Gli artt. 6, comma 14, e 8, l. n. 240/2010 (come poi integrati dall’art. 1, comma 629, l. n. 205/2017) non introducono alcun termine di decadenza oltre il quale è impedita la trasmissione della rendicontazione. Se è pur vero che essa demanda alle singole università la valutazione del complessivo impegno didattico, di ricerca e gestionale ai fini dell’attribuzione degli scatti triennali di cui all’articolo 8 e la definizione della relativa procedura necessaria, non si rinviene alcuna norma che limita nel tempo la possibilità del singolo docente di fornire la documentazione necessaria alla nuova (perché non più automatica come nel precedente regime) valutazione discrezionale dell’Ateneo.
Il Regolamento di Ateneo si limita a prevedere che il conseguimento dello “scatto” in questione è subordinato allo svolgimento e alla regolare rendicontazione dell’attività didattica, didattica integrativa e di servizio agli studenti svolta dal docente nel periodo di riferimento.
Or bene, se è vero che – seguendo la procedura informatica introdotta dal Regolamento e affidata alla gestione di società terza – non risultava agli atti la rendicontazione richiesta, ciò non appare sufficiente al Collegio per impedire la valutazione in questione, dato che la censura svolta dal prof. Cannizzaro è proprio basata sull’impedimento che la stessa Università aveva opposto per fornirla anche successivamente ai termini previsti.
Indipendentemente dalla verifica sulla effettiva persistenza o meno di problemi informatici all’epoca dell’inserimento, non si rinviene una motivazione logica e volta all’efficacia dell’azione amministrativa nella opposizione all’integrazione “postuma” di tale trasmissione della rendicontazione, anche in forma diversa da quella meramente informatica.
Sebbene l’Ateneo sostenesse che fosse imprescindibile il “caricamento” nel sistema di una rendicontazione firmata “digitalmente”, perché solo in tal modo i dati inseriti nella scheda di rendicontazione acquisterebbero il valore giuridico di una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 445/2000, tale tesi non può ritenersi decisiva, proprio per il riferimento a tale ultima norma, la quale prevede solo che la dichiarazione debba essere resa e sottoscritta dall’interessato con le modalità di cui all’art. 38 d.P.R. 445/2000. Ebbene, tale disposizione, a sua volta, prevede che tali dichiarazioni “possono” essere inviate alla p.a. “anche” per fax o via telematica, con la conseguenza che non risulta imposta ed esclusiva una modalità di “sottoscrizione digitale”.
TAR Lazio, sez. III, 18 ottobre 2021, n. 10661
Obbligo dell'Università di riaprire i termini per la rendicontazione e per la presentazione della domanda di attribuzione degli scatti di anzianità
N. 10661/2021 REG.PROV.COLL.
N. 06740/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6740 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto da
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Corso d’Italia, 106;
contro
Università degli Studi Roma “La Sapienza” e Ministero dell’Università e della Ricerca, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano “ex lege” in Roma, via dei Portoghesi, 12;
1) per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
nei confronti
per l’annullamento e/o previa adozione di idonee misure cautelari
– del silenzio serbato sull’istanza presentata dal Prof. [#OMISSIS#] in data 3 marzo 2020, in merito alla riapertura dei termini per la rendicontazione dell’attività per l’annualità 2016-2017 e alla
presentazione della richiesta di attribuzione dello scatto stipendiale triennale;
– per quanto di interesse e ove occorrer possa, del Decreto Rettorale n. 943/2018 recante il Regolamento dell’Università La Sapienza ai fini dell’attribuzione degli scatti stipendiali;
– per quanto di interesse e ove occorrer possa, il Decreto Rettorale n. 1710/2020 prot. n. 0047483 dell’Università La Sapienza adottato il 3 luglio 2020 che indice la 1^ sessione 2020 della procedura di valutazione del complessivo impegno didattico, di ricerca e gestionale dei professori e ricercatori universitari a tempo indeterminato, ai fini dell’attribuzione dello scatto stipendiale;
– di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, anche allo stato non cogniti.
nonché, per l’accertamento
– dell’obbligo dell’Università di riaprire i termini per la rendicontazione per l’anno accademico 2016-2018 e per la presentazione della domanda di attribuzione degli scatti, o, comunque, di garantire il diritto del ricorrente Prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ad essere sottoposto a valutazione ai fini dell’attribuzione dello scatto triennale maturato in data 19 giugno 2018 (1^ sessione 2018);
2) per quanto riguarda i motivi aggiunti:
– della nota prot. 2021-URM1SAM-0012533 dell’Università di Roma La Sapienza inviata a mezzo pec il 17.02.2021 con cui il Direttore dell’Area Risorse Umane ha comunicato al ricorrente l’esito negativo del procedimento di verifica della domanda di scatto stipendiale presentata il 27 luglio 2020, per la seguente motivazione “mancata o incompleta rendicontazione dell’attività didattica svolta nell’anno accademico 2016/2017”;
– del Decreto Rettorale dell’Università Sapienza n. 2965/2020 del 25.11.2020, comunicato il 17.02.2021, recante l’approvazione degli atti del Gruppo di lavoro per la verifica del possesso dei requisiti ai fini dell’attribuzione dello scatto stipendiale e dell’Allegato 2, in cui risulta inserito il ricorrente;
– per quanto di interesse, del Decreto Rettorale n. 943/2018 recante il Regolamento dell’Università Sapienza ai fini dell’attribuzione degli scatti stipendiali;
– per quanto di interesse, il Decreto Rettorale n. 1710/2020 prot. n. 0047483 dell’Università Sapienza adottato il 3 luglio 2020 che indice la 1^ sessione 2020 della procedura di valutazione ai fini dell’attribuzione dello scatto stipendiale;
– per quanto di interesse e ove occorrer possa, del Decreto Rettorale 61/2021 del 11.01.2021, recante il nuovo Regolamento sugli scatti stipendiali;
– di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, anche allo stato non cogniti.
nonché, per l’accertamento
– dell’obbligo dell’Università di riaprire i termini per la rendicontazione per l’anno accademico 2016-2017 dell’attività didattica svolta dal ricorrente e, in ogni [#OMISSIS#],
– del diritto del ricorrente Prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ad essere sottoposto a valutazione per ottenere tutti gli scatti stipendiali ad oggi maturati.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e del Ministero dell’Università e della Ricerca, con la relativa documentazione; Vista l’ordinanza cautelare n. 6295/2020 del 9 ottobre 2020;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2021 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con rituale ricorso a questo Tribunale, introdotto con il rito di cui all’art. 117 c.p.a., il prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], ordinario di Diritto internazionale e di Diritto dell’Unione europea presso la Facoltà di giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, lamentava il silenzio serbato dall’Ateneo sulla sua richiesta del 3 marzo 2020 di essere riammesso ad effettuare telematicamente la rendicontazione didattica per l’anno 2016-2017 e, comunque, di poter presentare, senza ricevere un blocco dal sistema, la richiesta di attribuzione dello scatto triennale e, in ogni [#OMISSIS#], di essere ammesso alla valutazione per l’attribuzione del diritto allo scatto triennale avendo maturato l’anzianità necessaria in data 19 giugno 2018, sulla base delle attività didattiche
effettivamente svolte nel triennio antecedente.
In sintesi, era accaduto che il ricorrente, pur avendo svolto regolarmente la sua attività didattica e dato luogo a produzione scientifica nell’anno accademico 2016-17, non riusciva a “caricare” regolarmente i dati nel sistema informatico predisposto dall’Ateneo; maturato nel giugno 2018 il diritto a essere sottoposto a valutazione, il prof. [#OMISSIS#] provvedeva, quindi, a redigere le necessarie relazioni per il triennio 2015-2017 e quella per il triennio 2016-2018 ma entrambe le relazioni non includevano le attività didattiche relative all’anno 2016-2017, in quanto non rendicontate attraverso il sistema telematico (come accaduto altresì per la relazione triennale da [#OMISSIS#] presentata, relativa [#OMISSIS#] anni 2017-2019).
Constatato che – per il blocco automatico del sistema – non era più possibile reinserire “a posteriori” nel sistema informatico la rendicontazione didattica per l’a.a. 2016-17 e visto che l’Università aveva disposto la proroga – fino al 4 giugno 2020 – dei termini già riaperti nel mese di febbraio 2020 per la rendicontazione dell’attività didattica ma per i soli anni accademici 2017-2018 e 2018- 2019 e non già l’anno 2016-2017, il prof. [#OMISSIS#], ricevendo da alcuni colleghi la comunicazione “informale” per la quale risultavano riaperti termini per alcuni docenti individualmente, contattava l’Ateneo e proponeva la su ricordata istanza formale, senza ottenere alcuna risposta.
Nel ricorso introduttivo, pertanto, premettendo un “excursus” sulla normativa, anche regolamentare de “La Sapienza”, nell’esposizione “in diritto” il ricorrente lamentava, in un primo motivo: “Violazione e falsa applicazione della Legge n. 240/2010, articoli 6 e 8 – Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 232/2011 – Carenza di potere e incompetenza assoluta – Violazione degli articoli 1, 34 e 35 della Costituzione – Violazione dell’art. 2498 c.c. – Violazione del principio del legittimo affidamento – Eccesso di potere – Carenza del presupposto – Irragionevolezza e contraddittorietà manifesta”.
Il prof. [#OMISSIS#] esponeva che le regole procedurali contenute nel Regolamento de “La Sapienza” avevano leso la sostanza del suo diritto, attraverso l’imposizione di condizioni e termini non necessari né proporzionali rispetto all’interesse dell’amministrazione ad essere tutelata nel conoscere i dati relativi all’attività dei docenti.
In secondo luogo, evidenziava che dovevano essere considerati equiparabili, ai fini della concessione dello scatto stipendiale in questione, l’effettivo svolgimento dell’attività didattica e la relativa rendicontazione formale.
Con un secondo motivo lamentava:
“Violazione degli art. 3, 35 e 36 della Costituzione – Contrarietà ai principi generali dell’azione amministrativa – Violazione del principio di non aggravamento del procedimento amministrativo – Eccesso di potere – Carenza del presupposto – Irragionevolezza e contraddittorietà manifesta.”
Anche se gestita per mezzo di modalità informatiche, l’azione amministrativa deve sempre rispondere ai principi generali di ragionevolezza, proporzionalità e non aggravamento del procedimento di cui alla legge n. 241/1990.
Illegittima, pertanto, era l’inerzia dell’Amministrazione a fronte della richiesta di riaprire i termini per la rendicontazione suddetta per l.a.a. 2016-17.
Con un terzo motivo lamentava:
“Violazione ed erronea applicazione degli artt. 2, 3, 8, 10 bis della legge n. 241/1990 – Violazione dell’art. 3 della Costituzione – Eccesso di potere – Difetto di istruttoria – Carenza del presupposto – Irragionevolezza e contraddittorietà manifesta – Disparità di trattamento”.
In maniera contraddittoria e affetta da eccesso di potere per sproporzione e disparità risultava la riapertura retroattiva dei termini per la rendicontazione dell’attività disposta dall’Università per gli anni 2017- 2018 e 2018-2019 e non già per l’annualità 2016-2017, come richiesto dal ricorrente. Inoltre, il silenzio sull’istanza del prof. [#OMISSIS#] risultava affetto da palese disparità di trattamento e discriminazione, risultando la riapertura dei termini sia per altri professori sia per le sole annualità sopra indicate.
Si costituivano in giudizio per resistere al ricorso l’Ateneo intimato e il Ministero dell’Università e Ricerca.
In prossimità della [#OMISSIS#] di consiglio parte ricorrente depositava una memoria illustrativa.
Con l’ordinanza in epigrafe, questa Sezione rigettava la domanda cautelare e disponeva la conversione del rito proposto ex art. 117 c.p.a., in rito ordinario.
Con successivi, rituali, motivi aggiunti, il prof. [#OMISSIS#] chiedeva l’annullamento degli ulteriori provvedimenti in epigrafe, con i quali l’Università aveva comunicato l’esito negativo del procedimento di verifica della domanda di scatto stipendiale presentata il 27 luglio 2020, per la motivazione relativa alla “mancata o incompleta rendicontazione dell’attività didattica svolta nell’anno accademico 2016/2017”.
In sostanza, il ricorrente riproponeva, come censure di annullamento, le doglianze già illustrate nel ricorso introduttivo.
Riassumendo, quindi, gli antefatti della vicenda e richiamando nuovamente le basi normative e il Regolamento dell’Università sul punto, ivi compreso il nuovo testo di cui al D.R. n. 61/2021, il prof. [#OMISSIS#] riproponeva, [#OMISSIS#] sostanza, il primo motivo, alla cui sintetica esposizione di cui sopra si rimanda.
Con un secondo motivo lamentava:
“Violazione dell’Articolo 1 Protocollo 1 e dell’Articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – Violazione del principio del legittimo affidamento – Eccesso di potere – Sproporzione – Irragionevolezza e contraddittorietà manifesta”.
Il ricorrente, prima con il rigetto della richiesta di riapertura dei termini per la rendicontazione dell’attività 2016/2017 – oggetto del ricorso introduttivo – e poi con il rigetto della domanda di attribuzione dello scatto – oggetto dei motivi aggiunti – era stato illegittimamente privato del proprio diritto alla progressione stipendiale, quale parte della propria retribuzione, con una evidente negativa ripercussione sull’importo del proprio trattamento pensionistico e violazione della CEDU.
Il ricorrente, poi, osservava che il Regolamento di Ateneo non era conforme al dettato normativo, il quale non equiparava lo svolgimento dell’attività alla rendicontazione della stessa, non si fondava su alcun motivo di interesse generale, avendo quale unica finalità quella di integrare il fondo universitario e non era proporzionato al fine che il legislatore aveva inteso realizzare.
Il prof. [#OMISSIS#] interpretava l’operato dell’Ateneo come irrogazione di una sanzione afflittiva, contraria al principio, di cui all’art. 7 della Convenzione EDU, “[#OMISSIS#] poena sine lege” nonché al principio di legalità.
Con un terzo motivo aggiunto, il ricorrente riprendeva il secondo motivo del ricorso introduttivo, nuovamente illustrandolo.
Analogamente provvedeva con un quarto motivo, conforme [#OMISSIS#] sostanza al terzo del ricorso introduttivo.
A tale esposizione il ricorrente faceva seguire una ulteriore memoria illustrativa.
L’Università depositava in atti documentazione, unitamente a una relazione, in cui ribadiva la propria posizione legata a una stretta interpretazione della normativa regolamentare vigente.
Il ricorrente, a sua volta, depositava una memoria “di replica”, ove ribadiva le sue tesi anche alla luce del contenuto di tale relazione.
Alla pubblica udienza del 6 ottobre 2021 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, rileva l’improcedibilità del ricorso introduttivo per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto, nelle more, l’Ateneo ha riscontrato l’istanza del prof. [#OMISSIS#] assumendo la determinazione negativa impugnata ritualmente con i motivi aggiunti, sui quali deve quindi accentrarsi la decisione sul gravame in esame, secondo il mutamento di rito già disposto
con l’ordinanza in epigrafe.
In merito, il Collegio rileva la fondatezza del primo motivo.
In primo luogo il Collegio concorda con la ricostruzione del ricorrente, nel senso che il “petitum” della sua domanda – o meglio gli effetti derivanti da un accoglimento del gravame – riguarda non la diretta attribuzione dello scatto stipendiale in questione, lasciata all’attività discrezionale dell’Ateneo a fronte di posizione di interesse legittimo “pretensivo” del docente, ma la possibilità di completare l’”iter” del procedimento, permettendo all’interessato di presentare il rendiconto della sua attività didattica per l’a.a. 2016-17, senza considerare la decisività del “blocco informatico” operato dal sistema, considerato unico strumento di “dialogo” con l’Ateneo stesso.
Le norme primarie applicabili alla fattispecie sono quella di cui [#OMISSIS#] artt. 6, comma 14, e 8, l. n. 240/2010 (come poi integrati dall’art. 1, comma 629, l. n. 205/2017). La prima prevede che: “I professori e i ricercatori sono tenuti a presentare una relazione triennale sul complesso delle attività didattiche, di ricerca e gestionali svolte, unitamente alla richiesta di attribuzione dello scatto stipendiale di cui [#OMISSIS#] articoli 36 e 38 del decreto del [#OMISSIS#] della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, [#OMISSIS#] restando quanto previsto in materia dal decreto-legge 31 [#OMISSIS#] 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. La valutazione del complessivo impegno didattico, di ricerca e gestionale ai fini dell’attribuzione degli scatti triennali di cui all’articolo 8 è di competenza delle singole università secondo quanto stabilito nei regolamenti di ateneo. In [#OMISSIS#] di valutazione negativa, la richiesta di attribuzione dello scatto può essere reiterata dopo che sia trascorso almeno un anno accademico. Nell’ipotesi di mancata attribuzione dello scatto, la somma corrispondente è conferita al Fondo di ateneo per la premialità dei professori e dei ricercatori di cui all’articolo 9.”
La seconda rimanda a un regolamento governativo ai sensi dell’art. 17, comma 2, l. n. 400/1988 la revisione della disciplina del trattamento economico dei professori e dei relativi importi.
Nel [#OMISSIS#] di specie, ciò che è in contestazione – come emerge chiaramente dall’impugnativa di cui ai motivi aggiunti – è la mancata possibilità per il prof. [#OMISSIS#] ad essere “ammesso” alla procedura di valutazione, gradino successivo dell’intero procedimento, fondata sulla laconica motivazione di cui al provvedimento ivi impugnato legata alla “mancata o incompleta rendicontazione dell’attività didattica svolta nell’anno accademico 2016/2017”.
In sostanza, al ricorrente è stato impedito di produrre tale rendicontazione in un periodo anche successivo a quello fissato dal Regolamento di Ateneo.
Come si nota, la [#OMISSIS#] primaria su riportata non introduce alcun [#OMISSIS#] di decadenza oltre il quale è impedita la trasmissione della rendicontazione; se è pur vero che essa demanda alle singole università la valutazione del complessivo impegno didattico, di ricerca e gestionale ai fini dell’attribuzione degli scatti triennali di cui all’articolo 8 e la definizione della relativa procedura necessaria, non si rinviene alcuna [#OMISSIS#] che limita nel tempo la possibilità del singolo docente di fornire la documentazione necessaria alla (nuova perché non più automatica come nel precedente regime) valutazione discrezionale dell’Ateneo.
L’Università “La Sapienza”, in questa sede, invoca il Regolamento di Ateneo introdotto dal D.R. n. 943 del 28 marzo 2018, il cui art. 3, comma 1, lett. a) – per quel che qui rileva – si limita a prevedere che il conseguimento dello “scatto” in questione è subordinato allo svolgimento e alla regolare rendicontazione dell’attività didattica, didattica integrativa e di servizio [#OMISSIS#] studenti svolta dal docente nel periodo di riferimento.
Or [#OMISSIS#], se è vero che – seguendo la procedura informatica introdotta dal Regolamento e affidata alla gestione di società terza – non risultava [#OMISSIS#] atti la rendicontazione richiesta, ciò non appare sufficiente al Collegio per impedire la valutazione in questione, dato che la censura svolta dal prof. [#OMISSIS#] è proprio basata sull’impedimento che la stessa Università aveva opposto per fornirla anche successivamente ai termini previsti (al 31 ottobre 2017).
Indipendentemente dalla verifica sulla effettiva persistenza o meno di problemi informatici all’epoca dell’inserimento, non si rinviene una motivazione logica e volta all’efficacia dell’azione amministrativa [#OMISSIS#] opposizione all’integrazione “postuma” di tale trasmissione della rendicontazione, anche in forma diversa da quella meramente informatica.
Sostiene l’Ateneo che sarebbe imprescindibile e, quindi, necessario il “caricamento” nel sistema di una rendicontazione firmata “digitalmente” perché solo in tal modo i dati inseriti [#OMISSIS#] scheda di rendicontazione acquisterebbero il valore giuridico di una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 445/2000, ma tale tesi non può ritenersi decisiva, proprio per il riferimento a tale [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], la quale prevede solo che la dichiarazione debba essere resa e sottoscritta dall’interessato con le modalità di cui all’art. 38 d.P.R. cit. Ebbene, tale disposizione, a sua volta, prevede che tali dichiarazioni “possono” essere inviate alla p.a. “anche” per fax o via telematica, con la conseguenza che non risulta imposta ed esclusiva una modalità di “sottoscrizione digitale”.
Trattandosi – nel [#OMISSIS#] di specie – di dichiarazioni di fatti noti comunque alla stessa Università, avendo chiarito il ricorrente, con tesi non smentita con elementi contrari e oggettivi dalla parte resistente, che la verifica dell’attività didattica, in quanto oggettiva [#OMISSIS#] sua essenza, ben poteva essere provata con altri strumenti facilmente accessibili al medesimo Ateneo (verbali, testimonianze, etc…), non si riscontra alcuna [#OMISSIS#] che impedisca all’interessato di provvedere mediante deposito “cartaceo” della dichiarazione sottoscritta, anche con la modalità di cui all’art. 38, comma 3, cit.
Lo stesso Regolamento di Ateneo sull’attribuzione, autocertificazione e verifica delle attività didattiche e di servizio [#OMISSIS#] studenti da parte dei professori e dei ricercatori ai sensi dell’art. 6, comma 7, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, emanato con D.R n. 327/2016 del 04.02.2016, come richiamato [#OMISSIS#] relazione depositata in atti dall’Università, all’art. 9 prevede a sua volta che docenti sono tenuti a dichiarare in apposito registro predisposto dall’Ateneo, “anche” in formato digitale, tutte le attività didattiche e di servizio [#OMISSIS#] studenti effettuate e che “…I medesimi sono tenuti altresì a sottoscrivere al [#OMISSIS#] di ogni anno accademico, anche in forma digitale, le dichiarazioni di cui al comma precedente nei modi stabiliti dall’Ateneo. La dichiarazione assume valore di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà sensi dell’art. 47 del D.P.R. n. 445/2000. Ogni docente è personalmente responsabile di quanto dichiarato, secondo quanto previsto dalla normativa in materia di autocertificazione e di dichiarazioni mendaci (art. 76 D.P.R. N. 445/2000)”.
Come si nota, pertanto, anche lo stesso Regolamento invocato dall’Ateneo, usando l’espressione “anche” in relazione al deposito in forma digitale, non impone tale modalità né preclude altre forme, pur sempre nel rispetto della d.P.R. n. 445/2000.
E’ vero che – come sostenuto dall’Università in questa sede – i professori hanno l’obbligo di svolgere i compiti didattici loro affidati e sono anche tenuti ad autocertificare le attività didattiche e di servizio gli studenti svolte nel corso dell’anno accademico e che tale autocertificazione era formalmente assente [#OMISSIS#] posizione del ricorrente, ma ciò è avvenuto per la rigidità del sistema informatico e per la immotivata opposizione, anche mediante silenzio, alle istanze del ricorrente di provvedere in altra forma, in merito all’attività didattica per l’a.a. 2016-17, che – [#OMISSIS#] sostanza – la stessa Università non disconosce essere avvenuta, non presentando elementi in tale senso.
Pertanto, l’informatizzazione della procedura non può essere un ostacolo insormontabile per la presentazione di una autodichiarazione su fatti effettivi e altrimenti verificabili, come chiedeva il prof. [#OMISSIS#].
In sostanza, il ricorrente ha sì non adempiuto a un obbligo di legge ma per fatto dovuto all’Ateneo stesso e non alla sua volontà.
Il Collegio, peraltro, ribadisce che lo strumento informatico può essere un [#OMISSIS#] all’attività amministrativa ma non può costituire l’unico strumento di dialogo tra p.a. e cittadino, laddove è necessaria la verifica di una manifestazione di volontà esprimibile in altro modo e secondo la normativa vigente. Se è comprensibile, in linea di principio, che l’amministrazione affidi a un sistema informatico – peraltro gestito da terzi – la catalogazione e l’archiviazione di alcuni dati non legati a circostanze oggettivamente da lei stessa verificabili, tra cui le manifestazioni di interesse e/o la volontà di immatricolazione e altro, in ragione della mole di elementi pervenibili, non è altrettanto comprensibile che tale sistema sia assunto a unico strumento di dialogo se la [#OMISSIS#] prevede modalità alternative di comunicazione, come previsto per le autodichiarazioni ex d.P.R. n. 445/2000.
La procedura informatica di cui si avvale l’Ateneo, in definitiva, non può essere [#OMISSIS#] a strumento unico e insindacabile – vista anche la strettissima tempistica imposta – per stabilire la volontà del singolo, soprattutto in presenza di manifestazioni di tali volontà esprimibili in modo alternativo e inequivocabile, come nel [#OMISSIS#] di specie (sul punto, v. TAR Lazio, Sez. II bis, 18.11.11, n. 1546, secondo cui deve necessariamente darsi prevalenza all’espressione sostanziale di volontà dell’interessato).
Né si rinvengono ragioni organizzative particolari per impedire una valutazione “postuma” dell’attività didattica ai fini dell’attribuzione dello scatto stipendiale, dato che la stessa Università costituita, [#OMISSIS#] su richiamata relazione depositata in atti, afferma che “…il [#OMISSIS#] previsto dall’ art. 2, comma 5, del relativo Regolamento di Ateneo, per la richiesta di attribuzione dello scatto non assume carattere decadenziale, in quanto i docenti che nel predetto [#OMISSIS#] non abbiano presentato domanda di attribuzione dello scatto, possono presentarla [#OMISSIS#] tornata successiva, senza subire alcuna penalizzazione economica in [#OMISSIS#] di valutazione positiva”.
A ciò si aggiunga, a sostegno di tale conclusione, quanto lamentato dal ricorrente nei successivi motivi di ricorso, dato che risulta che l’Ateneo abbia consentito una presentazione “postuma” della rendicontazione, sia pure per gli anni accademici successivi al 2016-17 e per ragioni specifiche.
In sostanza se, come affermato dall’Università, il riconoscimento dello “scatto” (e dunque la valutazione positiva) è subordinato alla verifica del possesso dei requisiti prescritti dall’art. 4, comma 1, del relativo Regolamento di Ateneo e se il mancato possesso degli stessi requisiti, comportando la mancata attribuzione dello “scatto”, determina di per sé la valutazione negativa del docente, non può farsi a meno di rilevare che il mancato possesso di un requisito – o meglio l’impossibilità di fornire la relativa autodichiarazione – è dipeso da un fatto del tutto sussumibile al comportamento dell’Università e non alla volontà dell’interessato.
Alla luce di quanto dedotto, pertanto, il gravame deve trovare accoglimento e l’Università, come effetto conformativo alla presente sentenza, dovrà consentire al ricorrente di presentare la rendicontazione dell’attività didattica in questione per l’a.a. 2016-17, in forma digitale o cartacea se la prima è resa impossibile dalla rigidità del sistema, e procedere alla relativa valutazione discrezionale “ora per allora” finalizzata al riconoscimento del relativo “scatto” stipendiale, ai sensi di legge.
Quanto finora illustrato consente di superare, perché assorbita, l’ulteriore censura rivolta avverso il Regolamento di Ateneo [#OMISSIS#] parte in cui equiparerebbe, per il ricorrente, l’omessa rendicontazione dell’attività all’omesso svolgimento della stessa.
Le spese di lite seguono la soccombenza dell’Ateneo mentre possono compensarsi con il M.U.R., non direttamente responsabile dei provvedimenti oggetto di annullamento.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi aggiunti, come in epigrafe proposti:
1) dichiara improcedibile il ricorso introduttivo;
2) accoglie i motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla il provvedimento di diniego ivi impugnato nei sensi di cui in motivazione. Salvi ulteriori provvedimenti dell’Ateneo.
Condanna l’Università degli Studi “La Sapienza” a corrispondere al ricorrente le spese di lite, che liquida in euro 2.000,00 oltre accessori di legge e quanto versato a titolo di contributo unificato. Compensa con il Ministero costituito.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del 6 ottobre 2021 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore Chiara [#OMISSIS#], Referendario
L’ESTENSORE [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]
IL [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]
IL SEGRETARIO
Pubblicato il 18/10/2021