Corte dei conti, sez. II, 21 novembre 2016, n. 1175

Rettore e direttore amministrativo – Liquidazione trattamento pensionistico in eccesso

Data Documento: 2016-11-21
Area: Giurisprudenza
Massima

Era interpretazione possibile quella secondo cui, a decorrere dal 1 gennaio 1995, la base pensionabile, da incrementare del 18% ex l. 29 aprile 1976, n. 177 e sulla quale applicare la percentuale di cui all’art. 44 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, fosse costituita da tutti gli elementi retributivi assoggettati a contribuzione, ivi comprese l’indennità integrativa speciale e la retribuzione di posizione, così da poter escludere il dolo o la colpa grave in capo ai responsabili della quantificazione dei trattamenti pensionistici del personale dipendente dell’università che si siano conformati a tale interpretazione. Allo stesso modo, sussistendo contrasti giurisprudenziali e per la complessità della tematica, non è sufficiente a perfezionare la gravità della colpa il non essersi il rettore e il direttore amministrativo dell’ateneo conformati alle circolari e a una nota Inpdap, quest’ultima emessa in risposta a specifici quesiti rivolti all’ente previdenziale dall’università.Deve escludersi la configurabilità del litisconsorzio necessario nei giudizi di responsabilità amministrativa, ex art. 102 c.p.c.. Ciò viene affermato nella considerazione che, nei confronti dei soggetti convenuti, può essere fatta valere solo la quota di responsabilità ad essi direttamente imputabile, in forza della parziarietà e personalità della responsabilità amministrativa. Tanto premesso, va osservato che la scelta del giudice di primo grado, di non disporre l’integrazione del contraddittorio, non può formare oggetto di sindacato nel giudizio di appello, ostandovi il disposto dell’art. 354 c.p.c., che consente la rimessione della causa al primo giudice solo per le ipotesi d’integrazione necessaria del contraddittorio.

Contenuto sentenza

GIUDIZIO DI CONTO   –   PENSIONI
C. Conti Sez. II App., Sent., 21-11-2016, n. 1175
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE
composta dai magistrati:
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – [#OMISSIS#]
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere relatore
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul giudizio d’appello iscritto al n. 38200 del ruolo generale, proposto dalla Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per l'[#OMISSIS#] Romagna, contro i Sig.ri G.P. e P.G.R.G., rappresentati e difesi dagli Avv.ti [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Prof. [#OMISSIS#], elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, in Roma, via Camozzi n. 1;
avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione [#OMISSIS#] Romagna n. 78/2010 depositata in data 18.01.2010;
esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;
uditi [#OMISSIS#] udienza del 26 gennaio 2016 il relatore Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], il rappresentante della Procura Generale [#OMISSIS#] persona del V.P.G. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e l’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per gli appellati.
Svolgimento del processo
Con atto depositato in data 8 giugno 2009 la Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione [#OMISSIS#] Romagna ha convenuto in giudizio il Prof. P.G. e la dott. R.G.P.G. per ivi sentirli condannare al pagamento, in favore dell’Università degli Studi di Modena e Reggio [#OMISSIS#], della somma Euro 28.997,79, oltre ad interessi legali, rivalutazione monetaria e spese di giudizio.
Ai predetti era stato contestato l’aver emesso, in qualità di rettore il Prof. P. e direttore amministrativo la Dr.ssa R.G., provvedimenti di liquidazione del trattamento pensionistico (decreti definitivi del 23 e 30.03.2004) in favore di tre dipendenti dell’Università: C.O., P.A. e S.M.I., cessati per volontarie dimissioni rispettivamente dal 01.08.2003, dal 01.10.2003 e dal 01.02.2004. Con essi venivano infatti riconosciute somme in misura [#OMISSIS#] rispetto a quella spettante, per attribuzione della maggiorazione del 18% sull’indennità integrativa speciale e sulla retribuzione di posizione per il dirigente S. e sulla retribuzione di posizione per i funzionari categoria EP C. e P..
L’ammontare del danno, quantificato nell’atto di invito a dedurre in Euro 42.100,15, ovvero [#OMISSIS#] somma pari ai ratei differenziali indebiti, dalla data di collocamento a riposo di ciascuno dei tre interessati fino al 28.02.2009, è stato ridotto in citazione, per avvenuta riliquidazione (con decreti del 10.04.2009) dei trattamenti pensionistici, sulla base del nuovo CCNL di riferimento, a decorrere dalle date di cessazione, senza la maggiorazione di cui è causa.
A seguito delle operazioni di calcolo, infatti, per il Sig. C. la riliquidata pensione annua lorda risultava di poco superiore a quella illecitamente corrisposta e la posizione dell’ex dipendente fu ritenuta “definita”; il danno, dunque, riguardava unicamente le posizioni di S. (Euro 26.763,24) e P. (Euro 2.234,55), per il totale di Euro 28.997,79.
Il Requirente aveva evidenziato la grave ed inescusabile negligenza dei predetti, per l’inosservanza della normativa di settore, per aver disatteso la uniforme giurisprudenza della Corte dei conti, anche in sede di controllo, per la violazione delle circolari esplicative emanate dall’istituto previdenziale e per aver provveduto nonostante il contrario parere, espresso con nota n. 7963 del 18.10.2002, su richiesta della stessa Università, dalla Direzione centrale trattamenti pensionistici dell’INPDAP, confermato dal Dipartimento della funzione pubblica con nota del 7 aprile 2004. Il danno veniva riferito al P. [#OMISSIS#] misura del 60%, alla R.G. per il 40%.
Con la sentenza indicata in epigrafe i predetti sono stati assolti, con compensazione delle spese, per mancanza di colpa grave, per la difficoltà di interpretazione delle disposizioni da applicare, per la non univocità della giurisprudenza che si era formata fino all’epoca dei fatti di causa (fine dell’anno 2003), per il fatto che l’indirizzo favorevole del rettore ricevette l’approvazione del Consiglio di amministrazione dell’Università (21.01.2004), la cui delibera fu eseguita con i decreti contestati.
Con atto depositato in data 20.07.2010 ha proposto appello la Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione [#OMISSIS#] Romagna, per: erroneità della sentenza; violazione e/o falsa interpretazione e applicazione della legge; insufficiente e carente motivazione; motivazione illogica ed erronea; travisamento dei fatti; eccesso di potere.
L’appellante ha dedotto quanto segue:
– omessa valutazione delle argomentazioni prospettate dall’attore circa la violazione dell’art 43 del D.P.R. n. 1092 del 1973, che ha posto il principio per cui non tutte le voci retributive pensionabili entrano a far parte dello stipendio-base. L’appellante ha richiamato le deliberazioni nn. 23 del 01.03.1990, 52 del 06.06.2000, 101 del 25.11.1999 e 2 del 24.03.2004 della Sezione controllo Stato, la giurisprudenza delle Sezioni regionali e in grado d’appello, le sentenze delle SS.RR. n. 6/QM/2004 del 27.04.2004 e 9/QM/2006 del 29.09.2006 e le circolari dell’INPDAP nn. 23 del 30.03.2004, 27 del 30.04.2004, 28 del 12.06.2001, 27 dell’11.03.2002 e 21 del 14.04.2003.
Ha ribadito che l’art. 43 succitato, come sostituito dall’art. 15 della L. n. 177 del 1976, stabilendo un aumento del 18% della base pensionabile, costituita dagli emolumenti tassativamente indicati dalla medesima disposizione, esclude tra quelle voci l’importo dell’indennità integrativa speciale e della retribuzione di posizione.
Ha evidenziato come, successivamente alla L. n. 335 del 1995, non vi fosse alcun dubbio circa la non spettanza della maggiorazione di cui all’art. 43 succitato.
L’appellante ha anche rilevato che numerose sentenze favorevoli alla applicazione della maggiorazione del 18% emesse dalla sezione regionale per l'[#OMISSIS#] Romagna in materia di pensioni militari, richiamate [#OMISSIS#] impugnata sentenza, sono state riformate in appello.
Ha specificato che, al momento della liquidazione delle pensioni definitive (marzo 2004), i convenuti non potevano non conoscere la giurisprudenza formatasi in detta materia, aggiungendo che i primi [#OMISSIS#] hanno erroneamente individuato l’epoca dei fatti di causa con la fine dell’anno 2003;
– omessa chiamata in causa e mancata considerazione ai fini della condanna dell’apporto di altri soggetti.
L’appellante ha lamentato che i primi [#OMISSIS#], pur avendo riconosciuto l’ascrivibilità del fatto al direttore amministrativo succeduto alla Dr.ssa G. per mancato annullamento o revoca dei provvedimenti causativi del danno, non abbia provveduto alla chiamata in causa del medesimo, per il danno prodotto dalla data del suo coinvolgimento (costituzioni in mora del luglio 2006) fino al febbraio 2009 e, comunque, non abbia addebitato al rettore P., in carica sino al 31.10.2008, almeno una quota parte del danno;
– omessa valutazione del parere reso dall’INPDAP, su richiesta della stessa Università, con nota n. 7963 del 18.10.2002;
– omessa liquidazione delle spese a favore dei convenuti assolti, stante il divieto di compensazione delle spese (art. 17, comma 30 quinquies, del D.L. n. 78 del 2009, conv. in L. n. 102 del 2009, modificativo della disposizione interpretativa di cui all’art. 10 bis, comma 10 del D.L. n. 203 del 2005, conv. in L. n. 248 del 2005).
L’appellante ha chiesto conclusivamente la riforma della sentenza e la condanna degli appellati come da atto di citazione.
Con atto depositato il 21.09.2010 gli appellati si sono costituiti in giudizio, chiedendo dichiararsi l’irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità e, comunque, la manifesta infondatezza dell’appello.
[#OMISSIS#] memoria depositata il 31.12.2015 hanno precisato che nelle more dell’appello le dipendenti S. e P. hanno integralmente pagato il loro debito. Hanno allegato comunicazione dell’INPS del 30.11.2015 attestante il completo recupero degli indebiti. Il conseguente integrale soddisfacimento della pretesa attorea ha determinato, ad avviso degli appellati, la cessazione della materia del contendere. Per l’ipotesi in cui dovesse essere disattesa della conclusione, hanno evidenziato che l’appello, meramente reiterativo della argomentazioni già svolte in primo grado, non potrà che essere respinto, per le ragioni tutte svolte in prime cure, che hanno integralmente riprodotto, già accolte [#OMISSIS#] sentenza impugnata. Hanno quindi chiesto dichiararsi l’estinzione del giudizio per intervenuta cessazione della materia del contendere; in mero subordine respingersi l’appello, confermando in toto la sentenza impugnata, con compensazione delle spese.
[#OMISSIS#] pubblica udienza l’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], per gli appellanti, ha concluso come in atti, insistendo per la declaratoria della cessazione della materia del contendere, in ragione dell’avvenuto integrale recupero delle somme indebite certificato dall’INPDAP. Nel merito ha confermato le deduzioni scritte. Il rappresentante del Pubblico Ministero ha evidenziato la genericità della nota dell’INPDAP relativa all’avvenuto recupero, in cui non vengono forniti elementi precisi di dettaglio circa gli indebiti oggetto delle procedure di ripetizione, rilevando l’insufficienza della documentazione depositata a dimostrare la cessazione della materia del contendere. Ha precisato che, in ogni [#OMISSIS#], detta declaratoria è impedita dal mancato pagamento degli interessi legali, della rivalutazione monetaria e delle spese di giudizio. Nel merito ha insistito sulla domanda originaria, richiamando consolidata giurisprudenza; la sussistenza della colpa grave sarebbe comprovata dal parere specifico diretto dall’INPDAP all’Università di Modena e Reggio [#OMISSIS#]. In breve replica l’Avv. [#OMISSIS#] ha ribadito che solo successivamente ai fatti la giurisprudenza ha stabilito quali emolumenti debbano essere inseriti [#OMISSIS#] base pensionabile con l’aumento del 18%, aggiungendo che i reali responsabili non sono stati chiamati nel giudizio.
Motivi della decisione
Preliminarmente osserva il Collegio che non può essere accolta la richiesta di declaratoria della cessazione della materia del contendere avanzata, con la memoria depositata il 31.12.2015, dalla difesa dei convenuti, per quanto rappresentato dall’Istituto previdenziale, con l’allegata nota n. 5000./30/11/2015/0247709 del 30.11.2005.
L’INPS, succeduto ex lege all’INPDAP, ha ivi dichiarato che “gli indebiti delle Sig.re P.A. e S.M.I. sono stati completamente recuperati sulle pensioni n. 17341431 e n. 17341464”.
Ebbene, la dichiarazione non è dettagliata nel contenuto testuale ed è priva di allegati comprovanti i versamenti effettuati.
Essa è, pertanto, inidonea a fondare il venir meno dell’interesse (processuale) della parte pubblica alla naturale conclusione del giudizio a seguito della trattazione del merito della causa, neanche limitatamente alla richiesta attorea di rifusione della sorte capitale. Non vi è infatti certezza in ordine all’effettiva soddisfazione dell’interesse sostanziale del soggetto che ha proposto il giudizio, che costituisce il presupposto imprescindibile per addivenire alla declaratoria di cessazione della materia del contendere (questa Sezione, n. 335 del 24.06.2015; id. n. 153 del 27.03.2015; id. n. 161 del 01.04.2015; id. n. 391 del 04.07.2012).
Nel merito si osserva che l’appellante Procura ha in primo luogo contestato:
a) l’omessa valutazione delle argomentazioni contenute nell’atto di citazione circa:
– il contenuto precettivo dell’art. 43 del D.P.R. n. 1092 del 1973 avuto riguardo alla mancata inclusione dell’iis e della retribuzione di posizione tra le voci delle quali può tenersi conto ai fini dell’aumento del 18%;
– l’impossibilità di ricomprendere [#OMISSIS#] stipendio – base tutti gli emolumenti accessori, pur pensionabili;
– l’indubbia non spettanza della maggiorazione di cui all’art. 43 succitato sugli emolumenti de quibus successivamente alla L. n. 335 del 1995;
– i chiarimenti offerti sulle specifiche questioni dall’INPDAP all’Ateneo con la nota n. 7963 del 18.10.2002;
b) l’erroneità delle affermazioni circa:
– la non tassatività delle voci suscettibili dell’aumento del 18% indicate nell’art. 43 del D.P.R. n. 1092 del 1973;
– la sussistenza di contrasto giurisprudenziale sulla valutabilità [#OMISSIS#] base pensionabile (con l’aumento in questione) della iis e della retribuzione di posizione all’epoca dei fatti.
Nessuna delle suddette censure è condivisibile.
[#OMISSIS#] sentenza impugnata vi è una dettagliata descrizione della normativa introdotta dal D.P.R. n. 1092 del 29 dicembre 1973negli articoli 43 (personale civile), riguardante la causa e, per mera completezza espositiva, 53 (personale militare), prima e dopo le modifiche recate dall’art. 15 della L. n. 177 del 29 aprile 1976.
I primi [#OMISSIS#] in definitiva hanno evidenziato che “a partire dall’entrata in vigore della L. n. 177 del 1976, la base pensionabile (cioè l’entità alla quale applicare la percentuale prevista dall’art. 44 del D.P.R. n. 1092 del 1973 in ragione dell’anzianità utile a pensione) è costituita da due parti autonome: da un lato le voci di cui all’art. 15 della ripetuta L. n. 177 del 1976 il cui totale deve esser maggiorato del 18% e, dall’altro, le indennità e gli assegni previsti da [#OMISSIS#] di legge che, pur pensionabili, non beneficiano di tale incremento”.
Ivi si è ammesso che “all’epoca dei fatti di cui è causa… la questione stessa era apparsa ormai univocamente decisa nel senso della non tassatività ed esaustività delle elencazioni” [#OMISSIS#] considerazione che gli assegni ben avrebbero potuto essere “introdotti nell’ordinamento da leggi posteriori…”.
Dunque si è ritenuto sostanzialmente che l’elencazione contenuta dai citati articoli del testo unico non costituisca un numerus clausus, ma non è stato negato, come sembra sostenere l’appellante, che l’inclusione [#OMISSIS#] base pensionabile di indennità ed assegni ai fini dell’aumento del 18% richieda apposita disposizione normativa che la preveda.
Per quanto riguarda la non spettanza della maggiorazione di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 1092 del 1973, come modificato dall’art. 15 della L. n. 177 del 1976 sull’indennità integrativa speciale e sulla retribuzione di posizione con riferimento alle posizioni pensionistiche delle Dott.sse S. e P., la prima dirigente, la seconda appartenente alla categoria EP (Elevate Professionalità), i primi [#OMISSIS#] in nessun punto della gravata sentenza hanno affermato che l’inclusione delle richiamate voci contributive [#OMISSIS#] base pensionabile con applicazione della maggiorazione, fosse legittima.
La motivazione è diretta verificare se, al momento dei fatti, ossia della data di collocamento a riposo delle due dipendenti S. e P., rispettivamente dal 1 febbraio 2004 e dal 1 ottobre 2003 (date esattamente indicate [#OMISSIS#] narrativa della sentenza, pag. 3), sussistesse un contrasto di giurisprudenza sull’esatto computo delle voci da inserire [#OMISSIS#] base pensionabile.
Quindi i primi [#OMISSIS#] hanno individuato le possibili diverse interpretazioni delle normativa sulla materia, con riferimento, in linea generale, alla computabilità o meno di varie indennità, non rientranti nelle elencazioni di cui [#OMISSIS#] artt. 43 e 53 del D.P.R. n. 1092 del 1973, [#OMISSIS#] base pensionabile ai fini della maggiorazione del 18%.
Si indicava quale [#OMISSIS#] emblematico quello dell’assegno funzionale attribuito ai sottufficiali delle forze armate (art. 1 c. 9 del D.L. n. 379 del 16 settembre 1987, convertito [#OMISSIS#] L. n. 468 del 14 novembre 1987) e a favore di varie categorie di appartenenti alle forze di polizia, tra cui l’Arma dei Carabinieri ed il Corpo della [#OMISSIS#] di Finanza (art. 6 del D.L. n. 387 del 21 settembre 1987, convertito [#OMISSIS#] L. n. 472 del 20 novembre 1987).
Venivano quindi esposte le due opposte tesi sostenute in giurisprudenza, chiarendo che quella favorevole al pensionato era fondata sulla individuazione, in capo all’assegno funzionale, delle caratteristiche proprie dello stipendio.
Sul punto non giova all’appellante il rilievo circa l’esistenza di sentenze in grado di appello di questa Corte del 2003 che avevano sostenuto la tesi restrittiva e di due sentenze delle sezioni Riunite (nn. 6/QM/2004 e 9/QM/2006), per effetto delle quali si confermava la natura accessoria e non stipendiale dell’emolumento.
Il richiamo alle sentenze delle sezioni centrali e dell’organo nomofilattico, infatti, dimostra come la questione giuridica fosse stata tormentata e di difficile soluzione.
Vero è che con la sentenza n. 6/QM del 27.04.2004 le Sezioni Riunite avevano dichiarato inammissibile la questione di massima loro deferita, evidenziando come la Sezione seconda d’appello avesse proceduto ad una integrale rivisitazione della problematica (rispetto alla posizione [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] decisione n. 66/99/A del 5 febbraio 1999), affermando in maniera uniforme, in più pronunce del 2003, che l’assegno di cui trattasi non potesse essere incluso [#OMISSIS#] base pensionabile.Tuttavia il [#OMISSIS#] della nomofilachia prendeva atto che un contrasto giurisprudenziale esisteva tra le sezioni di primo grado.
Due anni dopo, inoltre, [#OMISSIS#] sentenza n. 9/QM del 29.09.2006, confermato il principio di diritto, fu rilevato un sopravvenuto contrasto in secondo grado, stante il diverso orientamento della sezione d’appello per la Regione Sicilia rispetto a quello delle Sezioni centrali, che, osserva il Collegio, è perdurato anche successivamente, visto che le Sezioni Riunite, [#OMISSIS#] sentenza n.9/2011/QM del 31.05.2011, nuovamente pronunciatesi sulla questione, questa volta per deferimento da parte del [#OMISSIS#] della Corte, hanno ritenuto che la problematica presentasse ancora [#OMISSIS#] controversi.
E’ anche da confermare la sentenza impugnata laddove si è osservato che era interpretazione possibile quella secondo cui, a decorrere dal 1 gennaio 1995, la base pensionabile, da incrementare del 18% ex L. n. 177 del 1976 e sulla quale applicare la percentuale di cui all’art. 44 del D.P.R. n. 1092 del 1973, fosse costituita da tutti gli elementi retributivi assoggettati a contribuzione, ivi comprese l’indennità integrativa speciale e la retribuzione di posizione.
Ciò sul presupposto per cui, ai sensi del comma 3 dell’art. 15 della L. n. 724 del 23 dicembre 1994, “con decorrenza 1 gennaio 1995 per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni ed integrazioni, iscritti alle forme di previdenza esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria nonché per le altre categorie di dipendenti iscritti alle predette forme di previdenza la pensione spettante viene determinata sulla base degli elementi retributivi assoggettati a contribuzione, ivi compresa l’indennità integrativa speciale…”, pur non aumentata figurativamente, quest'[#OMISSIS#], della quota di maggiorazione del 18%, ai fini dell’assoggettamento alla ritenuta in conto entrate del Ministero del Tesoro (comma 1).
A prescindere dalla esattezza o meno dell’opzione ermeneutica, per quanto occorre [#OMISSIS#] presente sede, va confermato che le disposizioni da applicare erano di non agevole lettura e richiedevano di risolvere questioni di notevole tecnicismo.
Nel delineato profilo, sussistendo contrasti giurisprudenziali e per la complessità della tematica, non è sufficiente a perfezionare la gravità della colpa il non essersi i convenuti conformati alle circolari INPDAP e alla nota n. 7963 del 18.10.2002 dell’INPDAP-sede di Modena, emessa in risposta a specifici quesiti rivolti all’ente previdenziale dall’Ateneo. Va anche evidenziata, peraltro, la sinteticità degli argomenti utilizzati dall’Istituto in quest'[#OMISSIS#], fondati essenzialmente sulla esistenza di analoghe modalità di calcolo della base pensionabile per gli appartenenti ad altri comparti.
E’ appena il [#OMISSIS#] di precisare che l’aver individuato l'”epoca dei fatti” [#OMISSIS#] fine del 2003 piuttosto che nel marzo 2004, alla luce delle svolte considerazioni, non è conferente, non potendosi ritenere che in quell’arco temporale tutti i dubbi fossero stati sciolti.
Seguendo l’ordine delle questioni sollevate dall’appellante, il Collegio esamina la deduzione con la quale è stata censurata la motivazione, ritenuta perplessa, per l’omessa chiamata in causa del direttore amministrativo succeduto alla Dr.ssa R.G., al quale pure i primi [#OMISSIS#] riferivano l’ascrivibilità del fatto dannoso, per non aver provveduto all’annullamento o alla revoca dei provvedimenti pregiudizievoli dal luglio 2006 (data delle costituzioni in mora da costui effettuate) al febbraio 2009 ([#OMISSIS#] rateo mensile differenziale contestato).
L’appellante ha anche criticato la motivazione, sotto il profilo dell’incomprensibilità, laddove, per quell’arco temporale (luglio 2006 – febbraio 2009) non ha, almeno, condannato il rettore P., rimasto in carica fino al 31.10.2008.
Il motivo è infondato.
La consolidata giurisprudenza di questa Corte esclude la configurabilità del litisconsorzio necessario nei giudizi di responsabilità amministrativa, ex art. 102 c.p.c. (C. conti SS. RR. n, 5/QM del 20.06.2001; id. n. 13/QM del 18.06.2003; id. Sez. II n. 96 del 12.03.2008 e n. 464 del 09.07.2013; id. Sez. I n. 283 del 02.07.2008). Ciò viene affermato [#OMISSIS#] considerazione che, nei confronti dei soggetti convenuti, può essere fatta valere solo la “quota” di responsabilità ad essi direttamente imputabile, in forza della parziarietà e personalità della responsabilità amministrativa (art. 1, comma 1 quater, della L. n. 20 del 1994, secondo cui “se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso”).
Tuttavia si è anche ammesso che il [#OMISSIS#] possa ordinare d’ufficio l’intervento di un terzo. Si tratta di un potere, già previsto dall’art. 47 del R.D. n. 1038 del 1933, per il quale l'”intervento” in giudizio di un altro soggetto che abbia “interesse [#OMISSIS#] controversia” può anche “essere ordinato dalla sezione d’ufficio”.
Tanto premesso, va osservato che la scelta del [#OMISSIS#] di primo grado, di non disporre l’integrazione del contraddittorio, non può formare oggetto di sindacato nel giudizio di appello, ostandovi il disposto dell’art. 354 c.p.c., che consente la rimessione della causa al primo [#OMISSIS#] solo per le ipotesi d’integrazione necessaria del contraddittorio (Cass. sez. III, n. 22761 del 04.10.2013, e le ivi citate Sez. I, n. 6208 del 13.03.2013; Sez. III, n. 22596 del 01.12.2004; Sez. lav., n. 4129 del 22.03.2002).
Per quanto riguarda la mancata condanna del rettore P. ad una quota parte del danno, nel predetto arco temporale, il rilievo non tiene conto che il punto della motivazione in disamina ha ammesso la riferibilità degli effetti dannosi derivati dai provvedimenti pensionistici dal luglio 2006 al febbraio 2009 alla condotta del direttore amministrativo succeduto alla R.G., limitatamente al profilo dell’efficienza causale.
I primi [#OMISSIS#] hanno, infatti, dedotto proprio dal comportamento di quest'[#OMISSIS#] (che mise in mora i convenuti ma non annullò né revocò i provvedimenti stessi) la mancanza di colpa grave sia dei due direttori che del rettore. L’omissione degli atti di ritiro dimostrava che “gli organi amministrativi dell’Ateneo non fossero, all’epoca, sicuri della fondatezza della tesi dell’Istituto previdenziale tanto da assumere il rischio di un contenzioso …”.
Dunque nell’argomentazione criticata non è individuabile alcun vizio motivazionale.
Al riguardo della contestata omessa liquidazione delle spese a favore dei convenuti assolti, stante il divieto di compensazione, osserva il Collegio che l’appello per questa parte si presenta inammissibile, non integrando i requisiti di specificità in fatto e in diritto richiesti dall’art. 98 del R.D. n. 1038 del 2013.08.1933, considerato che l’assunto confligge con la richiesta di condanna degli appellati.
Per il complesso delle esposte considerazioni l’appello va respinto in quanto infondato e va confermata la sentenza di assoluzione nei confronti dei Sigg.ri P.G. e R.G.P.G..
Occorre dare applicazione alla L. n. 248 del 02 dicembre 2005, di conversione, con modificazioni, del D.L. n. 203 del 30 settembre 2005, che, nell’art. 10 bis, comma 10, ha stabilito, in via di interpretazione autentica dell’articolo 3, comma 2-bis, del D.L. n. 543 del 23 ottobre 1996, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 639 del 20 dicembre 1996, e dell’articolo 18, comma 1, del D.L. n. 67 del 25 marzo 1997, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 135 del 23 [#OMISSIS#] 1997, che, con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 91 del codice di procedura civile, la Corte dei conti liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto.
In applicazione della suddetta normativa, nonché dei nuovi parametri fissati negli artt. 4 e 5 del decreto del Ministero della Giustizia n. 55/2014, il Collegio liquida in Euro 1.500,00 le spese nell’interesse della difesa degli appellati Sigg.ri P.G. e R.G.P.G., tenuto conto del valore della controversia e delle concrete questioni di fatto e di diritto oggetto della prestazione professionale.
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] la compensazione delle spese di difesa disposta nel giudizio di primo grado, in mancanza di specifica impugnazione della relativa statuizione da parte degli appellati.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale, disattesa ogni altra istanza ed eccezione,
RESPINGE l’appello proposto dalla Procura regionale per l'[#OMISSIS#] Romagna e conferma integralmente la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione [#OMISSIS#] Romagna n. 78/2010 depositata in data 18.01.2010.
Liquida in Euro 1.500,00 le spese di difesa nell’interesse degli appellati Sigg.ri P.G. e R.G.P.G. per il presente grado.
Così deciso in Roma, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del 26 gennaio 2016.
Depositata in Cancelleria 21 novembre 2016.