Ai sensi dell’art. 52 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativa presuppone un danno erariale cagionato con dolo o colpa grave da un soggetto legato all’Amministrazione da un rapporto di servizio – inteso in senso lato – che può anche non coincidere con il rapporto d’impiego. Occorre, inoltre, che il danno sia stato determinato nell’esercizio delle funzioni inerenti al rapporto di servizio o che comunque rivestono carattere strumentale per l’esercizio della funzione (pubblicistica) attribuita al soggetto agente. Ciò posto, è infondata l’eccezione che poggi sul presupposto, concettualmente errato, che la trasgressione dell’obbligo di non svolgere attività incompatibili implichi la violazione di meri obblighi connessi alla prestazione lavorativa, trascurando che i doveri e gli obblighi propri del rapporto di lavoro possano coincidere con quelli afferenti alla funzione pubblica.La “specifica” e “concreta” notizia di danno ex art. 17, comma 30-ter d.l. 1 luglio 2009, n. 78 non può equivalere ad una notizia così precisa e circostanziata da contenere tutti gli elementi necessari per esercitare l’azione di responsabilità, sì da rendere superflua ogni attività istruttoria da parte della Procura. Per notizia specifica e concreta deve piuttosto intendersi una informazione che abbia una sua individualità, che sia ragionevolmente circostanziata e che attenga alla realtà e non a mere ipotesi o supposizioni (nella specie l’azione è stata legittimamente avviata a seguito di articolo giornalistico).L’occultamento non può coincidere, puramente e semplicemente, con la commissione (dolosa) del fatto dannoso in questione, ma richiede un’ulteriore condotta, indirizzata ad impedire la conoscenza del fatto: occorre, in altri termini, un comportamento che, pur se può comprendere la causazione stessa del fatto dannoso, deve tuttavia includere atti specificamente volti a prevenire la scoperta di un danno ancora in fieri oppure a nascondere un danno ormai prodotto.Non può ravvisarsi il quid pluris richiesto per la sussistenza dell’occultamento doloso nell’avere il docente omesso di comunicare all’ateneo di appartenenza lo svolgimento di attività incompatibile (in via assoluta). Orbene, posto che la disciplina che presiede al rapporto d’impiego non prescrive di comunicare lo svolgimento di attività incompatibile, ma più semplicemente lo vieta, non v’è chi non veda come il quid pluris in questione si risolverebbe nell’obbligo di autodenuncia dell’avvenuto svolgimento dell’attività vietata o dell’intenzione di svolgerla, rendendo di fatto pleonastica la disposizione che, ai fini del differimento della prescrizione, non si limita a prevedere il carattere doloso della condotta produttiva di danno, ma richiede anche una particolare condotta del dipendente volta a nascondere il fatto dannoso.
Corte dei conti reg., Liguria, 16 aprile 2015, n. 26
Docenti a tempo pieno e a tempo definito – Incompatibilità assoluta – Occultamento
GIUDIZIO DI CONTO
Corte dei Conti Liguria Sez. giurisdiz., Sent., (ud. 18-02-2015) 16-04-2015, n. 26
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LIGURIA
composta dai magistrati:
Dott. [#OMISSIS#] Coccoli – presidente
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – consigliere relatore
Dott. ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 19565 del registro di segreteria, promosso dalla Procura Regionale presso questa Sezione nei confronti del Signor S.G., nato a P. (A.) il (…) e residente in G., via Z. n. 5, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Stagnaro ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Genova, via Corsica n. 2;
visti gli atti di causa;
udita, nella pubblica udienza del 18 febbraio 2015, la relazione del consigliere [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
sentiti l’avv. Piergiorio [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Stagnaro per il convenuto e il Pubblico Ministero in persona del Vice procuratore generale dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#].
Ritenuto in
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 23 luglio 2014 la Procura regionale ha convenuto in giudizio il dott. G.S. per sentirlo condannare al risarcimento in favore dell’Università degli Studi di Genova della somma di Euro 69.552,46 (sessantanovemilacinquecentocinquantadue46), oltre a rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio, per il danno dallo stesso cagionato all’Ateneo per avere esercitato “l’industria o il commercio”, attività incompatibili con l’incarico di Professore universitario.
Secondo l’esposizione fatta dal Procuratore regionale, in esito ad indagine dallo stesso disposta a seguito della trasmissione da parte del Garante dell’Università degli Studi di Genova della “Relazione al Senato Accademico sull’attività svolta nell’anno accademico 2006-2007”, nonché di alcuni articoli di stampa, risultava che il dott. G.S., attualmente professore ordinario della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Genova, aveva lavorato presso l’Ateneo in regime di tempo pieno dal 01.11.89 al 31.10.95; di tempo definito dal 01.11.95 al 31.10.09 e dal 01.11.09 in avanti di tempo pieno.
In relazione all’attività di docente universitario svolta dal Prof. S. emergevano fatti produttivi di danno erariale per i quali lo stesso è già stato tratto a giudizio innanzi a questa Corte.
Successivamente all’avvio del procedimento – incardinato con atto di citazione del 23.7.2014 – è risultato da visura camerale che il predetto dal 23.5.2002 all’8.11.2003, quando era professore a tempo definito, aveva anche rivestito la carica di socio accomandatario della società “S.R. s.a.s. di Robbiano [#OMISSIS#]”, fatto nuovo rispetto a quelli contestati nel precedente giudizio.
Il Procuratore Regionale, ritenuta, in relazione all’accertato svolgimento da parte dello S. di attività incompatibile con le funzioni di docente universitario, la sussistenza di sufficienti elementi per una imputazione di responsabilità amministrativa nei confronti del medesimo per danno all’Erario rappresentato dalle retribuzioni a lui corrisposte dall’Università nel periodo dal 23.5.2002 all’8.11.2003, previa rituale contestazione degli addebiti, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla L. 14 gennaio 1994, n. 19, non avendo ritenuto le deduzioni svolte dallo stesso idonee a superare le contestazioni mosse, lo ha convenuto con il suindicato atto di citazione.
Il requirente contesta al prof. S. di avere esercitato “l’industria o il commercio”, per avere rivestito la carica di socio accomandatario della società “S.R. s.a.s. di Robbiano [#OMISSIS#]”, dal 23.5.2002 all’8.11.2003, violando così l’art.11 del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, il quale prevede sia per i professori universitari a tempo pieno che per i professori a tempo determinato l’incompatibilità con l’esercizio dell’industria e del commercio.
Il docente, in quanto pubblico dipendente, avrebbe altresì violato l’art. 60 del D.P.R. n. 3 del 1957, in base al quale “l’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria…..”.
L’ art. 15 del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, richiamato dall’art. 1, comma 5 del D.L. 02 marzo 1987, n. 57, prevede, inoltre, in caso di violazione delle norme in tema di incompatibilità per impieghi privati, la sanzione della decadenza dall’ufficio, previa diffida.
Le predette violazioni della normativa sulle incompatibilità afferenti l’attività di docente universitario sono da ritenere, secondo l’accusa, di natura dolosa, non potendo esservi dubbi circa la consapevolezza del convenuto di porre in essere comportamenti vietati dalla legge.
Inoltre, nella specie, il termine di prescrizione decorrerebbe “dalla ….. scoperta dell’illecito, ovvero dall’ottobre 2013 (data della relazione istruttoria)”, ricorrendo l’ipotesi dell’ “occultamento doloso”, ex art. 1 comma 2 L. n. 20 del 1994, per cui il termine quinquennale di prescrizione inizia a decorrere dalla data della scoperta dell’illecito, e non dal suo verificarsi.
La condotta integrante l’ “occultamento doloso”, fatto ulteriore rispetto alla commissione dell’illecito, ad avviso del requirente, “può essere integrata non solo da un comportamento attivo (falsificazione di documenti e artifizi vari) ma anche, secondo i principi generali, da una condotta omissiva, qualora volontariamente non si comunichino fatti che si aveva invece l’obbligo giuridico di comunicare”.
Nel caso di specie, lo S. avrebbe contravvenuto volontariamente all’obbligo giuridico di comunicare all’Università lo svolgimento di attività professionale potenzialmente incompatibile.
Il requirente determina il danno da risarcire nella somma complessiva di Euro 69.552,46 (sessantanovemilacinquecentocinquantadue46), corrispondenti alle intere retribuzioni indebitamente percepite dallo S. nel periodo dal 23.5.2002 all’8.11.2003, come da certificazione dell’Università, durante il quale lo stesso ha svolto l’attività incompatibile.
Il tutto maggiorato di interessi legali e rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat.
Detto danno deve essere risarcito nella sua interezza.
Ed invero, secondo l’accusa, dovendosi individuare …”La ratio dell’incompatibilità …. nell’esigenza, valutata a priori dal legislatore, di concentrare le energie di studio e di lavoro del docente esclusivamente sulle attività universitarie……….non residua alcun margine di valutazione circa la proficuità o meno dell’attività svolta in favore dell’Università, qualora il docente abbia posto in essere attività incompatibili”…………..Tale obbligo di restituzione deriva, infatti, direttamente dalla imperatività e indisponibilità delle previsioni legislative citate, senza che permanga spazio per analisi in ordine alla utilità delle attività comunque svolte in favore dell’ente pubblico”.
L’incompatibilità prevista dalla legge darebbe vita “ad una praesumptio iuris et de iure secondo cui l’esercizio di attività vietate influisce negativamente sul risultato pubblico perseguito, vanificandolo interamente”.
Il convenuto, si è costituito a mezzo degli avv.ti [#OMISSIS#] e Stagnaro con memoria depositata in data 28 gennaio 2015.
La difesa, in via preliminare, eccepisce:
– il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, in quanto gli addebiti mossi dalla Procura hanno ad oggetto la presunta violazione di obblighi relativi al rapporto di impiego dei docenti universitari, la cui cognizione è demandata al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, ai sensi dell’art. 63, comma 4, D.Lgs. n. 165 del 2001;
– la nullità della citazione, nonché dei precedenti atti istruttori e processuali, in quanto adottati in violazione dell’art. 17, comma 30-ter del D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009, il quale sancisce la nullità degli atti predetti in caso di adozione degli stessi in difetto di una specifica e concreta notizia di danno;
– la prescrizione del credito risarcitorio azionato, relativamente alle condotte dell’odierno conve[#OMISSIS#] anteriori al 28/2/2009, ossia al quinquennio precedente la notifica dell’invito a dedurre (28/2/2014). Nella specie, non ricorrerebbe, infatti, l’ipotesi dell’occultamento doloso, di cui all’art. 1, comma 2, della L. n. 20 del 1994, non potendo consistere detto occultamento “nel semplice silenzio serbato dall’agente circa l’esercizio di una attività dal P. M. ritenuta incompatibile con lo status di docente a tempo definito, senza che venga in evidenza una particolare attività illecita, funzionale, con adeguati accorgimenti, a nascondere lo svolgimento di detta attività o a renderne difficile la scoperta”. Il conve[#OMISSIS#] non avrebbe, infatti, in alcun modo impedito o reso difficoltosa la verifica da parte dell’Ateneo, avendo lo stesso indicato i compensi percepiti nelle dichiarazioni dei redditi ed essendo le cariche sociali dal medesimo ricoperte agevolmente conoscibili mediante accesso ai pubblici registri.
Nel merito, i patrocinatori eccepiscono l’assenza di danno erariale per avere il convenuto – nei periodi in cui ha rivestito la carica di socio accomandatario della società “S.R. s.a.s. di Robbiano [#OMISSIS#]”, dal 23.5.2002 all’8.11.2003, – “regolarmente e proficuamente svolto l’attività universitaria, con riferimento sia alla ricerca scientifica, che alla didattica.”
– “Più precisamente”, rappresentano che il prof. S.:
“quanto alla produzione scientifica ……, nel periodo 23/5/2002 – 8/11/2003, è stato autore, editor o co-editor di sette pubblicazioni su riviste a carattere nazionale e internazionale, editor o co-editor di quattro volumi, co-organizzatore e corresponsabile scientifico di un convegno internazionale,
nonché relatore ad altro convegno.
Inoltre, relativamente all’attività didattica, nello stesso periodo il convenuto ha regolarmente svolto le lezioni di due corsi annuali e uno semestrale, per un totale di 255 ore di lezione, nonché le relative esercitazioni e prove d’esame.
Tali attività di docenza hanno comportato per il convenuto un impegno pari a due volte e mezzo quello previsto per i professori ordinari a tempo definito, avendo essi l’obbligo di tenere un unico corso annuale per ciascun anno accademico (v. D.P.R. n. 382 del 1980)”.
Nel periodo considerato il prof. S. ha svolto ulteriori attività in ambito universitario, quale coordinatore di corsi di dottorato. A partire dal 2001 lo stesso si sarebbe anche attivato per la costituzione – avvenuta l’11/3/2003 – del Consorzio Nazionale Interuniversitario per i Trasporti e la Logistica-NITEL (al quale aderiscono 19 Atenei e nel cui comitato scientifico siedono i delegati di sette Ministeri), che partecipa a progetti di ricerca e alta formazione a livello nazionale e internazionale.
Infine, i difensori sostengono che il danno non potrebbe identificarsi nei compensi lordi percepiti dall’interessato, dovendo aversi riguardo a quanto sia effettivamente entrato nella sua sfera patrimoniale.
Parte convenuta conclude, chiedendo:
“in via preliminare, dichiarare il proprio difetto di giurisdizione a conoscere della vicenda di cui all’atto di citazione notificato al prof. S., ovvero dichiarare nulli, ai sensi dell’art. 17, comma 30-ter del D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009, la citazione medesima e i precedenti atti istruttori e processuali;
in ogni caso, prosciogliere l’odierno convenuto da ogni addebito contestato respingendo, in quanto prescritte e/o infondate, le domande formulate nei suoi confronti dalla Procura Regionale;
in subordine, e salvo gravame, ridurre congruamente l’entità del danno posto a carico del convenuto, esclusa altresì la solidarietà passiva con altri, eventuali responsabili.
Con vittoria di spese e onorari di giudizio”.
All’odierna pubblica udienza, le parti, come sopra rappresentate, hanno illustrato le argomentazioni svolte negli atti scritti, ribadendone tutte le conclusioni preliminari e di merito. Al termine la causa è stata trattenuta per la decisione.
Considerato in
Motivi della decisione
Pregiudizialmente il collegio deve esaminare l’eccezione di difetto di giurisdizione della Corte dei conti sollevata dalla parte convenuta nella considerazione che gli addebiti mossi dalla Procura hanno per oggetto la violazione di obblighi relativi al rapporto di impiego, la cui cognizione è demandata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Al riguardo, occorre premettere che, ai sensi dell’art. 52 del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, la sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità amministrativa presuppone un danno erariale cagionato con dolo o colpa grave da un soggetto legato all’Amministrazione da un rapporto di servizio – inteso in senso lato – che può anche non coincidere con il rapporto d’impiego. Occorre, inoltre, che il danno sia stato determinato nell’esercizio delle funzioni inerenti al rapporto di servizio o che comunque rivestono carattere strumentale per l’esercizio della funzione (pubblicistica) attribuita al soggetto agente.
Ciò posto, risulta evidente come l’eccezione poggi sul presupposto, concettualmente errato, che la trasgressione dell’obbligo di non svolgere attività incompatibili implichi la violazione di meri obblighi connessi alla prestazione lavorativa. Tale impostazione trascura che i doveri e gli obblighi propri del rapporto di lavoro possano coincidere con quelli afferenti la funzione pubblica.
Ed invero, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del convenuto, le disposizioni in tema di incompatibilità (artt. 11 del D.P.R. n. 382 del 1980, 60 del D.P.R. n. 3 del 1953) hanno una connotazione del tutto estranea ad interessi meramente privatistici/lavoristici, essendo volte a salvaguardare l’espletamento delle funzioni attinenti al rapporto di servizio e, dunque, il perseguimento delle finalità istituzionali della P.A..
Appare, dunque, evidente che il divieto di svolgere determinate attività, pur previsto nell’ambito del rapporto di lavoro, è strumentale al corretto e proficuo svolgimento della funzione pubblica.
Sulla base delle considerazioni che precedono l’eccezione di difetto di giurisdizione della Corte dei conti è infondata e, pertanto, deve essere respinta.
Ancora in via pregiudiziale, deve essere respinta l’eccezione di nullità della citazione e dei precedenti atti istruttori e processuali, in quanto assunti in assenza di una specifica e concreta notizia di danno in violazione dell’art. 17, comma 30-ter del D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009.
A tale riguardo deve, infatti, osservarsi che, secondo i principi interpretativi posti dalle Sezioni Riunite di questa Corte nella decisione n. 12/QM del 3 agosto 2011, la “specifica” e “concreta” notizia di danno non può equivalere ad una notizia così precisa e circostanziata da contenere tutti gli elementi necessari per esercitare l’azione di responsabilità, sì da rendere superflua ogni attività istruttoria da parte della Procura.
Per notizia specifica e concreta deve piuttosto intendersi una informazione che abbia una sua individualità, che sia ragionevolmente circostanziata e che attenga alla realtà e non a mere ipotesi o supposizioni.
Nella specie l’azione è stata avviata a seguito di articolo giornalistico, pubblicato in data 17.02.10 sul “Secolo XIX”, il quale costituisce certamente una notizia di danno “specifica e concreta”, ex art. 17, comma 30 ter del D.L. n. 78 del 2009.
Ed invero, l’articolo in questione, nel denunciare l’esistenza presso l’Università di Genova di un diffuso fenomeno di docenti universitari, che, pur essendo architetti, imprenditori o consulenti, si dichiaravano “a tempo pieno”, menzionava espressamente il prof. G.S., riferendo di specifiche attività professionali ed imprenditoriali svolte dallo stesso.
Passando al merito, il collegio deve esaminare preliminarmente l’eccezione di prescrizione formulata dalla difesa del convenuto relativamente ai fatti dannosi verificatisi anteriormente al 28/2/2009, ossia al quinquennio precedente la notifica dell’invito a dedurre (28/2/2014).
Parte convenuta contesta che nella specie ricorra l’ipotesi dell’occultamento doloso, di cui all’art. 1, comma 2, della L. n. 20 del 1994.
Il Procuratore sostiene, per contro, che la prescrizione decorre solo dalla scoperta del fatto, nella specie, avvenuta in epoca successiva, in quanto lo S. avrebbe dolosamente occultato lo svolgimento di attività professionale incompatibile. Lo stesso, infatti, in forza delle disposizioni che impongono alle parti di un rapporto obbligatorio di improntare il proprio comportamento a correttezza e buona fede (artt. 1175, 1375, 1337 e 1338 c.c.), aveva l’obbligo giuridico di comunicare, al proprio datore di lavoro, ovvero all’Università di Genova, lo svolgimento di attività professionale potenzialmente incompatibile e, pertanto, l’omissione di qualsiasi comunicazione in merito all’Amministrazione costituirebbe occultamento doloso del fatto.
L’eccezione è fondata e deve essere accolta.
Ed invero, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della L. n. 20 del 1994, “Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta”.
Con specifico riferimento alla tesi sostenuta dalla Procura circa la sussistenza nella specie dell’occultamento doloso, il collegio ritiene di dover ribadire l’orientamento già espresso da questa stessa Sezione nelle sentenze n. 287/2009, n. 50/2013 e, specialmente, n. 146/2013 e n. 85/2014, alle cui più puntuali e diffuse argomentazioni rinvia.
Appare qui sufficiente sottolineare che, come chiarito da consolidata giurisprudenza della Corte dei conti, l’ “occultamento non può coincidere, puramente e semplicemente, con la commissione (dolosa) del fatto dannoso in questione, ma richiede un’ulteriore condotta, indirizzata ad impedire la conoscenza del fatto: occorre, in altri termini, un comportamento che, pur se può comprendere la causazione stessa del fatto dannoso, deve tuttavia includere atti specificamente volti a prevenire la scoperta di un danno ancora in fieri oppure a nascondere un danno ormai prodotto” (Corte conti, Sez. Prima, 2.2.2009, n. 40. In termini, Corte dei conti, Sez. giurisd. Liguria 11.6.2009, n. 287; Sezione Terza n. 474 del 2006; Sezione giurisdizionale Veneto, 7.7.2005, n. 992 e Sezione giurisdizionale Lombardia, 12.12.2005, n. 278).
Nella prospettazione della Procura il quid pluris richiesto per la sussistenza dell’occultamento doloso sarebbe rinvenibile nell’avere il prof. S. omesso di comunicare lo svolgimento di attività incompatibile.
Orbene, posto che la disciplina che presiede al rapporto d’impiego non prescrive di comunicare lo svolgimento di attività incompatibile, ma più semplicemente lo vieta, non v’è chi non veda come, a seguire la tesi del requirente, il quid pluris in questione si risolverebbe nell’obbligo di autodenuncia dell’avvenuto svolgimento dell’attività vietata o dell’intenzione di svolgerla, rendendo di fatto pleonastica la disposizione che, ai fini del differimento della prescrizione, non si limita a prevedere il carattere doloso della condotta produttiva di danno, ma richiede anche una particolare condotta del dipendente volta a nascondere il fatto dannoso.
Quanto sopra considerato, il collegio ritiene che nel caso in esame sia mancata l’ulteriore specifica attività finalizzata ad impedire la conoscenza del fatto in cui si sostanzia il doloso occultamento. Ed invero, non solo non si rinvengono nella condotta dello S. specifici artifizi (costituzione di società di comodo, fatturazioni effettuate da terzi compiacenti…), volti a tenere celata la sua attività privata, ma risulta anzi che lo stesso ha regolarmente indicato nella propria dichiarazione dei redditi i compensi percepiti e che le cariche sociali ricoperte risultavano dai pubblici registri.
Per tali motivi l’eccezione di prescrizione della pretesa risarcitoria risulta fondata e, pertanto, la stessa deve essere dichiarata prescritta, essendo riferibile ad emolumenti stipendiali percepiti dal convenuto contemporaneamente allo svolgimento di attività che si assume incompatibile tra il 23/5/2002 e l’ 8/11/2003, quindi, anteriormente al 28/2/2009, ovvero al quinquennio precedente la notifica dell’invito a dedurre (avvenuta in data 28/2/2014).
Sulla base delle suesposte considerazioni, la Sezione ritiene, pertanto, di dover pronunciare sentenza di assoluzione del convenuto G.S. dagli addebiti mossi.
In considerazione della causa di proscioglimento, le spese legali e di giudizio vanno integralmente compensate.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria, definitivamente pronunciando, assolve il convenuto per intervenuta prescrizione dell’azione di responsabilità amministrativa promossa dalla Procura regionale.
Compensa le spese legali e di giudizio.
Così deciso in Genova, nella camera di consiglio del 18 febbraio 2015.
Depositata in Cancelleria 16 aprile 2015.