Dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria emerge con chiarezza come il cosiddetto numero chiuso sia reso indispensabile dall’esigenza di assicurare, per la formazione di professionalità adeguate, che l’accesso alla facoltà di “Medicina e Chirurgia” sia subordinato alla congruità del rapporto fra numero di studenti e idoneità delle strutture, sotto il profilo non solo della didattica, ma anche della disponibilità di laboratori e della possibilità di avviare adeguate esperienze cliniche, nonché di accedere alle specializzazioni. Non ultima, infine, (ferma restando la priorità delle esigenze sopra indicate) è la finalità di assicurare – anche in considerazione della libera circolazione di professionisti in ambito U.E. – la possibilità di adeguati sbocchi lavorativi, da commisurare al fabbisogno nazionale, sul presupposto che vi sia un potenziale bilanciamento fra medici formati in altri Paesi dell’Unione, operanti in Italia, e medici italiani trasferiti in ambito comunitario. Anche la Corte di Giustizia dell’Unione europea – pur escludendo la sussistenza di un obbligo, a livello comunitario, di limitare il numero di studenti ammessi alle facoltà di Medicina – ha riconosciuto la facoltà dei singoli Stati di adottare le misure più opportune, per garantire i predetti, ottimali livelli di formazione, al fine di tutelare lo standard qualitativo della sanità pubblica. Parimenti, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha affermato che “in linea di principio, la limitazione dell’accesso agli studi universitari non è incompatibile con l’art. 2 del Protocollo n. 1, tenendo presenti le risorse disponibili e il fine di ottenere alti livelli di professionalità (…). Pertanto, l’applicazione del numero chiuso non può violare la citata norma se è ragionevole e nell’interesse generale della società. La materia ricade nell’ampio margine di apprezzamento dello Stato” (in tal senso,T.A.R. Lazio, Roma, Sezione III, n. 9269/2005 e n. 10129/2017).
E’ dato di comune esperienza, d’altra parte, che la difficoltà degli studi di cui trattasi, o altre possibili circostanze, finiscano per “sfoltire”, nel corso degli anni, il numero degli immatricolati, creando disponibilità di posti che non c’è ragione di lasciare scoperti, non solo per il legittimo soddisfacimento di interessi costituzionalmente tutelati, ma anche nell’interesse pubblico ad un livello qualitativo e quantitativo di personale sanitario, in grado di soddisfare le esigenze della popolazione.
TAR Lazio, Roma, Sez. III, 18 marzo 2020, n. 3370
Studenti universitari-Accesso corsi a numero chiuso
N. 03370/2020 REG.PROV.COLL.
N. 12893/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 12893 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da
[#OMISSIS#] Titta, rappresentata e difesa dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Cinquemani e [#OMISSIS#] Malossini, con domicilio digitale in atti e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Varrone, n. 9;
contro
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, in persona del legale rappresentante pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Consorzio Interuniversitario per il Calcolo Automatico – Cineca, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
nei confronti
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], non costituita in giudizio;
per l’annullamento
quanto al ricorso introduttivo
– del provvedimento di mancata ammissione della ricorrente al corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia nell’anno accademico 2018/2019 all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”;
– del decreto ministeriale del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca del 26 aprile 2018 n. 337 relativo alla istaurazione, ai criteri e alle modalità di svolgimento della prova selettiva per l’accesso ai corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico ad accesso programmato nazionale per l’Anno Accademico 2018/2019;
– della prova redatta con i predetti criteri e sottoposta ai candidati il giorno dello svolgimento in data 4 settembre 2018;
– della graduatoria nazionale anonima (in cui i candidati sono riconoscibili attraverso le etichette) del 18 settembre 2018, pubblicata in pari data, sul portale accessoprogrammato.cineca.it attraverso il portale universitaly.it relativa al concorso finalizzato all’ammissione ai corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia e in Odontoiatria e Protesi Dentaria nell’Anno Accademico 2018/2019, nella quale la ricorrente (codice etichetta 26MP8EN3N5I2I7K) non è risultata collocata entro il numero dei posti disponibili per l’accesso al corso di laurea con punteggio complessivo 33,00;
– della graduatoria nazionale nominativa del 2 ottobre 2018, pubblicata in pari data, sul portale accessoprogrammato.cineca.it attraverso il portale universitaly.it relativa al concorso finalizzato all’ammissione ai corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia e in Odontoiatria e Protesi Dentaria nell’Anno Accademico 2018/2019, nella quale la ricorrente non è risultata collocata entro il numero dei posti disponibili per l’accesso al corso di laurea con punteggio complessivo 33,00;
– per quanto occorrer possa, delle successive della graduatorie nazionali per scorrimento adottate (l’ultima delle quali del 31 ottobre 2018) ed adottande, pubblicate sul portale accessoprogrammato.cineca.it attraverso il portale universitaly.it, relative al concorso finalizzato all’ammissione ai corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia e in Odontoiatria e Protesi Dentaria nell’Anno Accademico 2018/2019, nelle quali la ricorrente non rientra nel numero dei posti disponibili per l’accesso al corso di laurea con punteggio complessivo 33,00;
– per quanto occorrer possa, della scheda di valutazione della prova della ricorrente pubblicata sul portale accessoprogrammato.cineca.it attraverso il portale universitaly.it ed accessibile dalla stessa attraverso il proprio codice riservato;
– del decreto ministeriale del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca del 28 giugno 2018 n. 524 recante la definizione dei posti disponibili per le immatricolazioni ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico in “Medicina e Chirurgia” per l’a.a. 2018/2019;
– del decreto ministeriale del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca del 26 giugno 2018 n. 520 recante la definizione del contingente di posti destinati ai candidati non comunitari residenti all’estero per i corsi di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e Chirurgia, in Odontoiatria e Protesi dentaria, veterinaria, Architettura, professioni sanitarie a.a. 2018/2019;
– di ogni altro atto precedente, successivo o comunque connesso con quelli impugnati;
per l’accertamento e la declaratoria del diritto della ricorrente ad essere ammessa e ad iscriversi al Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia per l’anno accademico 2018/2019 ed in particolare ad essere ammessa ed iscritta al corso di laurea magistrale in “Medicina e Chirurgia” alla Università degli Studi di Roma “La Sapienza”;
e per la condanna delle amministrazioni resistenti, anche quale risarcimento in forma specifica, ad inserire la ricorrente nelle graduatorie di merito nazionale per l’ammissione ai corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia per l’a.a. 2018/2019;
quanto al ricorso per motivi aggiunti
– della nota prot. 0010216 del 5 febbraio 2019 a firma del Responsabile del procedimento, notificata il giorno successivo, con la quale l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” ha rigettato l’istanza proposta dalla ricorrente volta ad ottenere l’immatricolazione diretta al corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia per anni successivi al primo;
– per quanto occorrer possa e per quanto di ragione, del bando dell’Università di cui al D.R. 1712/2018 relativo alle modalità di ammissione ai corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia;
– di ogni altro atto precedente, successivo o comunque connesso con quelli impugnati.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 gennaio 2020 la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il presente gravame, la ricorrente – collocatasi in posizione non utile nella graduatoria nazionale di merito per l’ammissione ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico in “Medicina e Chirurgia” e “Odontoiatria e Protesi dentaria” per l’anno accademico 2018/2019 – impugna tutti gli atti della relativa procedura concorsuale, sostanzialmente rivendicando il proprio diritto, quale laureata in altre discipline sanitarie (laurea triennale in Biologia e di laurea magistrale in Neurobiologia) ad iscriversi a tale facoltà in anno successivo al primo con esonero dal test di ammissione, nonché contestando la quantificazione dei posti messi a bando e le domande oggetto del test di ammissione e denunciando talune irregolarità asseritamente avvenute durante lo svolgimento della prova selettiva.
Parte ricorrente chiede, dunque, l’annullamento per quanto di interesse di tali atti e, per l’effetto, la sua ammissione al corso di laurea per cui è causa.
Si costituivano in giudizio il MIUR e l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, chiedendo il rigetto del ricorso.
La Sezione con ordinanza n. 7435/2018 respingeva l’istanza cautelare, “Considerato, con riguardo al primo motivo, che la ricorrente non ha proposto all’Università di suo interesse la domanda di immatricolazione alla Facoltà di Medicina per anni successivi al primo, previo riconoscimento dei crediti formativi maturati nel diverso corso frequentato; Considerato altresì che il punteggio della ricorrente (33,00 punti) e la sua posizione in graduatoria (posizione n. 21.639), rendono improbabile la sua possibilità di accedere ad uno dei posti banditi anche in caso di successivi scorrimenti della graduatoria nazionale; Ritenuto, altresì, che l’ammissione con riserva domandata non possa avere luogo senza considerare gli effetti finali del giudizio di legittimità, ove implicanti, in sede di merito, integrale rifacimento della graduatoria, o annullamento dell’intera procedura; Considerato che, peraltro, i vizi afferenti all’erronea formulazione di alcuni dei quesiti somministrati, oltre ad essere contestati dal Ministero con l’ampia relazione in atti (sicchè non appare raggiunto allo stato il “fumus”), ove si rivelassero fondati, produrrebbero effetti diffusi e oggi non prevedibili sull’intera procedura in quanto investirebbero un numero, allo stato, indeterminabile di partecipanti, sicché appare contraddittorio pretendere l’ammissione con riserva ai corsi presso la sede di prima scelta (Roma, La Sapienza), nel momento in cui si contesta la stessa legittimità della prova selettiva, con censura che, ove accolta, determinerebbe il travolgimento dell’intera procedura selettiva o in ogni caso la revisione di tutta la graduatoria; Considerato infine che, in merito alla determinazione del fabbisogno sociale e produttivo e all’offerta formativa degli atenei, elementi che sono alla base della determinazione del numero programmato nazionale, la relazione versata in atti dal MIUR offre ampia informativa in ordine all’iter procedimentale che ha condotto alla definizione del numero stesso”.
La stessa ricorrente con successivo ricorso per motivi aggiunti – avendo (in tesi) maturato, nell’ambito dei corsi di laurea in Biologia ed in Neurobiologia, un numero di crediti formativi universitari (CFU) afferenti il percorso di laurea in “Medicina e Chirurgia” sufficiente per l’iscrizione al terzo anno di corso – impugna il provvedimento in epigrafe con cui lo stesso Ateneo ha respinto l’istanza, da costei avanzata il 16 gennaio 2019, di immatricolazione a tale facoltà in anno successivo al primo “con esonero dal test di ammissione”, ivi affermandosi che “la normativa … esclude in via preliminare qualsiasi possibilità di ammissione diretta ai corsi di studio in argomento”, con la conseguenza che la ricorrente “era, pertanto, tenuta a sostenere la prova di ammissione … e, in caso di esito favorevole, avrebbe potuto richiedere alle competenti strutture didattiche la valutazione del precedente percorso formativo, con eventuale diritto alla abbreviazione del Corso di Studio”.
La ricorrente chiede, dunque, l’annullamento di tale atto e, per l’effetto, la propria ammissione al corso di laurea richiesto, sostanzialmente evidenziando a tal fine l’affinità dei corsi di laurea frequentati rispetto a quello di destinazione, in ragione anche della corrispondenza dei settori scientifico – disciplinati delle materie, nonché come, in ossequio ai principi affermati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2015, la prova per l’accesso al corso di laurea in Medicina e Chirurgia sarebbe obbligatoria solo per l’iscrizione al primo anno, con la conseguenza che, dunque, nel caso di specie l’università intimata avrebbe dovuto prendere in esame i crediti formativi acquisiti dal ricorrente, atteso il possesso di un numero di crediti necessari e la disponibilità di posti presso l’Ateneo per l’immatricolazione richiesta.
La Sezione con ordinanza n. 2799/2019 accoglieva l’istanza cautelare ai fini del riesame della posizione della ricorrente al fine di valutare se i crediti formativi universitari maturati da parte dei ricorrenti ne consentano l’iscrizione ad anni di corso successivi al primo, previa verifica dei posti disponibili.
L’Ateneo resistente con successiva nota del 17 giugno 2019 ribadiva il completo esaurimento dei posti.
All’udienza del 29 gennaio 2020, la causa veniva trattata e, quindi, trattenuta in decisione.
Per quanto riguarda, le censure formulate nel ricorso introduttivo avverso la prova selettiva per l’accesso ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico in “Medicina e Chirurgia” e “Odontoiatria e Protesi dentaria” per l’anno accademico 2018/2019, il Collegio ritiene che tutte le relative argomentazioni difensive debbano essere disattese.
Non può, infatti, essere accolto il primo motivo di impugnazione con cui la ricorrente, laureata in “Biologia” e in “Neurobiologia”, rivendica il proprio diritto ad iscriversi alla facoltà di “Medicina e Chirurgia” in anno successivo al primo con “esonero dal test di ammissione”, non risultando che essa abbia, prima dell’instaurazione del presente giudizio, avanzato una relativa richiesta all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” o ad altro ateneo di interesse – avendovi proceduto solo con istanza del 16 gennaio 2019 (in esito alle indicazioni rese dalla Sezione nella citata ordinanza cautelare n. 7435/2018, ove già si evidenziava l’infondatezza di tale censura), ottenendo il provvedimento di diniego poi impugnato in sede di ricorso per motivi aggiunti – e postulando, invece, l’adozione di un siffatto provvedimento di ammissione diretta ad anno successivo al primo una relativa manifestazione di interesse in capo al privato, invece, mai espressa prima della proposizione del ricorso introduttivo.
Ugualmente infondata risulta la seconda doglianza, con cui il ricorrente sostanzialmente contesta la legittimità del decreti ministeriali n. 524 del 2018, nella parte in cui è fissato, per il corso di laurea in “Medicina e Chirurgia”, un numero dei posti da mettere a concorso a livello nazionale (9.779) inferiore rispetto al reale fabbisogno del sistema sanitario, che invece giustificherebbe, secondo parte ricorrente, un incremento di circa trecento posti per l’a.a. 2018/2019.
Tale motivo di impugnazione è stato, in effetti, già esaminato e respinto da questo Tribunale in alcune sentenze rese da questa Sezione con riferimento alla medesima tornata concorsuale – alle cui più ampie motivazioni il Collegio rinvia ai sensi dell’art. 74 c.p.a. – ove dopo aver osservato come per l’anno accademico 2018/2019 sia stato individuato un fabbisogno di nuovi medici pari a 10.035 unità, “per la prima volta – rispetto agli anni precedenti – superiore alla capacità formativa globale espressa degli Atenei e, per la prima volta, integralmente saturato, con ulteriore, immediata distribuzione dei posti non occupati da studenti extra-comunitari, per un totale di 9.936 posti ritenuti disponibili e un conclusivo divario, rispetto al ravvisato fabbisogno, di 99 unità”, si è, comunque, riconosciuto “il carattere discrezionale della scelta, con cui sarebbe possibile per l’Amministrazione (e per essa soltanto) disporre un “tollerabile sforamento” dei limiti numerici in questione, se ritenuto rispondente ad un interesse pubblico superiore e non tale da alterare, in ogni caso, un rapporto equilibrato fra capacità formativa e fabbisogno (ferma restando l’esigenza di limiti certi e non, di volta in volta, discussi in rapporto alle contingenti esigenze delle migliaia di candidati non ammessi)” (in tal senso, le sentenze nn. 6014, 11799 e 12042 del 2019).
La prevalenza rispetto al fabbisogno del dato numerico riferito alla capacità formativa degli atenei è, inoltre, deducibile dall’art. 3, comma 1, lettera a), della legge n. 264 del 1999, che, infatti, lega la determinazione annuale del numero dei posti in questione, a livello nazionale, alla valutazione dell’offerta potenziale del sistema universitario, “tenendo anche conto” (in via, evidentemente, sussidiaria) del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo.
Come già osservato, poi, da questa Sezione nella citata sentenza n. 6014/2019 “il carattere prioritario e determinante del potenziale formativo è stato, inoltre, ribadito anche a livello comunitario (in tal senso cfr. anche CEDU, 2 aprile 2013 – ricorsi 25851/09, 29284/09, 64090/09 – Tarantino e altri c. Italia), non potendosi ritenere corrispondente a tutela del diritto allo studio, come diritto fondamentale della persona, la mera indiscriminata ammissione a corsi di istruzione superiore di qualsiasi soggetto richiedente, ove le strutture organizzative predisposte non siano adeguate per garantirne l’adeguata formazione professionale”.
Anche la terza censura – riferita alla presunta omessa ridistribuzione dei posti, riservati a studenti extra-comunitari non residenti e da questi ultimi non occupati – non può che essere respinta per erroneità del presupposto di fatto, atteso che, per l’anno accademico 2018/2019 al quale si riferisce il presente contenzioso, tali posti sono stati, a ben vedere, assegnati tramite scorrimento della graduatoria nazionale (in tal senso, recentemente questa Sezione III, sentenza n. 11799/2019).
Appare ugualmente infondato anche il quarto motivo di gravame, con cui si contesta la scelta – insindacabile nel merito – di un’unica graduatoria nazionale per “Medicina e Chirurgia” e per “Odontoiatria e Protesi dentaria”, ritenendo come la generica contestazione di “uno sviamento dall’obiettivo della “specializzazione” posto dalla normativa di riferimento” non valga a fondare la pretesa illegittimità, apparendo – a ben vedere – una tale opzione ispirata all’esigenza di ottenere la massima possibile copertura dei posti disponibili, evitando che l’eccessiva convergenza di preferenze su uno dei due corsi di laurea o su determinate sedi, determini possibili vacanze di posti, nonché consentendo ai candidati – più numerosi dei posti disponibili – la massima possibilità di scelta, rispettando l’ordine di collocazione degli stessi nell’unica graduatoria nazionale di merito.
Si può, infatti, facilmente ipotizzare che scelte programmatiche diverse avrebbero soltanto acuito il problema della carenza di posti, in quanto prove concorsuali differenziate – preferibili, secondo la ricorrente – difficilmente avrebbero comportato una spontanea ripartizione delle preferenze dei candidati, corrispondente al numero di posti disponibili, sicchè le modalità attualmente poste in essere appaiono del tutto coerenti con le finalità di interesse pubblico perseguite, essendosi solo reso più ampio il ventaglio delle scelte possibili, assicurando al tempo stesso maggiori potenzialità di integrale copertura dei percorsi formativi previsti.
Deve essere, poi, disatteso anche il quinto motivo di gravame, riferito al rapporto fra domande di cultura generale e domande di logica, atteso il disposto dell’art. 4 della l. 2 agosto 1999, n. 264 (recante “Norme in materia di accesso ai corsi universitari”), facendo riferimento detta norma ad “apposite prove di cultura generale, sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore e di accertamento della predisposizione per le discipline, oggetto dei corsi medesimi”, senza puntuali vincoli numerici circa la tipologia delle domande e, ad avviso del Collegio, con riferimento non illogico al livello di formazione garantito dal corso di studi in questione, nonché con ulteriore non scorretta scelta di fondare le prove, in misura percentualmente rilevante, su questioni rimesse al ragionamento logico degli aspiranti, quale substrato del predetto livello di formazione, in grado di facilitare l’inserimento degli stessi in una facoltà scientifica, come quelle in considerazione (in tal senso, fra le tante, T.A.R. Lazio, Roma, Sezione III, sentenze nn. 10129 e 10130 del 2017 nonché n. 2501/2019).
Anche il sesto motivo di gravame – con cui la ricorrente contesta quattro dei quesiti da costei affrontati, contrassegnati dall’amministrazione con i numeri 5, 21, 30 e 34 non corretta individuazione della risposta o ambigua formulazione del testo – non può trovare accoglimento, investendo in modo generico scelte tecnico-discrezionali insindacabili nel merito ove, come nel caso di specie, non evidentemente incongrue o erronee.
A ciò si aggiunga che, ove la doglianza fosse accolta per uno o più di tali quesiti, in effetti, si imporrebbe un’ulteriore verifica in rapporto all’interesse a ricorrere, obbligando l’erroneità, ove riscontrata, l’integrale riformulazione della graduatoria e risultando la domanda giudiziale inammissibile sul punto in questione, qualora la ricorrente non potesse giovarsi dell’accoglimento (in quanto rimasto in posizione non utile nella graduatoria rettificata). Contrariamente a quanto dalla medesima sostenuto, infatti, non sarebbe possibile attribuire solo a chi avesse fatto ricorso il rivendicato punteggio aggiuntivo, riguardando l’esattezza dei quesiti proposti, in modo inscindibile, tutti i concorrenti.
La predetta verifica, tuttavia, non appare necessaria, in quanto le contestazioni formulate risultano non condivisibili, nei limiti in cui il Collegio può essere chiamato ad un riscontro di legittimità su atti che siano – come quelli in esame – espressione di discrezionalità tecnica.
A prescindere dal non accertato superamento della cosiddetta “prova di resistenza”, la censura in questione non appare, dunque, meritevole di accoglimento, fondandosi essa su semplici affermazioni di parte ricorrente, contenute in meri scritti difensivi e non suffragate da alcun principio di prova, quindi del tutto inidonee a far emergere veri e propri errori di fatto o discordanza rispetto a dati scientifici incontrovertibili.
Per quanto, poi, riguarda in particolare i quesiti n. 5 e n. 21, la questione è già stata esaminata da questo Tribunale, ove si perviene a conclusioni conformi alla soluzione scelta dell’Amministrazione (in tal senso, T.A.R. Lazio, Roma, Sezione III, n. 11799/2019, già citata).
Lo stesso è a dirsi per il quesito n. 35, per il quale la Sezione già in precedenti pronunce non ha ravvisato sufficienti elementi per ritenere che esso presenti caratteri di indiscutibile erroneità o ambiguità, in termini che sia possibile qualificare come invalidanti (in tal senso, le sentenze nn. 6014, 11799 e 12042 del 2019, già citate).
Per quanto riguarda, infine, la settima (ed ultima) doglianza con cui si riferisce dell’irregolare svolgimento delle prove, anch’essa è infondata nel merito.
Non emergono, infatti, agli atti di causa sufficienti elementi per invalidare le prove di selezione effettuate, in ragione dell’inidoneità a tal fine dei meri indizi a tal proposito offerti da parte ricorrente in atti, osservando il Collegio come le asserite irregolarità possano eventualmente giustificare la presentazione di eventuali denunce penalmente rilevanti e come le relative prove di ammissione potranno, infatti, essere considerate nulle per i soggetti che risultassero colpevoli di frode nello svolgimento delle stesse solo sulla base di accertamenti rimessi al giudice penale, le cui decisioni avrebbero (ed eventualmente avranno) autonoma rilevanza per i soggetti coinvolti.
In conclusione, per tutte le ragioni esposte, il ricorso introduttivo deve, dunque, essere respinto.
Passando, ora, ad esaminare il ricorso per motivi aggiunti, esso appare meritevole di accoglimento, nella parte in cui si rappresenta l’astratta possibilità di riconoscimento degli esami sostenuti presso altre facoltà, senza che sia necessario affrontare il test, previsto in via esclusiva per il primo accesso agli studi universitari nel settore in questione, ove l’amministrazione universitaria riconosca l’equipollenza di tali esami con quelli previsti nella facoltà di “Medicina e Chirurgia”, con maturazione di un numero di crediti formativi sufficienti per l’immatricolazione in anno successivo al primo, e sempre che per tale anno, a seguito di trasferimenti o rinunce, si sia verificata una scopertura dei posti disponibili (in tal senso, ex multis, questa Sezione, sentenza n. 1718/2019) .
Sotto tale profilo, già con ordinanza cautelare n. 2799/2019 le ragioni difensive della ricorrente sono state accolte, richiamando i principi interpretativi desumibili dalla nota sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 28 gennaio 2015.
Il percorso argomentativo di tale pronuncia può essere sintetizzato, per quanto qui interessa, nei termini che seguono:
– il superamento del test, di cui all’art. 1, commi 1 e 4, della legge 2 agosto 1999, n. 264 (Norme in materia di accesso ai corsi universitari) costituisce requisito di ammissione, ma non anche abilitazione o titolo ulteriore, indefettibilmente richiesto per accedere alla facoltà di Medicina e Chirurgia, in aggiunta al diploma di scuola secondaria superiore;
– coerentemente, pertanto, la citata normativa richiede che le prove di cui trattasi siano riferite al livello formativo assicurato, appunto, dagli studi liceali, in un logico “continuum temporale” fra detti studi e la prima ammissione al corso di laurea di cui trattasi;
– nessuno specifico requisito di ammissione, invece, è formalmente richiesto per i trasferimenti, disciplinati dall’art. 3, commi 8 e 9, del d.m. del 16 marzo 2007 (Determinazione delle classi di laurea magistrale), limitandosi, infatti, tali norme a disporre il riconoscimento dei crediti già maturati dagli studenti, in caso di passaggio non solo ad una diversa università, ma anche ad un diverso corso di laurea, rimettendo la determinazione di criteri e modalità per effettuare tale riconoscimento ai regolamenti didattici, senza esclusione di eventuali colloqui per la verifica delle conoscenze possedute dallo studente;
– solo per il primo accesso alla facoltà appare, pertanto, ragionevole un accertamento della predisposizione agli studi da intraprendere, mentre per gli studenti già inseriti nel sistema (ovvero, già iscritti in università italiane o straniere) può richiedersi soltanto una valutazione dell’impegno complessivo di apprendimento, come dimostrato dall’acquisizione dei crediti corrispondenti alle attività formative compiute;
– per il trasferimento, sia in ambito nazionale che con provenienza da università straniere, l’ammissione agli studi universitari si pone come requisito pregresso, divenuto irrilevante in quanto superato dal percorso formativo-didattico già seguito in ambito universitario (che deve, comunque, essere oggetto di rigorosa valutazione);
– non si pone, conclusivamente, alcun problema di “elusione” del percorso prescritto dalla legge, se gli obiettivi perseguiti vengono pienamente raggiunti per vie diverse, comunque rispettose delle capacità formative delle università e delle regole dalle medesime dettate per assicurare la più ampia possibile attuazione del diritto allo studio, costituzionalmente garantito, non senza un rigido e serio controllo del percorso formativo dello studente che chieda il trasferimento da altro Ateneo.
I principi basilari sopra sintetizzati, in conformità alla linea interpretativa tracciata dall’Adunanza Plenaria, si adattano perfettamente – e non potrebbero essere disattesi senza ingiustificata disparità di trattamento – al caso qui in esame, ovvero alla situazione di chi abbia maturato in facoltà italiane, diverse da “Medicina e Chirurgia”, crediti formativi “spendibili” anche in quest’ultima facoltà, secondo i regolamenti didattici dell’Ateneo.
Ove tali crediti sussistano – e siano sufficienti per l’immatricolazione in anni successivi al primo – non c’è ragione per non ritenere doverosa detta immatricolazione (come già previsto per chi abbia iniziato gli studi di Medicina e Chirurgia in una università straniera) senza reiterazione del test di primo accesso, all’unica ulteriore condizione della presenza di posti disponibili, presso l’Ateneo a cui venga presentata la domanda per mancata iscrizione degli idonei selezionati negli anni antecedenti, ovvero per trasferimenti in uscita o rinunce agli studi.
Le conclusioni sopra esposte appaiono conformi alla ratio, che giustifica sul piano costituzionale e comunitario la stessa previsione del cosiddetto “numero chiuso”, ovvero dell’accesso programmato a facoltà in cui il numero degli iniziali aspiranti superi di gran lunga le capacità formative degli atenei, nonché – per quanto noto in sede di programmazione – alle esigenze del sistema sociale e produttivo, in cui dovranno immettersi i nuovi professionisti (si confronti, per il principio, Corte Costituzionale, sentenza 11 dicembre 2013, n. 302 in tema di graduatoria unica nazionale; ordinanza 20 luglio 2007, n. 307; sentenza 27 novembre 1998, n. 383 sulla previgente l. n. 341/1990, come modificata con l. n. 127/1997 sulla base di principi speculari a quelli ora deducibili in rapporto alla l. n. 264/1999; Corte di Giustizia dell’Unione europea, III sezione, 12 giugno 1986).
Dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria sopra richiamata emerge, infatti, con chiarezza come il cosiddetto numero chiuso sia reso indispensabile dall’esigenza di assicurare, per la formazione di professionalità adeguate, che l’accesso alla facoltà di “Medicina e Chirurgia” sia subordinato alla congruità del rapporto fra numero di studenti e idoneità delle strutture, sotto il profilo non solo della didattica, ma anche della disponibilità di laboratori e della possibilità di avviare adeguate esperienze cliniche, nonché di accedere alle specializzazioni. Non ultima, infine, (ferma restando la priorità delle esigenze sopra indicate) è la finalità di assicurare – anche in considerazione della libera circolazione di professionisti in ambito U.E. – la possibilità di adeguati sbocchi lavorativi, da commisurare al fabbisogno nazionale, sul presupposto che vi sia un potenziale bilanciamento fra medici formati in altri Paesi dell’Unione, operanti in Italia, e medici italiani trasferiti in ambito comunitario. Anche la Corte di Giustizia dell’Unione europea – pur escludendo la sussistenza di un obbligo, a livello comunitario, di limitare il numero di studenti ammessi alle facoltà di Medicina – ha riconosciuto la facoltà dei singoli Stati di adottare le misure più opportune, per garantire i predetti, ottimali livelli di formazione, al fine di tutelare lo standard qualitativo della sanità pubblica. Parimenti, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha affermato che “in linea di principio, la limitazione dell’accesso agli studi universitari non è incompatibile con l’art. 2 del Protocollo n. 1, tenendo presenti le risorse disponibili e il fine di ottenere alti livelli di professionalità (…). Pertanto, l’applicazione del numero chiuso non può violare la citata norma se è ragionevole e nell’interesse generale della società. La materia ricade nell’ampio margine di apprezzamento dello Stato” (in tal senso, oltre alle sentenze sopra citate, T.A.R. Lazio, Roma, Sezione III, n. 9269/2005 e n. 10129/2017).
E’ dato di comune esperienza, d’altra parte, che la difficoltà degli studi di cui trattasi, o altre possibili circostanze, finiscano per “sfoltire”, nel corso degli anni, il numero degli immatricolati, creando disponibilità di posti che non c’è ragione di lasciare scoperti, non solo per il legittimo soddisfacimento di interessi costituzionalmente tutelati, ma anche nell’interesse pubblico ad un livello qualitativo e quantitativo di personale sanitario, in grado di soddisfare le esigenze della popolazione.
Per tutte le ragioni esposte, il ricorso per motivi aggiunti appare meritevole di accoglimento, sotto gli assorbenti profili della violazione o falsa applicazione della legge n. 264 del 1999 (a seguito di interpretazione costituzionalmente orientata della stessa) e dell’eccesso di potere per disparità di trattamento, con conseguente annullamento della disposizione, contenuta nell’allegato 2, punto 12, al d.m. n. 337 del 2018, nella parte in cui consente l’iscrizione ad anni successivi al primo, senza previo superamento della prova di ammissione, “esclusivamente” a chi provenga dai medesimi corsi di laurea magistrale, per trasferimento da “altra sede universitaria italiana, comunitaria o extracomunitaria”, senza considerare che a non diversa valutazione di equipollenza degli esami sostenuti, rispetto a quelli previsti nel piano di studio di “Medicina e Chirurgia”, si può pervenire, anche ove detti esami siano stati sostenuti in facoltà diverse.
Gli effetti conformativi della presente pronuncia non implicano, in ogni caso, il richiesto accertamento di un diritto della ricorrente all’immatricolazione richiesta, essendo rimessa al discrezionale apprezzamento dell’Ateneo resistente – in base ai parametri vigenti – la valutazione sia di equipollenza che di sufficienza, o meno, dei crediti formativi in possesso della ricorrente, per la relativa immatricolazione al terzo anno della facoltà di “Medicina e Chirurgia” (sempre che, si ripete, sussistano per tale a