Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 gennaio 2020, n. 24

Procedura concorsuale per copertura posto Professore-Incompatibilità

Data Documento: 2020-01-02
Area: Giurisprudenza
Massima

La mancata inclusione tra i divieti di partecipazione anche del rapporto di convivenza di fatto da parte di un regolamento costituisce, in sé considerata, una scelta non irragionevole per le ragioni indicate dalla Corte costituzionale n. 78 del 2019.

Contenuto sentenza

N. 00024/2020 REG.PROV.COLL.
N. 04001/2019 REG.RIC.
N. 04591/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4001 del 2019, proposto da 
Università degli Studi di Firenze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] De Grazia, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, piazza San [#OMISSIS#], n. 4; 
contro
[#OMISSIS#] Ferraroni, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] Vignolini, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio [#OMISSIS#] Placidi in Roma, via [#OMISSIS#] Tortolini n. 30; 
nei confronti
[#OMISSIS#] Cantini, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] Lascialfari, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; 
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, non costituito in giudizio; 
sul ricorso numero di registro generale 4591 del 2019, proposto da 
[#OMISSIS#] Cantini, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] Lascialfari, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; 
contro
[#OMISSIS#] Ferraroni, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] Vignolini, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio [#OMISSIS#] Placidi in Roma, via [#OMISSIS#] Tortolini, n. 30; 
Università degli Studi di Firenze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] De Grazia, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; 
Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
per la riforma
quanto ad entrambi i ricorsi
della sentenza 12 marzo 2019, n. 350 del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, Sezione prima.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2019 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti gli avvocati [#OMISSIS#] de Grazia, [#OMISSIS#] Vignolini, [#OMISSIS#] Pecorilla in delega dell’avv. [#OMISSIS#] Lascialfari.
FATTO
1.− L’Università di Firenze, con decreto 25 giugno 2018, n. 720, ha bandito, ai sensi dell’art. 24, comma 6, della legge 30 dicembre 2010 n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonchè delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario) una procedura valutativa per il reclutamento di un professore associato per il settore concorsuale 03/B1 (Fondamenti delle scienze chimiche e sistemi inorganici), Sssd Chim/03 (Chimica generale e inorganica) presso il Dipartimento di Chimica “[#OMISSIS#] Schiffi”.
Alla procedura hanno partecipato la dott.ssa Ferraroni [#OMISSIS#], la dott.ssa Cantini [#OMISSIS#] e il dott. Calderone [#OMISSIS#].
Con decreto rettorale 25 giugno 2018, n. 720 sono stati approvati gli atti della procedura valutativa ed è stata dichiarata idonea la dott. Cantini.
2.− La dott.ssa Ferraroni ha impugnato gli atti della procedura innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, rilevando l’illegittimità della procedura, in quanto la dott.ssa Cantini avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura in ragione della sua convivenza di fatto con il prof. Baffoni Ciofi, appartenente al dipartimento o alla struttura che dispone la chiamata.
3.− Il Tribunale amministrativo, con sentenza 12 marzo 2019, n. 350, ha accolto il ricorso. In particolare, si è affermato che il regolamento dell’Ateneo prevede, quale ragione ostativa alla partecipazione, l’esistenza di un rapporto di coniugio. Ne consegue che, in considerazione della sostanziale identità tra coniugio e convivenza, dovrebbe essere fatta rientrare anche quest’ultima tra i divieti.
4.− Hanno proposto appello sia l’Università sia la controinteressata nel giudizio di primo grado. In particolare, si è affermata l’erroneità della sentenza in quanto: i) la Corte costituzionale, con la sentenza n. 78 del 2019, ha ritenuto che sia ragionevole la non inclusione tra i rapporti che precludono la partecipazione al concorso del rapporto di coniugio, con la conseguente validità dell’iter argomentativo anche per le convivenze di fatto; ii) le cause di esclusione, costituendo un’eccezione alla regola generale della partecipazione concorsuale, non sarebbero suscettibili di applicazione analogica, con la conseguenza che la previsione regolamentare che vieta la partecipazione al concorso in presenza di un rapporto di coniugio, non potrebbe essere estesa ai rapporti di convivenza di fatto.
4.1.− Si è costituita in giudizio la ricorrente di primo grado, chiedendo che l’appello venga dichiarato inammissibile ovvero infondato.
5.− La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 21 novembre 2019.
DIRITTO
1.− La questione posta all’esame della sezione e costituente il cuore del ricorso di primo grado attiene alla legittimità della procedura di chiamata dei professori associati, descritta nella parte in fatto, ove le regole della procedura definite dalla legge, dal regolamento di Ateneo e, per quanto occorra, dal bando, non includano tra le ragioni ostative alla partecipazione l’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto tra uno dei partecipanti ed un professore dell’Ateneo.
2.− Gli appelli, proposti dall’amministrazione e della controinteressata nel giudizio di primo grado, avendo ad oggetto la medesima sentenza, possono essere riuniti per essere decisi con un’unica sentenza.
3.− Gli appelli sono fondati.
4. – In via preliminare deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità degli appelli sollevata dalla parte resiste per la mancata contestazione delle parti della sentenza impugnata in cui è stata messa in rilievo la diversità tra la fattispecie in esame e quella pendente, all’epoca della decisone, innanzi alla Corte costituzionale, con rigetto della domanda di sospensione del giudizio in attesa dell’adozione della sentenza da parte della Corte stessa.
L’eccezione non è fondata.
Le parti, sopra indicate, non costituiscono un capo autonomo di sentenza sfavorevole per gli appellanti che avrebbe dovuto essere oggetto di espressa impugnazione. La fattispecie in esame non è la medesima di quella esaminata dalla Corte costituzionale. L’affermazione del primo giudice è, pertanto, corretta e non avrebbe dovuto essere contestata. La suddetta diversità non implica, però, che le deduzioni che il Tribunale amministrativo ha fatto discendere da tale premessa siano corrette. E’ questo un aspetto che è stato oggetto di specifica censura desumibile dall’analisi complessiva dei motivi di appello.
5.− La procedura di selezione dei professori universitari è disciplinata dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240, che ha previsto un sistema a doppio stadio, nel quale: i) la prima fase è affidata a una commissione nazionale di abilitazione, che deve attestare la qualificazione scientifica dei candidati docenti di prima e seconda fascia e che si conclude con il rilascio di una abilitazione scientifica (art. 16); ii) la seconda fase è rappresentata dalla cd. chiamata dei professori universitari, attraverso la quale gli Atenei provvedono alla copertura dei posti di prima e di seconda fascia.
Quest’ultima fase, che rileva in questa sede, ha le caratteristiche del concorso, finalizzato alla scelta del migliore candidato in relazione al posto da ricoprire.
Il secondo comma, lett. b), dell’art. 18 dispone che ai procedimenti per la chiamata «non possono partecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso,con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’Ateneo».
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 78 del 2019, ha esaminato la questione di legittimità costituzionale di tale norma nella parte in cui non include il rapporto di coniugio.
Su un piano generale, la Corte ha affermato che «attraverso la previsione di limitazioni riferite alla situazione soggettiva dei possibili candidati» ha inteso «rafforzare, in termini assoluti e preclusivi, le garanzie di imparzialità della scelta dell’amministrazione».
In particolare, ha ritenuto che «le previste situazioni di rigida incandidabilità sono espressione di un bilanciamento fra il diritto di ogni cittadino a partecipare ai concorsi universitari e le ragioni dell’imparzialità, che è tutto improntato alla prevalenza di tali ragioni».
La Corte ha ritenuto che la scelta del legislatore di non includere anche il rapporto di coniugio come motivo di incandidabilità degli aspiranti alla chiamata non può considerarsi irragionevole. La presenza di tale rapporto richiede, infatti, un diverso bilanciamento, in quanto «esso pone a fronte dell’imparzialità non soltanto il diritto a partecipare ai concorsi, ma anche le molteplici ragioni dell’unità familiare, esse stesse costituzionalmente tutelate». L’oggettiva peculiarietà del vincolo matrimoniale, fondato sull’elemento personalistico che implica convivenza, responsabilità e doveri di cura reciproca dei figli, rispetto a tutte le altre situazioni personali, giustifica la diversità di trattamento giuridico.
In questo contesto, risulta «più aderente alle esigenze qui in gioco un bilanciamento che affidi la finalità di garantire l’imparzialità, la trasparenza e la parità di trattamento nelle procedure selettive a meccanismi meno gravosi, attinenti ai componenti degli organi cui è rimessa la valutazione dei candidati». In particolare, lo strumento da utilizzare è quello dell’astensione mediante l’applicazione dell’art. 51 cod. proc. civ., che costituisce una norma espressione «dell’obbligo costituzionale d’imparzialità nelle procedure di accesso all’impiego pubblico» ( norma di cui non di deduce la violazione nel caso di specie ).
Alla luce di tali argomentazioni la Corte ha rigettato la questione di costituzionalità, ritenendola non fondata.
Le motivazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale, pur non essendo vincolanti nel presente giudizio, sono condivise dal Collegio e, ferma, come esposto, la diversità delle fattispecie concrete, inducono a ritenere fondati gli appelli per le ragioni di seguito indicate.
In primo luogo, la mancata inclusione tra i divieti di partecipazione anche del rapporto di convivenza di fatto da parte dell’Università costituisce, in sé considerata, una scelta non irragionevole per le ragioni indicate dalla Corte costituzionale.
In secondo luogo, l’obbligo di inclusione non può desumersi dalla previsione regolamentare del divieto di partecipazione per l’esistenza di un rapporto di coniugio in quanto è questa una scelta dell’Ateneo che, ferme le valutazioni svolte dalla Corte costituzionale con la sentenza sopra citata, risulta priva di una base legislativa di autorizzazione e, in quanto tale, non può costituire un valido riferimento comparativo.
Infine, le previsioni regolamentari, in ogni caso, prevedono divieti che, derogando alla regola generale della partecipazione concorsuale, sono insuscettibili di applicazione analogica, con effetti “in malam partem”. La norma regolamentare, contraria al giudicato costituzionale, non prevede, infatti, un’incompatibilità per il caso della mera convivenza ed un’interpretazione costituzionalmente adeguata non può condurre ad estendere la fattispecie ad un fatto non previsto, quando una situazione ben più significativa sul piano della stabilità dei rapporti affettivi, come il coniugio, sia stata ritenuta non ostativa.
Per pervenire all’esito cui è giunto il primo giudice sarebbe stato necessario sollevare questione di legittimità costituzionale della norma di legge nella parte in cui non ha incluso tra i divieti anche l’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto. Ma tale questione non sarebbe stata “non manifestamente infondata” alla luce di quanto già affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza più volte citata.
5.− La natura controversa della questione, che ha richiesto l’intervento della Corte costituzionale, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, riuniti i giudizi:
a) accoglie gli appelli proposti con i ricorsi indicati in epigrafe e, per l’effetto, in riforma sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Tarantino, Consigliere
[#OMISSIS#] Mele, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
 Pubblicato il 02/01/2020