N. 07496/2018 REG.PROV.COLL.
N. 03779/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 3779 del 2017, proposto da
[#OMISSIS#] Biggio, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] Ghera, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle Milizie n.1;
‘RESISTENTI’
contro
Università degli Studi della Tuscia in persona del Legale Rapp.Te pro tempore, Ministero per la Semplificazione e Pubblica Amministrazione in persona del Ministro pro tempore, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica in persona del Legale Rapp.Te pro tempore non costituiti in giudizio;
Università degli Studi della Tuscia, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
– del decreto 8.3.2017 n. 186 del Rettore dell’Università degli Studi della Tuscia – comunicato in data 9.3.2017 – con cui è stata disposta la cessazione del Dott. Gian [#OMISSIS#] Biggio dall’Ufficio di Ricercatore Universitario inquadrato nel settore scientifico disciplinare M-PSI/06, a decorrere dall’1.11.2017;
– di ogni atto presupposto e/o consequenziale, e in particolare, ove possa occorrere, la nota n. 2317 del 17.2.2017, a firma del Direttore Generale dell’Università della Tuscia, nonché le circolari del Ministro della Funzione Pubblica n. 2 dell’8.3.2012, n. 2 del 19.2.2015 e la nota n. 13264/2013 del medesimo Ministro, giammai comunicate al ricorrente e solo menzionate nella predetta nota.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi della Tuscia, della Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione e della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 giugno 2018 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per il ricorrente l’Avv. S. Salvato in sostituzione dell’Avv. [#OMISSIS#] Ghera e per le Amministrazioni resistenti gli Avvocati dello Stato [#OMISSIS#] Varrone e Giovanni Greco.
Il dott. [#OMISSIS#] Biggio, nato il 24.2.1952 è ricercatore universitario presso l’Università degli Studi della Tuscia dal 28.12.2009 ed ha compiuto il 65° anno di età anagrafica in data 24.02.2017.
Il medesimo docente risultava essere iscritto all’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Psicologi (E.N.P.A.P.) dal 1996.
L’art.13 del regolamento per la previdenza dell’E.N.P.A.P. dispone che “la pensione di vecchiaia è corrisposta all’iscritto che abbia compiuto almeno sessantacinque anni di età, a condizione che risultino dallo stesso versati ed accreditati almeno cinque anni di effettiva contribuzione all’Ente”.
L’E.N.P.A.P., con nota del 10.01.2017 ha comunicato all’Ateneo che il ricorrente “maturerà le condizioni contributive ed anagrafiche in data 24.02.2017 per fruire della pensione di vecchiaia con decorrenza 1.03.2017”.
Con D.R. n.186/17 del 8.03.2017 l’Ateneo, quindi, ha disposto la cessazione dal servizio del dott. Biggio a decorrere dal 1.11.2017 richiamando il combinato disposto dell’art. 24, comma 4, del Decreto Legge 6.12.2011 n. 201, convertito con la Legge 22.12.2011 n. 214 e dell’art. 2, comma 5, del Decreto Legge 31.08.2013 n. 101, convertito con la Legge 30.10.2013 n. 125, in base al quale l’Amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro se il lavoratore ha conseguito – “a qualsiasi titolo” – i requisiti per il diritto a pensione.
Secondo l’Università l’istante avrebbe maturato il diritto alla pensione presso la Fondazione ENPAP, che gestisce la previdenza della categoria degli psicologi e ciò sarebbe ostativo alla prosecuzione del rapporto di pubblico impiego, sino alla maturazione dei requisiti per potere accedere alla pensione di vecchiaia erogata in favore dei docenti universitari, da parte della apposita gestione costituita presso l’INPS.
Avverso gli atti in epigrafe ha quindi proposto ricorso l’interessato deducendo i seguenti motivi:
1) Violazione del combinato disposto di cui agli artt. 24, co. 4, D.L. n. 201/2011 e 2, co. 5, D.L. n. 101/2013; eccesso di potere per manifesta irragionevolezza.
Il D.L. n. 201/2011, conv. l. 22.12.2011, n. 214 (c.d. riforma Fornero) ha elevato i requisiti – anagrafici e contributivi – richiesti per l’accesso al trattamento pensionistico.
Secondo l’art. 2, co. 5, D.L. n. 101/2013 (conv. l. 30.10.2013, n. 101), che ha interpretato autenticamente l’art. 24, co. 4, D.L. n. 201/2011, i previgenti limiti per il collocamento a riposo, previsti per i pubblici dipendenti dai settori di appartenenza, non sarebbero stati modificati dalla riforma Fornero; e, ove al raggiungimento di essi il lavoratore non avesse maturato i nuovi requisiti per il pensionamento, previsti dalla riforma, il rapporto di lavoro dovrebbe proseguire, sino a che l’interessato non maturi i requisiti per il diritto a pensione.
Nel caso di specie, viceversa, l’amministrazione ha disposto il collocamento a riposo del ricorrente, per il raggiungimento del limite di età previsto dal settore di appartenenza (65 anni), senza che lo stesso abbia maturato alcun diritto a pensione secondo i requisiti previsti dalla riforma Fornero.
L’art. 2, co. 5, D.L. n. 101/2013 dovrebbe essere inteso nel senso che il rapporto di pubblico impiego non potrebbe cessare sino a che il lavoratore non abbia ancora maturato i requisiti previsti dalla c.d. riforma Fornero per avere diritto alla pensione come pubblico dipendente.
Il provvedimento rettorale impugnato avrebbe illegittimamente collegato la cessazione del rapporto di impiego con l’Università con la circostanza che il ricorrente avesse maturato il diritto a pensione come libero professionista, presso una gestione previdenziale diversa da quella dei pubblici dipendenti.
L’art. 2, co. 5, D.L. n. 101/2013 – che è intervenuto in via di interpretazione autentica sull’art. 24 cit. – riguarderebbe solo i trattamenti pensionistici i cui requisiti sono fissati dalla cd. riforma “Fornero” e non le pensioni gestite dalle Casse professionali.
L’art. 2, co. 5, D.L. n. 101/2013 (conv. in l. 30.10.2013, n. 101) dovrebbe essere interpretato nel senso che, una volta disposta la prosecuzione del servizio, l’interessato dovrebbe esser collocato a riposo non appena abbia maturato per qualsiasi titolo il diritto alla pensione, in qualità di pubblico dipendente, e dunque a carico della apposita gestione INPS, e in base alla maturazione di una pensione presso una gestione diversa dalla assicurazione generale obbligatoria.
Le Casse dei professionisti, che sono Fondazioni di diritto privato e gestiscono una forma di previdenza del tutto autonoma ed alimentata con i contributi degli iscritti. Tali Casse, secondo la Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 7 del 2017), gestiscono una forma di previdenza che realizza una “solidarietà interna” alla categoria e ad essa soltanto, per cui non avrebbe alcun senso far dipendere il diritto alla prosecuzione del rapporto di servizio con la pubblica amministrazione dalla maturazione di un diritto a pensione presso una Cassa di previdenza come quella in esame;
2) Accertamento del diritto del ricorrente alla permanenza in servizio sino al raggiungimento dei requisiti anagrafici e contributivi minimi per il conseguimento della pensione di vecchiaia a carico della apposita Gestione relativa ai trattamenti pensionistici per i dipendenti dello Stato (CTPS, dal 2012 trasferita all’INPS per effetto della soppressione dell’INPDAP).
Il ricorrente, che ha preso servizio presso l’Università della Tuscia nel 2009, maturerebbe il diritto alla pensione di vecchiaia, presso la Gestione relativa ai trattamenti pensionistici per i dipendenti dello Stato, al compimento di 70 anni e 7 mesi di età, in base a quanto previsto dall’art. 24, co. 7, D.L. n. 201/2011, ai sensi del quale si potrebbe prescindere dal requisito minimo di una anzianità contributiva di almeno 20 anni, solo al raggiungimento del settantesimo anno di età [70 anni e 7 mesi dal 31.12.2018], purché si abbia una anzianità contributiva di almeno cinque anni.
Ne consegue che in base all’art. 2, co. 5, D.L. n. 101/2013 l’istante avrebbe diritto a proseguire il rapporto sino alla maturazione dei requisiti per conseguire la pensione di vecchiaia presso la Gestione relativa ai trattamenti pensionistici per i dipendenti dello Stato, e cioè – allo stato – al compimento di 70 anni e 7 mesi.
Ai sensi del combinato disposto degli artt. 24, co. 4, D.L. n. 201/2011 e 2, co. 5, D.L. n. 101/2013, l’interessato avrebbe titolo a proseguire il rapporto con la amministrazione sino al raggiungimento dei requisiti minimi per la liquidazione della pensione di vecchia, non rilevando la circostanza che con il compimento del 65° anno di età possa maturare il diritto a pensione presso presso una Cassa di previdenza professionale;
3) Illegittimità costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 24, co. 4, D.L. n. 201/2011 e 2, co. 5, D.L. n. 101/2013, così come interpretato dal provvedimento impugnato, per violazione degli artt. 3, primo e secondo comma, 36 e 38 Cost.; illegittimità derivata del provvedimento rettorale impugnato.
Il suddetto combinato disposto, così come interpretato dal decreto rettorale, violerebbe gli artt. 3, 36 e 38 Cost., con conseguente illegittimità derivata del provvedimento rettorale medesimo.
Dagli artt. 24, co. 4, D.L. n. 201/2011 e 2, co. 5, D.L. n. 101/2013 si ricaverebbe il diritto del lavoratore pubblico alla prosecuzione del rapporto – anche oltre i limiti ordinamentali del settore di appartenenza – sino al raggiungimento dei requisiti anagrafici e contributivi per la maturazione della pensione di vecchiaia a carico della apposita Gestione relativa ai trattamenti pensionistici per i dipendenti dello Stato (CTPS, dal 2012 trasferita all’INPS, per effetto della soppressione dell’INPDAP);
4) Illegittimità della nota 2317/2017 a firma del Direttore Generale dell’Università della Tuscia, nonché, ove possa occorrere, delle circolari del Ministro della Funzione Pubblica n. 2 dell’8.3.2012 e n. 2 del 19.2.2015, nonché la nota n. 13264/2013 del Dipartimento della Funzione Pubblica (violazione degli artt. 24, co. 4, D.L. n. 201/2011 e 2, co. 5, D.L. n. 101/2013; eccesso di potere per manifesta irragionevolezza; violazione dell’art. 38 Cost.).
La nota 2317/2017 con la quale il Direttore Generale dell’Università della Tuscia aveva affermato la necessità che il ricorrente cessasse dal servizio al raggiungimento del 65° anno di età, a seguito della maturazione del diritto a pensione presso la Cassa degli psicologi violerebbe l’art. 2, co. 5, del D.L. n. 101/2013, secondo cui il pubblico dipendente non possa essere collocato a riposo prima di avere maturato, in tale sua qualità, il diritto alla pensione.
L’atto impugnato violerebbe l’art. 2, co. 5, D.L. n. 101/2013, l’art. 24, co. 4, D.L. n. 201/2011 e l’art. 38 Cost., secondo cui il pubblico dipendente non potrebbe essere collocato a riposo per raggiungimento dei limiti di età se non ha maturato i requisiti per la pensione.
L’Università degli Studi della Tuscia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per la Pubblica Amministrazione e la semplificazione, il Dipartimento della Funzione Pubblica, si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso, depositando memoria difensiva con la quale, puntualmente e diffusamente, replicano alle argomentazioni del ricorrente, concludendo per la reiezione del ricorso.
Con ordinanza n. 2876 del 7.6.2017 è stata accolta la domanda cautelare di sospensione degli atti impugnati.
Con successiva ordinanza collegiale n. 1341 all’esito della udienza del 24.1.2018 sono stati disposti incombenti istruttori, volti ad acquisire dall’INPS e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, chiarimenti in ordine all’orientamento interpretativo dell’Istituto sulla peculiare fattispecie in esame, anche in ordine a eventuali circolari interpretative o istruzioni diramate agli uffici periferici.
Quanto sopra allo scopo di verificare se la titolarità di una pensione erogata da una Cassa professionale, in dipendenza dello svolgimento di attività di lavoro autonomo, costituisca motivo ostativo – nei riguardi di un dipendente pubblico che, al raggiungimento dei limiti di età per il trattenimento in servizio previsti dall’ordinamento di appartenenza, non abbia tuttavia ancora maturato i requisiti per la liquidazione della pensione in relazione al rapporto di pubblico impiego – alla applicazione dell’art. 24, comma 4, D.L. n. 201/2011, così come interpretato autenticamente dall’art. 2, comma 5, D.L. n. 101/2013.
Il suddetto incombente, tuttavia, non risulta eseguito.
All’udienza del 20 giugno 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Ritenuto, alla luce di quanto premesso, di dover reiterare l’ordine istruttorio, onerando il responsabile della Direzione centrale pensioni dell’INPS, con facoltà di delega ad un dirigente del medesimo Ente.
Ritenuto di dover assegnare, per il deposito della richiesta documentazione nella Segreteria della Sezione, il termine di giorni sessanta dalla comunicazione della presente ordinanza.
La relazione e gli allegati dovranno essere depositati anche in formato digitale.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), interlocutoriamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, reitera l’incombente istruttorio di cui in premessa e rinvia l’udienza al 9.1.2019, per il prosieguo del giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2018 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Pubblicato il 6/07/2018