TAR Lombardia, Milano, sez. III, 10 gennaio 2022, n. 26

Procedura di valutazione comparativa - Art. 24, comma 5 della legge . 240/2010 - Discrezionalità tecnica - Criteri di valutazione - Visibilità internazionale dei docenti

Data Documento: 2022-01-10
Area: Giurisprudenza
Massima

Le scelte compiute dalle università in ordine all’inquadramento dei ricercatori di tipo B nel ruolo dei professori di seconda fascia, ai sensi dell’art. 24, comma 5, della legge n. 240 del 2010, costituiscono espressione delle specifiche competenze solo da esse possedute e, dunque, della discrezionalità tecnica riservata loro dalla legge; per questa ragione, tali decisioni non possono essere sindacate nel merito dal giudice della legittimità (cfr., sul punto, T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 4 agosto 2021, n.726). Il giudice amministrativo può solo verificare, nei limiti delle censure proposte, se la procedura di valutazione sia stata condotta nel rispetto delle prescrizioni di legge e del bando di concorso nonché verificare, anche attraverso un sindacato intrinseco, se le decisioni assunte siano affette da illogicità, irragionevolezza o travisamento del fatto. Questi principi valgono ovviamente, non solo per il sindacato sulla decisione finale, ma anche per il sindacato sui criteri che i singoli atenei, come detto, sono tenuti ad individuare per addivenire a tale decisione.

Ciò precisato, va ora rilevato che, come anticipato, l’Università Bocconi, con il Regolamento n. 128 del 2011 e con le Linee Guida Hiring, ha stabilito che uno dei criteri più rilevanti che deve orientare l’attività di selezione dei suoi docenti è quello riguardante la visibilità internazionale dei medesimi, visibilità che deve essere apprezzata anche in relazione alle pubblicazioni del candidato, il quale, per poter accedere al ruolo ambito, deve aver prodotto opere di rilevo internazionale che presentino carattere di originalità. Ritiene il Collegio che la previsione di tale severo parametro di valutazione non si ponga in contrasto con quelli stabiliti dal legislatore statale posto che l’art. 4, ultimo comma, del d.m. 4 agosto 2011 consente espressamente ai singoli atenei di dotarsi di criteri più selettivi rispetto a quelli previsti per l’abilitazione scientifica nazionale (ASN), e ciò all’evidente scopo di adeguare le selezioni alle loro specifiche esigenze. Stabilisce infatti questa norma che, ai fini della valutazione dell’attività di ricerca scientifica, gli atenei si avvalgono di criteri e parametri (non identici ma) coerenti con quelli previsti per l’ASN <<…potendo altresì prevederne un utilizzo più selettivo>>. Né si può ritenere che il criterio della “visibilità internazionale” sia irragionevole, posto che esso si pone in linea con la vocazione internazionale assunta dall’Università Bocconi e con la sua ambizione di costituire polo accademico di eccellenza in ambito che trascende quello nazionale. L’esigenza di assecondare questa vocazione, a parere del Collegio, giustifica la necessità che il requisito di cui si discute sia posseduto anche da candidati che aspirino a ricoprire il posto di professore di seconda fascia relativamente a materie che non presentino spiccati profili di internazionalità, essendo evidentemente importante per l’Ateneo che tutti i corsi siano tenuti da docenti che abbiano un minimo di visibilità internazionale e siano in grado di impostare gli insegnamenti valorizzando quei profili di internazionalità che ogni materia possiede. Peraltro, le Linee Guida Hiring specificano che questo parametro debba essere apprezzato in maniera gradata, tenendo conto della materia del candidato e del posto che questi intende ricoprire, aspetto questo che ne conferma la intrinseca ragionevolezza. Sotto questo profilo appare anche giustificata la decisione di affidare a referees esterni, aventi levatura internazionale, il compito di effettuare la valutazione del candidato apprezzandone la posizione nella comunità scientifica di riferimento che, per l’Università Bocconi, ha, come detto, rilievo internazionale. Né si può ritenere illogica la decisione di affidare a tali soggetti l’esame di un numero limitato di opere (cinque), posto che non è escluso che un esame approfondito possa essere condotto anche attraverso l’analisi delle opere più importanti prodotte dal candidato, e che il ricorrente neppure ha dedotto la sussistenza di sue opere non analizzate che avrebbero potuto orientare in maniera decisiva la valutazione. Si deve ritenere, in tale quadro, che i criteri che l’Ateneo ha individuato per selezionare il personale docente resistano alle censure dedotte dal ricorrente le quali devono essere, pertanto, respinte.

Contenuto sentenza

N. 00026/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00843/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 843 del 2021, proposto da
-OMISSIS-rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] La Rosa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

UNIVERSITÀ COMMERCIALE [#OMISSIS#] BOCCONI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati [#OMISSIS#] Del Guerra, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Frasca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Milano, via del Lauro, n. 7;
CONSIGLIO DI DIPARTIMENTO DI STUDI GIURIDICI “ANGELO SRAFFA” DELL’UNIVERSITA’ COMMERCIALE [#OMISSIS#] BOCCONI, persona del legale rappresentante p.t., non costituito in giudizio;

nei confronti

-OMISSIS-non costituita in giudizio;

per l’esecuzione e l’esatta ottemperanza

della sentenza del T.A.R. Lombardia, sede di Milano, sez. III, n. 248/2021, pubblicata in data 27 gennaio 2021, con la quale sono stati annullati tutti gli atti gravati e ed è stato ordinato al Consiglio di Dipartimento di pronunciarsi nuovamente sulla posizione del ricorrente nel rispetto dei principi ivi dettati;

per la declaratoria di nullità ovvero per l’annullamento

dell’atto prot. n. 8702-IV/1 dell’8 aprile 2021 dell’Università Bocconi, notificato in pari data a mezzo PEC, con cui è stata comunicata la decisione negativa in merito alla prosecuzione della valutazione per la promozione del dott. -OMISSIS- a professore associato di diritto privato e trasmesso il verbale del Consiglio di Dipartimento del 24 marzo 2021;

del verbale della riunione del Consiglio di Dipartimento del 24 marzo 2021, notificato in data 8 aprile 2021;

e, ove occorrer possa,

del Report istruttorio redatto dal Hiring, Tenure & Promotion Committee (Comitato Hiring), con riferimento alla posizione del dott. -OMISSIS- -OMISSIS-;

degli atti di nomina e individuazione dei referee, nonché delle lettere dagli stessi rese nell’ambito del procedimento di valutazione, comunicate al ricorrente in data 20 dicembre 2019;

del Faculty Management Policy del luglio 2014 e del relativo aggiornamento/integrazione di cui all’allegato 8 del Collegio dei Docenti del 14 luglio 2016;

del Regolamento generale di Ateneo, emanato con d.r. 19 luglio 2016, n. 82, del Regolamento relativo alla disciplina delle procedure di reclutamento degli Assistant Professor, emanato con d.r. 10 giugno 2011, n. 128, del verbale del Consiglio di Dipartimento degli Studi Giuridici del 21 aprile 2016 e delle ivi approvate linee guida, recanti criteri per la selezione e promozione della faculty;

nonché per la condanna ex art. 34, lett. c) ed e) c.p.a.

dell’Amministrazione resistente ad adottare le misure idonee che tutelino la situazione giuridica dedotta in giudizio, procedendo alla chiamata del ricorrente nel ruolo dei professori associati ovvero, in subordine, procedendo con le ulteriori fasi del procedimento volto alla chiamata del dott. -OMISSIS- -OMISSIS- nel ruolo dei professori associati;

nonché per la condanna

al risarcimento di tutti i danni patiti e patendi connessi alla mancata ottemperanza della sentenza del TAR Lombardia, sede di Milano, sez. III, n. 248/2021, pubblicata in data 27 gennaio 2021 e/o alla perdurante illegittimità dell’azione amministrativa.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università Commerciale [#OMISSIS#] Bocconi;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 novembre 2021 il dott. [#OMISSIS#] Celeste Cozzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

In data 17 gennaio 2017, il dr. -OMISSIS- -OMISSIS-, odierno ricorrente, in possesso dal 2 novembre 2015 dell’abilitazione scientifica nazionale come professore universitario di II fascia per il settore concorsuale IUS/01 Diritto Privato, ha sottoscritto con l’Università Commerciale [#OMISSIS#] Bocconi di Milano (d’ora innanzi anche “Università” o “Università Bocconi”) un contratto per il conferimento dell’incarico di ricercatore a tempo determinato, ai sensi dell’art. 24, lett. b), della legge n. 240 del 2010, con scadenza fissata al 31 agosto 2019.

In prossimità della scadenza, l’Università ha avviato un procedimento preliminare volto a verificare l’opportunità di sottoporre il ricorrente alla valutazione prevista dall’art. 24, comma 5, della legge n. 240 del 2010 ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato.

Il procedimento si è concluso con la deliberazione del Consiglio di Dipartimento di

Studi Giuridici assunta in data 20 marzo 2019, con la quale si è stabilito di non avviare la procedura di valutazione.

Questo provvedimento è stato impugnato dall’interessato dinanzi a questo T.A.R. (ricorso RG n. 1056/2019) che, con ordinanza cautelare n. 726 del 14 giugno 2019 (confermata in sede di appello), ne ha disposto la sospensione degli effetti.

L’Università ha quindi dato prosecuzione al procedimento preliminare di valutazione, conclusosi con deliberazione del Consiglio di Dipartimento di Studi Giuridici del 14 ottobre 2019, con cui si è nuovamente stabilito l’arresto procedimentale.

Questo atto è stato impugnato per mezzo di motivi aggiunti, depositati in data 24 dicembre 2019.

La Sezione, con sentenza n. 248 del 27 gennaio 2021, ha accolto il ricorso RG n. 1056/2019, annullando sia la deliberazione del Consiglio di Dipartimento di Studi Giuridici assunta in data 20 marzo 2019 (impugnata con l’atto introduttivo del giudizio) che la successiva deliberazione dello stesso organo emessa in data 14 ottobre 2019 (impugnata con i motivi aggiunti).

L’Università, con delibera del Dipartimento degli Studi giuridici del 24 marzo 2021, si è quindi pronunciata nuovamente sulla questione, confermando la decisione negativa. Per mezzo di tale provvedimento si è pertanto ancora stabilito di non avviare la procedura di valutazione riguardante il dr. -OMISSIS-.

Contro questo atto è principalmente diretto il ricorso in esame. L’interessato – ritenendo che tale atto sia contrastante con le statuizioni contenute nella sentenza n. 248 del 2021, oltre che viziato per violazione di legge ed eccesso di potere – ha proposto sia l’azione di ottemperanza che l’ordinaria azione di annullamento. Viene inoltre chiesta la condanna dell’Amministrazione ad adottare le misure idonee a tutelare la situazione giuridica dedotta in giudizio, procedendo alla chiamata del ricorrente nel ruolo dei professori associati ovvero, in subordine, procedendo con le ulteriori fasi del procedimento volto alla chiamata del medesimo nel suddetto ruolo. Viene infine proposta domanda risarcitoria.

Si è costituita in giudizio, per opporsi all’accoglimento delle domande avverse, l’Università Commerciale [#OMISSIS#] Bocconi.

La Sezione, con ordinanza n. 551 del 10 giugno 2021, ha fissato l’udienza pubblica ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm.

Nel corso del giudizio, le parti hanno depositato memorie insistendo nelle loro conclusioni.

La causa è stata trattenuta in decisione in esito all’udienza pubblica del 16 novembre 2021.

Con il primo motivo di ricorso, viene dedotta la violazione e/o elusione della sentenza di questo T.A.R. n. 248 del 2021 con la quale, come detto, sono state annullate le delibere del Consiglio di Dipartimento di Studi Giuridici assunte in data 20 marzo 2019 e in data 14 ottobre 2019, che hanno disposto l’interruzione della procedura di prevalutazione riguardante il dr. -OMISSIS-. In particolare, il ricorrente – dopo aver rilevato che la delibera del 14 ottobre 2019 è stata annullata in quanto viziata per difetto di motivazione – rileva che, con l’atto in questa sede impugnato, l’Amministrazione si è limitata a fornire alla decisione già assunta una motivazione unitaria di sintesi espressa dall’intero collegio in sostituzione della motivazione parcellizzata (costituita dall’insieme delle opinioni espresse dai singoli membri dell’organo collegiale) ritenuta non adeguata dalla suindicata pronuncia, senza però prendere posizione in ordine ad alcuni specifici profili che la medesima pronuncia avrebbe messo in rilievo e sui quali ci si sarebbe dovuti invece esprimere. Secondo il ricorrente, il nuovo provvedimento avrebbe dovuto quindi chiarire perché si sia dato peso decisivo alle valutazioni concernenti ricerca e pubblicazioni rispetto a quelle concernenti la didattica, perché si sia ritenuto di dare prevalenza alle opinioni negative espresse da alcuni referees rispetto alle opinioni opposte, e in che modo tali negativi giudizi si concilino con il parere espresso dal Comitato Hiring. Per questa ragione, l’interessato ritiene che la sentenza n. 248 del 2021 non sarebbe stata correttamente eseguita e che, di conseguenza, gli atti in questa sede impugnati sarebbero nulli, ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, per violazione e/o elusione del giudicato.

Ritiene il Collegio che questa censura sia infondata per le ragioni di seguito esposte.

Con la sentenza n. 248 del 2021, questo T.A.R. ha preso posizione riguardo alla problematica concernente la motivazione degli atti emessi dagli organi collegiali, esprimendo l’opinione secondo cui, affinché un atto collegiale possa dirsi congruamente motivato, è necessario che esso contenga una motivazione di sintesi riferibile all’intero collegio considerato nella sua unitarietà. Questa conclusione è stata raggiunta osservando, fra l’altro, che gli interventi dei singoli membri del collegio si focalizzano solitamente sulle questioni ritenute da ciascuno decisive, senza investire il complesso degli aspetti che sarebbero necessari per far comprendere all’esterno se, nel concreto, siano stati adeguatamente apprezzati tutti i fatti rilevanti e tutti gli interessi coinvolti, e perché un determinato interesse sia stato fatto prevalere sugli altri.

Una volta presa questa posizione, si è ritenuto che la delibera assunta in data 14 ottobre 2019 fosse viziata per difetto di motivazione, posto che tale atto non conteneva una motivazione unitaria di sintesi, ma riportava esclusivamente le opinioni espresse in sede deliberativa da diversi membri dell’organo.

La sentenza n. 248 del 2021 si fonda dunque unicamente sulla mancanza di una motivazione di sintesi: tale carenza è stata considerata fonte di vizio di carattere radicale, già di per sé sufficiente a determinare l’invalidità dell’atto, indipendente da ogni valutazione riguardante la correttezza, completezza e/o ragionevolezza delle opinioni espresse dai singoli membri del collegio.

Da questo quadro emerge che, per dare corretta esecuzione alla sentenza stessa, era necessario e sufficiente corredare la decisione da assumere di una motivazione unitaria di sintesi.

Parte ricorrente sostiene invece che, poiché in un passaggio della sentenza si sono indicati alcuni particolari profili sui quali il dibattito consiliare non si è soffermato, una corretta esecuzione della sentenza stessa avrebbe richiesto che la motivazione di sintesi investisse tale aspetti.

In proposito va però osservato che il passaggio cui il ricorrente fa riferimento ha funzione meramente esemplificativa: con esso si è invero voluto dimostrare che la motivazione “parcellizzata” si focalizza sugli aspetti ritenuti decisivi dai singoli consiglieri senza fornire una valutazione complessiva. Il vizio rilevato, tuttavia, non consiste nel mancato apprezzamento dei particolari profili indicati in sentenza ma nella mancanza di una motivazione unitaria: se anche questi profili fossero stati affrontati nel dibattito consiliare, cionondimeno la carenza di una motivazione unitaria di sintesi avrebbe comunque determinato l’annullamento della delibera impugnata.

Può dirsi, in altre parole, che la sentenza n. 248 del 2021 non si è spinta a valutare la intrinseca adeguatezza delle ragioni sottese alla decisione assunta, ma si è limitata a rilevare la sussistenza del più radicale vizio consistente nella carenza di una motivazione unitaria di sintesi. Si deve dunque ribadire che, al mero fine di dare corretta esecuzione alla sentenza, era sufficiente fornire alla decisione da assumere tale tipologia di motivazione.

Ciò precisato, può ora osservarsi che, nella seduta del 24 marzo 2021, il Consiglio di Dipartimento ha approvato una deliberazione contenente una motivazione di sintesi la quale, essendo stata condivisa ed approvata dalla maggioranza dei membri, è imputabile all’organo inteso nella sua unitarietà.

Ne consegue che, come anticipato, gli atti in questa sede impugnati non possono considerarsi viziati per violazione e/o elusione del giudicato.

A questo punto il Collegio ritiene opportuno formulare alcune precisazioni di carattere metodologico riguardante l’ordine con cui verranno affrontate le restanti censure.

Il ricorrente ha sollevato tredici motivi di ricorso che possono essere raggruppati in tre distinti insiemi. Il primo insieme riguarda quelle censure con cui vengono dedotti vizi procedimentali. Il secondo raggruppa le censure che investono i criteri di valutazione individuati dall’Università per stabilire se procedere o meno all’inquadramento del ricorrente nel ruolo di professore di II fascia. L’ultimo insieme riguarda le censure che investono il merito della scelta.

Poiché, come si vedrà, il Collegio ritiene che sia fondato il motivo con il quale viene contestata la corretta composizione di un organo che ha concorso alla formazione della decisione finale, ci si limiterà in questa sede all’esame delle censure incluse nel primo e nel secondo gruppo. Non è infatti opportuno estendere il vaglio sulle questioni che investono il merito della decisione assunta, atteso che quest’ultima potrebbe mutare in seguito alla riedizione dell’attività amministrativa esercitata con l’intervento dell’organo correttamente costituito; e che, comunque, il Giudice dovrebbe astenersi dall’esprimersi sul tratto di potere esercitato da un organo non correttamente composto, in analogia a quanto stabilito dall’art. 34, secondo comma, cod. proc. amm.

E’ al contrario doverosa la pronuncia su tutte le censure che attengono ad aspetti procedimentali e ai criteri di valutazione, in modo da fornire all’Amministrazione le indicazioni necessarie per la corretta riedizione del potere.

Ciò precisato, si può proseguire con l’esame delle censure appartenenti al primo insieme (riguardanti, come detto, gli aspetti procedimentali) che possono essere riassunte come segue.

Con il secondo motivo, l’interessato sostiene che l’Università, in base all’art. 24, comma 5, della legge n. 240 del 2010, una volta appurato che egli è in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale come professore universitario di II fascia, avrebbe dovuto senz’altro ammetterlo a valutazione senza poter dar corso al procedimento di prevalutazione culminato con l’atto in questa sede principalmente impugnato. Sia quest’ultimo provvedimento che il regolamento di ateneo n. 128 del 2011, che prevede e disciplina tale particolare procedimento, sarebbero pertanto illegittimi.

Con il quinto motivo, viene contestata la decisione dell’Amministrazione di chiedere il parere a sette referees esterni. La parte ritiene che anche tale decisione sia in contrasto con l’art. 24, comma 5, della legge n. 240 del 2010 il quale stabilisce che la valutazione dei ricercatori di tipo B finalizzata alla chiamata nel ruolo di professore associato debba essere effettuata dall’Università. Sostiene inoltre il ricorrente che la medesima decisione sarebbe in contrasto con i principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento della p.a. posto che, essendo i referees anonimi, sarebbe impossibile apprezzarne competenza ed esperienza nel settore.

Con il sesto motivo, il ricorrente sostiene che i principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento della p.a. sarebbero stati nella fattispecie violati anche in ragione della mancanza di criteri prestabiliti per effettuare la scelta dei referees. Inoltre, tale scelta sarebbe stata nel concreto affidata ad un soggetto (Preside del Dipartimento) che avrebbe costantemente espresso contrarietà alla promozione del ricorrente, e ciò dovrebbe portare ad escludere l’indipendenza dei referees.

Con il decimo motivo, viene dedotta la violazione dell’art. 8.1. del Regolamento di ateneo n. 128 del 2011 essendo la decisione avversata stata assunta esclusivamente dal Consiglio di Dipartimento e non anche dal Comitato Risorse Umane, come richiederebbe invece la suddetta norma.

Con l’undicesimo motivo, viene dedotta la violazione degli artt. 54 e 55 del Regolamento di ateneo n. 82 del 2016 in quanto, contrariamente da quanto stabilirebbero tali norme, le attività istruttorie prodromiche al provvedimento in questa sede avversato sono state affidate al Comitato Hiring e non alla Giunta di Dipartimento.

Con il dodicesimo motivo, viene dedotta la violazione dell’art. 13 del Regolamento di ateneo n. 82 del 2016, e ciò in quanto, contravvenendo a tale disposizione, le funzioni di presidente del Consiglio di Dipartimento non sarebbero state affidate al Professore di ruolo di prima fascia con maggiore anzianità di servizio in tale ruolo ma ad altro soggetto il quale, peraltro, si troverebbe in situazione di contrasto con il ricorrente.

Infine, con il tredicesimo motivo di ricorso, viene dedotta la violazione delle Linee Guida Hiring posto che, contrariamente da quanto previsto da esse, nel Comitato Hiring non vi sarebbe stata la presenza di un professore ordinario della materia del candidato.

In proposito si osserva quanto segue.

Prevede l’art. 24, comma 5, della legge n. 240 del 2010 che, nell’ultimo anno di efficacia del contratto stipulato con il ricercatore di tipo B il quale abbia conseguito l’abilitazione scientifica nazionale, <<…l’università valuta il titolare del contratto stesso […] ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato>>.

La norma prosegue stabilendo che <<La valutazione si svolge in conformità agli standard qualitativi riconosciuti a livello internazionale individuati con apposito regolamento di ateneo nell’ambito dei criteri fissati con decreto del Ministro>>.

In attuazione di questa norma è stato emanato il d.m. 4 agosto 2011 il quale, all’art. 4, individua i criteri di valutazione dell’attività di ricerca scientifica, criteri che, a loro volta, così come del resto stabilito dallo stesso art. 24, comma 5, della legge n. 240 del 2010, debbono essere poi specificati dalle singole università.

L’Università Bocconi ha quindi a tal fine emanato il Regolamento di ateneo n. 128 del 2011 (che detta perlopiù norme di carattere procedurale) e le Linee Giuda Hiring elaborate da un apposito comitato istituito presso il Dipartimento di Studi Giuridici, con le quali sono stati individuati gli specifici criteri di selezione e promozione del personale docente appartenente a tale Dipartimento o che aspira ad accedervi.

L’art. 7.2 del Regolamento n. 128 del 2011 (d’ora innanzi anche “Regolamento”) stabilisce che, all’inizio dell’ultimo anno contrattuale dei ricercatori di cui alla tipologia B, l’attività da loro svolta viene sottoposta a <<… valutazione ai fini dell’avvio della procedura di conferimento della tenure>>. Con questa norma è stato dunque previsto un procedimento preliminare volto a vagliare i requisiti di professionalità posseduti dal candidato in modo da valutare l’opportunità di dare poi avvio al vero e proprio procedimento finalizzato all’inquadramento nel ruolo di professore associato (o, come dice la norma stessa, di “conferimento della tenure”).

Ritiene il Collegio che questa decisione di articolare la procedura in due fasi non sia contrastante con l’art. 24, comma 5, della legge n. 240 del 2010. La procedura preliminare è infatti comunque anch’essa, in sostanza, una procedura di valutazione nella quale vengono apprezzati i requisiti minimi che il candidato deve possedere per poter ricoprire il ruolo di professore associato all’interno dell’Ateneo. La mancanza di questi requisiti giustifica l’interruzione procedimentale, consentendo quindi di evitare l’inutile avvio di una più complessa fase successiva destinata a concludersi senz’altro negativamente. Questo modo di procedere appare peraltro in linea con il principio di buon andamento della p.a. di cui all’art. 97 Cost., e ciò tanto più se si considera che, come si vedrà meglio nel prosieguo, l’Università Bocconi ha nel concreto deciso di avvalersi della facoltà concessa dall’art. 4, ultimo comma, del d.m. 4 agosto 2011, prevedendo parametri di valutazione più stringenti rispetto a quelli previsti per l’abilitazione scientifica nazionale in modo da assecondare la sua vocazione internazionale: risponde infatti al criterio di buon andamento la decisione di effettuare una procedura preliminare di screening che consenta di eliminare quelle candidature che non presentano una adeguata visibilità internazionale, così come richiesto dall’Ateneo.

Si può in altre parole affermare che l’Università, avendo sottoposto il ricorrente alla procedura preliminare di cui all’art. 7.2. del Regolamento, ne ha effettuato la valutazione prevista dall’art. 24, comma 5, della legge n. 240 del 2010. Non può pertanto ritenersi che questa norma sia stata violata.

Tutte queste considerazioni portano poi ad escludere che, nel concreto, vi sia stata violazione dell’art. 8.1 del regolamento il quale stabilisce che la valutazione ai fini della tenure è disposta dal Dipartimento di competenza e dal Comitato Risorse Umane cui partecipa un professore esterno in servizio presso una prestigiosa università. Questa norma infatti, come espressamente enunciato, si applica alla fase successiva a quella presa in considerazione in questa sede e non è, dunque, applicabile alla fattispecie. Ne consegue che il mancato intervento del Comitato Risorse Umane (integrato da un professore esterno) non determina l’illegittimità dell’atto impugnato.

Va ora osservato, sempre sotto il profilo procedimentale, che l’ultimo periodo del citato art. 7.2. del Regolamento stabilisce che, per decidere se dare o meno avvio alla procedura di inquadramento nel ruolo di professore associato, l’Università valuta anche la posizione del candidato nella comunità scientifica di riferimento attraverso lettere di valutazione richieste a referees esterni.

Il ricorrente, come detto, ritiene che tale procedura sia in contrasto con l’art. 24, comma 5, della legge n. 240 del 2010 il quale affida alle università il compito di effettuare la valutazione.

Il Collegio non condivide questa affermazione posto che l’art. 7.2 del Regolamento non delega ai referees esterni il compito di assumere la decisione finale, ma affida loro il diverso compito di fornire un apporto consultivo che sarà poi utilizzato dagli organi interni dell’Ateneo per effettuare la valutazione complessiva del candidato e decidere in ordine al suo inquadramento. Nonostante si faccia ricorso a consulenti esterni a fini istruttori, la valutazione è dunque sempre affidata all’Università.

Neppure possono essere condivise le affermazioni secondo cui le concrete modalità di nomina dei referees non garantirebbero il rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza.

L’anonimato dei referees, all’opposto di quanto ritenuto dalla parte, costituisce garanzia di imparzialità posto che, in tal modo, i membri del Consiglio di Dipartimento formano le proprie opinioni scevri da qualsiasi condizionamento dovuto alla conoscenza dei soggetti che hanno espresso i pareri. Inoltre, essendo l’anonimato garantito sino al momento della decisione, non è escluso che, in un momento successivo, chi vi ha interesse possa apprezzare e, eventualmente, contestare competenza ed esperienza nel settore dei referees in concreto nominati.

Sul punto si osserva peraltro che, nel caso concreto, quattro dei sette referees cui è stato affidato il compito di valutare la posizione del ricorrente sono stati nominati attingendo da una rosa di nomi proposta da quest’ultimo; e che, per i restanti tre, nessuna contestazione, riguardo ad esperienza e competenza, è stata sollevata dall’interessato. Si può dunque anche escludere che vi sia concreto interesse a sollevare tale censura.

Inoltre, per quanto riguarda la ritenuta assenza del requisito di indipendenza in capo ai referees, il Collegio non può che limitarsi a rilevare che le asserzioni del ricorrente sono, in parte, sfornite di supporto probatorio (non è dimostrata la situazione di contrasto fra il ricorrente ed il soggetto che li ha nominati) e, in parte, riguardano circostanze non decisive: la mancanza di criteri prestabiliti per effettuare la scelta e la sussistenza di rapporti di mera colleganza fra alcuni dei referees e l’organo che li ha nominati non incidono sull’indipendenza dei primi, non essendo peraltro contestato che, nel caso concreto, la scelta è ricaduta su soggetti di indubbia competenza e fama internazionale.

Passando ora all’esame della censura che deduce l’illegittimità della deliberazione avversata in quanto assunta da organo non correttamente presieduto, si deve osservare che l’art. 13 del regolamento generale di ateneo prevede che il Consiglio di Dipartimento possa essere, fra l’altro, presieduto dal soggetto delegato dal presidente effettivo che si allontana, evenienza questa che si è concretizzata nella fattispecie posto che il presidente effettivo, prima di allontanarsi, ha affidato le proprie funzioni di presidenza al Direttore della Scuola di Giurisprudenza.

La censura è pertanto infondata.

Occorre ora esaminare le censure che attengono alle funzioni e alla composizione del Comitato Hiring.

Questo organo è previsto dalle Linee Guida Hiring elaborate, come detto, da un apposto comitato istituito presso il Dipartimento di Studi Giuridici.

In base alle suddette Linee Guida, il Comitato Hiring ha perlopiù funzioni istruttorie ed ha perciò il compito di raccogliere ed esaminare i dati che riguardano i candidati, nonché di elaborare una propria relazione che esprime anche considerazioni di merito.

Ciò rilevato, si deve innanzitutto precisare che, contrariamente da quanto ritenuto dal ricorrente, le funzioni istruttorie di cui si è appena dato conto appartengono esclusivamente al Comitato Hiring e non anche alla Giunta di Dipartimento la quale, ai sensi, dell’art. 55, lett. f), del Regolamento di ateneo n. 82 del 2016 ha l’esclusivo compito di formulare proposte al Consiglio di Dipartimento; proposte che peraltro debbono riguardare il “conferimento della tenure”, ed attengono quindi alla fase di valutazione vera e propria alla quale il ricorrente, come ripetuto, neppure è stato ammesso.

Per quanto riguarda invece la composizione del Comitato Hiring, si deve osservare che, come rileva l’interessato, le Linee Guida Hiring prevedono che esso sia composto anche da un professore di ruolo della materia del candidato.

La previsione ha evidentemente la finalità di assicurare che l’istruttoria sia condotta da un organo che abbia al suo interno un componente esperto, il quale possa meglio orientare l’attività di raccolta e valutazione dei dati riguardanti il candidato. Ritiene il Collegio che l’esigenza di assicurare la presenza di tale componente esperto sia stata particolarmente avvertita in quanto il Consiglio di Dipartimento, e cioè l’organo competente ad assumere la decisione finale, è perlopiù composto da soggetti che non hanno specifica competenza nella materia del candidato e che devono, quindi, fare affidamento, per formulare il proprio giudizio, sulle valutazioni tecniche espresse dagli organi istruttori (referees e Comitato Hiring). Si consideri infatti che la decisione finale è fortemente condizionata dalla qualità dell’attività di ricerca svolta dal candidato e dalla qualità delle sue pubblicazioni, elementi questi che possono essere ovviamente pienamente apprezzati solo da soggetti particolarmente esperti in materia.

Ritiene pertanto il Collegio che l’assenza del membro esperto all’interno del Comitato Hiring costituisca senz’altro carenza di carattere decisivo che, contrariamente da quanto ritenuto dall’Università, non può essere sanata dalla presenza di esperti all’interno del Consiglio di Dipartimento: tutti i membri di quest’organo, e soprattutto quelli non esperti, devono essere infatti supportati nello loro scelte da un’istruttoria completa condotta da soggetti che abbiano i requisiti previsti dagli atti approvati dall’Università.

Ne consegue che – poiché, nel caso concreto, non è contestato che l’istruttoria sia stata condotta da un Comitato Hiring che al suo interno non vedeva la presenza di un professore ordinario della materia del ricorrente, e ciò in violazione di quanto previsto dalla Linee Guida Hiring – la decisione finale assunta con l’atto principalmente impugnato deve ritenersi illegittima.

Prima di concludere sul punto, si deve precisare che le conclusioni contenute nella relazione finale del Comitato Hiring non sono pienamente favorevoli al ricorrente: in esse è infatti contenuto un richiamo, rivolto al Consiglio di Dipartimento, affinché tale organo, prima di assumere la decisone finale, effettui una valutazione approfondita circa l’originalità delle opere in lingua inglese prodotte dal ricorrente stesso. Le conclusioni sembrano dunque, in sostanza, insinuare alcuni dubbi su questo specifico aspetto, dubbi che un membro esperto avrebbe certamente contribuito a dissipare, in un senso o nell’altro. Non si può quindi condividere l’eccezione di carenza di interesse a dedurre la censura sollevata dall’Università.

Nonostante la fondatezza di questa censura, ritiene il Collegio che, come anticipato, si debba prendere posizione anche sui motivi che contestano i criteri sulla base dei quali è stata assunta la decisione in questa sede avversata.

Verranno pertanto ora esaminate le censure appartenenti al secondo dei gruppi di cui sopra si è dato conto, le quali possono essere riassunte come segue.

Con una censura contenuta nel secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta, in generale, che la prevalutazione sarebbe stata in concreto effettuata applicando criteri non previsti dal d.m. 4 agosto 2011.

Con il terzo motivo, l’interessato deduce diverse censure contro la parte del provvedimento principalmente impugnato in cui viene valutata la sua attività di ricerca (verranno qui illustrate, come ripetuto, solo le censure che contestano i criteri di valutazione, mentre verrà omessa l’illustrazione di quelle che attengono a profili di merito).

La prima censura rileva che, per effettuare la valutazione, l’Amministrazione avrebbe illegittimamente applicato criteri diversi da quelli previsti dal Regolamento di ateneo n. 128 del 2011 (numero delle pubblicazioni, loro collocazione editoriale in sedi di prestigio, varietà dei temi e dei generi, giudizio espresso in sede di abilitazione scientifica nazionale).

Con la terza censura, il ricorrente deduce che l’Amministrazione non avrebbe potuto dar rilievo alla vocazione e all’impatto internazionale dei candidati posto che né il d.m. n. 4 agosto 2011, né il Regolamento di ateneo n. 128 del 2011 prevedono tale criterio di valutazione. Sarebbero pertanto illegittimi sia le Linee Guida Hiring (che invece prevedono il suddetto criterio) che il provvedimento conclusivo del procedimento di prevalutazione il quale, dando applicazione alle linee guida, ha stabilito l’arresto procedimentale proprio in ragione della ritenuta inadeguatezza del ricorrente sotto il profilo internazionale.

Con una quarta censura l’interessato rileva che, se anche si volesse ritenere applicabile il criterio relativo alla vocazione e all’impatto internazionale dei candidati, l’Amministrazione avrebbe dovuto formulare il proprio apprezzamento in maniera gradata, tenendo in considerazione, così come peraltro prescrivono le Linee Guida Hiring, che la materia di insegnamento (diritto privato italiano) poco si presta a profili di internazionalità e che egli aspira ad una posizione accademica non apicale.

Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente rileva, fra l’altro, che l’Amministrazione, contrariamente da quanto avvenuto, non avrebbe potuto basare il proprio giudizio finale negativo sull’assenza di profili di eccezionalità dell’attività da lui svolta, essendo invece sufficiente che tale attività sia valutata, nel complesso, positivamente. Nello stesso motivo, la parte rileva che, per quanto riguarda la valutazione del contenuto delle sue produzioni scientifiche, ci si sarebbe dovuti attenere scrupolosamente al giudizio espresso in sede ASN, potendo l’Amministrazione discostarsi da esso solo se ritenuto foriero di dubbi; e che, per quanto riguarda la valutazione della didattica, questa avrebbe dovuto essere senz’altro positiva, avendo egli ottenuto “excellent evaluation from the students”.

Con una censura contenuta nel quinto motivo di ricorso, l’interessato sostiene che, mediante la richiesta di giudizio a referees esterni, si sarebbe surrettiziamente introdotto un criterio di valutazione (posizione del candidato nella comunità scientifica di riferimento) non previsto dal d.m. 4 agosto 2011.

Con l’ottavo motivo di ricorso, viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 7.2. del Regolamento di ateneo n. 128 del 2011, e ciò in quanto l’Università avrebbe affidato ai referees il compito di effettuare una valutazione secondo gli standard delle principali università europee, travalicando così il perimetro fissato dal regolamento il quale assegnerebbe ai consulenti esterni l’esclusivo compito di valutare la posizione occupata dal candidato nella comunità scientifica. Tale valutazione sarebbe stata peraltro, nel concreto, parziale e comunque certamente inidonea a disvelare un completo e pieno apprezzamento della posizione del candidato, posto che sono state analizzate solo cinque delle sue numerose opere.

In proposito il Collegio osserva quanto segue.

Le scelte compiute dalle università in ordine all’inquadramento dei ricercatori di tipo B nel ruolo dei professori di seconda fascia, ai sensi dell’art. 24, comma 5, della legge n. 240 del 2010, costituiscono espressione delle specifiche competenze solo da esse possedute e, dunque, della discrezionalità tecnica riservata loro dalla legge; per questa ragione, tali decisioni non possono essere sindacate nel merito dal giudice della legittimità (cfr., sul punto, T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 4 agosto 2021, n.726). Il giudice amministrativo può solo verificare, nei limiti delle censure proposte, se la procedura di valutazione sia stata condotta nel rispetto delle prescrizioni di legge e del bando di concorso nonché verificare, anche attraverso un sindacato intrinseco, se le decisioni assunte siano affette da illogicità, irragionevolezza o travisamento del fatto.

Questi principi valgono ovviamente, non solo per il sindacato sulla decisione finale, ma anche per il sindacato sui criteri che i singoli atenei, come detto, sono tenuti ad individuare per addivenire a tale decisione.

Ciò precisato, va ora rilevato che, come anticipato, l’Università Bocconi, con il Regolamento n. 128 del 2011 e con le Linee Guida Hiring, ha stabilito che uno dei criteri più rilevanti che deve orientare l’attività di selezione dei suoi docenti è quello riguardante la visibilità internazionale dei medesimi, visibilità che deve essere apprezzata anche in relazione alle pubblicazioni del candidato, il quale, per poter accedere al ruolo ambito, deve aver prodotto opere di rilevo internazionale che presentino carattere di originalità.

Ritiene il Collegio che la previsione di tale severo parametro di valutazione non si ponga in contrasto con quelli stabiliti dal legislatore statale posto che l’art. 4, ultimo comma, del d.m. 4 agosto 2011 consente espressamente ai singoli atenei di dotarsi di criteri più selettivi rispetto a quelli previsti per l’abilitazione scientifica nazionale (ASN), e ciò all’evidente scopo di adeguare le selezioni alle loro specifiche esigenze. Stabilisce infatti questa norma che, ai fini della valutazione dell’attività di ricerca scientifica, gli atenei si avvalgono di criteri e parametri (non identici ma) coerenti con quelli previsti per l’ASN <<…potendo altresì prevederne un utilizzo più selettivo>>.

Né si può ritenere che il criterio della “visibilità internazionale” sia irragionevole, posto che esso si pone in linea con la vocazione internazionale assunta dall’Università Bocconi e con la sua ambizione di costituire polo accademico di eccellenza in ambito che trascende quello nazionale.

L’esigenza di assecondare questa vocazione, a parere del Collegio, giustifica la necessità che il requisito di cui si discute sia posseduto anche da candidati che aspirino a ricoprire il posto di professore di seconda fascia relativamente a materie che non presentino spiccati profili di internazionalità, essendo evidentemente importante per l’Ateneo che tutti i corsi siano tenuti da docenti che abbiano un minimo di visibilità internazionale e siano in grado di impostare gli insegnamenti valorizzando quei profili di internazionalità che ogni materia possiede.

Peraltro, le Linee Guida Hiring specificano che questo parametro debba essere apprezzato in maniera gradata, tenendo conto della materia del candidato e del posto che questi intende ricoprire, aspetto questo che ne conferma la intrinseca ragionevolezza.

Sotto questo profilo appare anche giustificata la decisione di affidare a referees esterni, aventi levatura internazionale, il compito di effettuare la valutazione del candidato apprezzandone la posizione nella comunità scientifica di riferimento che, per l’Università Bocconi, ha, come detto, rilievo internazionale. Né si può ritenere illogica la decisione di affidare a tali soggetti l’esame di un numero limitato di opere (cinque), posto che non è escluso che un esame approfondito possa essere condotto anche attraverso l’analisi delle opere più importanti prodotte dal candidato, e che il ricorrente neppure ha dedotto la sussistenza di sue opere non analizzate che avrebbero potuto orientare in maniera decisiva la valutazione.

Si deve ritenere, in tale quadro, che i criteri che l’Ateneo ha individuato per selezionare il personale docente resistano alle censure dedotte dal ricorrente le quali devono essere, pertanto, respinte.

In conclusione, assorbite per i motivi innanzi illustrati le censure non specificamente esaminate, essendo fondato il tredicesimo motivo, la domanda di annullamento va accolta e, per l’effetto, la delibera del Consiglio di Dipartimento del 24 marzo 2021 ed il Report istruttorio redatto dal Hiring, Tenure & Promotion Committee (Comitato Hiring), con riferimento alla posizione del dott. -OMISSIS- -OMISSIS-, devono essere annullati. Non possono invece essere accolte la domanda di condanna all’adempimento e la domanda risarcitoria, posto che la spettanza del bene della vita cui il ricorrente aspira può essere stabilita solo a seguito del riesercizio del potere amministrativo.

La complessità delle questioni affrontate giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti e per gli effetti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2021 con l’intervento dei magistrati:

[#OMISSIS#] Di Benedetto, Presidente

[#OMISSIS#] Celeste Cozzi, Consigliere, Estensore

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Referendario