Consiglio di Stato, Comm. spec., 26 ottobre 2018, n. 2427

Università non statali-LUMSA-Natura giuridica

Data Documento: 2018-10-26
Area: Giurisprudenza
Massima

La LUMSA non è un organismo di diritto pubblico, poiché difetta il terzo dei tre requisiti cumulativi necessari per la configurabilità di tale tipologia soggettiva, ossia il requisito della influenza pubblica dominante, atteso che riceve un contributo finanziario pubblico di minima entità, registra la presenza di un solo componente pubblico sugli undici membri dell’organo di amministrazione, non presenta nessun componente pubblico nell’organo di vigilanza, non è soggetto al controllo statale della gestione (posto che la vigilanza ministeriale e gli altri poteri previsti dalla legge speciale costituiscono un potere di vigilanza estrinseca e formale e non integrano quel controllo intrinseco e sostanziale sulla gestione che è richiesto ai fini della sussistenza di questa particolare modalità di manifestazione del requisito della dominanza pubblica).
 

Contenuto sentenza

Numero 02427/2018 e data 26/10/2018 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Adunanza della Commissione speciale del 25 settembre 2018
NUMERO AFFARE 01588/2018
OGGETTO:
Autorità nazionale anticorruzione.
richiesta di parere – LUMSA – Libera Università SS. Assunta – sottoposizione al d.lgs. n. 50 del 2016;
LA COMMISSIONE SPECIALE del 25 settembre 2018
Vista la nota di trasmissione della relazione prot. n. 67409/18 in data 20 agosto 2018 con la quale il Autorità nazionale anticorruzione ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;
Visto il decreto n. 122 dell’11 settembre 2018 con il quale il Presidente del Consiglio di Stato, “stanti la generalità e rilevanza della questione che investe tutte le università non statali legalmente riconosciute”, ha deferito l’affare ad un’apposita Commissione speciale, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. c), della delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa del 18 gennaio 2013;
Esaminati gli atti e uditi i relatori [#OMISSIS#] Carpentieri e Italo Volpe;
Premesso:
1. L’Autorità Nazionale Anticorruzione (di seguito “ANAC”) ha chiesto, con nota n. 67409/18 dell’1 agosto 2018 (cui ha fatto seguito la sua nota n. 70922 del 20 agosto 2018, di trasmissione di allegati), il parere del Consiglio di Stato sul quesito se la LUMSA-Libera Università SS. Assunta (di seguito “LUMSA”) debba ritenersi tenuta all’osservanza del codice dei contratti pubblici di cui d.lgs. n. 50 del 2016 in quanto ‘amministrazione aggiudicatrice’. La richiesta nasce da analoga richiesta di parere rivolta dalla LUMSA all’ANAC e dall’interlocuzione avuta successivamente da quest’ultima con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (di seguito “MIUR”) il quale, con nota n. 19158 del 2 luglio 2018, riferendo di avere registrato elementi suscettibili di condurre, in proposito, a risposte di segno opposto, ha infine rimesso all’ANAC la valutazione dell’opportunità di acquisire dal Consiglio di Stato un parere al riguardo.
2. Riferisce l’ANAC che la LUMSA ha illustrato le modalità con le quali il MIUR svolge su di essa il controllo previsto dalla disciplina di riferimento, il quale, in particolare, si esplicherebbe con le seguenti modalità:
– sulla base della legge n. 243 del 1991 (recante la disciplina delle Università non statali legalmente riconosciute) e del decreto interministeriale 1 marzo 2007 (recante Criteri per l’omogenea redazione dei conti consuntivi delle università), la LUMSA – annualmente, entro il 30 settembre –, nell’ambito di un’apposita procedura informatica del Ministero (c.d. “omogenea redazione dei conti consuntivi”), trasmette al MIUR alcuni quadri del bilancio approvato dall’Ateneo (bilancio consuntivo), al fine della determinazione del contributo ordinario per le università non statali che, per la LUMSA, incide in misura del 3,86% rispetto al computo delle entrate totali;
– il consigliere di amministrazione nominato dal MIUR ha gli stessi poteri degli altri consiglieri, non competendogli specifici poteri di vigilanza sulla gestione dell’Ateneo;
– le università non statali, legalmente riconosciute, non sono sottoposte a controllo di organi pubblici, come confermato dall’art. 203 del r.d. n. 1592 del 1933 (Approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore) e dalla legge n. 168 del 1989 (Istituzione del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica), che ha definito le università statali e non statali riconosciute quali soggetti dotati di piena autonomia, anche ordinamentale;
– l’unico controllo del MIUR, rispetto alla gestione delle università statali e non statali, riguarda la sottoposizione alle regole dell’ANVUR (d.lgs. n. 19 del 2012, Valorizzazione dell’efficienza delle università e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella distribuzione di risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante anche mediante la previsione di un sistema di accreditamento periodico delle università e la valorizzazione della figura dei ricercatori a tempo indeterminato non confermati al primo anno di attività) finalizzato alla verifica degli standard minimi di qualità per l’accreditamento delle sedi e dei corsi di studio.
3. L’ANAC prosegue con un riepilogo (per quanto di diretto interesse) della disciplina di riferimento riguardante le università non statali legalmente riconosciute. In particolare viene riferito che, giusta un rinvio interno contenuto nel testo unico di cui al r.d. n. 1592 del 1933, per effetto dell’art. 51 di quel testo unico, vale quanto segue per il novero di Atenei cui la LUMSA appartiene:
– fino al limite di lire 20 milioni le spese possono essere eseguite in economia, secondo le norme stabilite dal regolamento interno di cui all’art. 44 del testo unico;
– tutte le spese eccedenti il limite anzidetto sono effettuate “in seguito a gara pubblica o a licitazione privata”, su deliberazione del Consiglio di amministrazione;
– in casi eccezionali o di urgenza, il Consiglio può, con deliberazione motivata, prescindere dalla gara o dalla licitazione anche per spese superiori alle lire 20 milioni, ma non eccedenti le lire 100 milioni;
– per le spese eccedenti le lire 100 milioni la omissione di tali formalità deve essere autorizzata dal Ministro dell’educazione nazionale;
– tutte le deliberazioni dei Consigli di amministrazione concernenti alienazioni o trasformazioni del patrimonio o contrattazione di mutui sono esecutive quando abbiano riportato l’approvazione del Ministro dell’educazione nazionale.
Si ricaverebbe da ciò, dunque, un generale obbligo per le università statali e non statali legalmente riconosciute di affidare contratti con procedure ad evidenza pubblica nei termini stabiliti nelle suindicate disposizioni.
4. Aggiunge l’ANAC – in virtù del tenore di ulteriori disposizioni richiamate – che:
– “può quindi affermarsi che le Università libere sono pienamente inserite e sono parte integrante del sistema universitario statale nazionale, concorrendo all’offerta formativa di istruzione superiore. Infatti, tali università sono sottoposte, ove compatibile, alla medesima disciplina delle università statali, con particolare riferimento alla disciplina contenuta nel r.d. 31 agosto 1933 n. 1592, nella 1. 9 maggio 1989 n. 168, nella 1. 2 luglio 1991 n. 243 e nella 1. 30 dicembre 2010 n. 240.”;
– “dalle norme richiamate emergono indici rivelatori del carattere pubblico dell’attività svolta dalle università non statali legalmente riconosciute; indici che hanno indotto l’Autorità e parte della giurisprudenza a ritenere annoverabili tali università nella categoria delle amministrazioni aggiudicatici, tenute in quanto tali al rispetto della disciplina in materia di contratti pubblici ai fini dell’affidamento di contratti di lavori, servizi e forniture”.
Del resto, sulla base di questo generale ordine di idee, la stessa ANAC, con deliberazione n. 30 del 22 aprile 2015, riferita peraltro al corpo normativo di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 (applicabile ratione temporis), ha ritenuto – in relazione ad una gara per l’affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva e la costruzione della nuova biblioteca dell’Università degli Studi di Enna “Kore”, libera università appartenente alla categoria di cui al punto 2 dell’art. 1 del r.d. n. 1592 del 1933 – che dal riconoscimento della personalità giuridica di detto Ateneo non deriva una chiara e netta natura privata dello stesso. “Anzi, una precisa indicazione in senso contrario si trae dal consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo cui alle università e, dunque, non solo a quelle statali dev’essere riconosciuta la natura giuridica di enti pubblici non economici, considerato l’esplicito riconoscimento di personalità giuridica e l’espresso conferimento di compiti di interesse pubblico” (Cass. ss.uu., n. 5054 del 2004, relativa alla Libera Università degli Studi Sociali Guido [#OMISSIS#]).
Conforme – prosegue l’ANAC – è quella giurisprudenza che ha enfatizzato, come indici sintomatici di pubblicità degli atenei in questione, alcuni elementi, quali il fine pubblico perseguito dalle libere università, la sottoposizione delle stesse a controllo ministeriale, il rilascio di titoli di studio avente il medesimo valore legale di quelli rilasciati da università statali, onde le libere università andrebbero ricondotte nell’alveo degli enti pubblici (in tal senso Cons. Stato, sez. VI, 16 febbraio 2010, n. 841, ed analogamente Corte dei conti, sez. giur. Lazio, n. 477 del 2010).
5. Tuttavia – riferisce altresì l’ANAC, sulla scorta delle osservazioni formulatele dal MIUR –, più di recente la giurisprudenza si è espressa in senso inverso, escludendo i connotati pubblici per le libere università. Così il Tar Lazio (sez. III-quater, sentenza n. 11733 del 2017), quando ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione ad una controversia relativa all’espletamento di una gara d’appalto da parte della Fondazione Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, indetta senza l’applicazione del d.lgs. n. 163 del 2006 (all’epoca vigente). In particolare, nell’occasione s’è ritenuto che la soluzione della controversia ruotasse attorno alla natura della Fondazione, nei termini di un organismo di diritto pubblico o meno, per indurne la qualità di amministrazione aggiudicatrice e il conseguente assoggettamento sia alle regole dell’evidenza pubblica (di cui al codice dei contratti pubblici) sia alla giurisdizione amministrativa. Per poter configurare un organismo di diritto pubblico – s’è detto nell’occasione – devono coesistere in capo ad un medesimo soggetto tutti i requisiti di cui all’art. 3, comma 26, del codice e, nella specie, s’è ritenuto che l’Università Cattolica non potesse essere considerata né un organismo di diritto pubblico, per i fini che qui interessano, né un ente pubblico non economico, in quanto difettava il c.d. requisito dell’influenza dominante (pubblica). Condurrebbero altresì a tale conclusione anche le direttrici fornite dal Consiglio di Stato con la sentenza 11 luglio 2016, n. 3043, che ha escluso la qualifica di ente pubblico non economico proprio in capo a tale Università, ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di obblighi di trasparenza e pubblicità di cui al d.lgs. n. 33 del 2013. Ricorda poi l’ANAC che non è dato sapere quale sarebbe stato, nel ricordato giudizio, l’orientamento del giudice d’appello, in quanto il gravame avverso la citata sentenza di primo grado n. 11733 del 2017 s’è risolto con una pronuncia di improcedibilità. Osserva perciò l’ANAC che, sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale più recente, sembrerebbe doversi escludere la riconducibilità della LUMSA e, in genere, delle libere università, nell’alveo degli enti pubblici, anche ai fini dell’applicabilità delle norme sull’evidenza pubblica.
6. Ciò nondimeno – aggiunge l’ANAC – quanto precede non parrebbe escludere che l’Ateneo in discorso possa essere qualificato quale organismo di diritto pubblico (ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 50 del 2016), sussistendo nella fattispecie tutti i necessari requisiti [a) istituzione per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; b) personalità giuridica pubblica o privata; c.1) attività finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico; oppure – c.2) gestione soggetta al controllo di questi ultimi; oppure – c.3) presenza di un organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico]. Secondo l’ANAC, più nel dettaglio, nel caso della LUMSA si può concordare, anche in ragione delle funzioni da essa svolte (di evidente interesse pubblico), sul fatto che paiono soddisfatti i due requisiti di cui alle lettere a) e b) sopra ricordati, ferma la circostanza che (come chiarito dall’ANAC nel suo parere AG n. 41 del 2010, alla luce della sentenza della Corte di giustizia UE 15 maggio 2003, in causa C-214/00) non osta al riconoscimento dell’organismo di diritto pubblico la natura privata di un determinato soggetto.
7. Non sottace tuttavia l’ANAC (illustrandone le possibili ragioni) che, invece, più incerto può risultare l’esito della valutazione, nel caso di specie, della sussistenza del requisito della “dominanza pubblica”, nelle forme alternative del finanziamento maggioritario, del controllo della gestione o della nomina dei componenti degli organismi di amministrazione, direzione o vigilanza in misura non inferiore alla metà da parte dello Stato o di altri enti pubblici.
Ed è proprio, in particolare, tale fattore di incertezza che ha spinto a chiedere l’avviso del Consiglio di Stato.
Considerato:
1. La risposta al quesito richiede la soluzione delle seguenti tre questioni:
1) se sia ancora in vigore l’art. 51 del r.d. n. 1592 del 1933 (recante il testo unico delle leggi sull’istruzione superiore), richiamato dall’art. 199 stesso decreto, che, nei primi due commi, impone (in forza del detto richiamo) anche alle università e agli istituti superiori liberi l’effettuazione di procedure di evidenza pubblica per le spese eccedenti Lit. 20 milioni (“Fino al limite di lire 20 milioni le spese possono essere eseguite in economia, secondo le norme stabilite dal regolamento interno di cui all’art. 44. Tutte le spese eccedenti il limite anzidetto sono effettuate in seguito a gara pubblica o a licitazione privata, su deliberazione del Consiglio di amministrazione”; il limite di spesa è stato poi via via innalzato, dapprima dall’art. 9-bis, comma 1, del decreto-legge 24 ottobre 1969, n. 701, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 1969, n. 952, poi dall’art. 11, comma 9, del decreto-legge 1 ottobre 1973, n. 580, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1973, n. 766, successivamente mediante appositi decreti ministeriali, a ciò autorizzati dall’art. 6, primo comma, della legge 6 marzo 1976, n. 50; da ultimo con decreto ministeriale 28 agosto 1989, in G.U. 6 agosto 1991, n. 183, che ha elevato la soglia a Lit. 1 miliardo e 777 milioni);
2) in caso di risposta negativa alla prima domanda, se, cioè, sia dimostrata l’intervenuta abrogazione della norma speciale dell’art. 51 del r.d. n. 1592 del 1933, se la LUMSA sia un ente pubblico non economico;
3) in caso di risposta negativa alla seconda domanda, se la LUMSA sia un organismo di diritto pubblico.
2. La Commissione speciale ritiene che, secondo un corretto ordine logico-giuridico di trattazione delle suddette questioni, debba prendersi in esame per primo il quesito relativo alla perdurante e attuale vigenza della citata norma contenuta nell’art. 51 del r.d. n. 1592 del 1933, mai espressamente abrogata. Se, infatti, si dovesse pervenire alla conclusione affermativa di tale perdurante vigenza, l’assoggettamento della LUMSA all’obbligo di effettuazione dell’evidenza pubblica per gli acquisti di lavori, beni, servizi, almeno al di sopra di una determinata soglia di spesa, troverebbe in tal modo una sua sicura e specifica base giuridica, autonoma e di per se sufficiente a risolvere (in senso affermativo) il quesito di cui trattasi, senza che occorra procedere alla disamina delle altre due questioni, inerenti alla natura giuridica della LUMSA, se inquadrabile (o non) nelle categorie tipologiche dell’ente pubblico non economico o dell’organismo di diritto pubblico (alla stregua della disciplina contenuta nel vigente codice dei contratti pubblici del 2016).
2.1. L’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale anteposte al codice civile prevede due tipi di abrogazione inespressa: per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore. Il primo tipo (abrogazione tacita) implica un raffronto “norma a norma”, nel senso che la verifica di incompatibilità deve essere effettuata nel raffronto tra la norma – o le norme – introdotte dalle nuove disposizioni e quella – o quelle – precedenti; il secondo tipo (da taluni detta “abrogazione implicita”) implica un raffronto “legge a legge”, nel senso che la verifica di incompatibilità (ritenuta necessaria anche in questo caso) deve avere riguardo alla disciplina di un’intera materia. Pur nella distinzione tra le due figure ora dette, il fenomeno dell’abrogazione inespressa è sostanzialmente unitario e il suo nucleo essenziale è costituito dalla incompatibilità (non solo logico-formale, ma sostanziale e valoriale) tra la norma (o il complesso normativo) successivo e quello precedente. L’interprete dovrà, pertanto, avere presenti entrambi gli schemi valutativi, sia quello che prende in esame il rapporto tra norma e norma, sia quello più ampio che considera nel suo insieme il significato complessivo del mutato quadro giuridico di contesto nel quale la disciplina della cui applicazione si tratta si inscrive. Da un diverso, ma convergente punto di vista, il giudizio di compatibilità/incompatibilità tra disciplina precedente speciale e disciplina successiva generale, nel dubbio sulla apparente antinomia tra le relative previsioni, mira a stabilire se la disciplina precedente sia ancora o non sia più espressiva di una voluntas legislativa autonoma tuttora attuale e autosufficiente, dovendosi fare applicazione, solo in caso affermativo, del principio lex posterior generalis non derogat priori speciali (principio, come è noto, non consacrato in una previsione positiva e derogabile nel caso in cui, viceversa, la disciplina anteriore, benché speciale, risulti sostanzialmente assorbita in quella generale successiva e non esprima più un valore giuridico autonomo e distinto che ne giustifichi la perdurante vigenza). In tal senso, l’adunanza plenaria di questo Consiglio, nella sentenza 27 luglio 2016, n. 17, ha avuto modo di evidenziare come la regola generale per cui lex posterior generalis non derogat priori speciali debba essere valutata di volta in volta in concreto, poiché, come bene puntualizzato da tradizionale, ma tuttora valida Dottrina, «la questione che essa intende risolvere si traduce in quella della esatta determinazione della voluntas legis, cioè in una questione di interpretazione».
2.2. A un primo esame del tema, sembrerebbe sostenibile la tesi secondo la quale non sussista alcuna incompatibilità tra la norma del 1933, che impone l’effettuazione della gara anche a soggetti privati in qualche modo “equiparati” alle università pubbliche, e le norme successive, da ultimo quelle contenute nel codice dei contratti pubblici del 2016, che definiscono, in senso ampliativo e non restrittivo, la platea dei soggetti pubblici e assimilati sottoposti alla regola dell’evidenza pubblica. Poiché la disciplina dei contratti pubblici, nazionale ed europea, esprimerebbe un favor per la messa a gara di appalti e commesse (pubblici), le nuove disposizioni (la nuova disciplina della materia dei contatti pubblici) non osterebbero alla “sopravvivenza” della norma del 1933, che a sua volta sancisce espressamente il dovere di effettuazione delle procedure di gara degli Istituti universitari di istruzione superiore, pubblici e privati, indipendentemente dall’indagine sulla verace natura giuridica di questi soggetti. La norma del 1933, in quest’ottica, lungi dall’essere incompatibile con il nuovo sistema di disciplina dei contratti pubblici, si inserirebbe armonicamente in esso, salvi alcuni profili (non essenziali) riguardanti la definizione delle soglie e delle procedure, risolvibili in termini di deroga o abrogazione parziale.
2.3. Non meno proponibile appare, tuttavia, sempre a un primo approccio, l’opposta impostazione diretta invece a evidenziare come la norma del 1933 non sembri essere fondata su specifiche ragioni di specialità degli Istituti di istruzione superiore ed appaia piuttosto come un mero caso applicativo della disciplina generale di contabilità di Stato allora vigente (r.d. n. 2440 del 1923 e regolamento attuativo del 1924, ora entrambi superati, se non per una residua applicabilità per i soli casi per i quali non trova applicazione il codice dei contratti pubblici); che, conseguentemente, guardando (non solo al rapporto tra norma e norma, ma) alla ridisciplina dell’intera materia, la norma speciale del 1933 risulti a questo punto priva di una sua attuale ragion d’essere (non essendo in se coessenziale al buon andamento dell’istruzione superiore) e debba essere quindi riportata entro l’alveo del nuovo sistema introdotto dal codice dei contratti pubblici, la cui disciplina della platea soggettiva di applicabilità delle procedure di gara, anche in considerazione della natura di quel testo di “codice” di razionalizzazione della materia, dovrebbe considerarsi tendenzialmente esaustiva e onnicomprensiva. È in questo codice di settore, dunque, in quanto tale, che dovrebbe ricercarsi la regola per stabilire quale tipologia di soggetti deve svolgere le gare e quale invece non deve porre in essere tali adempimenti. In questa impostazione, dunque, parrebbe agevole affermare l’operatività del meccanismo dell’abrogazione implicita prefigurato dall’ultima parte del secondo comma dell’art. 15 delle “preleggi”. La norma introdotta dall’art. 51, ancorché contenuta nel complesso della disciplina dell’istruzione superiore e universitaria (che è la materia del testo unico del 1933), si pone e rileva comunque come afferente alla materia della disciplina dei contratti pubblici, trattandosi non già di una norma di diretta incidenza sulle finalità di interesse generale e pubblicistico dell’istruzione superiore, bensì di una norma che concorre alla definizione della platea dei soggetti, pubblici e privati, che sono obbligati all’effettuazione delle procedure selettive di evidenza pubblica, con ciò ponendosi dunque a raffronto con la nuova normativa del codice dei contratti pubblici che tale platea provvede, oggi, innovativamente a definire. Non è un caso, si può ulteriormente osservare, che l’adeguamento quantitativo della soglia limite di spesa oltre la quale le università e gli istituti di istruzione superiore privati erano tenuti all’effettuazione delle gare, in base alla norma del 1933, ha cessato di operare a partire dall’introduzione nel sistema positivo della nozione di organismo di diritto pubblico, avvenuta, come è noto, con la direttiva 89/440/CE, recepita nell’ordinamento italiano con l’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 404 del 1991 (l’ultimo decreto ministeriale di adeguamento della suddetta soglia, come si è visto, è il d.m. 8 agosto 1989, pubblicato nella G.U. 6 agosto 1991, n. 183).
2.4. D’altra parte il favore della disciplina dell’Unione europea per l’allargamento dei casi applicativi dell’evidenza pubblica rinviene il suo presupposto fondativo e giustificativo nella spendita di risorse pubbliche, mentre, ove si tratti di investimenti privati, non vi sarebbe spazio, in un sistema di economia sociale di mercato, per l’imposizione di procedure concorrenziali restrittive della libertà contrattuale dei privati (ad altra e diversa logica obbedendo, come è noto, la disciplina antitrust volta a favorire un mercato concorrenziale mediante la prevenzione e il contrasto dell’abuso di posizioni dominanti e il costituirsi di oligopoli o monopoli, che dunque ben è abilitata ad inserire restrizioni alla libertà contrattuale e d’impresa). Il fine perseguito dalla normativa europea sui contratti pubblici è quello di evitare il rischio di indifferenza degli enti committenti per le logiche di mercato e di obbedienza, negli acquisti, a logiche extraeconomiche influenzate dal condizionamento “politico” dell’amministrazione di riferimento. Una tale finalità – una volta accertato che il contributo finanziario pubblico è minimale e che, dunque, gli acquisti avvengono con risorse private – sarebbe del tutto esclusa nel caso in esame.
Infatti, giova ricordare che i casi in cui soggetti di diritto privato sono sottoposti alla disciplina del codice dei contratti sono di stretta eccezione, rispetto al codice stesso e al suo principio di onnicomprensività, e quindi di stretta interpretazione è l’applicabilità del codice a soggetti privati. I privati soggetti sono infatti contemplati in fattispecie chiuse espressamente previste in alcune lettere dell’artt. 3, comma 1 del d.lvo n. 50 del 2016, e precisamente: lettera e), gli «enti aggiudicatori», ai fini della disciplina di cui alla parte II del codice, cioè gli enti che pur non essendo amministrazioni aggiudicatrici né imprese pubbliche, esercitano una o più attività tra quelle di cui agli articoli da 115 a 121 e operano in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi loro dall’autorità competente; gli enti che svolgono una delle attività di cui all’allegato II ed aggiudicano una concessione ; gli enti anche privati operanti sulla base di diritti speciali o esclusivi ai fini dell’esercizio di una o più delle attività di cui all’allegato II.
Lettera f):i «soggetti aggiudicatori», ai soli fini delle parti IV e V, cioè soggetti pubblici o privati assegnatari dei fondi, di cui alle parti IV e V.
Lettera g): gli «altri soggetti aggiudicatori», cioè soggetti privati tenuti espressamente all’osservanza delle disposizioni del codice, tra cui i titolari di permesso di costruire per quanto concerne le opere di urbanizzazione a scomputo.
2.5. Ma anche a questo argomento può tuttavia controbattersi rilevando che, al di là delle direttive europee, il diritto interno ha dichiaratamente voluto rivestire la disciplina in esame, in sede di recepimento, di finalità ulteriori, quali quelle di pubblicità-trasparenza (cfr. art. 29 del codice di settore, Principi in materia di trasparenza) e prevenzione della corruzione (cfr. art. 1, comma 1, lettera q) della legge di delega n. 11 del 2016: “q) armonizzazione delle norme in materia di trasparenza, pubblicità, durata e tracciabilità delle procedure di gara e delle fasi ad essa prodromiche e successive, anche al fine di concorrere alla lotta alla corruzione, di evitare i [#OMISSIS#] d’interesse e di favorire la trasparenza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione”, nonché art. 213 del codice del 2016), finalità ulteriori che sono entrate ormai a pieno titolo a far parte dei valori che informano questa disciplina e che devono dunque orientare l’interprete. Di contro, però, proprio la disciplina della trasparenza è stata esclusa per le libere università (C. d. S. sez. VI, n. 3043 del 2016) come meglio si vedrà avanti, il che corrobora l’assunto della estraneità di tali soggetti alla disciplina del codice.
2.6. Ma è soprattutto allargando la visuale alla logica complessiva di sistema sottesa all’un complesso normativo – la disciplina dell’istruzione superiore del 1933 – rispetto all’attuale sistema che regola le procedure di gara per l’acquisto di lavori, beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, che si coglie una sostanziale incompatibilità tra le discipline poste a raffronto, tale da indurre al convincimento dell’operatività del meccanismo abrogativo inespresso della norma del 1933 ad opera della successiva legislazione del settore dei contratti pubblici. In altri termini e guardando alla sostanza delle questioni, se la norma impositiva delle gare per i soggetti formalmente privati che operano nel campo dell’istruzione superiore aveva un senso nella logica del sistema del 1933, anteriore alla Costituzione del 1948, improntato a un rigido e pervasivo controllo statale anche e soprattutto sui contenuti dell’insegnamento e quindi sul reperimento e allocazione delle risorse che indirettamente ne condizionano l’erogazione, tale norma risulta ormai priva di un suo senso coerente se collocata nel vigente sistema, informato a principi e criteri affatto diversi, propri di una economia sociale di mercato, come delineata dalla Carta fondamentale, nella quale non pare più proponibile un sistema di totale pubblicizzazione del sistema dell’istruzione superiore e di piena equiparazione di tutti i soggetti, pubblici o formalmente privati, che vi operano e vi concorrono. Evoluzione confermata anche dalla autonomia riconosciuta dall’attuale sistema universitario non solo alle università private ma anche a quelle statali.
2.7. Emerge tuttavia dalle considerazioni sin qui svolte, innegabilmente, un margine di opinabilità riguardo alla questione applicativa dell’art. 15 delle “preleggi” alla fattispecie sottoposta all’esame di questa Commissione, questione che evidentemente richiede un ulteriore approfondimento.
3. La Commissione rileva dunque che, se è vero che la prima questione, relativa alla sopravvivenza nel vigente ordinamento giuridico della norma speciale dell’art. 51 del r.d. n. 1592 del 1933, si pone come logicamente prioritaria, a un più attento esame risulta tuttavia che le tre questioni delineate sub par. 9. sono tra loro strettamente interdipendenti e non possono essere trattate separatamente l’una dall’altra: ed infatti, ove si concludesse sulla seconda e sulla terza questione nel senso affermativo della natura di ente pubblico non economico o di organismo di diritto pubblico della LUMSA, si perverrebbe nel contempo ad ammettere una non incompatibilità sul piano pragmatico delle norme sopra poste a raffronto, siccome entrambe impositive della previa gara, vuoi per un comando giuridico diretto (nella norma dell’art. 51 del regio decreto del 1931), vuoi per derivazione effettuale dalla suddetta qualificazione pubblicistica o parapubblicistica delle “libere” università (nel sistema del codice dei contratti pubblici del 2016). In tal caso il tema della attuale vigenza dell’art. 51 perderebbe la sua centralità e finirebbe per assumere una rilevanza più teorica che pratico-effettuale. Se, invece, si dovesse pervenire all’opposta conclusione, negativa della natura pubblicistica o parapubblicistica degli enti in esame, allora tornerebbe attuale in tutta la sua evidenza e portata la centralità pregiudiziale della questione della abrogazione (o non abrogazione) della norma speciale del 1933.
3.1. Ritiene pertanto la Commissione che, sospendendo per ora il giudizio sulla prima questione, relativa alla successione delle norme nel tempo, e posticipandone l’ulteriore approfondimento alla parte conclusiva del presente parere, convenga comunque affrontare prioritariamente le questioni sostanziali legate alla natura giuridica degli istituti liberi di istruzione superiore.
4. Viene in primo luogo in discussione la possibilità, affermata da plurime pronunce a sezioni unite della Cassazione, prevalentemente in sede di riparto della giurisdizione su controversie giuslavoristiche (ad es., Cass, ss.uu., ord. n. 5054 del 2004), e da alcune sentenze di questo Consiglio in sede giurisdizionale (Cons. Stato, sez. III, 16 febbraio 2010, n. 841 e 20 ottobre 2012, n. 5522, confermate da Cass., ss.uu., 30 giugno 2014, n. 14742), di qualificare gli Istituti liberi di istruzione superiore come enti pubblici non economici.
4.1. Riguardo alla possibile qualificazione delle “libere” università private come enti pubblici non economici la Commissione condivide e fa proprio l’approccio ricostruttivo (negativo) delineato dalla sentenza della sez. VI di questo Consiglio 11 luglio 2016, n. 3043 (nonché dalla sentenza della stessa sezione 26 maggio 2015, n. 2660), ripreso dalla sentenza del Tar del Lazio, sez. III-quater, 27 novembre 2017, n. 11733 (riferita specificamente al tema dell’applicabilità della disciplina dei contratti pubblici), che ha escluso la suddetta qualificazione sulla base di una pluralità di argomentazioni approfondite e condivisibili che, ancorché riferite (nella sentenza di questo Consiglio, sez. VI, n. 3043 del 2016) alla diversa questione della applicabilità anche alle università c.d. “libere” della disciplina in materia di obblighi di trasparenza e pubblicità di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, appaiono senz’altro utili e risolutive anche per la questione, qui oggetto di trattazione, dell’applicabilità a tali soggetti del regime dell’e