Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 luglio 2019, n. 5761

Procedura concorsuale per copertura posto Professore-Condotta immorale-Obbligo di motivazione

Data Documento: 2019-07-15
Area: Giurisprudenza
Massima

L’esame della “moralità” del candidato ai fini dell’instaurazione del rapporto di pubblico impiego deve essere effettuato con una valutazione espressa e, ove lo stesso conduca, come nel caso di specie, ad una determinazione di non dar corso alla nomina ed alla presa di servizio, deve dare adeguato conto delle relative ragioni giustificatrici.
Tanto non solo in ossequio al generale obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, ma vieppiù in considerazione della natura discrezionale del relativo potere facente capo all’amministrazione.

Contenuto sentenza

N. 05761/2019 REG.PROV.COLL.
N. 07855/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7855 del 2017, proposto da
Universita’ degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Roma, via G.B. Tiepolo n.4;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la [#OMISSIS#] (Sezione Prima) n. 01147/2017, resa tra le parti.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 aprile 2019 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti l’avvocato dello Stato [#OMISSIS#] De [#OMISSIS#] e l’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#].;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con sentenza n. 1147/2017 del 19-7-2017 il Tribunale Amministrativo Regionale per la [#OMISSIS#] (Sezione Prima) decideva i ricorsi iscritti ai numeri 351/2016 RG, integrato da motivi aggiunti, e 845/2016 RG, proposti dal dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] nei confronti dell’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro.

Con il ricorso iscritto al n. 351/2016 RG era stata proposta domanda di accertamento della violazione/elusione della sentenza del TAR [#OMISSIS#] n. 1554/2015 e declaratoria di inefficacia del decreto dell’Università del 30-6-2016 pubblicato l’1-7-2016 nonchè del decreto del 5-7-2016 n. 673.

Con il ricorso iscritto al numero 845/2016 RG era stato, invece, chiesto l’annullamento del provvedimento del direttore generale dell’Università “Magna Graecia” n. 6027 del 12-5-2016.

Il Tribunale Amministrativo, in particolare, quanto al ricorso n. 351/2016, respingeva il ricorso introduttivo e dichiarava inammissibile i motivi aggiunti; quanto al ricorso n. 351/2016, lo accoglieva e, per l’effetto, annullava “la determinazione dell’Università adottata con delibera del Consiglio di Amministrazione del 5 [#OMISSIS#] 2016, comunicata con nota del Direttore Generale n. 6027 del 12 [#OMISSIS#] 2016”.

La prefata sentenza esponeva in fatto quanto segue.

1.1. Con decreto del Direttore Generale dell’Università Magna Graecia n. 576 del 12 giugno 2008, è stata indetta una procedura di valutazione comparativa per il reclutamento di un professore associato non confermato, per il Settore Scientifico Disciplinare Med/40 Ginecologia e Ostetricia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia.

1.2. L’odierno ricorrente è stato dichiarato idoneo e, con delibera del Consiglio di Facoltà del 16 settembre 2010, è stato chiamato a ricoprire il ruolo. Non avendo tale determinazione avuto seguito, l’interessato ha sollecitato l’Università con diversi atti di diffida. Con successiva nota del 21 luglio 2015 n. 9892, il Rettore dell’Università ha però rappresentato l’intenzione di non attuare la precedente determinazione della chiamata in ruolo.

1.3 Il ricorrente ha pertanto agito dinanzi a questo T.A.R., che, con sentenza della Seconda Sezione del 9 ottobre 2015, n. 1554, ha:

a) annullato la predetta nota n. 9892/2015;

b) accertato il diritto soggettivo dell’interessato ad essere immesso nel ruolo di professore associato non confermato di Ginecologia e Ostetricia;

c) condannato l’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro, in persona del Rettore in carica, ad adottare i conseguenti atti.

1.4. La sentenza non risulta passata in giudicato; il processo pende in appello e l’istanza di sospensione è stata rigettata con ordinanza del Consiglio di Stato, sez. VI, 540/2016.

2. Con il ricorso RG 351/2016, il ricorrente ha agito in ottemperanza, chiedendo la nomina anche del Commissario ad acta e la condanna alla penalità di mora ex art. 114 co. 2 lett. e) c.p.a. per il [#OMISSIS#] di ulteriore ritardo.

3. Senonchè, immediatamente dopo la notifica del ricorso ex art. 112 c.p.a., con determinazione del Direttore Generale dell’Università del 24 marzo 2016 prot. 3628, e in esecuzione della delibera del Consiglio di Amministrazione del 9 marzo 2016 prot. 3628, il ricorrente è stato sollecitato a presentare la documentazione necessaria per l’assunzione (tra cui veniva annoverata la autocertificazione sui procedimenti penali pendenti ex art. 47 del DPR 445 del 28 dicembre 2000).

L’interessato ha quindi trasmesso la documentazione richiesta, compilando moduli predisposti dall’amministrazione, ivi compresa la dichiarazione “di non aver riportato condanne penali e di non avere in corso procedimenti penali, né di avere a proprio carico precedenti penali iscrivibili nel casellario giudiziale ex art. 686 c.p.p.”.

4. Nelle more dell’istruzione della “pratica” relativa all’assunzione, l’Amministrazione è stata resa edotta della circostanza che a carico dell’interessato pendeva un procedimento penale presso il Tribunale di Catanzaro, per reati relativi [#OMISSIS#] art. 61 n. 2, 481 c.p. e 110, 81, 56 e 640 c.p.

5. Ritenendo la dichiarazione resa in merito dall’interessato non veritiera, previa comunicazione dell’avvio del relativo procedimento, il Consiglio di Amministrazione, in data 5 [#OMISSIS#] 2016, ha quindi deliberato la decadenza dal “beneficio” dell’odierno ricorrente e tale determinazione è stata comunicata con nota del Direttore Generale n. 6027 del 12 [#OMISSIS#] 2016 (impugnata nel ricorso riunito RG 845/2016).

La delibera del Consiglio di Amministrazione è stata impugnata in sede di ottemperanza con motivi aggiunti, quale atto elusivo della sentenza del TAR Catanzaro 1554/2015.

6. Con successivo decreto dell’Università degli Studi Magna Graecia, pubblicato sul [#OMISSIS#] istituzionale in data 16 luglio 2016, è stata inoltre indetta una nuova procedura selettiva per la copertura di un posto di professore di II fascia mediante chiamata ex art. 24 co. 5 e 6 L. 240/2010, riservato ai ricercatori a tempo indeterminato in servizio presso la stessa Università che avessero conseguito l’abilitazione nazionale ai sensi dell’art. 16 della legge n. 240/2010 per il settore concorsuale 06/h1 ginecologia e ostetricia – settore scientifico disciplinare med/40.

7. Anche il predetto decreto e i relativi atti endoprocedimentali sono stati impugnati con motivi aggiunti nel giudizio di ottemperanza ex art. 114 c.p.a. sul presupposto della loro inefficacia per elusione della sentenza T.A.R. 1554/2016, nonché della illegittimità per vizio di eccesso di potere [….].

8. L’amministrazione si è costituita eccependo l’inammissibilità dei motivi aggiunti avverso gli atti da [#OMISSIS#] indicati, per mancanza di interesse ad agire, non avendo il ricorrente neanche formulato domanda di partecipazione alla selezione e concludendo, in ogni [#OMISSIS#], per l’infondatezza del ricorso.

9. Con il ricorso RG 845/2016, riunito, è stata impugnata la determinazione del Direttore Generale dell’Università Magna Graecia di Catanzaro n. 6027 del 12 [#OMISSIS#] 2016, con la quale l’amministrazione ha deciso “di non dare seguito alla precedente deliberazione [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] seduta del 9 marzo 2015 relativa alla presa di servizio del dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] nel ruolo di professore associato non confermato per il SSD med/40 Ginecologia ed Ostetricia presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro per intervenuta decadenza del relativo beneficio, ex artt. 75 e 76 del DPR 445/2000”.

La decisione è stata [#OMISSIS#] sul presupposto che il dott. [#OMISSIS#] avesse reso “dichiarazioni non veritiere sulla sussistenza di procedure penali pendenti a suo carico e che le ipotesi di reato per cui il procedimento penale è stato instaurato sono riconducibili a episodi strettamente connessi all’esercizio della professione medica, tali da minare la fiducia, la serietà e il prestigio per chiunque svolga una funzione delicata come la docenza in area medica”. [….]”.

Come sopra esposto, il [#OMISSIS#] di primo grado accoglieva il ricorso iscritto al n. 845/2016 RG.

Il Tribunale, in particolare, riteneva sussistente il dedotto vizio di violazione dell’articolo 75 del D.P.R. 445/2000, in quanto non vi era alcuna correlazione diretta tra la dichiarazione, di cui l’amministrazione assumeva la mendacità, e il “beneficio” della chiamata in ruolo del quale si dichiarava la decadenza ex art. 75 del richiamato testo normativo; riteneva, poi, incongrua, in relazione alla fattispecie concreta, la motivazione secondo cui i fatti oggetto del procedimento penale sarebbero stati tali da minare la fiducia, la serietà e il prestigio per chiunque svolgesse una funzione delicata come la docenza in area medica.

L’Università “Magna Graecia” di Catanzaro ha proposto appello avverso la prefata sentenza n. 1147/2017 del Tribunale Amministrativo Regionale per la [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] parte in cui ha accolto il ricorso iscritto al n. 845/2016 RG annullando la delibera del Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo del 5 [#OMISSIS#] 2016, comunicata con nota del Direttore Generale n. 6087 del 12 [#OMISSIS#] 2016.

Ne ha dedotto l’erroneità e ne ha richiesto la riforma, articolando i seguenti motivi di gravame: 1) Violazione dell’art. 40 c.p.a. – inammissibilità del ricorso di primo grado; 2) Violazione dell’art. 75 del d.P.R. 445/2000 – violazione del bando di concorso, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, travisamento della sentenza TAR [#OMISSIS#] n. 1554/2015; 3) Travisamento dei fatti ed ingiustizia manifesta.

Si è costituito in giudizio il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rilevando, in via preliminare, l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’articolo 101 c.p.a. e del principio di specificità dei motivi di impugnazione e, nel merito, l’infondatezza dello stesso.

Le parti hanno prodotto memorie illustrative.

La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 4 aprile 2019.

DIRITTO

Deve, in ordine logico, preliminarmente essere esaminata l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata, in sede di memoria di costituzione, da parte della difesa del dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#].

Viene in proposito dedotto: violazione e falsa applicazione dell’articolo 101 c.p.a. – Inammissibilità dell’appello proposto per violazione del principio di specificità dei motivi di gravame.

Rileva che l’atto di appello deve indicare il puntuale sviluppo delle censure contro i capi della sentenza cui si ascrive l’error in iudicando, evidenziando che esso, invece, si traduce in una mera riproposizione dei motivi svolti in primo grado, senza una adeguata correlazione logico-argomentativa tra sentenza impugnata e ricorso in appello.

L’eccezione non è meritevole di favorevole considerazione.

La giurisprudenza ( cfr. Cons. Stato, IV, 28-6-2018, n. 3980) ha avuto modo di chiarire che nell’ambito del processo amministrativo, l’appello al Consiglio di Stato, alla luce del combinato disposto degli artt. 38 e 40, comma 1, lett. d) c.p.a., non può essere limitato a una generica riproposizione dei motivi di ricorso disattesi dal [#OMISSIS#] di primo grado, ma deve contenere una critica ai capi della sentenza appellati; l’onere specifico, a carico dell’appellante, di formulare una critica puntuale della motivazione della sentenza appellata deriva dall’essere – l’oggetto di tale giudizio – costituito da quest’[#OMISSIS#] e non dal provvedimento gravato in primo grado; a tal fine, malgrado non sia richiesto l’impiego di formule sacramentali, si esige tuttavia che il [#OMISSIS#] di appello sia posto [#OMISSIS#] condizioni di comprendere con chiarezza i principi, le norme e le ragioni per cui il primo [#OMISSIS#] avrebbe dovuto decidere diversamente.

Ritiene il Collegio che [#OMISSIS#] vicenda in esame l’atto di appello abbia fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

Con riferimento al primo motivo di appello, recante violazione dell’articolo 40 c.p.a., l’Università ha svolto una articolata censura della pronuncia di primo grado, rilevando come il [#OMISSIS#] di prime cure erroneamente avrebbe omesso di considerare, ai fini dell’inammissibilità del ricorso, l’omessa formale impugnazione della delibera del Consiglio di amministrazione 5-5-2016.

La critica è espressamente rivolta alla decisione del TAR, la quale ha adottato una disciplina sostanzialistica del ricorso di primo grado, dando esclusivo rilievo alle motivazioni del ricorso [#OMISSIS#] individuazione dell’atto impugnato.

Evidenzia, poi, l’errore nel quale è incorso il [#OMISSIS#] di primo grado, il quale non avrebbe correttamente applicato la disciplina processuale, la quale richiedeva non solo l’espressa indicazione del provvedimento impugnato ma altresì i motivi per i quali il suddetto provvedimento doveva ritenersi illegittimo.

Anche il secondo motivo di ricorso si rivolge ad uno specifico capo della sentenza, indicato nell’incipit del motivo (“non vi è alcuna correlazione diretta tra le dichiarazioni, di cui l’amministrazione deduce la mendacità, e il beneficio della chiamata in ruolo, di cui si dichiara la decadenza ex art. 75 DPR 445/2000, la quale costituiva invece oggetto di una posizione soggettiva qualificata come diritto soggettivo, fondata su di una fattispecie a formazione progressiva così come stabilito con la sentenza del TAR [#OMISSIS#] 1554/2015”), esplicitando le ragioni della ritenuta erroneità della stessa, diffusamente illustrata come il frutto di un travisamento degli elementi di fatto e di una erronea lettura della disciplina che governa l’assunzione dei docenti universitari.

Analoghe considerazioni possono svolgersi con riferimento al terzo motivo di appello, laddove la critica viene mossa alla sentenza [#OMISSIS#] parte in cui afferma che la delibera del 5-5-2016 non sarebbe stata adeguatamente motivata con riferimento alla circostanza che i fatti oggetto del procedimento penale siano tali da “minare la fiducia, la serietà e il prestigio per chiunque svolga una funzione delicata come la docenza in area medica”.

Orbene, il motivo di appello è chiaramente diretto a criticare il contenuto della sentenza, ritenendosi che, in relazione alla [#OMISSIS#] preclusiva del mendacio in sé, il Tribunale non avrebbe dovuto censurare una motivazione che non era neppure richiesta e che comunque avrebbe errato nel ritenere insufficiente tale motivazione, la quale, al contrario, evidenziava in maniera esauriente le ragioni per le quali erano pregiudicati i requisiti di fiducia serietà e prestigio.

Disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello, può passarsi alla disamina dei motivi di gravame con lo stesso proposti.

Con il primo motivo l’Università lamenta la violazione dell’articolo 40 c.p.a., deducendo che il Tribunale avrebbe errato nel non dichiarare l’inammissibilità del ricorso di primo grado per omessa impugnazione della Deliberazione del Consiglio di Amministrazione 5.5.2016, costituente provvedimento immediatamente lesivo degli interessi del dott. [#OMISSIS#] in quanto atto conclusivo del procedimento.

Il Tribunale avrebbe errato, ritenendo, pur in assenza di una espressa impugnazione, che la stessa fosse stata oggetto di gravame in quanto “tutte le doglianze spiegate dal ricorrente attengono al contenuto decisionale del predetto atto, richiamato, quale parte integrante, [#OMISSIS#] determinazione del Direttore Generale n. 6027 del 2016 che ha portato a conoscenza dell’interessato quanto deliberato dal Consiglio di Amministrazione dell’Università”.

Rileva, in proposito, che il richiamato articolo 40 c.p.a. richiede non solo che l’atto sia indicato tra quelli espressamente impugnati ma che siano anche formulati i motivi di ricorso contro lo stesso, risultando, pertanto, necessari entrambi gli adempimenti.

La mancata indicazione del provvedimento oggetto di impugnazione ([#OMISSIS#] specie la richiamata deliberazione del 5.5.2016) determina l’inammissibilità del ricorso per mancanza dell’oggetto del ricorso.

Il Tribunale non avrebbe potuto scrutinare i contenuti del provvedimento non impugnato e, inoltre, il dott. [#OMISSIS#] non avrebbe avuto alcun interesse all’accoglimento di un ricorso che non aveva ad oggetto l’unico atto lesivo della sua posizione giuridica.

Il motivo è infondato.

L’articolo 40 del c.p.a. prevede che “Il ricorso deve contenere distintamente: …b) l’indicazione dell’oggetto della domanda, ivi compreso l’atto o il provvedimento eventualmente impugnato….d) i motivi specifici sui quali si fonda il ricorso…”.

La [#OMISSIS#] prevede, dunque, che il ricorso introduttivo debba contenere gli estremi del provvedimento oggetto di impugnativa e le censure che a tale provvedimento vengono mosse.

Va tuttavia rilevato che la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che, ai sensi dell’articolo 40 c.p.a., nel processo amministrativo l’individuazione degli atti impugnati deve essere operata non con riferimento alla sola epigrafe, bensì in relazione alla effettiva volontà del ricorrente, quale è desumibile dal tenore complessivo del gravame e dal contenuto delle censure dedotte, sicchè è possibile ritenere che sono oggetto di impugnativa tutti gli atti che, seppure non espressamente indicati tra quelli impugnati ed indipendentemente dalla loro menzione in epigrafe, costituiscono senz’altro oggetto delle doglianze di parte ricorrente in base ai contenuti dell’atto di ricorso ( cfr. Cons. Stato, V, 25-3-2016, n. 1242; IV, 12-5-2014, n. 2417; III, 14-1-2014, n. 101; TAR Campania, V, 20-10-2016, 4802).

Ciò posto, ritiene la Sezione che il [#OMISSIS#] di primo grado abbia fatto buon governo dei richiamati principi giurisprudenziali, laddove ha affermato che “Nel [#OMISSIS#] in esame, anche a prescindere dalla considerazione che l’amministrazione che solleva l’eccezione di inammissibilità non fornisce alcuna prova della effettiva comunicazione della delibera del Consiglio di Amministrazione del 5 [#OMISSIS#] 2016 al destinatario, si osserva che tutte le doglianze spiegate dal ricorrente attengono al contenuto decisionale del predetto atto, richiamato quale parte integrante, [#OMISSIS#] determinazione del Direttore Generale n. 6027 del 2016 che ha portato a conoscenza dell’interessato quanto deliberato dal Consiglio di Amministrazione dell’Università”.

Va, invero, considerato che la nota del Direttore Generale prot. n. 6027 del 15-5-2016 riporta i contenuti della delibera [#OMISSIS#] dal Consiglio di Amministrazione [#OMISSIS#] seduta del 5.5.2016.

Invero, se si opera un confronto tra la richiamata nota e la delibera del Consiglio di Amministrazione del 5.5.2016, si osserva che [#OMISSIS#] prima è sostanzialmente riportato il contenuto dispositivo della seconda (“ritiene che sussistano le condizioni per l’applicazione degli artt. 75 e 76 del DPR n. 445/2000 e, pertanto, delibera di non dare seguito alla deliberazione [#OMISSIS#] in data 9 marzo 2015 relativa alla presa di servizio del dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] nel ruolo di professore associato non confermato per il settore Scientifico-Disciplinare MED/40 Ginecologia e Ostetricia presso l’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro per intervenuta decadenza del relativo beneficio”) nonché le motivazioni poste a supporto della stessa (“tenuto conto che l’Amministrazione aveva il potere-dovere di chiedere la dichiarazione in argomento, allo scopo di esercitare il proprio controllo sulle qualità morali dell’aspirante al pubblico impiego…; considerato che il dott. [#OMISSIS#] ha reso dichiarazione in maniera non veritiera circa la sussistenza di procedure penali pendenti a suo carico; …le ipotesi per le quali sussiste il processo penale…sono di fatto riconducibili ad episodi di falso e truffa connessi all’esercizio della professione medica; …nel prendere in servizio un docente dell’area medica …occorre che il soggetto sia dotato di qualità morali e personali che assicurino la fiducia, serietà e prestigio che sono da considerarsi indispensabili per professionalità che devono svolgere delicate funzioni”).

Orbene, le censure proposte con il ricorso di primo grado sono rivolte proprio alla confutazione delle affermazioni contenute [#OMISSIS#] citata nota n. 6027 del 12-5-2016, le quali riportano i contenuti della deliberazione del Consiglio di Amministrazione del 5-5-2016.

Ne consegue che risulta chiaro dal tenore del ricorso, pur [#OMISSIS#] mancata indicazione espressa tra gli atti oggetto di impugnativa della citata deliberazione, che essa va considerata oggetto dell’impugnazione, muovendosi doglianze relative al contenuto della stessa.

Con il secondo motivo di appello l’Università lamenta: Violazione dell’art. 75 d.P.R. 445/2000 – Violazione del bando di concorso, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e travisamento della sentenza Tar [#OMISSIS#] n. 1554/2015.

Censura la gravata sentenza [#OMISSIS#] parte in cui ha ritenuto che “non vi è alcuna correlazione diretta tra le dichiarazioni, di cui l’amministrazione deduce la mendacità, e il beneficio della chiamata in ruolo, di cui si dichiara la decadenza ex art. 75 DPR 445/2000, la quale costituiva invece oggetto di una posizione soggettiva qualificata come diritto soggettivo fondata su una fattispecie a formazione progressiva, così come stabilito con la sentenza del TAR [#OMISSIS#] 1554/2015”.

Deduce in primo luogo che il Tribunale erra nel considerare che il dott. [#OMISSIS#] vanti un diritto all’assunzione, derivante dalla sentenza 1554/2015, peraltro ancora non passata in giudicato in quanto fatta oggetto di appello; evidenziando che tale sentenza non ha costituito un diritto all’assunzione, ma si è limitata ad accertare, con effetto dichiarativo, che in ragione della chiamata formulata dal Consiglio di Facoltà, l’Ateneo avrebbe dovuto concludere il procedimento, a partire dalla chiamata, al fine di poter pervenire all’assunzione.

Tanto nel rispetto del bando di concorso, al quale il predetto aveva partecipato conseguendo l’idoneità.

Esso, invero, dispone che il candidato idoneo e che venga chiamato all’insegnamento debba essere nominato e formalizzare la costituzione del rapporto di lavoro con la formale presa di servizio.

In particolare, l’articolo 10 del Bando dispone che, proprio al fine di pervenire alla formalizzazione della nomina con decreto rettorale, l’interessato avrebbe dovuto rendere una dichiarazione circa, tra l’altro, l’insussistenza di procedimenti penali in corso.

L’amministrazione evidenzia che tale dichiarazione è stata resa ma con contenuto non veritiero; di conseguenza, essendo la stessa preordinata a perfezionare il procedimento di nomina, il Consiglio di Amministrazione ha pronunciato la decadenza del dott. [#OMISSIS#] dal beneficio dell’assunzione, alla quale la dichiarazione era preordinata.

Aggiunge che la costituzione formale del rapporto si perfeziona solo all’esito di un doppio passaggio: la conclusione del procedimento amministrativo che si verifica con il decreto rettorale e la successiva presa di servizio; poiché l’adozione del decreto rettorale può avvenire solo all’esito della verifica del possesso dei requisiti, la dichiarazione mendace impedisce la conclusione positiva del procedimento.

Evidenzia , infine, che la produzione degli effetti di cui all’articolo 75 in [#OMISSIS#] di dichiarazioni non veritiere prescinde da ogni accertamento riguardo al carattere doloso o colposo del comportamento del dichiarante, precludendo il raggiungimento dello scopo per il quale essa era stata resa; con la conseguenza che la falsa dichiarazione preclude la formalizzazione dell’atto di nomina e la presa di servizio.

Il motivo di appello non merita favorevole considerazione.

L’articolo 75 del d.P.R. n. 445 del 2000 dispone che “[#OMISSIS#] restando quanto previsto dall’art. 76, qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”.

La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che la ratio dell’articolo 75 citato è quella di semplificare l’azione amministrativa, facendo leva sul principio di autoresponsabilità del dichiarante; con il corollario che la non veridicità di quanto autodichiarato rileva sotto un profilo oggettivo e conduce alla decadenza dei benefici ottenuti con la dichiarazione non veritiera, indipendentemente da ogni indagine dell’Amministrazione sull’elemento soggettivo del dichiarante, giacchè non vi sono particolari risvolti sanzionatori in gioco, ma solo la necessità di una spedita esecuzione della legge sottesa al sistema di semplificazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, VI, 20-12-2013, n. 6145; T.A.R. Veneto, I, 18-9-2017, n. 832; T.A.R. Lazio, II, 13-12-2016,n. 12433).

A tanto consegue che tale disposizione non lascia margini di discrezionalità alle amministrazioni e non chiede alcuna valutazione circa il dolo o la colpa grave del dichiarante (cfr. Cons.Stato, V, 15-3-2017, n. 1172; V, 27-4-2012, n. 2447).

Deve, poi, essere evidenziato che, riferendosi il richiamato articolo 76 a “benefici…conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”, deve essersi stretta correlazione causale tra la dichiarazione ed il provvedimento attributivo dei benefici, nel senso che la dichiarazione deve essere necessaria ai fini dell’adozione del provvedimento favorevole al privato ed i suoi contenuti devono fondare, costituendone presupposti di legittimità, la determinazione provvedimentale dell’amministrazione.

Sicchè la giurisprudenza giunge ad affermare che la non veridicità rileva in quanto abbia determinato l’attribuzione di un beneficio (cfr. T.A.R. Lazio, II, n. 12433/2016 cit.), evidenziandosi che la disciplina di cui alla richiamata [#OMISSIS#] è volta a sanzionare l’accertamento della non veridicità di dichiarazioni rese al fine di beneficiare di un determinato provvedimento e non [#OMISSIS#] la falsità di una dichiarazione del tutto irrilevante rispetto al conseguimento del beneficio (cfr. Cons. Stato, V, 1-8-2016, n. 3446).

Da tanto consegue che, ove la dichiarazione non sia necessaria al fine del conseguimento del beneficio, viene meno la correlazione tra quest’[#OMISSIS#] e la dichiarazione e, dunque, il necessario presupposto per sanzionarne la falsità con la decadenza.

Ciò posto, rileva il Collegio che, contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante Università, la dichiarazione relativa all’assenza di carichi pendenti non era prescritta ai fini dell’ottenimento del “beneficio” della nomina e della presa di servizio.

L’Amministrazione invoca in proposito l’articolo 10 del bando con il quale era stata indetta la procedura di selezione per il conferimento del posto di professore associato per il Settore Scientifico Disciplinare Med/40 Ginecologia e Ostetricia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia.

Orbene, l’articolo 10 del bando, rubricato “Documenti di rito per la nomina”, così dispone.

“ I candidati, chiamati dalla Facoltà che ha richiesto il bando, devono, entro il [#OMISSIS#] perentorio di 30 giorni, che decorre dal giorno successivo a quello in cui sono stati chiamati a prendere servizio, presentare o far pervenire all’Università, i seguenti documenti:

A) per i candidati italiani e per quelli della Comunità europea:

° un certificato medico, di data non anteriore a sei mesi …..;

° dichiarazione attestante se ricopre o meno impieghi alle dipendenze dello Stato italiano, delle Province, dei Comuni o di altri enti pubblici o privati e in [#OMISSIS#] affermativo, dichiarazione di opzione per il nuovo impiego…..

I candidati devono inoltre presentare una dichiarazione sostitutiva riguardante:

-luogo e data di nascita;

-cittadinanza;

-godimento dei diritti politici;

-posizione [#OMISSIS#] effetti degli obblighi di leva;

– assenza di precedenti penali.”.

Dalla piana lettura della citata disposizione della lex specialis risulta, dunque, che, ai fini della nomina, e dunque, della formale presa di servizio non è necessaria l’assenza di carichi pendenti (procedimenti penali in corso) e, dunque, una dichiarazione sostitutiva che tale requisito attesti.

Tanto viene confermato dall’esame dello stesso articolo 10, per la parte relativa ai “Candidati stranieri non appartenenti alla Comunità europea” (lettera B), laddove si richiede ad essi: “certificato equipollente al certificato generale del casellario giudiziale rilasciato dalla competente autorità dello stato in cui lo straniero è cittadino. Se lo stesso risiede in Italia, oltre al certificato anzidetto, deve presentare anche il certificato generale del casellario giudiziale italiano e il certificato attestante i carichi pendenti”.

La espressa previsione, [#OMISSIS#] stessa [#OMISSIS#], della necessità di una attestazione in ordine alla sussistenza o meno della pendenza di procedimenti penali per altra categoria di soggetti ne rafforza vieppiù la non debenza per i cittadini italiani (quale è il dott. [#OMISSIS#]).

Orbene, non risultando richiesta dall’articolo 10 del bando (disposizione invocata dall’appellante) alcuna dichiarazione in ordine alla sussistenza di procedimenti penali in corso, ai fini specifici del conseguimento del beneficio della nomina, deve ritenersi che la non veritiera attestazione in proposito resa dal ricorrente non valga di per sé alla decadenza dal suddetto beneficio, in quanto, non essendovi sul punto espressa richiesta del bando, non vi è quel necessario rapporto causale tra requisito oggetto della dichiarazione e conseguimento del beneficio che, secondo l’orientamento giurisprudenziale più sopra richiamato, può valere a giustificare la decadenza prevista dall’articolo 75 del d.P.R. n. 445 del 2000.

In buona sostanza, l’oggetto del mendacio non risulta essenziale ai fini della nomina, non risultando la relativa dichiarazione richiesta dal bando come necessaria per l’adozione del suddetto provvedimento.

Da tanto deriva che l’Università non poteva disporre di non dar corso alla presa di servizio del ricorrente ed alla sua nomina sulla base della falsità della dichiarazione resa e, dunque, applicando la fattispecie decadenziale di cui al richiamato articolo 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, non vertendosi [#OMISSIS#] specie, per le ragioni in precedenza esposte, nel perimetro applicativo di tale [#OMISSIS#], in relazione alla natura non essenziale della dichiarazione sul punto.

In tale contesto, di conseguenza, non risulta dirimente soffermarsi sulla correttezza della sentenza n. 1555/2015 del Tribunale Amministrativo per la [#OMISSIS#] (oggetto di altro giudizio di appello, ma esecutiva in quanto non sospesa) e, dunque, se la stessa abbia o meno correttamente accertato l’esistenza di un diritto soggettivo all’assunzione in capo al dott. [#OMISSIS#], rilevando comunque la Sezione in questa sede che – diversamente da quanto sostenuto dall’Università (secondo cui la pronuncia avrebbe unicamente disposto l’obbligo di conclusione del procedimento) – effettivamente la stessa ha statuito che “una volta che sia stata deliberata la nomina di uno dei candidati, la posizione giuridica soggettiva di costui è senz’altro qualificabile in [#OMISSIS#] di diritto soggettivo perfetto” e che “il successivo decreto rettoriale di nomina del candidato prescelto appare quale atto vincolato con il quale il rappresentante dell’Università provvede a dare rilevanza esterna alle decisioni già assunte in seno al Consiglio di Facoltà”.

Basti, invero, rilevare – come sopra esposto – che l’invocato articolo 10 del bando di concorso non richiedeva, ai fini della nomina, alcuna dichiarazione in ordine ai carichi pendenti, onde la stessa, ove in concreto richiesta e resa dall’interessato in maniera non veritiera, non essendo essenziale ai fini del beneficio, non poteva comportarne la decadenza.

Sulla base delle considerazioni svolte, dunque, il motivo di appello è infondato e deve essere rigettato.

Con il terzo motivo di appello l’Università lamenta: Travisamento dei fatti ed ingiustizia manifesta.

Censura la sentenza di primo grado [#OMISSIS#] parte in cui rileva che la delibera del Consiglio di Amministrazione del 5-5-2016 non sarebbe stata adeguatamente motivata con riferimento alla circostanza che i fatti oggetto del procedimento penale siano tali da “minare la fiducia, la serietà e il prestigio di chiunque svolga una funzione delicata come la docenza in area medica”.

Evidenzia al riguardo che la sussistenza del mendacio assume rilievo in sé, ai fini della conclusione del procedimento, onde l’amministrazione è esente dall’obbligo di valutare nel merito i fatti o le circostanze eventualmente taciute.

Anche a volere ritenere necessaria una motivazione, rileva che la motivazione resa dall’Ateneo risulta idonea e sufficiente, tenendo conto che i fatti che il ricorrente ha omesso di dichiarare hanno ad oggetto la truffa e la falsa attestazione con l’aggravante di aver commesso tali reati al fine di trarne un profitto economico, e ciò nell’esercizio della professione medica ed in costanza di rapporto con lo stesso Ateneo Magna Graecia.

Il motivo di appello non può trovare favorevole considerazione, ritenendo la Sezione sussistente il vizio motivazionale censurato dal Tribunale Amministrativo.

Deve in primo luogo essere respinto il rilievo dell’Amministrazione secondo cui, configurandosi un’ipotesi di falsità della dichiarazione, non vi era alcun obbligo di motivazione dell’Università in ordine alla rilevanza dei reati per i quali si era instaurato procedimento penale nei confronti del [#OMISSIS#].

Invero, il rilevato carattere non essenziale della dichiarazione, così come emergente dalle specifiche prescrizioni del bando ai fini della nomina (art. 10, invocato dall’appellante), esclude in radice che la sua non veridicità potesse comportare di per sé la decadenza dal beneficio.

Ed allora, l’esame della “moralità” del candidato ai fini dell’instaurazione del rapporto di pubblico impiego deve essere effettuato con una valutazione espressa e, ove lo stesso conduca, come nel [#OMISSIS#] di specie, ad una determinazione di non dar corso alla nomina ed alla presa di servizio, deve dare adeguato conto delle relative ragioni giustificatrici.

Tanto non solo in ossequio al generale obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, ma vieppiù in considerazione della natura discrezionale del relativo potere facente capo all’amministrazione.

Ciò posto, deve essere verificato se [#OMISSIS#] specie la motivazione contenuta [#OMISSIS#] deliberazione del Consiglio di Amministrazione prot. n. 1411 del 5-5-2016 risulti adeguata e sufficiente.

La Sezione, in primo luogo, condivide il parametro motivazionale applicato dal Tribunale, mediante richiamo a pertinente giurisprudenza (“sussiste l’obbligo per l’amministrazione – anche in ragione del venir meno già dal 1984 della buona condotta come requisito per l’accesso [#OMISSIS#] impieghi pubblici definiti ordinari – di valutare il comportamento dell’aspirante in maniera rigorosa, ossia prendendo in considerazione tutti gli elementi idonei a consentire la migliore interpretazione e valutazione dei fatti, dandone successivamente conto [#OMISSIS#] decisione – in [#OMISSIS#] – adottata. In altri termini, non può essere omesso l’esame delle modalità con cui si è svolta la condotta imputata, l’età e la maturità del soggetto al momento di compiere il fatto e i contegni da quest’[#OMISSIS#] solitamente assunti, con evidenziazione – in [#OMISSIS#] di diniego dell’assunzione – del carattere oggettivamente ostativo riconosciuto ai comportamenti dell’aspirante all’assunzione e dell’effettivo riverbero negativo attribuito [#OMISSIS#] stessi comportamenti rispetto all’immagine dell’amministrazione datoriale”).

Ciò premesso, va osservato che le ragioni che hanno indotto il predetto organo a “non dare seguito alla delibera del 9 marzo 2015 relativa alla presa di servizio del dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] nel ruolo di Professore Associato non confermato” – ragioni diverse ed ulteriori rispetto alla semplice non veridicità della dichiarazione, in sé non rilevante per il sopra ritenuto carattere non essenziale della stessa in punto di carichi pendenti – possono come di seguito compendiarsi.

Rilevato che le ipotesi per le quali sussiste processo penale a carico del dott. [#OMISSIS#] sono di fatto riconducibili ad episodi di falso e truffa connessi all’esercizio della professione medica, in relazione alle quali…è intervenuta rinuncia alla querela da parte della persona offesa con successiva accettazione;

considerato che nel prendere in servizio un docente dell’area medica e in particolare ostetrico ginecologica, occorre che il soggetto sia dotato di qualità morali e personali che assicurino fiducia, serietà e prestigio, requisiti che sono da considerarsi indispensabili per professionalità che devono svolgere delicate funzioni”.

Dunque, le ragioni del sostanziale diniego di instaurazione del rapporto vengono individuate [#OMISSIS#] circostanza che sussiste un procedimento penale a carico del dott. [#OMISSIS#] e che i reati contestatigli, attenendo a ipotesi di falso e truffa connessi all’esercizio della professione medica, impediscono di configurare in capo al predetto qualità morali e personali che gli assicurino fiducia, serietà e prestigio.

Orbene, la motivazione, così come resa, si palesa insufficiente.

Ed, invero, avuto riguardo alla circostanza che il giudizio penale era ancora in corso e che non vi era stato alcun accertamento di responsabilità del [#OMISSIS#] con sentenza anche non definitiva, il Consiglio di Amministrazione avrebbe dovuto in primo luogo effettuare una autonoma valutazione sulla esistenza e sulla gravità concreta dei fatti addebitati, tenuto conto della modalità di commissione degli stessi; valutazione da esternare nel provvedimento conclusivo, in relazione alle ragioni della determinazione prescelta.

I fatti, poi, a prescindere dalla astratta configurabilità in termini di reato di falso e di truffa (di per sé non determinanti risoluzione del rapporto di pubblico impiego), avrebbero dovuto essere oggetto di valutazione ( e di motivazione) avendo riguardo non solo alla loro connessione con l’attività medica, ma anche con riferimento ai rilievi formulati [#OMISSIS#] memoria difensiva prodotta in sede procedimentale.

Dei fatti addebitati al [#OMISSIS#] si rileva, invece, una valutazione atomistica ed isolata, mentre l’incidenza ostativa degli stessi all’instaurazione del rapporto avrebbe dovuto essere verificata e motivata anche tenendo conto dell’epoca di realizzazione (anno 2008) e del comportamento ad essi successivo tenuto dal sanitario, proprio al fine di verificare se la carenza dei requisiti di fiducia, serietà e prestigio potesse dirsi comunque sussistente alla (di molto) successiva data di adozione della delibera di non dare corso alla sua presa di servizio (anno 2016).

Per le ragioni sopra svolte, dunque, risulta condivisibile l’affermazione del [#OMISSIS#] di primo grado, secondo cui “Il richiamo alla connessione tra i predetti fatti e l’esercizio della professione medica, senza una accurata valutazione complessiva delle circostanze concrete e del comportamento dell’interessato, anche successivo a quegli episodi, risulta pertanto generico, con conseguente incongruità della motivazione”.

[#OMISSIS#] evidentemente [#OMISSIS#], così come affermato dal Tribunale, il potere dell’amministrazione di valutazione dei requisiti di “moralità” dell’interessato, [#OMISSIS#] l’obbligo di dar conto dell’iter logico seguito mediante una motivazione adeguata alla complessità del [#OMISSIS#] concreto.

In conclusione, l’appello deve essere respinto in quanto infondato, con conseguente conferma della sentenza del Tribunale Amministrativo.

La complessità della vicenda rende equa una pronuncia di integrale compensazione tra le parti delle spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 4 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] FF

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere