Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 dicembre 2019, n. 8290

Dottorato di ricerca-Differenza con abilitazione all'insegnamento

Data Documento: 2019-12-03
Area: Giurisprudenza
Massima

Abilitazione all’insegnamento e dottorato di ricerca costituiscono il risultato di percorsi diretti a sviluppare esperienze e professionalità diverse, in ambiti differenziati e non assimilabili. 
I corsi per il conseguimento del dottorato di ricerca forniscono, infatti, una preparazione avanzata nell’ambito del settore scienti co-disciplinare di riferimento, valutabile nell’ambito della ricerca scientica. Essi sono volti all’acquisizione di competenze necessarie per esercitare attività di ricerca di alta quali cazione. È pur vero che ai dottorandi è consentito lo svolgimento di una limitata attività didattica. Tuttavia, anche a prescindere dalle profonde diversità della platea dei discenti, ciò è consentito solo in via sussidiaria o integrativa, non potendo in ogni caso compromettere l’attività di formazione alla ricerca (art. 4, comma 8, della legge n. 210 del 1998).
Viceversa, già in passato, in base all’art. 2 del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249, così come ora, ai sensi degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 59 del 2017, i percorsi abilitanti sono finalizzati all’acquisizione di competenze disciplinari, psico- pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali, necessarie sia a far raggiungere agli allievi i risultati di apprendimento previsti dall’ordinamento, sia a sviluppare e sostenere l’autonomia delle istituzioni scolastiche.

Contenuto sentenza

N. 08290/2019 REG.PROV.COLL.
N. 07272/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7272 del 2018, proposto da 
[#OMISSIS#] Monaco, [#OMISSIS#] D’Anca, [#OMISSIS#] Della Casa, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Borzì, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Tringali, [#OMISSIS#] Cutugno, [#OMISSIS#] Matà, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Cutugno, [#OMISSIS#] Fiore, [#OMISSIS#] Fiumanò, [#OMISSIS#] Messina, [#OMISSIS#] Nassis, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Poguisch, Rosa Scrima, [#OMISSIS#] Spadaro, Barbara Tripodo, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Leone, [#OMISSIS#] Pedroni, [#OMISSIS#] Degl’Innocenti, Sara Bubola, [#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Spagnol, [#OMISSIS#] Rigliaco, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Trovato, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Giovanni Messina, Rosa Boemi, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Manuella, [#OMISSIS#] Grasso, [#OMISSIS#] Sindorio, [#OMISSIS#] Traverso, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentati e difesi dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e Salvatore [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
contro
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; 
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. per il Lazio n. 6206/2018.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2019 il Cons. Giordano [#OMISSIS#] e uditi per le parti gli avvocati [#OMISSIS#] Nanula, per delega dell’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], e Giovanni Greco dell’Avvocatura Generale dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – Gli appellanti affermano di essere docenti precari, laureati ed in possesso del titolo di Dottore di ricerca, conseguito al termine del relativo corso universitario.
2 – Con gli atti impugnati – D.M. n. 995 del 15 dicembre 2017 ed il Bando di Concorso per il reclutamento a tempo indeterminato di personale docente nella scuola secondaria di primo e secondo grado, pubblicato nella G.U. del 16 febbraio 2018, nella parte in cui non consentono ai candidati muniti di Dottorato di ricerca di partecipare alle procedure selettive di cui all’articolo 17, comma 2, lettera b), e commi 3, 4, 5 e 6, del D.Lgs. del 13 aprile 2017, n. 59 – l’Amministrazione resistente ha regolamentato la procedura selettiva per al percorso FIT di inserimento nelle graduatorie di merito regionali finalizzate al reclutamento in ruolo, senza prevedere alcuna possibilità di partecipazione per i docenti in possesso di Dottorato di ricerca.
3 – Ritenendo illegittimi i provvedimenti impugnati, laddove non prevedono tale possibilità, gli appellanti hanno proposto ricorso innanzi al T.A.R. per il Lazio, sostenendo che, in ragione del titolo accademico posseduto, che rappresenta l’apice della carriera universitaria, lo stesso deve ritenersi equivalente ai titoli abilitanti all’insegnamento, con la conseguente possibilità dei docenti che li possiedono di prendere parte alla procedura in oggetto.
4 – Con la sentenza n. 6206 del 5 giugno 2018, il T.A.R. ha respinto il ricorso, rilevando la natura non abilitante dei titoli di studio di cui trattasi, in “assenza di espresse diposizioni sull’equiparazione tra il dottorato di ricerca e i titoli di abilitazione all’insegnamento nonché di tabelle di equipollenza tra i dottorati e gli insegnamenti scolastici, di talché la pretesa equiparazione sarebbe affidata a criteri soggettivi ed arbitrari”.
5 – Con il primo motivo di appello avverso tale sentenza si deduce la violazione e falsa applicazione della Direttiva Europea 2005/36/CE e del D. Lvo 6 novembre 2007 n. 206; nonché la violazione ed erronea applicazione della Decisione n.1719/2006/CE emanata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio del 15 novembre 2006 e del D. Lvo 13/2013, oltre alla violazione e falsa applicazione degli artt.3, 33, 35, 36 e 97 della Costituzione.
A tal fine, parte appellante ricorda che la Direttiva Europea 2005/36/CE sancisce, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c) del Trattato, che l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri è uno degli obiettivi della Comunità. La Direttiva in esame garantisce quindi, a coloro che hanno acquisito una qualifica professionale in uno Stato membro, di accedere alla stessa professione e di esercitarla in un altro Stato membro con gli stessi diritti dei cittadini di quest’ultimo.
Ciò premesso, prospetta che i titolari di Dottorato di ricerca sono considerati dal Ministero privi di abilitazione all’insegnamento, pur vantando il possesso di un titolo accademico che rappresenta l’apice della carriera universitaria e, al contempo, il primo stadio della carriera di docente universitario, un titolo quindi e dei requisiti curriculari necessari e sufficienti all’insegnamento. In particolare, il titolo consente l’accesso ai concorsi per Ricercatore e in seguito Professore Associato, quindi per l’accesso alla professione di docente universitario. Per ciò solo, secondo gli appellanti, dovrebbe riconoscersi valore abilitante ex se al titolo di cui trattasi, essendo un titolo – post lauream – il cui possesso consente anche l’accesso alla professione docente universitaria, così come lo è – entro i limiti di cui appresso – l’abilitazione all’insegnamento per l’accesso alla professione docente nella scuola statale.
Parte appellante ricorda inoltre che tali docenti sono perfettamente reclutabili con contratti a termine tramite la III fascia delle graduatorie di istituto, in quanto laureati, al fine di ricoprire cattedre vacanti e disponibili e svolgere supplenze, svolgendo quindi mansioni ed incarichi di natura identica rispetto a quelli dei colleghi di altre materie muniti di titolo di abilitazione, sebbene “semplici laureati”.
6 – Con il secondo motivo di appello si deduce la violazione ed erronea applicazione della L. 210 del 03 luglio 1998, la violazione ed erronea applicazione della L. 240 del 30 dicembre 2010, la violazione ed erronea applicazione del D.M. 30 aprile 1999 n. 224, la violazione ed erronea applicazione del D.M. 8 febbraio 2013 n. 45 e l’eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti.
A questo proposito, gli appellanti rilevano che il Dottorato di ricerca, istituito con la legge n. 28 del 21 febbraio 1980 e il D.P.R. n. 382 del 12 luglio 1980, rappresenta il più elevato grado di istruzione previsto nell’ordinamento accademico italiano. La formazione del dottore di ricerca è finalizzata all’acquisizione delle competenze necessarie per esercitare attività di ricerca di alta qualificazione (art. 4 D.M. 224/99), potendo prevedersi, a tal fine, periodi di studio all’estero e stage presso soggetti pubblici e privati (come previsto dal DM 224/1999).
Alla luce di tale ricognizione normativa, gli appellanti ribadiscono come il titolo accademico di Dottore di ricerca costituisca l’apice della carriera studentesca universitaria, garantendo una formazione di altissima specializzazione nella specifica materia e fornendo gli strumenti necessari e sufficienti anche ad intraprendere la carriera di docenza universitaria, per l’accesso ai relativi concorsi di ricercatore e professore associato. 
In particolare, valorizzano anche la natura didattica del percorso di studi svolto durante i corsi di dottorato, considerato che sia la legge che i decreti ministeriali in materia prevedono espressamene la possibilità che i dottorandi svolgano attività di tutoraggio nei confronti degli studenti dei corsi di laurea e di laurea magistrale, nonché attività di didattica integrativa.
A fronte di tali circostanze, non potrebbe ragionevolmente negarsi uguale valore abilitante all’insegnamento a detto titolo accademico, rispetto alle abilitazioni conseguite tramite corsi TFA o PAS di durata annuale e sicuramente di livello scientifico inferiore. 
7 – Con il terzo motivo di appello si deduce la violazione del principio del favor partecipationis, la violazione degli artt.4 e 51 Cost. e del trattato di Amsterdam e dei principi comunitari di non discriminazione. 
Più precisamente, gli appellanti contestano che l’Amministrazione, oltre a porsi in contrasto con il principio del favor partecipationis, avrebbe posto in essere anche un trattamento in violazione dell’ulteriore principio di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa. 
Inoltre, i provvedimenti impugnati sarebbero altresì in contrasto con gli artt. 4 e 51 della Costituzione, laddove non solo non favorirebbero l’accesso al lavoro, ma si tradurrebbero in forti discriminazioni ai fini dell’accesso al lavoro stesso, nel momento in cui si prevede una degradazione rispetto a docenti in possesso di titoli meno qualificanti od assolutamente identici. 
8 – Alla luce delle esposte censure, parte appellante eccepisce infine l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del D. Lgs 59/2017 rispetto all’art. 1 comma 110 della legge 107/2015, laddove prevede quale requisito necessario per l’accesso al concorso pubblico per l’immissione nei ruoli del personale docente della scuola statale il possesso dell’abilitazione all’insegnamento, precludendo quindi la possibilità di partecipare alla procedura selettiva pubblica agli aspiranti in possesso del qualificato titolo di dottorato di ricerca.
9 – I motivi di appello possono essere esaminati congiuntamente vertendo sulla medesima questione di fondo, ovvero sulla dedotta illegittimità della mancata previsione del dottorato di ricerca tra i titoli che consentono di partecipare al concorso.
Al riguardo, deve subito precisarsi che il DDG n. 85/2018 impugnato rinviene la sua fonte di legittimazione nella previsione di cui all’art. 17, co. 3 del d.lgs. n. 59 del 2017, il quale, per quanto inerisce al requisito dell’abilitazione, stabilisce che “La procedura di cui al comma 2, lettera b), bandita in ciascuna regione e per ciascuna classe di concorso e tipologia di posto entro febbraio 2018, è riservata ai docenti in possesso, alla data di entrata in vigore del presente decreto, di titolo abilitante all’insegnamento nella scuola secondaria o di specializzazione di sostegno per i medesimi gradi di istruzione, in deroga al requisito di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b) e articolo 5, comma 2, lettera b)”.
Ne deriva che l’esclusione dei soggetti privi di abilitazione – come gli appellanti – è prevista dalla stessa prescrizione di rango primario rappresentata dall’art. 17 del D. Lgs. n. 59/2017 citato, di cui le disposizioni del bando risultano meramente applicative. 
9.1 – Quanto alla prospettata assimilazione del Dottorato di ricerca all’abilitazione all’insegnamento è dirimente osservare che nessuna disposizione di rango primario o secondario ha disposto l’equiparazione o l’equipollenza del titolo di dottorato di ricerca all’esito favorevole dei percorsi abilitanti (TFA o PAS).
10 – Risulta inoltre decisiva l’intervenuta pronuncia della Corte Costituzionale n. 130 del 2019, a cui la Sezione, nell’ambito di altro analogo giudizio, aveva rimesso la medesima questione di legittimità costituzionale sollevata nel presente giudizio.
Con quest’ultima pronuncia, la Corte ha escluso l’irragionevolezza della mancata previsione del dottorato di ricerca, quale titolo per l’ammissione al concorso di cui alla disposizione censurata.
A tal fine, ha precisato che abilitazione all’insegnamento e dottorato di ricerca costituiscono il risultato di percorsi diretti a sviluppare esperienze e professionalità diverse, in ambiti differenziati e non assimilabili. 
I corsi per il conseguimento del dottorato di ricerca forniscono, infatti, una preparazione avanzata nell’ambito del settore scientifico-disciplinare di riferimento, valutabile nell’ambito della ricerca scientifica. Essi sono volti all’acquisizione di competenze necessarie per esercitare attività di ricerca di alta qualificazione. È pur vero che ai dottorandi è consentito l’affidamento di una limitata attività didattica. Tuttavia, anche a prescindere dalle profonde diversità della platea dei discenti, ciò è consentito solo in via sussidiaria o integrativa, non potendo in ogni caso compromettere l’attività di formazione alla ricerca (art. 4, comma 8, della legge n. 210 del 1998).Viceversa, già in passato, in base all’art. 2 del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249 (Regolamento concernente: «Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell’articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n. 244»), così come ora, ai sensi degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 59 del 2017, i percorsi abilitanti sono finalizzati all’acquisizione di competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali, necessarie sia a far raggiungere agli allievi i risultati di apprendimento previsti dall’ordinamento, sia a sviluppare e sostenere l’autonomia delle istituzioni scolastiche. 
In considerazione della finalità della procedura concorsuale, volta a selezionare le migliori e più adeguate capacità rispetto all’insegnamento, ciò che rileva è l’avere svolto un’attività di formazione orientata alla funzione docente, che abbia come specifico riferimento la fase evolutiva della personalità dei discenti. Tale funzione esige la capacità di trasmettere conoscenze attraverso il continuo contatto con gli allievi, anche sulla base di specifiche competenze psico-pedagogiche. È in vista dell’assunzione di tali rilevantissime responsabilità, affidate dall’ordinamento ai docenti della scuola secondaria, che le attività formative indicate costituiscono un fondamento “ontologicamente diverso”, rispetto a quello che caratterizza il percorso e il fine del titolo di dottorato.
11 – Alla luce della ravvisata “ontologica diversità” tra abilitazione all’insegnamento e dottorato di ricerca, oltre tutto già affermata dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2264 e n. 2254 del 2018), tenuto conto della natura sostanzialmente vincolata del D.M. n. 995 e del Bando di Concorso impugnati, perdono di ogni apprezzabile consistenza tutte i diversi profili di censura dedotti da parte appellante.
11.1 – Deve solo precisarsi che non appare altresì ravvisabile alcun contrasto con i principi europei di libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri, posto che nel caso di specie non si pone alcuna problematica relativa al riconoscimento di un titolo rilasciato da uno Stato estero. 
12 – In definitiva, l’appello non deve trovare accoglimento.
Le spese di lite possono essere compensate, tenuto conto della necessità dell’intervento chiarificatore della Corte Costituzionale.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello e compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] De Felice, Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] Maggio, Consigliere
[#OMISSIS#] Carpentieri, Consigliere
Giordano [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Pubblicato il 03/12/2019

IL SEGRETARIO