TAR Lazio, Roma, Sez. III-quater, 4 giugno 2020, n. 5902

Riconoscimento titoli

Data Documento: 2020-06-04
Area: Giurisprudenza
Massima

Un titolo extracomunitario, che abbia ottenuto un primo riconoscimento in uno Stato membro, resta comunque un titolo extra-comunitario, atteso che l’eventuale riconoscimento ottenuto in uno Stato membro non vale a trasformare automaticamente il titolo in questione in un titolo di studio conseguito in quel Paese comunitario. Pertanto, un titolo di studio serbo, e cioè extra-comunitario, non può comunque, nonostante il riconoscimento rumeno, costituire un valido titolo per potere esercitare la professione di odontoiatra in Italia in regime di libera prestazione di servizi occasionale e temporanea. Infatti, la direttiva 2005/36/CE non impone affatto ad uno Stato membro di assumere le proprie determinazioni sulla scorta di decisioni già prese da un altro Paese UE, né uno Stato membro può considerarsi vincolato ad accogliere istanze aventi ad oggetto un titolo extra-comunitario senza compiere alcuna valutazione circa la sua formazione, per il solo fatto che detto titolo abbia ottenuto un primo riconoscimento in un altro Stato membro, come pure emerge dalla lettera del 12° considerando della succitata direttiva.

Contenuto sentenza

N. 05902/2020 REG.PROV.COLL.
N. 02506/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2506 del 2011, proposto da 
[#OMISSIS#] Lozzi, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] Scione, [#OMISSIS#] Scione, con domicilio eletto presso lo studio [#OMISSIS#] Scione in Roma, via Sardegna, 55; 
contro
Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
per l’annullamento
del rigetto richiesta di autorizzazione per l’esercizio del diritto alla libera prestazione dei servizi per la professione sanitaria di odontoiatra in Italia.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Salute;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 29 maggio 2020 la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], tenutasi secondo le modalità di cui all’art.84 del D.L. n.18/2020, conv. in legge n. 24/2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente ha impugnato il provvedimento di diniego del Ministero della Salute con il quale è stata rigetta la sua istanza per l’esercizio del diritto alla libera prestazione dei servizi, a carattere temporaneo ed occasionale, per la professione sanitaria di odontoiatra in Italia, in base al titolo di “Dottore in Stomatologia”, rilasciato dall’Università Novi Sad (Serbia) il 29 agosto 2000 e successivamente riconosciuto in Romania.
L’Amministrazione si è costituita controdeducendo nel merito.
All’udienza del 29 maggio 2020, tenutasi secondo le modalità di cui all’art. 84 d.l. 18/2020, conv. in l. 24/2002, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso è infondato sulla base di quanto già rilevato dal Consiglio di Stato, con il parere 1748/2019, avente ad oggetto il diniego opposto dall’Amministrazione, con le stesse motivazioni di quelle oggetto del presente giudizio, avverso un’ulteriore istanza proposta dallo stesso ricorrente per il riconoscimento dello stesso titolo.
In particolare, nel parere sopra detto, il Consiglio di Stato, premesso che “con il parere interlocutorio n. 153/2018 del 15 gennaio 2018 la Sezione seconda ha preliminarmente premesso, nei seguenti termini, una breve ricostruzione della vicenda al fine di isolare gli aspetti rilevanti ai fini della decisione: il ricorrente ha conseguito il diploma di laurea in stomatologia presso l’Università di Novi Sad, Serbia, in data 8 settembre 2000, cui ha fatto seguito, in data 27 giugno 2006, il conseguimento dell’abilitazione professionale; ha poi ottenuto il riconoscimento del titolo serbo, negatogli per ben due volte in Italia, in Romania (attestato n. 84108 del 14 maggio 2007) previo superamento di alcuni esami integrativi risultanti dal certificato 3599 del 3 maggio 2007 rilasciato dall’Università Ovidius di Constanta; in data 12 aprile 2013 ha ottenuto infine dal Ministero della Salute romeno l’attestato di conformità funzionale, ovvero il documento che, a suo dire, certificherebbe l’avvenuta effettuazione dell’attività professionale in quel Paese per 3 anni, con ciò integrando le condizioni richieste dall’art. 3.3 della direttiva del 2005 per l’esercizio del diritto di libero esercizio”, ha rilevato che <<Risultano legittimi e non superati dalle contestazioni di parte ricorrente i due argomenti fondamentali sui quali è fondato il diniego opposto dal Ministero.
2.1. Il titolo di “dottore in stomatologia” rilasciato dall’Università di Novi-Sad (Serbia) l’8 settembre 2000 presenta carenze tali da precludere in ogni caso l’accoglimento di qualsiasi pretesa o istanza concernenti il titolo in questione; il diritto di esercitare libere prestazioni di servizi ai sensi del titolo II della direttiva 2005/36/CE riguarda esclusivamente titoli di studio comunitari, ossia conseguiti in un Paese dell’Unione Europea, sicché non è utile a tal fine il titolo di studio in possesso del sig. Lozzi, che è un titolo extra-comunitario, in quanto conseguito in Serbia, mentre il riconoscimento accademico ottenuto in un altro Stato membro, la Romania (attestato n. 84108/14.05.2007, tramite il superamento di alcuni esami integrativi, cosi come risulta dal “Certificato n. 3599/3.05.2007 rilasciato dall’Università Ovidius di Constanta), non vale a trasformare il titolo serbo in un titolo comunitario.
2.2. Né il diritto di libera prestazione di servizi può essere dal ricorrente rivendicato in ragione del certificato VIII.d/6595/12.04.2013 denominato “Recomandare”, rilasciato dal Ministero della sanità pubblica rumeno, poiché tale documento non certifica “un’esperienza professionale di tre anni sul territorio dello Stato membro che ha riconosciuto”, come richiesto dalla suddetta disposizione, ma, come chiaramente si evince dalla lettura di suddetto certificato, si limita ad attestare “che il dott. [#OMISSIS#] ([#OMISSIS#]) Lozzi, cittadino italiano, titolare del diploma di studio n.1422/4901 rilasciato dall’ Università di Novi Sad, Yugoslavia, il 08.09.2000, equiparato dal Ministero dell’Educazione, della Ricerca e della Gioventù di Romania. . . gode in Romania del diritto di esercizio della professione di medico dentista, con l’osservanza delle disposizioni vigenti”, senza alcun riferimento all’esperienza professionale di tre anni sul territorio rumeno.
3. Sotto il primo profilo, restano in primo luogo insuperate, a prescindere dagli esiti delle vicende penali richiamate nella relazione ministeriali, che non vincolano la valutazione tecnico-discrezionale dell’amministrazione competente riguardo al valore giuridico dei titoli in esame, le accertate lacune e irregolarità con cui è stato conseguito il titolo serbo, che sono tali da invalidare per conseguenza anche qualsiasi atto di riconoscimento successivamente compiuto da altri Stati membri.
3.1. Fondata e condivisibile risulta in secondo luogo l’interpretazione che al riguardo il Ministero fornisce della direttiva comunitaria: essa non impone affatto ad uno Stato membro di assumere le proprie determinazioni sulla scorta di decisioni già prese da un altro Paese UE, né uno Stato membro può considerarsi vincolato ad accogliere istanze aventi ad oggetto un titolo extra-comunitario senza compiere alcuna valutazione circa la sua formazione, per il solo fatto che detto titolo abbia ottenuto un primo riconoscimento in un altro Stato membro. Risolutiva risulta al riguardo la lettera del 12° Considerando della direttiva 2005/36/CE: “La presente direttiva riguarda il riconoscimento, da parte degli Stati membri, delle qualifiche professionali acquisite in altri Stati membri. Non riguarda tuttavia il riconoscimento da parte degli Stati membri di decisioni di riconoscimento adottate da altri Stati membri a nonna della presente direttiva”. È dunque perfettamente conforme a diritto e legittima la conclusione ministeriale, secondo la quale da tale premessa “deriva, pertanto, l’inapplicabilità al titolo in questione, sia delle procedure di riconoscimento di cui alla direttiva medesima, sia delle procedure relative al diritto di libera prestazione dei servizi”.
3.2. Le ragioni oggettive addotte dal Ministero per sostenere le insuperabili criticità del titolo di studio di base vantato dal ricorrente risultano – all’esame proprio della presente sede di legittimità ed escluso ogni apprezzamento di merito riservato all’amministrazione competente – immuni dalle censure dedotte in ricorso e fondate su conclusioni logiche, coerenti, ragionevoli e proporzionate desunte da elementi istruttori adeguati e completi. In particolare, il Ministero ha giustamente posto in evidenza i seguenti elementi di anomalia del percorso formativo che è alla base del titolo di studio serbo conseguito dal ricorrente, anomalie desumibili peraltro dai contenuti stessi della dichiarazione di valore rilasciata al sig. Lozzi dall’Ambasciata d’Italia a Belgrado il 19 dicembre 2005 e presentata dall’interessato al Ministero per la prima volta in 9 gennaio 2006. Da tale dichiarazione di valore risulta che il corso di studi seguito dall’interessato costituisce un corso atipico, diverso da quello previsto per la generalità degli studenti serbi; risulta altresì che il sig. Lozzi avrebbe frequentato presso l’Università di Novi Sad “solo il V e VI anno” del corso di studi in questione “a partire dall’anno accademico 1998/99” e che i “precedenti esami, che risultano sostenuti dall’interessato presso l’Università di Banja Luka (Bosnia ed Erzegovina), sono stati riconosciuti dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Novi Sad”. In particolare, dalla certificazione dell’Università di Novi Sad relativa agli esami sostenuti dal ricorrente, risulta che questi avrebbe sostenuto circa venti esami presso la “Facoltà di medicina in Banja Luka”, esami che in seguito sono stati automaticamente riconosciuti dall’Università di Novi Sad. Risultano al riguardo del tutto logiche e coerenti le osservazioni critiche svolte dal Ministero, secondo il quale “Tuttavia, relativamente alla effettiva frequenza di un regolare corso di studi che il sig. Lozzi avrebbe svolto a Banja Luka (ad esempio: data di immatricolazione, frequenza, date degli esami, etc.) – tenuto conto che all’epoca dei fatti era in corso la ben nota guerra civile, che la città attesi i continui bombardamenti era stata evacuata e che (da notizie assunte per le vie brevi) tutti i registri dell’Università di Banja Luka risultano essere stati distrutti sotto detti bombardamenti – nulla è dato di conoscere; né il sig. Lozzi ha esibito alcuna documentazione atta a comprovare la suddetta frequenza. In termini generali, peraltro, da una nota del Rettore dell’Università di Banja Luka del luglio 2006 – trasmessa a questo Dicastero dall’Ambasciata di Belgrado, concernente alcuni casi di cittadini italiani – si è venuti a conoscenza che anche presso l’Ateneo di Banja Luka i corsi di istruzione sono stati organizzati per gruppi speciali di studenti, quale l’odierno ricorrente, sempre tramite la collaborazione con il Centro interuniversitario di Lugano e secondo le ben note modalità, su cui meglio ci si soffermerà a breve: ossia, la parte teorica della formazione ha avuto luogo presso le sedi del Centro interuniversitario di Lugano; l’istruzione pratica presso la Facoltà di medicina in Banja Luka. Tali cittadini hanno poi completato gli studi presso l’Università di Novi Sad sempre attraverso l’intermediazione del citato Centro di Lugano. Quindi, per quanto riguarda gli studi a Banja Luka, si rimanda alle considerazioni di cui ora si dirà relativamente al corso di studi a Navi Sad”.
Né gli scritti difensivi di parte ricorrente apportano elementi idonei a superare le ora riportate, plurime e gravi carenze e anomalie del percorso formativo rilevate dal competente Ministero.
4. In ogni caso, anche a voler in linea puramente teorica e per mera ipotesi argomentativa postulare la spendibilità del titolo di studio serbo conseguito dal ricorrente, esso non può comunque, nonostante il riconoscimento rumeno, costituire un valido titolo per l’accesso del ricorrente alla chiesta libera prestazione di servizi di odontoiatria occasionale e temporanea in Italia, giustamente negata dal Ministero con il provvedimento in questa sede impugnato.
5. Il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 (recante Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione di Bulgaria e Romania), come modificato dal decreto legislativo 28 gennaio 2016, n. 15 (di Attuazione della direttiva 2013/55/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante modifica della direttiva 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali e del regolamento (UE) n. 1024/2012, relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno – «Regolamento IMI»), all’art. 4 (Definizioni), comma 1, lettera c), a proposito del «titolo di formazione», recepisce, nel secondo periodo, la disposizione contenuta nell’art. 3, par. 3, della direttiva 7 settembre 2005, n. 2005/36/CE, prevedendo che “Hanno eguale valore i titoli di formazione rilasciati da un Paese terzo se i loro possessori hanno maturato, nell’effettivo svolgimento dell’attività professionale, un’esperienza di almeno tre anni sul territorio dello Stato membro che ha riconosciuto tale titolo, certificata dal medesimo” (il testo della direttiva è il seguente: “È assimilato a un titolo di formazione ogni titolo di formazione rilasciato in un paese terzo se il suo possessore ha, nella professione in questione, un’esperienza professionale di tre anni sul territorio dello Stato membro che ha riconosciuto tale titolo ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2 certificata dal medesimo”).
6. Nel caso in esame il ricorrente, che possiede un titolo di studio conseguito in un Paese (la Serbia) non appartenente all’Unione europea, non avendo conseguito il chiesto riconoscimento in Italia e avendone ottenuto il riconoscimento, a seguito di apposite misure di compensazione, in un altro Stato membro dell’Unione (la Romania), ha chiesto di potere esercitare la professione di odontoiatra in Italia in regime di libera prestazione di servizi occasionale e temporanea ai sensi del titolo II del d.lgs. n. 206 del 2007. Viene a tal proposito in rilievo la previsione dell’art. 2, par. 2, della direttiva europea, in base al quale “Ogni Stato membro può consentire, secondo norme sue proprie, ai cittadini degli Stati membri titolari di qualifiche professionali non acquisite in uno Stato membro, l’esercizio di una professione regolamentata sul proprio territorio ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a). Per le professioni che rientrano nel titolo III, capo III, questo primo riconoscimento deve avvenire nel rispetto delle condizioni minime di formazione elencate in tale capo”.
7. Ora, ritiene la Sezione che sia conforme a diritto e da condividere la posizione dell’Amministrazione, secondo la quale un titolo extracomunitario, che abbia ottenuto un primo riconoscimento in uno Stato membro, resta comunque un titolo extra-comunitario, atteso che l’eventuale riconoscimento ottenuto in uno Stato membro non vale a trasformare automaticamente il titolo in questione in un titolo di studio conseguito in quel Paese comunitario, e ciò perché, come si ricava dall’art. 2, par. 1, della direttiva 2005/36/CE, che ne definisce l’ambito di applicazione, il mutuo riconoscimento si applica a tutti i cittadini di uno Stato membro che vogliono esercitare come lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, “una professione regolamentata in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche professionali”; si applica, dunque, ai cittadini comunitari in possesso di un titolo comunitario, non ai cittadini comunitari che hanno conseguito un titolo extracomunitario, ma riconosciuto da uno Stato membro. Come bene specifica il Ministero “In sostanza, il riconoscimento da parte di uno Stato di un titolo conseguito in un altro Stato si configura, dal punto di vista amministrativo, (solo) come un provvedimento autorizzativo, con ciò intendendo che un riconoscimento di un titolo da parte di un Paese non significa conseguire una seconda laurea in detto Paese”.
8. Neppure fondata può ritenersi la ulteriore pretesa di parte ricorrente di poter esercitare in Italia, in regime di libera prestazione di servizi occasionale e temporanea, sull’assunto che il titolo in suo possesso possa essere considerato un titolo “assimilato ad un titolo di formazione” conseguito in un Paese membro, ai sensi degli artt. 3, par. 3, e 2, par. 2, della direttiva.
Come chiarito ulteriormente all’esito del parere interlocutorio del 2018, il titolo di studio in possesso del ricorrente non gode di nessuno dei presupposti previsti dalle due citate disposizioni. Il certificato n. VIII.d/6595/12.04.2013 denominato “Recomandare”, rilasciato dal Ministero della sanità pubblica romeno, non certifica affatto “un’esperienza professionale di tre anni sul territorio dello Stato membro che ha riconosciuto”, come richiesto dall’art. 3, par. 3 (art. 4, comma 1, lettera c), secondo periodo, del d.lgs. n. 206 del 2007), ma esclusivamente del diritto del ricorrente di esercitare in Romania la professione di medico dentista.
Né persuade la replica di parte ricorrente, secondo la quale “la Romania è Stato membro che ha recepito la Direttiva 2005/36/CE; dunque il suddetto attestato di conformità N. VIII.d/6595/12.04.2013, denominato “recomandare”, rilasciato dalla competente autorità statale non può avere altro contenuto e scopo che quello prescritto dalla medesima direttiva. Svuotare di contenuto detto certificato vuol significare disapplicare la normativa europea”. In realtà ciò che conta è il contenuto del certificato prodotto dall’autorità estera, non la sua (minore o maggiore) riferibilità a un modello o a un qualche tipo in astratto previsto dalla norma del diritto eurounitario, poiché non è il titolo o l’intestazione formale di un atto che ne determinano il reale valore ed effetto giuridico, ma la portata semantica oggettiva di quanto in esso riferito e contenuto. Non è condivisibile la tesi di parte ricorrente secondo la quale per il solo fatto che un attestato risulta rilasciato in base a una norma europea o con un qualche richiamo ad essa, automaticamente esso possa e debba assumere contenuti favorevoli e positivi ai fini astratti di mutuo riconoscimento dei titoli e delle qualifiche professionali.
9. Irrilevanti ai fini del decidere risultano poi le ulteriori attestazioni rilasciate dalle autorità rumene su richiesta dell’Ambasciata d’Italia a Bucarest riguardo alla specializzazione di odontoiatra dell’Università Ovidius di Costanza e alla perdurante validità, in Romania, dell’attestato di riconoscimento n. 84108/14.05.2007 emesso a favore del ricorrente: il tema da decidere, infatti, non è certo se il ricorrente possa esercitare la professione di odontoiatra in Romania, ma se quei titoli siano idonei a consentirgli di esercitarla in Italia, sia pure in regime di l
ibera prestazione dei servizi temporanea ed occasionale. Parimenti irrilevanti restano in questa sede tutte le altre questioni riguardanti i rapporti del ricorrente con il Collegio dei dentisti rumeno e le sue eventuali pendenze fiscali in quel Paese.

10. Non sussistono altresì le condizioni di cui all’art. 2, paragrafo 2, della direttiva europea (in base al quale “ogni Stato membro può consentire, secondo norme sue proprie, ai cittadini degli Stati membri titolari di qualifiche professionali non acquisite in uno Stato membro, l’esercizio di una professione regolamentata sul proprio territorio ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a). Per le professioni che rientrano nel titolo III, capo III questo primo riconoscimento deve avvenire nel rispetto delle condizioni minime di formazione elencate in tale capo”) perché, per quanto riguarda la professione di dentista, le condizioni minime di formazione sono quelle indicate nell’art. 34 della direttiva, in base al quale occorre un’apposita certificazione che il riconoscimento sia avvenuto nel rispetto delle condizioni minime di formazione (nell’ambito del cd. “attestato di conformità” rilasciato dalla competente autorità dello Stato di riconoscimento, nel caso in esame il Ministero della salute romeno, ai sensi dell’art. 56 della direttiva), certificazione non presentata dal ricorrente>>.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto con compensazione delle spese stante la particolarità della questione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Massimo [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Primo Referendario
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]
Massimo [#OMISSIS#]
IL SEGRETARIO
Pubblicato il 04/06/2020