N. 00428/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00342/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso avente numero di registro generale 342 del 2014, proposto da:
[#OMISSIS#] De Paolis, rappresentato e difeso dall’avv. [#OMISSIS#] Cecinato, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] I. [#OMISSIS#], in Potenza alla via Crispi n. 33;
contro
– Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro in carica, Università degli Studi della Basilicata, in persona del Rettore in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Potenza, presso i cui uffici domiciliano, in Potenza, al corso XVIII Agosto 1860;
per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
– del provvedimento del Direttore generale dell’Università degli Studi della Basilicata n. 73 del 28 febbraio 2014.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi della Basilicata e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 marzo 2015 il referendario Benedetto [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori avv. [#OMISSIS#] Cecinato e avvocato dello Stato [#OMISSIS#] Speranza.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Col presente ricorso, spedito per la notificazione in data 3 maggio 2014 e depositato il successivo 13 di maggio, il ricorrente è insorto avverso il provvedimento in epigrafe, con il quale è stato disposto: “l’annullamento degli inquadramenti professionali rivenienti dalle procedure di progressione economica verticale perfezionatesi con pp.dd.aa. n. 145 del 4.3.2005, n. 195 del 31 marzo 2005 e n. 304 dell’11 maggio 2005”.
1.1. Ha esposto, in fatto, il ricorrente che:
– in qualità di dipendente dell’Università degli studi della Basilicata, ha partecipato alla procedura selettiva interna, per titoli ed esami, riservate ai dipendenti di ruolo a tempo indeterminato ed in servizio presso tale Ateneo, per la c.d. “progressione economica verticale”, dalla categoria C alla D, posizione economica D1, nell’area amministrativa-gestionale, per n. 1 posto, indetta con provvedimento del direttore amministrativo n. 458 del 12 Settembre 2003;
– in esito a tale procedura, si è collocato tra gli idonei della graduatoria definitiva e, a seguito di scorrimento della graduatoria, con provvedimento del Direttore amministrativo n. 195/2005 è stato inquadrato nella categoria D, posizione economica D1, con effetti giuridici dal 1° luglio 2003, ed economici dal 18 marzo 2005;
– successivamente, con provvedimento n. 352 del 1° agosto 2007, il ricorrente è stato trasferito presso l’Università degli Studi di Bari, sede decentrata di Taranto, ove attualmente presta servizio;
– con l’impugnato provvedimento n. 73 del 28 febbraio 2014, a circa dieci anni di distanza, è stato disposto l’impugnato annullamento di detto inquadramento professionale.
1.2. In diritto, il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione di legge (21-nonies legge n. 241/1990; art. 1, n. 136, legge n. 311/2004; direttiva del Dipartimento della Funzione pubblica del 17 ottobre 2005; art. 97 Cost; principio del legittimo affidamento) e l’eccesso di potere (sviamento; difetto di istruttoria; illogicità; contraddittorietà; manifesta ingiustizia).
2. Si è ritualmente costituito il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo l’estromissione dal giudizio. Si è, altresì, costituita l’Università degli studi intimata, concludendo per il rigetto del ricorso per sua infondatezza.
3. Alla camera di consiglio del 19 giugno 2014, il Collegio ha disposto l’abbinamento al merito dell’istanza cautelare.
4. Alla pubblica udienza svoltasi in data 11 marzo 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione
DIRITTO
1. In [#OMISSIS#], va rilevata l’estraneità al presente giudizio, ed il conseguente difetto di legittimazione passiva, del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, in adesione alla conforme eccezione formulata dalla difesa erariale, in quanto lo stesso non ha svolto alcun ruolo nella vicenda in esame.
2. Il Collegio rileva ancora che, dalla disamina degli atti versati in giudizio dall’Avvocatura erariale, emerge l’intimata Università, in data del 28 febbraio 2014, oltre alla impugnata determinazione n. 73/2014, ha emanato anche l’ulteriore provvedimento del Direttore generale n. 74/2014, col quale ha nuovamente disposto: “l’annullamento degli inquadramenti professionali rivenienti dalle procedure di progressione economica verticale perfezionatesi con pp.dd.aa. n. 145 del 4 marzo 2005, n. 195 del 31 marzo 2005 e n. 304 dell’11 maggio 2005”. Tale secondo provvedimento, non impugnato dai ricorrenti, rende improcedibile per sopravvenuto difetto d’interesse il presente ricorso, in quanto l’Amministrazione resistente ha nuovamente definito l’assetto degli interessi in questione in chiave preclusiva delle aspirazioni degli istanti, sicché nessun effetto deriverebbe in capo ai ricorrenti dall’annullamento della determinazione n. 73/2015. Ciò nondimeno, il Collegio ritiene di poter prescindere dal rilievo d’ufficio di tale improcedibilità, risultando il ricorso infondato nel merito, alla stregua della motivazione che segue.
3. Coi due motivi di ricorso, che possono essere scrutinati congiuntamente, il ricorrente si duole del fatto che il contestato annullamento in autotutela sia intervenuto a distanza di circa dieci anni dall’indizione delle procedure di c.d. progressioni verticali. In tal modo risulterebbero violati, ad un tempo, l’art. 21-nonies, n. 1, della legge n. 241/1990, secondo cui l’annullamento d’ufficio può essere disposto entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, e l’art. 1, n. 136, della legge n. 311/2004, che fissa in tre anni il limite temporale entro cui disporre l’annullamento di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali. Inoltre, sarebbe del tutto mancata la comparazione con l’interesse del privato e la propria posizione venutasi a consolidare nel corso del tempo, dovendosi così dare prevalenza all’affidamento del privato.
3.1. Le censure non sono meritevoli di condivisione.
3.1.1. Occorre premettere che il provvedimento del Direttore generale n. 73 del 28 febbraio 2014, concerne i seguenti due aspetti: a) l’inadempimento dell’obbligo di previa programmazione del fabbisogno di personale; b) la violazione del principio, di rilevo costituzionale, dell’accesso tramite concorso agli impieghi presso le amministrazioni pubbliche, da assicurare in misura almeno paritetica, tanto sul versante numerico quanto su quello qualitativo, rispetto ai posti da ricoprire tramite procedure di riqualificazione professionale riservate al personale già in servizio. Al riguardo, a giudizio del Collegio, assume speciale rilevanza la palese violazione dell’obbligo di garantire un adeguato accesso dall’esterno, in misura non inferiore al 50% dei posti da coprire. Sul punto, l’art. 35, n. 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante “norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, è chiaro nel disporre che l’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene tramite procedure selettive che: “garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno”. In senso coerente, lo stesso art. 57 del c.c.n.l. per il personale del comparto dell’Università del 9 agosto 2000, rubricato “progressione verticale nel sistema di classificazione”, prevede (al n. 2) che nell’espletamento di procedure selettive per l’accesso a ciascuna categoria, riservate al personale in servizio della categoria immediatamente inferiore, “va salvaguardato comunque un adeguato accesso dall’esterno”, individuando (al successivo n. 6) la percentuale dei posti di organico da destinare ai passaggi alla categoria immediatamente superiore nella misura del 50% dei posti da coprire calcolati su base annua. Del resto, il principio “dell’adeguato accesso dall’esterno” costituisce declinazione dell’art. 97 Cost. laddove, nel disporre che ai pubblici uffici si accede “mediante concorso salvi i casi stabiliti dalla legge”, impone che il concorso costituisca la regola generale per l’accesso ad ogni tipo di pubblico impiego, ivi compreso quello inerente ad una categoria professionale superiore, essendo lo stesso: “il mezzo maggiormente idoneo ed imparziale per garantire la scelta dei soggetti più capaci ed idonei ad assicurare il buon andamento della Pubblica amministrazione” (cfr. Corte cost., sentenze 1/1999, 487/91, 453/90, 161/90). Ne discende che la copertura dei posti nei ruoli della pubblica amministrazione avviene in via generale mediante concorso pubblico, mentre le c.d. “progressioni verticali” non possono precludere l’accesso al lavoro pubblico dall’esterno. Il giudice delle leggi ha infatti avuto modo di affermare che la progressione nei pubblici uffici deve avvenire, in linea di principio, per concorso (cfr., ex multis, Corte cost. sentenza n. 30 del 2012), e lo stesso legislatore del 2009 ha, di fatto, posto termine al sistema di avanzamento per “progressioni verticali” prevedendo, all’art. 52, n. 1-bis, d.lgs. n. 165/2001 che le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso. Ebbene, è lampante che nella fattispecie di cui è causa l’Università degli studi della Basilicata ha del tutto disatteso, nell’inquadramento del personale interno, il predetto limite massimo del 50 per cento dei totale dei posti da coprire. Invero, con riferimento alla sola categoria D, area amministrativo gestionale, rilevante ai fini del presente ricorso, emerge dagli atti di causa che, a fronte dell’indizione di un concorso pubblico per n. 4 posti di tale categoria (provvedimento del Direttore amministrativo n. 626 del 30 novembre 2005), risultano disposti 27 inquadramenti derivanti da progressioni verticali, tra cui quelli dell’odierno ricorrente, cui vanno aggiunti i 22 inquadramenti nella medesima categoria, area tecnica, tecnico scientifica ed elaborazione dati (p.d.a. n. 304/2005), e l’inquadramento di un’unità nell’area biblioteche (p.d.a. n. 145/2005), per un totale complessivo di ben 50 dipendenti.
3.1.2. In tale prospettiva, va richiamato in primo luogo il consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui: “in caso di annullamento d’ufficio di un illegittimo provvedimento di inquadramento di pubblico dipendente, che abbia determinato ingiustificati oneri per l’Erario, non occorre una specifica motivazione sull’interesse pubblico all’intervento in autotutela, in quanto tale interesse è in re ipsa ed è quello a risparmiare e ad evitare spese non giustificate in base alla normativa, il che significa che, per procedere all’annullamento d’ufficio di un inquadramento illegittimo, è sufficiente l’esigenza di ripristinare la legalità violata” (cfr. C.d.S., sez. III, 15 aprile 2013, n. 2022; nello stesso senso, tra le tante, C.d.S., sez. VI, 20 settembre 2012, n. 4994; id. sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1550; T.A.R. Basilicata, 23 dicembre 2013, n. 813; T.A.R. Campania, Salerno, 8 luglio 2014, sez. II, 8 luglio 2014, n. 1226). Si tratta di principi che “non sembrano neppure suscettibili di diversa valutazione in considerazione dell’affidamento dell’interessato alla permanenza nella propria sfera di interessi della status quo illegittimamente determinatosi” (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 19 febbraio 2014, n. 154; T.A.R. Campania, sez. V, 17 aprile 2009, n. 2027). Né in tali casi rileva il tempo trascorso dalla sua emanazione, o possono essere configurati diritti quesiti ed intangibili in favore del soggetto a causa dello status professionale acquisito da un lungo lasso di tempo trascorso, in quanto un tale tipo di diritti non può certo sorgere in base ad atti illegittimi (cfr. C.d.S, sez. V, 4 ottobre 2007, n. 5159; id. 6 ottobre 2007 n.4605; id. 6 settembre 2007, n. 4665; id. 15 dicembre 2005, n. 7136; id. 29 novembre 2004, n. 7749; id., sez. V, 4 novembre 1996, n. 1301). Ciò, peraltro, assume ancora maggiore rilevanza ove si consideri che la complessiva vicenda oggetto di disamina da parte di questo Tribunale non si esaurisce in casi numericamente limitati, ma si incentra su un ampio riesame che ha coinvolto diecine di posizioni di dipendenti dell’Università procedente, con evidente incidenza delle rilevate illegittimità sul complessivo assetto organizzatorio dell’ente, e conseguente sussistenza del prevalente interesse pubblico alla riconduzione di tale assetto entro l’alveo della legittimità, nonché del pregiudizio subito da coloro che, pur se in possesso dei prescritti requisiti di legge, si sono visti privare, in violazione di disposizioni di rilievo costituzionale, della facoltà di partecipare a procedure concorsuali pubbliche per l’ammissione ai pubblici impieghi.
3.1.3. Quanto alla previsione di cui all’art. 1, n. 136, della legge n. 311/2004, pure invocata dal ricorrente, va evidenziato che detta norma dispone che: “al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione dell’efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.
Come anche chiarito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, con direttiva del 17 ottobre 2005, la predetta disposizione trova applicazione limitatamente ai casi in cui l’atto di annullamento rinvenga il suo fondamento nella finalità, individuata ex lege, del conseguimento di risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 3 marzo 2014, n. 685).
Diversamente, il provvedimento impugnato col presente ricorso non è motivato, in tutta evidenza, da finalità di risparmio di pubbliche risorse, bensì con quella di “evitare il perpetuarsi del danno erariale”, derivante “dalla indebita corresponsione dei maggiori emolumenti rinvenienti dalle progressioni di carriera in oggetto”, nonché, tramite i riputi richiami ai pareri della Presidenza del Consiglio e dell’Avvocatura Distruttuale delle Stato, alla perdurante attualità della lesione dell’interesse pubblico, conseguente ai duraturi e continui effetti negativi sull’organizzazione amministrativa e sui costi di gestione del personale derivanti da tali inquadramenti illegittimi.
3.1.4. Peraltro, l’acclarata illegittimità dei provvedimenti oggetto di annullamento in autotutela, per violazione del principio costituzionale di adeguato accesso dall’esterno, importa l’applicazione dell’art. 36, n. 5, d.lgs. n. 165/2001, secondo cui: “la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione”, sicché l’annullamento d’ufficio degli inquadramenti illegittimi di cui è questione assume connotazione di doverosità, in considerazione del fatto che i procedimenti concorsuali “interni”, destinati, cioè, a consentire l’inquadramento di dipendenti in aree funzionali o categorie più elevate, e cioè ad una progressione verticale, comportano una novazione oggettiva del rapporto di lavoro (cfr. Cass. civ., SS.UU., 11 aprile 2012, n. 5699; C.d.S., sezione III, 11 marzo 2013, n. 1449; id. sez. V, 16 luglio 2007, n.4030).
3.2. Per altro verso, il ricorrente ha sostenuto che, essendo stato trasferito presso altro ateneo a decorrere dal mese di agosto 2007, l’Università della Basilicata non avrebbe avuto alcuna competenza ad adottare un provvedimento di autotutela dei confronti del ricorrente, essendo priva di alcun potere autoritativo nei suoi confronti.
3.2.1. A ben vedere, tuttavia, l’esercizio del potere di autotutela, nella presente fattispecie, è caduto sull’inquadramento disposto dalla medesima Università degli Studi della Basilicata col richiamato provvedimento del Direttore amministrativo n. 195/2005. In tal senso, esso incide, evidentemente su un differente inquadramento professionale illegittimamente acquisito in epoca anteriore al trasferimento del dipendente presso l’Università di Bari, avvenuto in data 3 agosto 2007, essendo soltanto successivamente a tale data intervenuto il mutamento soggettivo sul versante datoriale del rapporto, ai sensi dell’art. 30 d.lgs. n. 165/2001. Tale ultima disposizione, infatti, riconduce il passaggio diretto di personale da amministrazioni diverse all’istituto della cessione del contratto, di cui all’art. 1406 cod. civ., con riguardo alle sole prestazioni ancora non eseguite. Del resto, la mobilità volontaria implica la continuità del rapporto di lavoro, e non la costituzione di un nuovo rapporto di pubblico impiego o una nuova assunzione, sicché è da ritenersi che il mero evento del trasferimento nei ruoli di altra pubblica amministrazione, da un lato, non ha privato l’Università della Basilicata del potere autoritativo di ricondurre l’inquadramento del dipendente (da essa stessa, giova ribadire, determinato con una procedura risultata illegittima) nell’alveo della conformità a legge e, dall’altro lato, non ha fatto venir meno l’interesse pubblico che, come si è innanzi osservato, è in re ipsa, in quanto l’atto oggetto di autotutela ha prodotto un danno per l’Amministrazione consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo, con vantaggio ingiustificato per il dipendente.
4. Dalle considerazioni che precedono discende il rigetto del ricorso.
4.1. Sussistono giusti motivi, in ragione delle peculiarità della questione, per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, definitivamente pronunciando sul ricorso, per come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Potenza, nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2015, con l’intervento dei magistrati:
Italo Riggio, Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Benedetto [#OMISSIS#], Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/07/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)