Corte dei conti reg., Sicilia, 21 febbraio 2018, n. 115

Personale medico-universitario – Rideterminazione trattamento pensionistico – Base pensionabile – Indennità di equiparazione

Data Documento: 2018-02-21
Area: Giurisprudenza
Massima

Tra le ipotesi in cui l’amministrazione può revocare o modificare i trattamenti di pensionistici definitivi, disciplinate dall’art. 204 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, non è contenuto alcun richiamo all’errore di diritto, difficilmente percepibile dal fruitore del trattamento di quiescenza, da intendersi come errata interpretazione o applicazione di norme sia sostanziali che procedurali, queste ultime inerenti al procedimento adottato per l’emissione del provvedimento pensionistico. Sicché, un provvedimento di autotutela, emesso a seguito dell’attribuzione della pensione definitiva e adottato in base alla ritenuta necessità di collocare l’indennità ospedaliera goduta in servizio dal ricorrente in quota B anziché in quota A, non può legittimamente comportare la riduzione del trattamento pensionistico. Risulta poi irrilevante ogni possibile valutazione circa lo stato soggettivo del pensionato ai fini del trattenimento o meno delle somme.

Contenuto sentenza

GIUDIZIO DI CONTO   –   PENSIONI
C. Conti Sicilia Sez. giurisdiz., Sent., (ud. 14-02-2018) 19-02-2018, n. 115
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso in materia pensionistica, iscritto al n.64458 del registro di segreteria, depositato in data 10 marzo 2017,
ad istanza di
V. G., nato a OMISSIS, rappresentato e difeso, giusto mandato, anche disgiunto, a margine dell’atto introduttivo del giudizio, dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ed elettivamente domiciliato a Palermo, in via Regione Siciliana n. 2396, presso lo studio del dott. C.D.;
nei confronti di
INPS (ex-INPDAP), rappresentato e difeso dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
VISTI il ricorso e gli altri atti e documenti di causa;
UDITI, nella pubblica udienza del 14 febbraio 2018, l’avv. [#OMISSIS#], per parte ricorrente, e l’avv. dell’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], per l’Inps.
Ritenuto in
Svolgimento del processo
Con l’odierno ricorso, il sig. V., già dipendente dell’Università di Messina in quiescenza, ha impugnato il provvedimento della sede Inps di Messina ME1032016000136, trasmesso il 5.5.2016, di rideterminazione della pensione a far data dall’1.6.2013, nonché il Provv. INPS.4800.12/05/2016.0126489 con il quale veniva disposto il conseguente recupero della somma di Euro 27.620,58, per somme indebitamente erogate a titolo di pensione dal 1.6.2013 al 30.4.2016.
Rappresentava il ricorrente che, nella qualità di dipendente dell’Università di Messina, era stato impiegato presso l’AOU Policlinico “G. Martino” di Messina, con conseguente equiparazione del trattamento economico proprio della qualifica posseduta (“C” posizione economica “C5”) a quello dei dirigenti sanitari di I livello non medico (ex IX livello sanitario), ai sensi dell’art.31 del D.P.R. n. 761 del 1979. Le differenze di stipendio percepite dal ricorrente ai fini della predetta equiparazione erano state originariamente inserite nella cd. quota A di pensione, con attribuzione di una pensione annua di Euro 34.614,00, poi aggiornata a Euro 34.839,18 lordi. A distanza di quasi tre anni dalla decorrenza iniziale, l’Inps aveva emesso una nuova determina, in questa sede impugnata, riducendo l’importo della pensione annua a Euro 27.620,58 lordi, poiché l’integrazione stipendiale era stata inserita in quota B.
Lamentava il ricorrente che in tal modo la retribuzione pensionabile alla cessazione del rapporto di lavoro era stata quantificata dall’Inps in misura di gran lunga inferiore alla retribuzione pensionabile effettivamente percepita. Di quest’ultima retribuzione avrebbe dovuto tenersi conto alla luce della pronuncia della Corte costituzionale n.126/1981 che aveva riconosciuto la rilevanza ai fini assistenziali e previdenziali della indennità ex art.31 del D.P.R. n. 761 del 1979 (cd. indennità De [#OMISSIS#]), nonché delle risultanze della contrattazione collettiva che, dal 2005, avevano previsto che il personale universitario impiegato presso le AOU partecipasse delle progressioni economiche orizzontali proprie del profilo sanitario e non più per la categoria universitaria.
In secondo luogo, eccepiva la violazione dell’art.205 del D.P.R. n. 1092 del 1973 e la decadenza dell’Inps dal potere di modificare il provvedimento. Eccepiva altresì la violazione dell’art.21-nonies della L. n. 241 del 1990 che stabilisce in diciotto mesi il termine per procedere all’annullamento d’ufficio dei provvedimenti illegittimi.
Chiedeva, pertanto, la rideterminazione della pensione nella misura originaria con riconoscimento degli arretrati maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria.
Quanto al provvedimento di recupero dell’indebito, il ricorrente sosteneva che tale recupero era precluso dal disposto dell’art.206 del D.P.R. n. 1092 del 1973. In secondo luogo, ne sosteneva l’illegittimità in quanto adottato da un funzionario e non da un dirigente. In terzo luogo, in via subordinata, chiedeva che l’Inps fosse condannato al pagamento di un risarcimento del danno da ritardo in misura pari all’ammontare dell’indebito. In via di ulteriore subordine, chiedeva di essere condannato alla restituzione dell’indebito al netto delle ritenute fiscali e con restituzione dei relativi contributi previdenziali.
In via istruttoria, chiedeva disporsi CTU contabile. In via interinale chiedeva la sospensione del provvedimento di recupero.
L’Inps, nel costituirsi in giudizio, ai soli fini della fase cautelare, contestava la sussistenza dei requisiti del fumus [#OMISSIS#] juris e del periculum in mora, chiedendo il rigetto della domanda cautelare.
Parte ricorrente con memoria depositata in data 22.6.2017 insisteva per l’accoglimento del ricorso.
Ad esito della camera di consiglio del 6.7.2017, l’istanza cautelare veniva accolta e veniva fissata l’udienza odierna ai fini della la trattazione del giudizio nel merito (ordinanza n. 154/2017).
In data 2 febbraio 2018, l’Inps depositava memoria di costituzione nel merito, nella quale rilevava che la prima liquidazione della pensione si basava sull’assunto erroneo che il ricorrente fosse stato un dirigente sanitario, essendo stato così qualificato in una nota dell’A.O.U. G.Martino di Messina, trasmessa dall’ateneo ai fini della liquidazione della pensione. Riteneva, inoltre, che l’errore fosse facilmente riconoscibile da parte dell’interessato che si era visto attribuire la pensione sulla base di una qualifica non posseduta. Sosteneva, pertanto, la legittimità del proprio operato ai sensi degli artt.204 e 205 del D.P.R. n. 1092 del 1973 e, dopo aver controdedotto anche sulle domande avanzate in via subordinata, concludeva per il rigetto del ricorso, con vittoria di spese.
All’udienza odierna, parte ricorrente richiamava gli allegati 2 e 4 della produzione di parte e insisteva per l’accoglimento.
Il rappresentante dell’Inps, dopo aver depositato documentazione amministrativa attinente alla posizione del ricorrente, insisteva per il rigetto.
Considerato in
Motivi della decisione
1. L’odierno giudizio investe un provvedimento di rideterminazione del trattamento pensionistico, assunto dall’Inps a distanza di circa due anni dal provvedimento definitivo di pensione, nonchè il conseguente provvedimento emesso dall’Istituto per il recupero delle maggiori somme erogate nel periodo 1.6.2013 al 31.5.2016.
Si osserva al riguardo che, con tale comportamento, l’Istituto previdenziale ha travalicato i limiti che regolano il potere di revoca e di modificazione dei provvedimenti definitivi di conferimento del trattamento di quiescenza degli impiegati pubblici, la cui disciplina è contenuta negli artt. 203 e segg. del D.P.R. n. 1092 del 1973.
In particolare, l’art. 203 prevede che “Il provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza può essere revocato o modificato dall’ufficio che lo ha emesso, secondo le norme contenute negli articoli seguenti”.
Il successivo art. 204 stabilisce le circostanze legittimanti l’iniziativa (“Motivi”) prevedendo, per quanto di rilievo in questa sede, che “La revoca o la modifica di cui all’articolo precedente può aver luogo quando:
a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti;
b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell’applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l’ammontare della pensione, assegno o indennità (…)
c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l’emissione del provvedimento;
d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi.”.
La giurisprudenza della Corte ha chiarito che l’elencazione contenuta nell’art.204 è tassativa e tra le ipotesi nelle quali è possibile modificare o revocare un trattamento di pensione definitivo non è previsto quella dell’errore di diritto: “ne consegue che in nessun caso il trattamento definitivo può essere modificato per motivi non contemplati dall’art. 204 del D.P.R. n. 1092 del 1973, norma finalizzata ad una tutela rafforzata del pensionato – soggetto ritenuto particolarmente dal nostro ordinamento – attraverso la cristallizzazione ed intangibilità del suo trattamento di quiescenza, anche se adottato in contrasto con norme di legge.” (sentenza n.227/A/2012; in senso conforme, ex plurimis n. 217/A/2012).
Nel caso in esame, infatti, diversamente da quanto ritenuto dall’Inps, si è verificato un errore di diritto e non un errore di fatto: nel modello PA04, la qualifica indicata all’atto della cessazione dal servizio è “collaboratore tecnico”; nel modello PL/1, a pagina 2, è stata chiaramente indicata la categoria di appartenenza del ricorrente (categoria C, posizione economica C5), mentre a pagina 4 sono state indicate le voci del trattamento economico di servizio con specificazione dell’ammontare dell’indennità ospedaliera (cfr. all.to 6 alla produzione di parte). Deve, pertanto, affermarsi che, con il provvedimento in questa sede impugnato, l’amministrazione non era titolata a modificare il trattamento concesso con il precedente provvedimento definitivo di pensione.
2. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, deve essere riconosciuto il diritto del ricorrente al ripristino nella sua integralità del trattamento di pensione in godimento prima della modifica operata con il Provv. Inps ME1032016000136.
Deve essere altresì riconosciuto il diritto del medesimo alla restituzione delle somme ritenute dall’Inps, con riconoscimento degli interessi dalla data della domanda giudiziale (cfr. SSRR, n.33/QM/2017).
Restano assorbite le ulteriori questioni.
3. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana in composizione monocratica, in funzione di Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e, per l’effetto, riconosce al ricorrente il diritto al ripristino del trattamento di pensione diretta in godimento prima della riduzione operata con il Provv. Inps ME1032016000136, con conseguente condanna dell’Inps a corrispondere al ricorrente le differenze pensionistiche sui ratei arretrati, maggiorate degli interessi legali, integrati, per gli anni in cui l’indice di svalutazione monetaria ne avesse ecceduto la misura, dall’importo differenziale di detta svalutazione, calcolata secondo l’indice Istat relativo all’anno di riferimento.
Condanna l’Inps a restituire al ricorrente le somme ritenute sul trattamento pensionistico di cui alla nota INPS.4800. 12/05/2016.0126489, maggiorate degli interessi legali dalla data della domanda giudiziale.
Condanna l’Inps al pagamento delle spese legali, liquidandole in Euro 400,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 14 febbraio 2018.
Depositata in Cancelleria 19 febbraio 2018.