La titolarità di una partita IVA da parte di un docente universitario, soprattutto se non accompagnata dall’iscrizione in Albi professionali, non implica, automaticamente, che ogni attività fatturata sia contraria ai doveri di esclusività, in quanto, non è accertativa del carattere di abitualità e sistematicità della stessa.
Corte dei Conti, sez. III, 27 settembre 2019, n. 198
Ricercatori e professori a tempo pieno – Incompatibilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
TERZA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO composta dai seguenti magistrati:
dott. Angelo Canale Presidente
dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere relatore
dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso in appello, iscritto nel registro di segreteria al n. 53122 del Registro di Segreteria proposto da [#OMISSIS#] BISERNI rappresentato e difeso dagli avv.ti [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e Barbara [#OMISSIS#] ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Gian [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Roma, Corso [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] II, n. 18;
avverso
la Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale per l’Emilia-Romagna e la Procura Generale della Corte dei conti;
avverso
la sentenza della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, n. 211/2017, depositata in data 31 ottobre 2017;
Visti: gli appelli, le conclusioni della P.G., gli atti tutti di causa;
Uditi, nella pubblica udienza del giorno 27 settembre 2019, con l’assistenza della segretaria sig.ra [#OMISSIS#] Calabrese, il relatore, dr.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], gli Avv.ti Barbara [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Arbib, su delega dell’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], difensori del Prof. [#OMISSIS#] Biserni, nonché il Vice Procuratore generale, dr. Cerioni [#OMISSIS#];
Ritenuto in
FATTO
1. La Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per l’Emilia Romagna con la sentenza n. 211/2017 ha condannato il prof. [#OMISSIS#] Biserni al pagamento in favore dell’Università degli Studi di Bologna della somma complessiva di euro 30.419,00, oltre a rivalutazione monetaria, interessi legali dal deposito della sentenza fino all’effettivo soddisfo ed alle spese di giudizio, a titolo di risarcimento del danno conseguente l’indebita percezione di compensi derivanti dall’espletamento di attività extra-istituzionale non autorizzata, in costanza di rapporto di lavoro con la predetta Università negli anni 2007-2015, quale professore di ruolo a tempo pieno.
La sentenza nel merito ha affermato che “l’attività extraistituzionale svolta dal Biserni nel campo delle misurazioni fonometriche, resa prevalentemente quale consulente di parte o d’ufficio nel corso di procedimenti giudiziari (e che secondo la difesa rientrerebbe nel novero delle attività liberamente esercitabili ai sensi dell’art. 8 lett. i dello Regolamento dell’Università degli Studi di Bologna sul conferimento di incarichi a docenti e ricercatori a tempo pieno), in realtà altro non è che un’attività attività libero professionale svolta in regime di incompatibilità con il regime di tempo pieno che il medesimo art 8 lett. i, richiamato dalla difesa, autorizza, purchè di carattere occasionale e non rientrante nel divieto di cui all’art. 6 comma 1 del medesimo Regolamento il quale prevede come attività professionali-extraistituzionali incompatibili, quelle prestate a favore di terzi con il carattere della abitualità, sistematicità e continuità.”.
Ha altresì sostenuto che “Il possesso ininterrotto e da lungo tempo di una partita IVA da parte del convenuto, avalla e conferma la tesi accusatoria, circa il carattere professionale e non occasionale delle prestazioni eseguite dal convenuto.
Ha poi respinto l’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa del convenuto argomentando “che, ai fini del computo del tempo per la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, il dies a quo vada individuato, ai sensi del combinato disposto dell’art. 1 della L. n. 20/1994 e dell’art. 2935 c.c., a decorrere dal giorno in cui il diritto al risarcimento può essere fatto valere: quindi dal giorno in cui l’amministrazione ha avuto cognizione del fatto dannoso in quanto il danno si è manifestato all’esterno, divenendo obiettivamente percepibile al soggetto danneggiato.
Quanto al danno lo ha determinato nella somma di euro 30.419,00, come
richiesto dalla Procura regionale.
2. Avverso la sentenza ha proposto appello il Prof. [#OMISSIS#] Biserni, la cui difesa ha preliminarmente evidenziato la concreta attività da lui svolta; individuato le fonti normative statali e locali; specificato i criteri per l’individuazione dell’attività di consulenza consentita; eccepito la mancanza di un titolo di riversamento a favore dell’Università dei compensi ottenuti dal Prof. Biserni; ha contestato le conclusioni della sentenza impugnata in relazione, sia all’elemento oggettivo che a quello soggettivo.
Relativamente all’eccezione di prescrizione ha rilevato il difetto di motivazione sul punto della sentenza appellata sostenendo che il termine prescrizionale dell’azione contabile deve essere fatto decorrere dalla data del 5 giugno 2016, momento in cui sono pervenuti gli esiti dell’indagine effettuata dalla Guardia di Finanza alla Procura, ovvero dalla data del 6 maggio 2016, giorno in cui è stato comunicato l’esito delle verifica a campione effettuata dal Servizio Ispettivo di Ateneo.
In conclusione ha chiesto l’accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza n. 211/17/R notificata il 10 novembre 2017: assolvere il Prof. [#OMISSIS#] Biserni da ogni addebito di responsabilità amministrativa formulato a suo carico; in via del tutto subordinata, condannare il convenuto al riversamento della somma corrispondente al presunto danno, individuata nel totale netto dei redditi da lavoro autonomo limitato al periodo non prescritto (anni 2012, 2013, 2014 e 2015), con la detrazione dei compensi dovuti per l’attività (del tutto prevalente) liberamente esercitabile (ci riferiamo alle perizie quale CTU o CTP, all’attività di consulenza tecnico- scientifica e alle lezioni e seminari occasionali) e che era ed è soggetta al semplice obbligo di comunicazione (peraltro sempre assolto dal Biserni) con ulteriore esercizio del potere riduttivo anche in ragione del mancato esercizio da parte dell’università di qualsiasi attività di controllo e comunque dei poteri ex art. 13 del regolamento dell’Ateneo e dell’art 53, comma 7 del D.lgs n. 165/2001; disporre in favore dell’appellante la liquidazione degli onorari e spese di entrambi i gradi di giudizio in base alle vigenti tariffe.
3. La Procura generale ha depositato le proprie conclusioni in data 6 settembre 2019 eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’appello non avendo l’appellante indicato né gli specifici motivi di gravame né individuato i capi della sentenza censurati. Ha ulteriormente eccepito l’inammissibilità per violazione dei principi di chiarezza e sinteticità. Nel merito, ne ha dedotto l’infondatezza, sottolineando che al professor BISERNI non è stata imputata la mera tenuta di una partita IVA, ma il suo consapevole utilizzo per lo svolgimento di un’attività libero professionale, non occasionale e perciò vietata, in quanto incompatibile in modo assoluto con il regime di docenza «a tempo pieno» prescelto.
Ha affermato che lo svolgimento di attività extraistituzionale non conferita, né previamente autorizzata dall’Università di Bologna ed il mancato riversamento dei compensi indebitamente percepiti nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione, ha determinato il sorgere della speciale fattispecie di responsabilità amministrativa delineata dall’art. 53, comma 7, del D.lgs. 165/2001, che va inquadrata nel generale contesto della responsabilità amministrativa dei pubblici impiegati. Relativamente alla quantificazione del danno ha sostenuto che la connotazione della condotta del Biserni in termini di dolo, preclude l’esercizio del potere riduttivo da parte del giudice d’appello (Corte dei conti,Sez. III, App. 1° luglio 2002, n. 228 e Corte dei conti Sez. I, 9 gennaio1989, n. 9).
In conclusione ha chiesto che l’appello venga dichiarato inammissibile o, in subordine, previa reiezione della domanda di ammissione della prova testimoniale, lo stesso sia rigettato nel merito, con l’integrale conferma della sentenza Corte dei conti, Sezione Emilia-Romagna, n. 211/2017, con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di giudizio.
4. In data 4 settembre 2019 parte appellante ha depositato documentazione a sostegno delle proprie argomentazioni.
5. All’udienza del 27 settembre 2019, dopo la relazione, il difensore di parte appellante si sono riportati agli atti scritti e alle richieste conclusive ivi rassegnate.
La causa è stata quindi trattenuta per la decisione.
Considerato in
DIRITTO
1. La progressione logica delle questioni da trattare segue il sistema delineato dagli articoli 276 e 279 c.p.c., attualmente disciplinato dall’art. 101, n. 2, del C.G.C., con conseguente disamina prioritaria delle questioni pregiudiziali di [#OMISSIS#], delle preliminari di merito e, infine, del merito in senso stretto (Cass. S.U. n. 29/2016, Cass. S.U. n. 26242 del 2014; Corte dei conti, Sez. 2^ App., v. sent. nn. 138 e 139 dell’11.2.2016), fermo restando che l’ordine di trattazione delle questioni preliminari e di merito è rimesso al prudente apprezzamento del Giudice, secondo motivate ragioni di logica giuridica, di coerenza e ragionevolezza (cfr. Corte Cost. sent. n. 272/2007; Cass., sent. n. 23113/2008; S.R. Corte dei conti, sent. n. 727/1991).
2. Viene, preliminarmente all’esame l’eccezione di inammissibilità del gravame per genericità sollevata dalla Procura Generale, che il Collegio giudica palesemente infondata.
Ai sensi dell’art. 190 del C.G.C. (D.Lgs. 174/2016), l’appello “deve essere motivato” e “La motivazione dell’appello deve contenere, a pena d’inammissibilità, la specificazione delle ragioni in fatto e in diritto sulle quali si fonda il gravame con l’indicazione: a) dei capi della decisione che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado; b) delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”.
Premesso quanto sopra, va, osservato che la specificità dei motivi non va intesa formalisticamente, nè in via generale ed assoluta , ma nel senso che essi, oltre a delimitare il quantum appellatum, ovvero i capi della sentenza che si intendono impugnare, devono assolvere anche ad un’ indispensabile funzione argomentativa, consistente nell’illustrarne le ragioni di doglianza, utili a confutare il fondamento logico-giuridico delle argomentazioni contenute nella sentenza.
Infatti secondo la [#OMISSIS#] giurisprudenza di queste Sezioni di appello (Sez. II^, sent. n. 155/2010, n. 532/2013, n. 166/2014, n. 310/2014, n. 443/2014, n. 25/2015, n. 14572015; Sez. III^n. 98/2017), che aderisce ad un preciso orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione (ex multis Cass. Sez. Un. n.16/2000, n.23299/2011, Sez. 2 n.1924/2011, Sez.3 n.22502/2014; 7773/2004; Sez.1 n.1651/2014, n.4068/2009), l’obbligo di specificare i motivi di gravame è adempiuto solo in presenza di una critica (sia pure implicita) alle argomentazioni della sentenza impugnata, ovvero solo se il gravame individui gli errori logici e giuridici della medesima nonché le ragioni per cui si richiede il riesame, con un supporto argomentativo idoneo a contrastare la motivazione della sentenza impugnata; fermo restando, ovviamente, che il grado di specificità non può essere stabilito in via generale ed assoluta né in senso rigoroso e formalistico, bensì guardando al concreto contenuto dell’atto.
Va, infatti, rilevato che il giudizio di appello, è una revisio prioris istantiae e quindi la cognizione del Giudice è circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso motivi la cui specificità esige che alle argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, finalizzate ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni della sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono.
Da ciò consegue che, nell’atto di appello, deve sempre sussistere una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo Giudice, al qual fine non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da correlare per l’appunto, con la motivazione della sentenza impugnata.
Tanto si verifica nel caso di specie in cui, a fronte delle motivazioni espresse dal primo giudice nei passaggi della sentenza che, nel merito ha affermato la responsabilità del Prof. Biserni in ordine ai fatti dannosi ad esso ascrittidalla Procura attrice, questi ha mosso, nel proprio atto di appello, censure che partendo inizialmente da una critica all’impianto motivazionale della sentenza hanno offerto al giudice di appello specifici elementi di valutazione in merito alle censurate condotte dannose imputate al convenuto.
L’eccezione è pertanto infondata e va respinta.
3. Relativamente alla dedotta violazione del principio di sinteticità degli atti, rileva il Collegio di non poter addivenire ad una declaratoria di nullità dell’appello in assenza di una norma “ad hoc” che espressamente lopreveda atteso che l’art. 5 del codice di giustizia contabile, richiamato dalla parte, nel contemplare il “dovere di sinteticità degli atti” processuali non fissa alcuna sanzione per l’inosservanza. Va inoltre evidenziato che nel caso di specie non è stata pregiudicata l’intelligibilità delle questioni, essendo chiara sia l’esposizione dei fatti di causa che le argomentazioni esposte nell’atto, pertanto l’appello è da ritenersi, ammissibile sotto tale profilo.
2. In punto di merito, il Collegio ritiene importante effettuare una ricognizione della normativa in tema di cumulo d’impieghi e d’incarichi presso le pubbliche amministrazioni, con particolare riguardo allo status di professore universitario, al fine dell’individuazione dei principi fondamentali, rilevanti e applicabili alle condotte contestate.
2.1. Il d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, sul riordinamento della docenza universitaria, nel disciplinare l’impegno dei professori ordinari a tempo pieno o a tempo definito, all’art. 11, comma 5, come modificato dalla legge 9 dicembre 1985, n. 705, prevede che il regime a tempo pieno dei professori universitari “…a) è incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività professionale e di consulenza esterna e con l’assunzione di qualsiasi incarico retribuito e con l’esercizio del commercio e dell’industria; sono fatte salve le perizie giudiziarie e la partecipazione ad organi di consulenza tecnico- scientifica dello Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti di ricerca, nonché le attività, comunque svolte, per conto di amministrazioni dello Stato, enti pubblici e organismi a prevalente partecipazione statale, purché prestate in quanto esperti nel proprio campo disciplinare e compatibilmente con l’assolvimento dei propri compiti istituzionali; b) è compatibile con lo svolgimento di attività scientifiche e pubblicistiche, espletate al di fuori di compiti istituzionali, nonché con lo svolgimento di attività didattiche, comprese quelle di partecipazione a corsi di aggiornamento professionale, di istruzione permanente e ricorrente svolte in concorso con enti pubblici, purché tali attività non corrispondano ad alcun esercizio professionale…”.
2.2. La disposizione è ritagliata sul paradigma delineato dall’art. 60 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, che già poneva a carico degli impiegati dello Stato il divieto di “esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente.”
2.3. Sulla incompatibilità e sul cumulo di impieghi, il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, all’art. 53 (Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, già art. 58 del d.lgs n. 29 del 1993, come modificato prima dall’art. 2 del decreto legge n.358 del 1993, convertito dalla legge n. 448 del 1993, poi dall’art. 1 del decreto legge n. 361 del 1995, convertito con modificazioni dalla legge n. 437 del 1995 e, infine, dall’art. 26 del d.lgs n. 80 del 1998 nonché dall’art. 16 del d.lgs n. 387 del 1998) ha previsto al comma 7 che “ “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.”
2.4. La legge 30 dicembre 2010 n. 240, (c.d. “legge [#OMISSIS#]”), recante “Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario” all’art. 6 ha previsto espressamente che “L’esercizio di attività libero-professionale è incompatibile con il regime di tempo pieno” dei professori universitari, mentre al comma 10 dello stesso articolo ha precisato che gli stessi “possono liberamente svolgere attività retribuite di referaggio, lezioni e seminari, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, divulgazione scientifica e attività di pubblicazioni editoriali”.
2.5. Dopo l’entrata in vigore della legge n. 190/2012 (il cui art. 1, comma 62 ha introdotto il comma 7 bis all’art. 53 del d.lgs. 165/2001), il legislatore, proprio in un’ottica di rafforzamento del vincolo di esclusività e di lotta agli sprechi nel settore pubblico, ha previsto che “l’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”.
2.6. Con riferimento al caso di specie vanno poi ricordati specifici decreti del Rettore dell’Università di Bologna.
In particolare il D.R. n. 379/1235 del 05.10.1998 “Regolamento sul conferimento di incarichi a Docenti e Ricercatori a tempo pieno” (“Attività incompatibili”) ha previsto, all’art. 2, che “Sono incompatibili con l’ufficio di professore o ricercatore a tempo pieno le attività indicate testualmente dall’art. 11 comma 5 lettera a) del D.P.R. 382/80… Le autorizzazioni sono regolate secondo i principi del successivo art. 5, fermo restando che non possono essere autorizzate l’attività professionale e l’esercizio del commercio e dell’industria..”; mentre l’art. 3, c. 2, lett. f) del medesimo decreto ha disposto che sono liberamente esercitabili senza bisogno di preventiva autorizzazione “…gli incarichi, sotto qualsiasi forma retribuiti, conferiti dall’Università per le attività di Sue Aziende, Società o Fondazioni alle quali partecipa, ovvero per le quali la nomina avviene su designazione dell’Università” (in nota viene altresì chiarito che la disposizione va interpretata in senso estensivo, nel senso cioè di farvi rientrare tutte le nomine non solo effettuate dai suddetti enti, ma anche per il loro tramite); nonché alla lettera h): “…le perizie affidate dall’autorità giudiziaria nonché la nomina da parte dello Stato e di enti pubblici e degli enti di cui alle precedenti lettere f) e g) a componente di collegi arbitrali, purché si tratti di attività svolta in modo non continuativo”; infine l’art. 4 ha previsto che qualsiasi altro incarico retribuito, ancorchè occasionale, deve essere previamente autorizzato.
La circolare del medesimo Rettore n. 7221/2011 ha invece previsto, in attuazione della l. n. 240/2010, come liberamente esercitabili, anche con retribuzione, le attività di valutazione e referaggio, di collaborazione scientifica, di docenza e di consulenza.
In ultimo, il Decreto rettorale n. 89/2013 ha sostanzialmente confermato il regime sopra indicato, collocando l’attività didattica e formativa di carattere non occasionale tra quelle consentite previa autorizzazione.
3. Ritornando al caso di specie il giudice di primo grado ha ritenuto che l’attività extraistituzionale svolta dal Biserni, nel campo delle misurazioni fonometriche, resa prevalentemente quale consulente di parte o d’ufficio nel corso di procedimenti giudiziari, si è sostanziata in un’attività attività libero professionale svolta in regime di incompatibilità con il regime di tempo pieno, perché avente il carattere della abitualità, sistematicità e continuità.
Ha, poi, evidenziato “il possesso ininterrotto e da lungo tempo di Partita IVA da parte del Biserni, avalla e conferma la tesi accusatoria, circa il carattere professionale e non occasionale delle prestazioni eseguite dal convenuto.“.
Ha fondato, sostanzialmente, la sussistenza del carattere professionale e non occasionale delle prestazioni eseguite dal convenuto e quindi la loro incompatibilità sul possesso ininterrotto e da lungo tempo di una partita IVA e l’assiduità delle prestazioni rese.
Rileva, al riguardo, il Collegio, condividendo le argomentazioni di parte appellante, che la titolarità di una partita IVA da parte di un docente universitario, soprattutto se non accompagnata dall’iscrizione in Albi professionali, non implica, automaticamente, che ogni attività fatturata sia contraria ai doveri di esclusività, in quanto, non è accertativa del carattere di abitualità e sistematicità della stessa.
Va inoltre, sottolineato che il convenuto ha prodotto una serie comunicazioni e di richieste e concomitanti autorizzazioni per svolgimento delle diverse prestazioni extra-istituzionali contestate, concernenti attività formative, consulenze tecniche in ambito giudiziario, attività di consulenza e referaggio negli ambiti di competenza, e che appare erronea l’argomentazione del primo giudice che, senza alcuna prova al riguardo, le ha ritenute irrilevanti e prive di effetto, atteso il carattere assolutamente incompatibile dell’attività extra-istituzionale esercitata, in virtù del suo contenuto libero-professionale, abituale e continuativo.
Tali comunicazioni ed anche le richieste puntualmente presentate dal dr. Biserni all’Ateneo bolognese in ordine ai propri incarichi esterni, così come le autorizzazioni ottenute, attestano, invece, la ragionevole convinzione sulla liceità della propria condotta, con conseguente assenza di colpa grave ad esso imputabile.
Va anche sottolineato, che l’incertezza interpretativa e la difformità applicativa della normativa in tema di [#OMISSIS#] d’interesse e situazioni d’incompatibilità nel comparto universitario, hanno reso necessario in tempi, più recenti, di un atto d’indirizzo del MIUR (n. 39 del 14 maggio 2018) ed una risposta (in data 18 giugno 2019) su un quesito dell’Unione sindacale professori e ricercatori Universitari ( in data 27 maggio 2019) per fornire un’interpretazione uniforme a livello regolamentare universitario sulla disciplina delle attività libero professionali liberamente esercitabili o che necessitano autorizzazione, secondo quanto previsto dalla legge n. 240/2010.
Conclusivamente, in riforma dell’impugnata sentenza, il Prof. Biserni deve essere assolto dagli addebiti formulati nei suoi confronti dalla Procura regionale. Restano assorbiti tutti gli altri motivi d’appello. Ai sensi dell’art. 3, comma 2 bis, del DL 3/10/1996 n. 543 convertito nella legge n. 639/1996 e successive modificazioni e integrazioni (ora art. 31 del D.Lgs. 174/2016, Codice di Giustizia Contabile), spetta la liquidazione di onorari e diritti in favore della difesa, che si quantificano forfettariamente in euro 1.500,00 (millecinquecento,00) oltre Iva, spese generali.
P .Q.M.
la Corte dei Conti – Sezione Terza Centrale d’appello, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, assolve il Prof. [#OMISSIS#] Biserni dalla domanda attrice e riforma conseguentemente la sentenza della Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Emilia Romagna, n. 211/2017, depositata in data 31 ottobre 2017.
Dispone, a favore di parte appellante, la liquidazione di onorari e diritti di difesa nella misura di euro 1.500,00 (millecinquecento,00) oltre IVA , spese legali e CPA .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 27 settembre 2019.
Depositata in Segreteria il giorno 23 ottobre 2019