chiede, previa sospensione del giudizio in attesa della definizione del processo dinanzi al giudice amministrativo, il rigetto delle domande avversarie,
con vittoria delle spese di lite.
All’udienza del 21 giugno 2017, udita la relazione del Magistrato designato, le parti hanno concluso come da verbale a sostegno e conferma delle rispettive posizioni.
Il Pubblico Ministero, intervenuto oralmente all’udienza, ha concluso chiedendo al Collegio, in via preliminare, il rigetto dell’istanza di sospensione formulata dall’Avvocatura distrettuale dello Stato; nel merito, il rigetto della domanda di accertamento negativo proposta dal prof. [#OMISSIS#] a carico del quale ha ritenuto sussistere, invece, tutti i presupposti per l’affermazione della responsabilità amministrativa, ai sensi dell’art.53, comma 7-bis, D.lgs. n.165/2001 cit.
Considerato in
DIRITTO
Il ricorso introduttivo, in epigrafe rubricato “ex art.172, co.1, lettera b) del d.lgs. 174/2016“, è proposto dal prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] avverso l’atto comunicato con nota prot. ris. 0017881/17 Div. IV/2/AC” del 21/03/2017, con il quale l’ Università degli Studi di Milano ha disposto nei suoi confronti la ritenuta pari al quinto dello stipendio, a decorrere dal mese di aprile 2017, “nonché per la dichiarazione dell’insussistenza dei presupposti per disporre la suddetta ritenuta, previo accertamento dell’insussistenza del danno erariale e della responsabilità amministrativa del Prof. [#OMISSIS#] imputato al medesimo cattedratico dall’ Universitàdegli Studi di Milano, per importo complessivo di € 141.794,59”, in relazione all’espletamento degli incarichi dallo stesso svolti a favore di diversi soggetti privati.
La formulazione dell’istanza, nei termini appena riportati, merita qualche precisazione.
L’istante, infatti, ha adìto questo giudice contabile avverso l’atto di disposizione della ritenuta e per l’accertamento dell’insussistenza dei relativi presupposti.
Ora, giova, anzitutto, chiarire che le ritenute qui avversate non hanno carattere cautelativo e non sono state poste in essere a garanzia di un danno erariale e di una responsabilità amministrativa ascritta al dipendente ma sono state autonomamente operate dall’ Università degli Studi di Milano a recupero del credito dalla stessa vantato in forza del disposto dell’art.53, comma 7, D.lgs. n.165/2001.
Il credito fatto valere dall’Amministrazione con l’intimazione di pagamento e con le successive trattenute è sorto, infatti, ai sensi dell’art. 53, comma 7, del D. lgs. n. 165 del 2001, in virtù del mero svolgimento, da parte del docente, di attività extra-lavorative non autorizzate, atteso che il diritto dell’Amministrazione a riscuotere, ai sensi di tale disposizione di legge, una somma pari ai profitti conseguiti dal dipendente, da acquisire al proprio bilancio con destinazione vincolata, non presuppone la sussistenza di un “danno” a carico dell’Amministrazione ma deriva dalla mera antigiuridicità della condotta (commissiva) posta in essere dal dipendente, sanzionata in misura predeterminata dal legislatore.
L’autonoma configurazione di dette ritenute, relative alla riscossione di un credito già certo ed esigibile dell’Amministrazione comporta, peraltro l’inapplicabilità ad esse dell’art. 1 del R.D.L. n. 295/1939, il quale, nel prevedere che l’Amministrazione, in base all’accertamento del danno in via amministrativa, può assoggettare a ritenuta, nel limite del quinto, gli stipendi ed altri assegni equivalenti dovuti agli impiegati e funzionari, statuisce al secondo comma che detta ritenuta cessa di avere effetto se entro sei mesi dalla data di emanazione del relativo provvedimento non sia iniziato giudizio avanti alla Corte dei conti ad istanza del Procuratore contabile o non sia presentata a quest’ultimo da parte dell’Amministrazione richiesta di sequestro conservativo, circostanze nelle quali parte della giurisprudenza di questa Corte ha ravvisato vere e proprie condizioni di efficacia del provvedimento di ritenuta cautelare, la mancanza delle quali determina, ope legis, la sua caducazione (Corte conti, Sez. Puglia n. 218/2007; Piemonte n. 194 del 2012; Liguria, n.128/2014).
Nel caso di specie, invece, nessuna decadenza della ritenuta recuperatoria può ritenersi operante, essendo essa già assistita dal sottostante diritto di credito, del tutto indipendentemente da un eventuale avvio dell’azione di responsabilità amministrativa o, comunque, di accertamento di detta responsabilità innanzi alla Corte dei conti.
La richiamata distanza tra le due figure oggetto delle distinte previsioni di cui al comma 7 e 7-bis del citato art.53, D.lgs. n.165/2001, è stata, invero, da tempo chiarita dalla giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione, che, in sede di regolazione di giurisdizione, si è espressa nei seguenti termini : “…appare evidente che l’obbligo di versamento di che trattasi rappresenta una particolare sanzione ex lege al fine di rafforzare la fedeltà del dipendente pubblico e quindi prescinde dai presupposti della responsabilità per danno (evento; nesso di causalità; elemento psicologico) : la confusione tra i due concetti (quello attinente alla mera reversione del profitto e quello del danno) ha portato all’estensione del limite della giurisdizione contabile al di fuori dei suoi confini istituzionali; del resto anche Cass. Sez. Un. n. 22688/2011 nel formulare e ribadire il principio della responsabilità erariale anche alle funzioni strumentali a quelle ordinarie svolte dal pubblico dipendente, lo collega all’esistenza di un danno” (Corte di cassazione, Sezioni unite civili, 28 settembre 2016, n. 19072).
La medesima diversificazione è stata altresì messa in luce dalla giurisprudenza di questa Sezione che, in fattispecie analoga, ha avuto modo di precisare che ” è solo con l’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore (cioè la condotta logicamente e cronologicamente distinta e successiva rispetto alla trasgressione e alla quantificazione del profitto conseguito) che testualmente costituisce, ai sensi del comma 7-bis del predetto art. 53, “ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”, sicché non in sede sanzionatoria, bensì in sede risarcitoria, e con riferimento non già ad una condotta commissiva, bensì ad una (diversa e successiva) condotta omissiva del dipendente, da valutare alla stregua dei presupposti tipici della responsabilità amministrativa (danno; colpa o dolo; nesso di causalità), che si radica la giurisdizione di questa Corte.”(Sez. Lombardia n.90/2017).
La suddetta distinzione, non più in dubbio, è stata correttamente ribadita anche nell’odierna fattispecie, dalla Procura erariale che, attinta da richiesta di parere da parte dell’Ateneo, su istanza del docente, in ordine all’ipotesi di sospensione del recupero del credito sino alla definizione del procedimento di responsabilità erariale, ha evidenziato, nella nota di riscontro del 25.8.2016, l’autonomia dei due procedimenti, ed ha ritenuto l’Amministrazione “tenuta a procedere al recupero del credito“.
Allo stato degli atti, dunque, va meglio individuato l’oggetto del ricorso introduttivo, il quale, malgrado l’espresso riferimento, in epigrafe, all’art.172, comma 1, lettera b) del D.lgs. n.174/2016, chiede a questa Sezione di pronunciarsi non “contro ritenute, a titolo cautelativo, su stipendi ed altri emolumenti di funzionari ed agenti statali”, come espressamente recita la lettera b),comma 1, del citato art.172, bensì sull’insussistenza dei presupposti di quelle ritenute, previo accertamento dell’insussistenza del danno erariale e della responsabilità amministrativa al medesimo docente ascritti.
Ne consegue che la domanda attorea, alla luce del petitum sostanziale e della causa petendi, deve essere più correttamente inquadrata non come introduttiva di uno specifico giudizio ad istanza di parte finalizzato a conoscere di ritenute cautelative, bensì quale actio negatoria dei presupposti della responsabilità erariale sulla quale, in via anticipata, il Collegio è chiamato ad esprimersi.
E, per mera completezza, pur non essendo stata formulata eccezione relativa alla giurisdizione da nessuno dei soggetti processuali, giova ribadire che la questione posta qui all’esame, relativa non già alla legittimità delle ritenute cautelari disposte dall’Ateneo nei confronti del prof. [#OMISSIS#], bensì all’accertamento (anticipato) di responsabilità amministrativa in caso di omesso riversamento all’Amministrazione, da parte del medesimo dipendente, dei compensi ricevuti per gli incarichi non autorizzati rientra, per espressa previsione del comma 7-bis dell’art. 53 d.lgs. n. 165/2001, nell’alveo della giurisdizione della Corte dei conti, dovendo rilevarsi, in proposito che, ai fini del riparto di giurisdizione, la relativa decisione è determinata dall’oggetto della domanda (ex plurimis Corte di cassazione, SS.UU. n. 4805/2005; n. 1470/1994).
In punto di ammissibilità dell’actio negatoria, la giurisprudenza di questa Corte, ed, in particolare di questa Sezione, ha chiarito, con riguardo alla previgente disciplina (art. 58 del R.D. 1038/1933), che l’accertamento negativo della responsabilità amministrativa è ammissibile nelle ipotesi in cui a carico dell’istante sia stato elevato, in sede amministrativa, addebito per danni o siano state mosse intimazioni di pagamento da parte dell’Amministrazione, o quando la responsabilità dello stesso, nei suoi riflessi patrimoniali, sia stata accertata in sede giurisdizionale, pur se in un processo diverso da quello contabile (cfr. Sez. Lombardia n.90/2017, n.13/2016 e n.216/2015).
Pertanto, pur prescindendo da un preciso inquadramento sistematico dell’azione per l’accertamento negativo rivolta contro atti dell’Amministrazione affermativi di responsabilità erariale, è da evidenziarsi come la giurisprudenza di questa Corte abbia già convincentemente ed esaurientemente chiarito al riguardo che “in tali e consimili casi è la reale capacità dei menzionati atti a sostenere l’azione di responsabilità del Procuratore Generale che sostanzialmente rende concreto, attuale ed immediato l’interesse del ricorrente ad un’anticipazione del giudizio, il cui promovimento è di pertinenza esclusiva dell’Organo requirente, onde pervenire ad una declaratoria di insussistenza degli elementi costitutivi di quell’azione o ad un verdetto assolutorio ove il Procuratore Generale, in via riconvenzionale, nel giudizio ad istanza di parte, introduca la pertinente azione riparatoria” (cfr. Sez. I° n. 36/1994).
Pertanto, la generale osservanza del principio del c.d. giusto processo nonché l’esigenza di dare efficacia ed attuazione ai principi di concentrazione e speditezza processuale, così come ricavabili dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 della C.E.D.U.- rendono ammissibile l’actio negatoria del ricorrente anche nel vigente contesto processuale contabile.
Così definito l’oggetto del giudizio, il Collegio passa ora all’esame del ricorso esaminando, gradatamente, ai sensi dell’art. 101, comma 2, del c.g.c., le questioni pregiudiziali proposte dalle parti e quindi il merito della causa.
Occorre, innanzitutto prendere in esame la richiesta di sospensione – fino alla definizione di altro contenzioso già pendente avanti al TAR Lombardia di Milano (R.G. n. 1409/2016) – formulata ai sensi dell’art. 106, comma 1, del D.Lgs. n. 174/2016 dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, in difesa della parte pubblica.
Detta richiesta, cui si è opposto il Pubblico ministero erariale nelle sue conclusioni orali, non può trovare accoglimento per le ragioni di seguito esposte.
Con il richiamato contenzioso, infatti, il Prof. [#OMISSIS#] ha impugnato il provvedimento disciplinare irrogato nei suoi confronti dall’Ateneo per lo svolgimento dei citati incarichi extra-istituzionali, in parte vietati ed in parte non autorizzati.
Ora, la verifica della legittimità del provvedimento disciplinare adottato dall’Amministrazione, da rendersi sulla base dei distinti presupposti e criteri che regolano l’esercizio del potere disciplinare, in nulla può rivestire quel carattere pregiudiziale di necessario antecedente, quale richiesto dall’art.106 del c.g.c. ed invocato dall’Avvocatura distrettuale per la sospensione del giudizio di responsabilità amministrativa, che, come noto, non tiene in considerazione gli atti in quanto tali, nei loro profili di legittimità/illegittimità, ma solo in quanto elementi idonei a formare il quadro fattuale in cui si colloca la fattispecie di responsabilità amministrativa da esaminare.
Pertanto, l’istanza di sospensione del presente giudizio formulata dall’Avvocatura distrettuale deve essere respinta.
In ordine all’eccezione, avanzata dalla difesa del ricorrente, di prescrizione del credito vantato dall’Amministrazione per decorso del termine quinquennale ex art. 1, L. 14 gennaio 1994, n. 20, il Collegio osserva che, al fine di individuare esattamente il dies a quo da cui far decorrere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, è necessario considerare quanto in proposito declinato dall’art. 2935 del codice civile, ovvero che “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.
Pertanto, il dies a quo della prescrizione va collocato non già alla data dello svolgimento delle prestazioni non autorizzate o della percezione del relativo compenso, bensì a quella, successiva, in cui l’Amministrazione ha potuto disporre degli elementi necessari e sufficienti per poter procedere nei confronti del proprio dipendente.
Tale data, per tutte le attività contestate in fattispecie, è quella della nota del 7.10.2015 con cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri — Dipartimento della funzione pubblica, ha trasmesso al Rettore dell’ Università degli Studi di Milano la relazione della Guardia di Finanza di Lecco, Nucleo Speciale Anticorruzione, Sez. 3^ Roma, del 3.8.2015, a carico del prof. [#OMISSIS#].
Pertanto, solo a quella data l’Amministrazione di appartenenza del ricorrente ha potuto disporre di sufficienti elementi conoscitivi in ordine all’espletamento di incarichi per attività retribuite e non autorizzate svolte dal proprio dipendente.
Né, comunque, inducono a differenti conclusioni le argomentazioni dell’istante che, al fine di escludere ogni ipotesi di “occultamento doloso” delle attività prestate, tende a dimostrarne l’acquisita conoscenza, da parte dei vertici dell’ Università , sulla base dei rapporti di collaborazione e delle convenzioni stipulate tra l’Ateneo stesso e gli Enti committenti.
Ora, ad avviso del Collegio, nessuna rilevanza rivestono gli evocati rapporti convenzionali, atteso che, come si avrà modo di esporre più ampiamente in seguito, tutti detti rapporti sono stati formalizzati in epoca successiva ed hanno avuto oggetto, finalità e regolamentazione degli oneri finanziari del tutto alieni agli incarichi autonomamente espletati, dietro corrispettivo, dal ricorrente.
Inoltre, va rilevato, con riferimento all’individuazione della data di esordio del termine prescrizionale, che nel caso di specie è ravvisabile, comunque, una forma di occultamento doloso, posto in essere dal docente – nei termini chiariti dalla giurisprudenza di questa Corte che richiede non il mero silenzio ma l’ulteriore condotta volta ad impedire la conoscenza del fatto e/o a prevenire il suo disvelamento – sia nei confronti della propria Amministrazione – alla quale fino al 31 dicembre 2010 il [#OMISSIS#] ha dichiarato di operare in regime di tempo pieno, fuorviando la conoscenza delle attività incompatibili o soggette ad autorizzazione nel frattempo dal medesimo espletate all’esterno – sia nella dichiarazione resa in data 1° giugno 2010 al Direttore sanitario della G.B. Mangioni di non essere in rapporto di dipendenza con strutture sanitarie pubbliche e, pertanto, in situazione di incompatibilità a svolgere la propria attività di lavoro autonomo presso quella struttura, dichiarazione che, per quanto resa nei confronti di Enti esterni e non della propria Amministrazione, è da considerarsi comunque sintomatica e confermativa di una generale e complessiva attività di occultamento delle attività libero-professionali condotte nonostante il proprio status di dipendente pubblico in regime di tempo pieno.
Pertanto, non avendo l’Ateneo potuto avere piena conoscenza delle attività esternamente svolte dal docente se non in data 7.10.2015, con la citata nota della Presidenza del Consiglio dei Minist