Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 1197

Procedura concorsuale per copertura posto Professore associato-Giudizio di ottemperanza-Errore di fatto

Data Documento: 2020-02-17
Area: Giurisprudenza
Massima

L’errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa, rilevante ai fini revocatori, ricorre «quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’esistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare»  ed è solo quello che non coinvolge l’attività valutativa dell’organo decidente, ma tende a eliminare l’ostacolo materiale frapposto fra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto; ostacolo promanante da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato, dovendosi escludere che il giudizio revocatorio, in quanto rimedio eccezionale, possa essere trasformato in un ulteriore grado di giudizio.

Contenuto sentenza

N. 01197/2020 REG.PROV.COLL.
N. 02804/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2804 del 2019, proposto da
de [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Parioli, n. 180; 
contro
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Roma, via di San [#OMISSIS#], n. 20; 
Università degli studi di Bologna – Alma Mater Studiorum e Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona dei legali rappresentanti p.t. rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; 
nei confronti
Marzani [#OMISSIS#], non costituito in giudizio; 
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 516/2019, resa tra le parti e concernente: ottemperanza alle sentenze del Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 2482/2017 e n. 3900/2018, rese tra le parti.
Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2020, il consigliere [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi, per le parti, l’avvocato dello Stato Varrone [#OMISSIS#] e gli avvocati Viola [#OMISSIS#], in dichiarata delega dell’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], e Annichiarico [#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso in epigrafe, de [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] chiede la revocazione della sentenza n. 516 del 21 gennaio 2019, con la quale, in accoglimento del ricorso per ottemperanza alle sentenze n. 2482/2017 (la sentenza cognitoria) e n. 3900/2018 (la prima sentenza di ottemperanza) di questa Sezione, era stata dichiarata la nullità degli atti della nuova Commissione del 13 luglio 2018 e del 18 luglio 2018, posti in essere in rinnovazione della procedura meglio descritta infra sub 1.1., nonché del decreto rettorale n. 1216 del 24 agosto 2018 di approvazione degli atti della procedura, per violazione del giudicato formatosi sulle citate sentenze, ed era stato disposto che una nuova Commissione in diversa composizione dovesse procedere ad una nuova valutazione dei candidati, secondo i criteri enucleati in motivazione. 
1.1. Con la sentenza cognitoria n. 2482/2017, in parziale accoglimento degli appelli (tra di loro riuniti) proposti dall’odierna controinteressata [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] avverso la sentenza non definitiva n. 141/2015 del T.a.r. per l’Emilia-Romagna e la successiva sentenza definitiva n. 602/2015 dello stesso T.a.r. – reiettive delle censure dalla stessa dedotte avverso gli atti della procedura valutativa per la copertura di due posti di professore universitario di ruolo di II° fascia per il Dipartimento di ingegneria civile, chimica, ambientale e dei materiali dell’Università di Bologna, Settore concorsuale 08/B2 (SSD ICAR/08 – Scienza delle costruzioni), indetta con decreto rettorale n. 285 del 7 aprile 2014 e conclusa con decreto rettorale n. 754 del 18 luglio 2014, di approvazione dei relativi atti, al cui esito si era classificato al primo posto il candidato Marzani [#OMISSIS#] con punti 83/100, al secondo posto il candidato de [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] con punti 82/100 e al terzo posto l’originaria ricorrente [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] con punti 80/100 –, erano stati annullati gli atti valutativi della Commissione per l’erronea illegittima applicazione del criterio «Soddisfazione degli studenti» e, di conseguenza, anche il gravato decreto rettorale di approvazione degli atti della procedura selettiva in questione. 
Sul piano conformativo, era stato disposto che «l’amministrazione dovrà nominare una nuova commissione in diversa composizione al fine di procedere ad una rinnovata valutazione dei candidati, in conformità ai parametri di giudizio specificati […] sub 8.2.1. e 8.2.2. [della sentenza]». 
Ai punti 8.2.1. e 8.2.2. della sentenza cognitoria era stato statuito testualmente: «8.2.1. In primo luogo, deve ritenersi affetta da manifesta irragionevolezza e illogicità la predeterminazione da parte della commissione, nel verbale n. 1, di un punteggio massimo di 5 punti per il criterio della «soddisfazione degli studenti» (nell’ambito della categoria di valutazione dell’attività didattica, per la quale, secondo le previsioni del bando, era attribuibile un punteggio massimo di 25 punti), in raffronto al punteggio massimo attribuibile ad altri criteri valutativi, quali l’«Organizzazione, direzione e coordinamento di centri o gruppi di ricerca nazionali ed internazionali o partecipazione agli stessi ed altre attività di ricerca quali la direzione o la partecipazione a comitati editoriali di riviste. Organizzazione scientifica di convegni. Conseguimento della titolarità di brevetti», per il quale la commissione ha stabilito la misura massima di soli 3 punti (nell’ambito della categoria di valutazione dell’attività di ricerca e pubblicazioni, per la quale, secondo le previsioni del bando, era attribuibile un punteggio massimo di 65 punti), o l’«Attività di relatore di tesi di Laurea, di Laurea Magistrale e di Dottorato, con particolare riferimento agli ultimi tre anni», per la quale la commissione pure ha stabilito un punteggio massimo di 5 punti (nell’ambito della categoria valutativa dell’attività didattica). 
Infatti, mentre le schede di valutazione degli studenti riflettono più percezioni soggettive che oggettive e sono, in quanto tali, connotati da un alto grado di opinabilità, le attività di ricerca, costituenti uno degli elementi qualificanti delle funzioni di professore di seconda fascia, possono essere valutate secondo i [#OMISSIS#] criteri oggettivi diffusi nella comunità scientifica del settore e costituiscono dunque elementi oggettivi e trasparenti di valutazione, come tali idonei a garantire l’imparzialità del giudizio valutativo nel rispetto della par condicio tra i concorrenti. Inoltre, le attività poste a raffronto (compresa quella di relatore di tesi di laurea) sono di certo più significative, sotto il profilo oggettivo, rispetto ad un generico e soggettivo grado di soddisfazione espresso dagli studenti. 
La natura manifestamente sproporzionata attribuita dalla commissione al peso del criterio della «soddisfazione degli studenti», di scarsa significatività oggettiva, rispetto agli altri concorrenti criteri suscettibili di una parametrazione più oggettiva, inficia in parte qua la predeterminazione del peso specifico dei singoli criteri valutativi, operata dalla commissione nella seduta del 20 giugno 2014 (verbale n. 1). 
8.2.2. In secondo luogo, è fondata la censura di disomogeneità dei criteri di valutazione applicati dalla commissione, comportante un disparità di trattamento tra i candidati, laddove la stessa ha limitato l’operatività del criterio della «soddisfazione degli studenti» alle sole attività formative, per le quali erano «disponibili» le rilevazioni nell’ultimo triennio. 
Così operando, la commissione è incorsa in un’erronea interpretazione delle correlative previsioni del bando di gara, nella parte in cui le stesse riconnettono il calcolo della percentuale media di risposte positive alla domanda sulla soddisfazione complessiva degli studenti (che deve essere superiore al 70%) alle sole risposte positive per ciascuna attività formativa ponderata per il numero di schede raccolte e riferite al maggior numero di anni accademici «per cui sono disponibili le rilevazioni nell’ultimo triennio», e, rispettivamente, limitano la valutabilità del sub-criterio della soddisfazione degli studenti espressa su «presenza e puntualità» alle «attività formative per le quali sono disponibili le rilevazioni nell’ultimo triennio». 
Infatti, la subordinazione dell’applicazione del criterio in questione alla condizione della «disponibilità» dei dati di rilevamento all’uopo necessari, prevista dalla lex specialis (v. allegato 1, p. 92, del bando), non può che essere intesa nel senso che tale condizione deve coesistere per tutte le attività formative svolte da tutti i candidati (o, nel caso che ciò sia impossibile, per un numero eguale di attività formative svolte dai singoli concorrenti, da individuare secondo un criterio oggettivo e imparziale), nel senso che, se manca la disponibilità di dati per alcune delle attività svolte (per le quali, in ipotesi, il relativo esito potrebbe essere anche negativo) o per alcuni dei candidati (per i quali, in ipotesi, il risultato potrebbe essere anche positivo), il criterio appare inapplicabile, pena la violazione del principio della par condicio. 
In altri termini, per effetto dell’interpretazione delle previsioni del bando quale operata dalla commissione giudicatrice, l’esito del rilevamento della «soddisfazione degli studenti» è venuto ad essere condizionato da fattori contingenti e arbitrari, non giustificandosi razionalmente l’applicazione del criterio solo per alcune e non per altre delle attività formative svolte dai vari candidati, sfociando tale modus procedendi in una disomogeneità ed incompletezza di valutazione delle attività formative svolte dai candidati medesimi». 
1.2. Con la prima sentenza di ottemperanza n. 3900/2018, la Sezione dichiarava la nullità degli atti della nuova Commissione adottati in sede di riedizione delle operazioni valutative con un esito sostanzialmente confermativo dell’originaria procedura annullata, rilevando testualmente: «L’ordine di rinnovazione dell’attività valutativa tramite un nuova Commissione, di cui al punto 8.3. della sentenza ottemperanda, si era dunque limitato ad escludere, dall’ambito della categoria «Attività didattica», l’elemento valutativo della «Soddisfazione degli studenti» e a disporre una rimodulazione dei parametri di giudizio nell’ambito della sola categoria «Attività didattica», al fine di informare l’attività valutativa a parametri oggettivi e non casuali o arbitrari. 
Va, al riguardo, precisato che il riferimento, nel punto 8.2.1. della sentenza ottemperanda, al peso specifico attribuito ad un elemento valutativo nell’ambito della diversa categoria «Attività di ricerca e pubblicazioni» assolveva alla sola funzione di evidenziare la discrasia tra peso specifico attribuito all’elemento, di natura soggettiva e casuale, della «Soddisfazione degli studenti» inerente alla categoria «Attività didattica», e peso specifico attribuito a un criterio di [#OMISSIS#] più oggettiva inerente alla menzionata, diversa categoria «Attività di ricerca e pubblicazioni». 
L’effetto della statuizione annullatoria era, in altri termini, limitato alla espunzione, dalla categoria «Attività didattica», dell’elemento della «Soddisfazione degli studenti», con la conseguenza, sul piano conformativo, della necessità di una rimodulazione degli elementi valutativi nell’ambito della sola categoria «Attività didattica» (massimo 25 punti), fermi restando i criteri e i punteggi previsti per le altre due categorie «Attività di ricerca e pubblicazioni» (massimo 65 punti) e «Attività istituzionali, organizzative e di servizio dell’Ateneo» (massimo 10 punti).
La nuova Commissione, in sede di ri-fissazione dei criteri di valutazione, avrebbe pertanto dovuto limitarsi a rimodulare i punteggi attribuibili nell’ambito della sola categoria «Attività didattica» – correttamente espungendo l’elemento «Soddisfazione degli studenti» –, ed a ‘spalmare’ il punteggio massimo di 25 punti attribuibili per tale categoria tra elementi valutativi a maggiore [#OMISSIS#] oggettiva (sotto tale profilo omogenei rispetto agli elementi oggettivi rientranti nelle altre categorie valutative). 
La riformulazione, nel verbale n. 1 del 31 ottobre 2017, dei criteri valutativi anche in relazione alle categorie diverse da quella della «Attività didattica», e la ri-attribuzione, nei successivi verbali n. 2 del 28 novembre 2017 e n. 3 del 12 gennaio 2018, di nuovi punteggi anche in relazione a tali categorie valutative, costituiscono dunque atti posti in essere in violazione del dictum giudiziale, in quanto eccedenti dai limiti oggettivi delle statuizioni annullatorie e conformative della sentenza ottemperanda». 
Pertanto, la prima sentenza di ottemperanza, previa declaratoria di nullità degli atti della nuova commissione per violazione del giudicato, disponeva che «[…] una nuova Commissione in diversa composizione dovrà procedere ad una nuova valutazione dei candidati, secondo i seguenti criteri: 
– mantenere fermi i criteri stabiliti e i punteggi attribuiti dalla Commissione originaria per le categorie «Attività di ricerca e pubblicazioni» (massimo 65 punti) e «Attività istituzionali, organizzative e di servizio dell’Ateneo» (massimo 10 punti); 
– stabilire e rimodulare nuovi criteri, di [#OMISSIS#] oggettiva e idonei a garantire la par condicio dei candidati, nell’ambito della sola categoria «Attività didattica» (massimo 25 punti), escludendo il criterio «Soddisfazione degli studenti» e avendo riguardo all’attività didattica relativa ai tre anni accademici precedenti il termine di presentazione della domanda della procedura comparativa in questione (2011/20122, 2012/2013, 2013/2014); 
– procedere alla valutazione finale, totalizzando il punteggio in tal modo conseguito dai candidati nelle singole categorie». 
1.3. Con la seconda sentenza di ottemperanza n. 516/2019, questa Sezione dichiarava la nullità, per contrasto col giudicato formatosi sulle due sentenze sub 1.1. e 1.2., degli atti adottati nel luglio 2018 dalla terza Commissione in diversa composizione, ancora sostanzialmente confermativi dell’originario esito concorsuale, statuendo testualmente: «In conclusione, per dare integrale ed esatta esecuzione alla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 2482 del 26 maggio 2017, così come disposto dalla sentenza n. 3900/2018 del Consiglio di Stato, occorre:
– ‘spalmare’ i 5 punti massimi attribuibili alla “soddisfazione degli studenti” come segue:
– 3,75 punti a “Volume e continuità delle attività didattiche”, per un totale di 18,75 massimi attribuibili,
– 1,25 punti a “Didattica integrativa e di servizio agli studenti”, per un totale di 6,25 massimi attribuibili;
– moltiplicare i punteggi originariamente attribuiti dalla prima Commissione a “Volume e continuità delle attività didattiche” e “Didattica integrativa e di servizio agli studenti” per un fattore pari a 1,25 (18,75/15 = 1,25; 6,25/5 = 1,25).
Al contrario, la terza Commissione ha posto in essere una doppia azione elusiva del giudicato:
La nuova Commissione ha definito nuovi e diversi criteri di ripartizione dei 25 punti complessivi tra i due elementi valutativi “Volume e continuità delle attività didattiche” e “Didattica integrativa e di servizio agli studenti”, senza curarsi di preservare il peso specifico originario dei due elementi valutativi nel concorrere a definire il punteggio dell’attività didattica. Con ciò, la Commissione ha, di fatto, rivalutato i Candidati secondo nuovi personali criteri e non ‘spalmato’ i punti della “Soddisfazione degli studenti” sui restanti elementi valutativi del criterio dell’Attività didattica.
La Commissione ha solo apparentemente distribuito sull’elemento valutativo “Volume e continuità delle attività didattiche” parte dei 5 punti da riassegnare, portando il punteggio massimo attribuibile da 15 a 17. 
Invero, poiché i ricercatori sono tenuti a non superare le 120 ore annue di didattica frontale (in base alle linee d’indirizzo per la programmazione didattica), con la suddivisione di punteggi per fasce operata dalla terza commissione nessun candidato ricercatore potrebbe mai conseguire il punteggio massimo di 17 punti. In particolare, il punteggio massimo conseguibile da un ricercatore dipende dal corso erogatore degli insegnamenti per i quali ha assunto titolarità didattica, collocandosi tra i seguenti due valori limite:
– punteggio massimo di 12 punti per “Volume e continuità delle attività didattiche”, nel caso di insegnamenti tenuti unicamente in corsi di laurea (dove gli insegnamenti hanno un monte ore di didattica frontale multiplo di 10);
– punteggio massimo di 15 punti per “Volume e continuità delle attività didattiche”, nel caso di insegnamenti tenuti unicamente in corsi di laurea magistrale (dove gli Insegnamenti hanno un monte ore di didattica frontale multiplo di 8).
In tutti i casi, quindi, si realizza una situazione anomala: il punteggio massimo ottenibile per l’elemento valutativo “Volume e continuità delle attività didattiche”, dopo la ripartizione dei 5 punti da riassegnare, è uguale o addirittura inferiore al punteggio massimo conseguibile prima della ripartizione. In definitiva, la terza Commissione:
– ha attribuito 3 dei 5 punti da ‘spalmare’ al solo elemento valutativo “Didattica integrativa e di servizio agli studenti”, disperdendo i restanti 2 punti: la Commissione ha quindi alterato profondamente il rapporto tra i pesi specifici dei due elementi valutativi, a tutto vantaggio dei soli punteggi conseguiti per “Didattica integrativa e di servizio agli studenti”;
– ha creato una disparità di valutazione dei candidati, attribuendo i 15 punti originariamente previsti dalla prima Commissione per “Volume e continuità delle attività didattiche” ai soli candidati che abbiano assunto titolarità unicamente in corsi di laurea magistrale (controinteressati, Marzani e De [#OMISSIS#]).
A ciò consegue che il punteggio massimo teorico riconoscibile ai candidati è inferiore a 100 e assume un valore che dipende dal corso erogatore degli insegnamenti per i quali il candidato ha assunto la titolarità didattica. In particolare, per i ricercatori che abbiano assunto titolarità sia in corsi di laurea che in corsi di laurea magistrale, il punteggio massimo conseguibile si colloca tra i seguenti due valori limite:
– punteggio massimo complessivo di 95 punti ottenibile nel caso di insegnamenti tenuti unicamente in corsi di laurea (dove gli insegnamenti hanno un monte ore di didattica frontale multiplo di 10);
– punteggio massimo complessivo di 98 punti ottenibile nel caso di insegnamenti tenuti unicamente in corsi di laurea magistrale (dove gli Insegnamenti hanno un monte ore di didattica frontale multiplo di 8).
Ciò, oltre a eludere il calcolo del punteggio finale su base 100, connota come non confrontabili i risultati conseguiti dai candidati». 
1.4. Con il ricorso in epigrafe, l’ing. de [#OMISSIS#] chiede la revocazione di detta seconda sentenza di ottemperanza n. 516/2019, deducendo, con i primi due motivi, «Errore di fatto ex art. 395, comma 1, n. 4, per difettosa lettura ed erronea percezione del contenuto di atti e documenti del giudizio in ordine alla riparametrazione dei punteggi relativi alla categoria “attività didattica”», in quanto la sentenza revocanda avrebbe erroneamente ritenuto che la Commissione giudicatrice, in ottemperanza al giudicato delle due sentenze della Sezione, avrebbe dovuto limitarsi a “spalmare” i cinque punti della “soddisfazione degli studenti” sugli altri due elementi della categoria “attività didattica”, ovvero “volume e continuità delle attività didattiche” e “didattica integrativa e di servizio agli studenti”, il che invece non corrisponderebbe al dictum giudiziale ottemperando, il quale avrebbe demandato alla discrezionalità della Commissione non solo l’individuazione di nuovi criteri oggettivi di valutazione dell’attività didattica, ma anche la riparametrazione dei punteggi attribuibili ai vari elementi valutativi ricompresi nella categoria “attività didattica”. 
Con il terzo motivo, deduce «Errore di fatto ex art. 395, comma 1, n. 4, per difettosa lettura ed erronea percezione del contenuto di atti e documenti del giudizio in ordine all’inquadramento dei candidati nell’arco temporale preso in considerazione ai fini della valutazione dell’attività didattica», in quanto la sentenza revocanda si sarebbe basata sull’erroneo presupposto fattuale che, negli anni accademici presi in considerazione ai fini della valutazione dell’attività didattica, i candidati Marzani e de [#OMISSIS#] fossero inquadrati come professori associati di seconda fascia, ossia su un dato di fatto non corrispondente alla realtà. 
Il ricorrente chiede pertanto la revocazione della seconda sentenza di ottemperanza e la reiezione del ricorso accolto con tale sentenza. 
2. Si è costituita in giudizio la controinteressata [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], eccependo l’inammissibilità del ricorso per difetto di riproposizione della domanda rescissoria, nonché, comunque, per l’insussistenza dei presupposti di cui al combinato disposto degli artt. 106 cod. proc. amm. e 395, n. 4), cod. proc. civ.. 
3. Si sono, altresì, costituiti in giudizio l’Università degli studi di Bologna – Alma Mater Studiorum e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, con comparsa di stile. 
4. All’udienza pubblica del 23 gennaio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione. 
5. Premesso che deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per asserita mancata riproposizione della domanda rescissoria, avendo il ricorrente in revocazione nel giudizio di ottemperanza definito con la sentenza revocanda n. 516/2019 assunto la qualità di controinteressato (peraltro, ivi non costituito in giudizio) e dovendosi pertanto nella proposizione del ricorso per revocazione ritenere implicita la richiesta di reiezione del ricorso per ottemperanza proposto dall’odierna controparte [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], si osserva che il ricorso per revocazione è tuttavia inammissibile sotto altro profilo, per l’inconfigurabilità, nel caso sub iudice, della fattispecie revocatoria ex art. 395, n. 4), cod. proc. civ. invocata dalla parte ricorrente. 
5.1. Giova premettere, in linea di diritto, che secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato l’errore di fatto, che consente di rimettere in discussione il decisum del giudice con il rimedio straordinario della revocazione ex art. 395, n. 4), cod. proc. civ. – secondo cui l’errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa, rilevante ai fini revocatori, ricorre «quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’esistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare» – è solo quello che non coinvolge l’attività valutativa dell’organo decidente, ma tende a eliminare l’ostacolo materiale frapposto fra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto; ostacolo promanante da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato, dovendosi escludere che il giudizio revocatorio, in quanto rimedio eccezionale, possa essere trasformato in un ulteriore grado di giudizio.
In particolare, l’errore di fatto revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà processuale, ossia in una svista – obiettivamente e immediatamente rilevabile – che abbia portato ad affermare o soltanto a supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti di causa ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti risulti invece positivamente accertato. Occorre in ogni caso, che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta la pronuncia del giudice, perché in tal caso sussiste semmai un errore di giudizio e con la revocazione si verrebbe in sostanza a censurare l’inesatto apprezzamento, in fatto o in diritto, delle risultanze processuali (su tali principi v., per tutte, Cons. Stato, Ad. Plen., 17 maggio 2010, n. 2, nonché i precedenti ivi richiamati). Deve, poi, trattarsi di errore di fatto concretamente rilevabile con immediatezza ex actis, che sia legato da un nesso di causalità necessaria di carattere logico-giuridico con la pronuncia asseritamente inficiata da tale vizio, nel senso che, eliminato quest’ultimo, venga a cadere il presupposto su cui si fonda la decisione. 
5.2. Applicando le enunciate coordinate normative e giurisprudenziali alla fattispecie sub iudice, deve escludersi che siano integrati i requisiti dell’errore revocatorio. 
5.2.1. Infatti, i primi due motivi di revocazione – con i quali il ricorrente deduce che la sentenza revocanda avrebbe erroneamente ritenuto che la Commissione giudicatrice, in ottemperanza al giudicato delle due sentenze del Consiglio di Stato, avrebbe dovuto limitarsi a “spalmare” i cinque punti della “soddisfazione degli studenti” sugli altri due elementi della categoria “attività didattica”, ovvero “volume e continuità delle attività didattiche” e “didattica integrativa e di servizio agli studenti”, il che invece non corrisponderebbe al dictum giudiziale ottemperando, il quale avrebbe demandata alla discrezionalità della Commissione non solo l’individuazione di nuovi criteri oggettivi di valutazione della “attività didattica”, ma anche la riparametrazione di tutti i punteggi attribuibili ai vari elementi valutativi ricompresi in tale categoria – si risolve nella denunzia di un’erronea interpretazione del dictum ottemperando enucleabile dalla sentenza cognitoria n. 2482/2017 e dalla prima sentenza di ottemperanza n. 3900/2018, ossia nella deduzione di un presunto error in iudicando, come tale non integrante un errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4), cod. proc. civ. e, dunque, inammissibile. 
5.2.2. Con il terzo motivo si censura l’affermazione contenuta nella sentenza revocanda, per cui la nuova Commissione, prevedendo nella riparametrazione del punteggio attribuibile al criterio valutativo “Volume e contributo delle attività didattiche” la suddivisione del punteggio massimo di 17 per fasce a multipli di 8 ore di didattica frontale, avrebbe favorito «ancora una volta i candidati (i controinteressati Marzani e de [#OMISSIS#], i quali possono avvantaggiarsi dell’attività connessa al nuovo inquadramento di professori associati a tempo determinato) che hanno assunto responsabilità didattiche nei corsi di laurea magistrale (dove il monte ore di didattica frontale per insegnamento e modulo è proprio multiplo di 8) e danneggia i candidati (la ricorrente) che hanno assunto responsabilità didattiche nei corsi di laurea triennale (dove, invece, il monte ore di didattica frontale per Insegnamento o modulo è multiplo di 10)» (v. così, testualmente il censurato passaggio della sentenza revocanda). Tale affermazione viene denunziata sub specie di errore revocatorio, in quanto, con ciò, la sentenza revocanda si sarebbe basata sull’erroneo presupposto di fatto che i candidati Marzani e de [#OMISSIS#], negli anni accademici presi in considerazione ai fini della valutazione dell’attività didattica, fossero inquadrati come professori associati; presupposto, invece smentito dalle risultanze del verbale n. 1 del 13 luglio 2018 secondo cui il periodo oggetto di valutazione dell’attività didattica riguardava unicamente gli anni accademici 2011/2012, 2012/2013 e 2012/2014, nei quali tutti i candidati erano incontestatamente ricercatori a tempo indeterminato. 
Ebbene, anche il motivo all’esame è inammissibile, per le ragioni di cui appresso: 
– in primo luogo, il censurato passaggio della sentenza revocanda, quale sopra citato, riporta testualmente il passaggio contenuto a p. 18 del ricorso per ottemperanza deciso dalla stessa sentenza revocanda e, pertanto, la relativa circostanza era stata introdotta nel giudizio definito con la qui impugnata sentenza quale oggetto del thema disputandum, sicché la censurata affermazione verte su un punto controverso espressamente dedotto in giudizio e, già sotto tale profilo, esula dalle statuizioni impugnabili con il mezzo della revocazione; 
– in secondo luogo, si tratta di affermazione causalmente non incidente sull’esito del giudizio e, quindi, privo del carattere della decisorietà, in quanto, ad una lettura sistematica della sentenza revocanda unitamente al correlativo ricorso di ottemperanza e alle precedenti sentenze inter partes, risulta palese che la disparità di trattamento ravvisata nella formulazione dei criteri valutativi relativi all’attività didattica atteneva al diverso rilievo indirettamente attribuito dalla Commissione all’attività didattica svolta dai candidati nell’ambito dei corsi di laurea magistrale e, rispettivamente nell’ambito dei corsi di laurea triennali, ma sempre in qualità di ricercatori, sicché il riferimento all’inquadramento dei candidati antagonisti (alla ricorrente [#OMISSIS#]) quali professori associati è riconducibile a un mero refuso non determinante per l’esito del giudizio – conclusione, peraltro ulteriormente suffragata dal rilievo che il preesistente inquadramento quale professore associato sarebbe stato addirittura motivo di esclusione dalla partecipazione alla procedura valutativa in oggetto –, con la conseguente inammissibilità, anche sotto tale profilo (mancanza di decisorietà), del motivo all’esame. 
5.3. Per le esposte ragioni, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile, con assorbimento di ogni altra questione, ormai irrilevante ai fini decisori. 
6. In applicazione dei criteri della causalità e della soccombenza, le spese del presente giudizio di revocazione, come liquidate nella parte dispositiva, devono essere poste a carico del ricorrente. 
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione come in epigrafe proposto (ricorso n. 2804 del 2019), lo dichiara inammissibile; condanna il ricorrente a rifondere alle controparti costituite in giudizio le spese del presente giudizio di revocazione, che si liquidano, in favore di ciascuna delle stesse, nell’importo complessivo di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli eventuali accessori di legge. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2020, con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Giordano [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], Consigliere
Pubblicato il 17/02/2020