TAR Basilicata, Potenza, Sez. I, 10 luglio 2015, n. 424

Illegittimo inquadramento del dipendente pubblico–Annullamento d’ufficio

Data Documento: 2015-07-10
Area: Giurisprudenza
Massima

L’assunzione del personale esclusivamente tramite concorsi interni, e la conseguente violazione della quota minima del 50% da riservare ai concorsi esterni, sancita dall’art. 57, comma 6, CCNL del 9 agosto 2000, comporta una lesione del principio dell’assunzione presso le pubbliche amministrazioni mediante pubblico concorso, ex art. 97, comma 3, Cost. Ciò autorizza l’esercizio del potere di autotutela anche a notevole distanza di tempo, in quanto con provvedimenti non conformi a legge si favorisce il singolo e contemporaneamente si ledono con effetti continuativi fondamentali interessi pubblici.

Non può condividersi la tesi secondo cui l’art. 21 nonies, comma 1, legge 7 agosto 1990, n. 241, vada interpretato nel senso che per l’adozione del provvedimento di autotutela devono ricorrere necessariamente entrambi i seguenti presupposti: l’interesse pubblico specifico, non coincidente col mero ripristino della legalità, ed il decorso di un tempo non eccessivo, cioè di un termine “ragionevole”. Pertanto, il decorso di un notevole periodo di tempo non impedisce sempre ed in ogni caso l’esercizio del potere di autotutela, dovendo tenersi conto anche di ulteriori concorrenti principi cui è soggetta l’azione amministrativa.

L’interesse pubblico connotato da specificità, concretezza ed attualità, all’annullamento d’ufficio di un illegittimo inquadramento del dipendente pubblico è in re ipsa e non richiede particolare motivazione, dal momento che l’atto oggetto di autotutela produce un danno permanente per l’amministrazione, che consiste nell’esborso di danaro pubblico senza titolo con ingiustificato vantaggio per il dipendente; né in tal caso rileva il tempo trascorso dalla emanazione del provvedimento illegittimo, considerato che il suindicato interesse pubblico prevale sulle posizioni, per quanto consolidate, del dipendente.

Contenuto sentenza

N. 00424/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00253/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso avente numero di registro generale 253 del 2014, proposto da: 
– [#OMISSIS#] Guidetti, rappresentata e difesa dagli avvocati Marciano [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima, in Potenza, al viale [#OMISSIS#] n. 75; 
contro
– Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro in carica, Università degli Studi della Basilicata, in persona del Rettore in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Potenza, presso i cui uffici per legge domiciliano, in Potenza, al corso XVIII Agosto 1860; 
per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
– del provvedimento n. 73 del 28 febbraio 2014 del Direttore generale dell’Università degli Studi della Basilicata;
– di ogni altro atto connesso, presupposto o consequenziale;
– nonché, per il risarcimento di ogni danno.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi della Basilicata e del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 marzo 2015 il referendario Benedetto [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], anche per dichiarata delega dell’avv. [#OMISSIS#], e avvocato dello Stato [#OMISSIS#] Speranza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Col presente ricorso, notificato in data 29 aprile 2014 e depositato il successivo 2 maggio, la sig.ra [#OMISSIS#] Guidetti è insorta, nel limite dell’interesse, avverso il provvedimento in epigrafe, con il quale è stato disposto: “l’annullamento degli inquadramenti professionali rivenienti dalle procedure di progressione economica verticale perfezionatesi con PP.DD.AA. n. 145 del 4.3.2005, n. 195 del 31 marzo 2005 e n. 304 dell’11 maggio 2005”.
1.1. Ha esposto, in punto di fatto, la ricorrente che:
– è dipendente dell’Università degli studi della Basilicata dal 24 dicembre 1991;
– è stata inquadrata dapprima nella VI qualifica funzionale, profilo professionale di assistente tecnico e successivamente, a seguito dell’entrata in vigore del vigente sistema di classificazione del personale del comparto dell’Università, nella categoria C, ove ha conseguito, dal 1° gennaio 2003, la posizione economica 4;
– ha preso parte alla procedura di progressione verticale per la copertura di n. 1 posto di categoria D, posizione economica 1, area tecnico-scientifica ed elaborazione dati, riservata ai dipendenti di ruolo inquadrati nella categoria C, indetta con provvedimento del Direttore amministrativo n. 458 del 12 settembre 2003;
– in esito a tale procedura, si è collocata al terzo posto della graduatoria definitiva e, a seguito di scorrimento della graduatoria, con provvedimento del Direttore amministrativo n. 304/2005 è stata inquadrata nella categoria D, posizione economica D1, area tecnico-scientifica ed elaborazione dati, con decorrenza economica dal 6 maggio 2005;
– in data 4 marzo 2013, ha ricevuto comunicazione, ai sensi della legge n. 241/1990, di avvio del procedimento finalizzato all’annullamento degli inquadramenti professionali attuati nel 2005;
– ha presentato memoria di partecipazione procedimentale, onde sostenere la legittimità del proprio inquadramento;
– ciò nonostante, con l’impugnato provvedimento n. 73 del 28 febbraio 2014, l’Università degli studi della Basilicata ha adottato il provvedimento impugnato.
1.2. In diritto, la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3 e 97 Cost; principio del legittimo affidamento; principi comunitari) e l’eccesso di potere (carenza di istruttoria; difetto di motivazione).
2. Si è ritualmente costituito il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo l’estromissione dal giudizio. Si è, altresì, costituita l’Università degli studi intimata, concludendo per il rigetto del ricorso per sua infondatezza.
3. Alla camera di consiglio del 19 giugno 2014, il Collegio ha disposto l’abbinamento al merito dell’istanza cautelare.
4. Alla pubblica udienza svoltasi in data 11 marzo 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. In [#OMISSIS#], va rilevata l’estraneità al presente giudizio, ed il conseguente difetto di legittimazione passiva, del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, in adesione alla conforme eccezione formulata dalla difesa erariale, in quanto lo stesso non ha svolto alcun ruolo nella vicenda in esame.
2. Dalla disamina degli atti versati in giudizio dall’Avvocatura erariale, emerge che l’intimata Università, in data del 28 febbraio 2014, oltre alla impugnata determinazione n. 73/2014, ha emanato anche l’ulteriore provvedimento del Direttore generale n. 74/2014, col quale ha nuovamente disposto: “l’annullamento degli inquadramenti professionali rivenienti dalle procedure di progressione economica verticale perfezionatesi con pp.dd.aa. n. 145 del 4 marzo 2005, n. 195 del 31 marzo 2005 e n. 304 dell’11 maggio 2005”. Tale secondo provvedimento, non impugnato dalla ricorrente, rende improcedibile per sopravvenuto difetto d’interesse il presente ricorso, in quanto l’Amministrazione resistente ha nuovamente definito l’assetto degli interessi in questione in chiave preclusiva delle aspirazioni dell’istante, sicché nessun effetto deriverebbe in capo a quest’ultima dall’annullamento della determinazione n. 73/2015. Ciò nondimeno, il Collegio ritiene di poter prescindere dal rilievo d’ufficio di tale improcedibilità, risultando il ricorso infondato nel merito, alla stregua della motivazione che segue.
3. Con l’unico articolato motivo di ricorso, la sig.ra Guidetti ha invocato l’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, laddove consente l’annullamento d’ufficio del provvedimento illegittimo, purché sussistano i presupposti del termine ragionevole, della sussistenza di un interesse pubblico differente dal mero ripristino della legalità violata, e del contemperamento di questo con gli interessi dei destinatari e controinteressati. Ora, a detta della ricorrente, alcuno dei predetti presupposti sarebbe rinvenibile nella fattispecie, in quanto: i provvedimenti annullati in autotutela sarebbero in realtà pienamente legittimi; non sussisterebbe un interesse pubblico specifico al loro annullamento, essendo prevalente quello al corretto funzionamento dell’attività lavorativa all’interno dell’ateneo; non sarebbero stati in alcun modo considerati l’interesse della ricorrente e il suo legittimo affidamento; sarebbe largamente decorso il termine ragionevole, espressamente quantificato dall’art. 1, n. 136, della legge n. 311/2004 in un triennio, essendo decorsi oltre 9 anni dal perfezionamento del contestato inquadramento.
3.1. Le predette argomentazioni non colgono nel segno.
3.2. In relazione ai provvedimenti oggetto di annullamento d’ufficio, la ricorrente ne ha sostenuto la legittimità, evidenziando che l’Università intimata avrebbe correttamente proceduto alla previa ricognizione del proprio fabbisogno di personale, come risulterebbe anche dalla decisione di questo Tribunale n. 95/2009. Inoltre, in relazione al mancato rispetto delle percentuali di reclutamento dall’esterno, parte resistente sarebbe in realtà consapevole che: “le procedure concorsuali del 2003 riguardano le prime ed uniche progressioni verticali effettuate nell’Ateneo che con le precedenti e successive selezioni ha posto in essere solo reclutamenti ab esterno, rispettando ampiamente la percentuale richiesta per l’accesso esterno”. Infine, il provvedimento impugnato si fonderebbe su profili di illegittimità rilevati dalla Corte dei Conti, sez. I centrale, con decisione n. 52/2012, ivi espressamente richiamata. Tuttavia, la Corte dei Conti sarebbe “organo giurisdizionale incompetente” in quanto deputato alla ricognizione della responsabilità contrattuale della pubblica amministrazione e non all’accertamento dell’illegittimità di atti amministrativi.
3.2.1. In senso contrario a quanto prospettato dalla ricorrente va rilevato che il provvedimento del Direttore generale n. 73 del 28 febbraio 2014, sul versante motivazionale, si incentra, tramite richiamo ob relationem, oltre che sulla predetta sentenza della Corte dei Conti, anche sui pareri resi in merito rispettivamente dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Potenza e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. In particolare, il provvedimento concerne i seguenti due aspetti: a) l’inadempimento dell’obbligo di previa programmazione del fabbisogno di personale; b) la violazione del principio, di rilevo costituzionale, dell’accesso tramite concorso agli impieghi presso le amministrazioni pubbliche, da assicurare in misura almeno paritetica, tanto sul versante numerico quanto su quello qualitativo, rispetto ai posti da ricoprire tramite procedure di riqualificazione professionale riservate al personale già in servizio. Al riguardo, a giudizio del Collegio, assume speciale rilevanza la palese violazione dell’obbligo di garantire un adeguato accesso dall’esterno, in misura non inferiore al 50% dei posti da coprire. Sul punto, l’art. 35, n. 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante “norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, è chiaro nel disporre che l’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene tramite procedure selettive che: “garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno”.
In senso coerente, lo stesso art. 57 del c.c.n.l. per il personale del comparto dell’Università del 9 agosto 2000, rubricato “progressione verticale nel sistema di classificazione”, prevede (al n. 2) che nell’espletamento di procedure selettive per l’accesso a ciascuna categoria, riservate al personale in servizio della categoria immediatamente inferiore, “va salvaguardato comunque un adeguato accesso dall’esterno”, individuando (al successivo n. 6) la percentuale dei posti di organico da destinare ai passaggi alla categoria immediatamente superiore nella misura del 50% dei posti da coprire calcolati su base annua.
Del resto, il principio “dell’adeguato accesso dall’esterno” costituisce declinazione dell’art. 97 Cost. laddove, nel disporre che ai pubblici uffici si accede “mediante concorso salvi i casi stabiliti dalla legge“, impone che il concorso costituisca la regola generale per l’accesso ad ogni tipo di pubblico impiego, ivi compreso quello inerente ad una categoria professionale superiore, essendo lo stesso: “il mezzo maggiormente idoneo ed imparziale per garantire la scelta dei soggetti più capaci ed idonei ad assicurare il buon andamento della Pubblica amministrazione” (cfr. Corte cost., sentenze 1/1999, 487/91, 453/90, 161/90). Ne discende che la copertura dei posti nei ruoli della pubblica amministrazione avviene in via generale mediante concorso pubblico, mentre le c.d. “progressioni verticali” non possono precludere l’accesso al lavoro pubblico dall’esterno. Il giudice delle leggi ha infatti avuto modo di affermare che la progressione nei pubblici uffici deve avvenire, in linea di principio, per concorso (cfr., ex multis, Corte cost. sentenza n. 30 del 2012), e lo stesso legislatore del 2009 ha, di fatto, posto termine al sistema di avanzamento per “progressioni verticali” prevedendo, all’art. 52, n. 1-bis, d.lgs. n. 165/2001 che le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso.
Ebbene, è lampante che nella fattispecie di cui è causa l’Università degli studi della Basilicata ha del tutto disatteso, nell’inquadramento del personale interno, il predetto limite massimo del 50 per cento dei totale dei posti da coprire. Invero, con riferimento alla sola categoria D, area tecnico-scientifica ed elaborazione dati, rilevante ai fini del presente ricorso, a fronte di un’unica assunzione all’esterno risultano disposti ben 22 inquadramenti derivanti da progressioni verticali, tra cui quella dell’odierna ricorrente.
3.2.2. Risulta inammissibile, per genericità, la tesi secondo cui nel computo dei posti da destinare all’accesso dall’esterno andrebbe considerato il numero dei posti di pari qualifica destinati dall’Università ad ulteriori pubblici concorsi svoltisi sia anteriormente, sia successivamente allo svolgimento delle contestate procedure di progressione verticale. Invero, la ricorrente non ha neppure indicato gli estremi di tali ulteriori procedure concorsuali ed i posti con esse effettivamente banditi. Ad ogni modo, per sola completezza di trattazione, va precisato che la stessa è comunque infondata, posto che il richiamato art. 57, n. 6, del c.c.n.l. del 9 agosto 2009 prevede che il numero dei posti da destinare alle procedure riservate al personale interno va computato nel limite del 50 per cento “su base annua”.
3.2.3. Va quindi rilevata l’illegittimità dei provvedimenti oggetto di annullamento in autotutela, così disattendendosi, per tale versante, le censure della ricorrente. Ciò dispensa il Collegio da ogni ulteriore valutazione circa l’asserito rispetto, da parte degli organi di vertice dell’Amministrazione intimata, delle disposizioni in tema di programmazione triennale del fabbisogno di personale, fermo restando che, contrariamente a quanto pure sostenuto in ricorso, le Università degli studi, all’epoca dei fatti, erano puntualmente tenute all’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 36 della legge n. 449/1997, come anche dimostrato dal fatto che il ripetuto art. 57, n. 6, del c.c.n.l. di settore, richiama, appunto, tale programmazione e i suoi aggiornamenti.
3.3. Da tale acclarata illegittimità deriva la reiezione delle ulteriori doglianze formulate dalla ricorrente, posto che, per effetto dell’art. 36, n. 5, d.lgs. n. 165/2001: “la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione”, sicché l’annullamento d’ufficio degli inquadramenti illegittimi di cui è questione assume connotazione di doverosità.
3.4. Fermo quanto innanzi, di per sé dirimente, ragioni di completezza di scrutinio inducono comunque il Collegio a precisare che le predette censure non appaiono meritevoli di adesione.
3.4.1. In particolare, la ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato non sarebbe sorretto da adeguata motivazione con riguardo all’interesse pubblico all’annullamento dei predetti inquadramenti professionali. Infatti, sarebbe stato del tutto trascurato l’interesse “al buon funzionamento della struttura universitaria”, che meriterebbe tutela al pari di quello economico fatto valere da parte resistente. Inoltre, risulterebbe del tutto ignorata ogni considerazione del legittimo affidamento maturato in 9 anni di attività lavorativa all’interno dell’Ateneo, con inquadramento nella categoria D. Del pari, lo stesso tempo trascorso non potrebbe certamente essere considerato “ragionevole”. Infine, risulterebbe violato l’art. 1, comma 136, della legge n. 311/2004, secondo cui l’annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati non può essere adottato a distanza di oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia dei provvedimenti stessi, anche se la relativa esecuzione sia perdurante.
3.4.2. In senso contrario, va richiamato in primo luogo il consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui: “in caso di annullamento d’ufficio di un illegittimo provvedimento di inquadramento di pubblico dipendente, che abbia determinato ingiustificati oneri per l’Erario, non occorre una specifica motivazione sull’interesse pubblico all’intervento in autotutela, in quanto tale interesse è in re ipsa ed è quello a risparmiare e ad evitare spese non giustificate in base alla normativa, il che significa che, per procedere all’annullamento d’ufficio di un inquadramento illegittimo, è sufficiente l’esigenza di ripristinare la legalità violata” (cfr. C.d.S., sez. III, 15 aprile 2013, n. 2022; nello stesso senso, tra le tante, C.d.S., sez. VI, 20 settembre 2012, n. 4994; id. sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1550; T.A.R. Basilicata, 23 dicembre 2013, n. 813; T.A.R. Campania, Salerno, 8 luglio 2014, sez. II, 8 luglio 2014, n. 1226). Si tratta di principi che “non sembrano neppure suscettibili di diversa valutazione in considerazione dell’affidamento dell’interessato alla permanenza nella propria sfera di interessi della status quo illegittimamente determinatosi” (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 19 febbraio 2014, n. 154; T.A.R. Campania, sez. V, 17 aprile 2009, n. 2027). Né in tali casi rileva il tempo trascorso dalla sua emanazione, o possono essere configurati diritti quesiti ed intangibili in favore del soggetto a causa dello status professionale acquisito da un lungo lasso di tempo trascorso, in quanto un tale tipo di diritti non può certo sorgere in base ad atti illegittimi (cfr. C.d.S, sez. V, 4 ottobre 2007, n. 5159; id. 6 ottobre 2007 n.4605; id. 6 settembre 2007, n. 4665; id. 15 dicembre 2005, n. 7136; id. 29 novembre 2004, n. 7749; id., sez. V, 4 novembre 1996, n. 1301). Ciò, peraltro, assume ancora maggiore rilevanza ove si consideri che la complessiva vicenda oggetto di disamina da parte di questo Tribunale non si esaurisce in casi numericamente limitati, ma si incentra su un ampio riesame che ha coinvolto diecine di posizioni di dipendenti dell’Università procedente, con evidente incidenza delle rilevate illegittimità sul complessivo assetto organizzatorio dell’ente, e conseguente sussistenza del prevalente interesse pubblico alla riconduzione di tale assetto entro l’alveo della legittimità, nonché del pregiudizio subito da coloro che, in possesso dei prescritti requisiti di legge, si sono visti privare, in violazione di disposizioni di rilievo costituzionale, della facoltà di partecipare a procedure concorsuali pubbliche per l’ammissione ai pubblici impieghi.
Quanto alla previsione di cui all’art. 1, n. 136, della legge n. 311/2004, va evidenziato che detta norma dispone che: “al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione dell’efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”. Come anche chiarito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, con direttiva del 17 ottobre 2005, la predetta disposizione trova applicazione limitatamente ai casi in cui l’atto di annullamento rinvenga il suo fondamento nella finalità, individuata ex lege, del conseguimento di risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 3 marzo 2014, n. 685). Diversamente, il provvedimento impugnato col presente ricorso non è motivato, in tutta evidenza con tale finalità, bensì con quella di “evitare il perpetuarsi del danno erariale”, derivante “dalla indebita corresponsione dei maggiori emolumenti rinvenienti dalle progressioni di carriera in oggetto”, nonché, tramite i riputi richiami ai pareri della Presidenza del Consiglio e dell’Avvocatura Distruttuale delle Stato, alla perdurante attualità della lesione dell’interesse pubblico, conseguente ai duraturi e continui effetti negativi sull’organizzazione amministrativa e sui costi di gestione del personale derivanti da tali inquadramenti illegittimi.
4. Va respinta, infine, la domanda di risarcimento del danno da “illegittimo demansionamento”, pure proposta dalla ricorrente, tenuto conto che, per quanto innanzi rilevato e considerato, l’annullamento in autotutela dell’inquadramento in categoria professionale D della ricorrente è legittimo, mancando così nella fattispecie uno degli elementi costitutivi di cui all’art. 2043 cod. civ.. A ben vedere, peraltro, non risulta neppure configurabile l’ipotizzato demansionamento, posto che, ai sensi dell’art. 52, n. 1, d.lgs. n. 165/2001, il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento (nel caso di specie quelle della categoria C) ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all’articolo 35, comma 1, lettera a), ovverosia “tramite procedure selettive, conformi ai principi del comma 3, volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno”, mentre nel caso di specie l’inquadramento della ricorrente nella categoria superiore è stato annullato proprio per l’illegittimità della procedura selettiva espletata. Il fulcro della questione, infatti, si incentra sulla rilevata legittimità dei provvedimenti di ripristino della qualifica inferiore sulla base della disciplina legale e contrattuale applicabile, a fronte dei quali non è dato configurare alcun diritto della ricorrente allo svolgimento di mansioni proprie della qualifica superiore.
5. Dalle considerazioni che precedono discende il rigetto del ricorso.
6. Sussistono giusti motivi, in ragione delle peculiarità della questione, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, definitivamente pronunciando sul ricorso, per come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Potenza, nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2015, con l’intervento dei magistrati:
Italo Riggio, Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Benedetto [#OMISSIS#], Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/07/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)