Dal momento che i fatti di rilevanza penale possono comunque essere oggetto di valutazione disciplinare anche in presenza di una conclusione processuale favorevole all’imputato, attesa l’autonomia dei due giudizi, non vi è ragione per cui l’università eserciti il proprio potere in due momenti distinti, se all’epoca del primo provvedimento vi erano già tutti gli elementi per poter dare avvio alle valutazioni che dedotte nel secondo procedimento disciplinare.
È d’altro canto pacifico che, in campo disciplinare, l’Amministrazione debba sempre procedere a un’istruttoria in tempi ragionevoli e, una volta acquisita la conoscenza qualificata, deve procedere subito alla contestazione, sicché il procedimento disciplinare deve essere sempre avviato a ridosso dell’acquisizione della notizia configurabile come illecito disciplinare.
Non può infine dirsi “fatto nuovo” da cui possa prendere avvio un nuovo procedimento disciplinare l’emanazione della sentenza di primo grado non definitiva.
Nel caso di specie, i fatti erano ben noti all’Università, che si era anche costituita parte civile nel procedimento penale, per cui non si comprende per quale ragione abbia voluto attendere l’esito del solo giudizio di primo grado rispetto ai fatti dedotti in capi di imputazione diversi da quello già giudicato disciplinarmente. Il potere disciplinare avrebbe dovuto essere esercitato prima, dal momento che i fatti dedotti nel capo d’imputazione non sono sostanzialmente mutati nel corso del primo grado, ovvero si sarebbe dovuta attendere la sentenza definitiva, al fine di provvedere disciplinarmente su fatti che solo allora sarebbero stati definitivamente configurati e “ricondotti a unità” dagli organi decidenti penali.
TAR Lazio, sez. III, 24 dicembre 2021, n. 13502
Procedimento disciplinare professori e autonomia dell'accertamento penale
N. 13502/2021 REG.PROV.COLL.
N. 02738/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2738 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] II, 173;
contro
Università degli Studi Roma La Sapienza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia “ex lege” in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Collegio di Disciplina dei Docenti e Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant'[#OMISSIS#], non costituiti in giudizio;
per l’annullamento, previe misure cautelari, anche monocratiche
– del Decreto Rettorale n. -OMISSIS-, prot. -OMISSIS- del -OMISSIS-, con cui sono state disposte, a decorrere dall’1.03.2021 e fino al 31.08.2021: la misura disciplinare della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio, con conseguente esonero dall’insegnamento, dalle funzioni accademiche e da ogni altra funzione connessa all’insegnamento, ivi compreso lo svolgimento dell’attività assistenziale; la perdita dell’anzianità di servizio; la sanzione accessoria dell’interdizione da incarichi istituzionali universitari, sia elettivi, sia derivanti da nomine di competenza della Rettrice pro-tempore;
– della delibera n. -OMISSIS-, adottata dal Consiglio d’Amministrazione dell’Università in data-OMISSIS-, con cui l’organo consiliare ha deliberato “di irrogare al prof. -OMISSIS- la sanzione della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per un periodo di sei (6) mesi ai sensi e per gli effetti dell’art. 87 del T.U. n. 1592 del 31.08.1933 nonché dell’art. 3 commi 4 e 5 del vigente Regolamento per i procedimenti disciplinari nei confronti dei docenti, con conseguente esonero dall’insegnamento, dalle funzioni accademiche e da ogni altra funzione, anche assistenziale, connessa all’insegnamento, nonché la perdita dell’anzianità di servizio per la stessa durata del periodo di sospensione sopra indicato e, quale, sanzione accessoria, l’interdizione da incarichi istituzionali universitari, sia elettivi, sia derivanti da nomine di competenza della Rettrice, per un tempo pari a quello della suddetta sospensione”;
– del parere vincolante espresso all’unanimità dal Collegio di Disciplina Docenti [#OMISSIS#] seduta del -OMISSIS-, nonché, in parte qua, dei relativi verbali del -OMISSIS-e -OMISSIS-;
– ove occorra, in parte qua, dell’articolo 11, comma 3, del Regolamento d’Ateneo per i procedimenti disciplinari nei confronti dei professori e ricercatori (emanato con D.R. n. 438 del 5.02.-OMISSIS-), ove fosse interpretato nel senso di determinare una primazia del procedimento disciplinare universitario su quello avviato dall’Azienda Ospedaliera presso cui il docente è strutturato;
– ove occorra, del D.R. n. 1805 del 24.07.-OMISSIS-, ove ritenuto idoneo a determinare la “sospensione” del procedimento disciplinare (in tesi) “riattivato” con l’avvio del procedimento del -OMISSIS-;
– di ogni altro atto, anche non conosciuto, precedente, coevo o successivo, comunque connesso al procedimento disciplinare in questione, tra cui in particolare, ove occorrer possa e [#OMISSIS#] misura in cui siano lesivi degli interessi del ricorrente, la nota di avvio del procedimento disciplinare prot. n. -OMISSIS-del -OMISSIS-, la nota di trasmissione degli atti al Collegio di Disciplina con contestuale proposta di sanzione prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto il decreto cautelare monocratico n. -OMISSIS–OMISSIS- dell’11 marzo 2021;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi Roma La Sapienza, con la relativa documentazione;
Vista l’ordinanza cautelare n. -OMISSIS–OMISSIS- del 16 aprile 2021;
Vista la memoria difensiva di parte ricorrente;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 17 novembre 2021 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con rituale ricorso a questo Tribunale, il prof. -OMISSIS- – Ordinario di Chirurgia Cardiaca presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza e docente “strutturato” presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria “Sant’[#OMISSIS#]”, ove ricopriva anche l’incarico di Direttore della struttura complessa di Cardiochirurgia – chiedeva l’annullamento, previe misure cautelari, dei provvedimenti in epigrafe, concernenti l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio – con conseguente esonero dall’insegnamento, dalle funzioni accademiche e da ogni altra funzione connessa all’insegnamento, ivi compreso lo svolgimento dell’attività assistenziale – unita alla perdita dell’anzianità di servizio e alla sanzione accessoria dell’interdizione da incarichi istituzionali universitari, sia elettivi, sia derivanti da nomine di competenza universitaria.
In particolare, come sintetica premessa di fatto, la fattispecie trae origine da un procedimento penale a cui era stato sottoposto il ricorrente nel -OMISSIS-. In esso, dopo una prima ordinanza con cui era stato sottoposto alla misura cautelare personale degli arresti domiciliari, poi annullata dal Tribunale del riesame, il ricorrente risultava rinviato a giudizio nell’-OMISSIS- per sei capi di imputazione.
Nelle more, con nota dell’-OMISSIS-, l’allora Rettore dell’Università La Sapienza, avviava un procedimento disciplinare nei confronti del prof. -OMISSIS-, sulla base dell’avvenuta conoscenza dei fatti, dopo aver richiesto copia del fascicolo processuale, acquisito in data 26 giugno -OMISSIS-. Con Decreto Rettorale del -OMISSIS-, era inflitta al ricorrente la sanzione della “censura scritta” in relazione a uno dei capi di imputazione, con diffida a svolgere la funzione di responsabile della formazione degli specializzandi in modo appropriato e rispettoso delle norme e dei regolamenti in materia, nonché con pieno rispetto della dignità degli specializzandi, e rinviando l’eventuale riapertura di procedimento disciplinare all’esito della valutazione del GUP sugli ulteriori capi di imputazione, di cui ai fatti indicati ai punti 1-2-3 della nota di avvio del procedimento.
Il GUP, all’esito dell’udienza preliminare, in data 11 marzo -OMISSIS- dichiarava il non luogo a procedere, per quattro capi d’imputazione, per non sussistenza del fatto. Sui due restanti capi d’imputazione, successivamente, il Tribunale penale di Roma, in composizione monocratica, pronunciava sentenza di piena assoluzione in data -OMISSIS-.
Sui capi di imputazione oggetto di pronuncia assolutoria del GUP, il P.M. proponeva ricorso alla Corte di Cassazione, la quale il -OMISSIS-annullava la sentenza impugnata e rinviava al GUP per un nuovo giudizio. All’esito di quest’[#OMISSIS#], il Tribunale penale di Roma, con motivazione resa nota in data 21 dicembre -OMISSIS-, pronunciava sentenza di condanna alla pena di tre anni e cinque mesi di reclusione, nonché all’interdizione dai pubblici uffici ai sensi dell’art. 317-bis c.p. Avverso tale sentenza il ricorrente ha proposto appello, che risulta ancora pendente.
Appreso il dispositivo della sentenza in questione, il Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera Sant’[#OMISSIS#] adottava, il -OMISSIS-, un provvedimento sanzionatorio nei confronti del ricorrente di sospensione dall’incarico e di allontanamento dall’Azienda fino al 31 ottobre 2021, data di collocamento in quiescenza del prof. -OMISSIS-. Questi impugnava avanti al Tribunale del Lavoro di Roma tale provvedimento e, all’esito del tentativo di conciliazione promosso dal [#OMISSIS#], le parti, senza reciproco riconoscimento delle ragioni avversarie, accoglievano la proposta di composizione [#OMISSIS#] della controversia come formulata, concordando una riduzione di tre mesi del periodo di allontanamento e sospensione originariamente fissato dall’Azienda, con conseguente salvaguardia del TFS del ricorrente.
Nel contempo, l’Area Affari Legali dell’Università trasmetteva al Delegato del Rettore il dispositivo della sentenza penale del -OMISSIS- e il Delegato comunicava al ricorrente l’avvio di un nuovo procedimento disciplinare, sostenendo che il dispositivo di condanna penale emesso dal Tribunale di Roma in primo grado costituisse di per sé solo un fatto nuovo e rilevante. Trasmetteva quindi gli atti al Collegio di Disciplina, proponendo la sanzione disciplinare della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio per il periodo di dodici mesi. Il Collegio, dal canto suo, proponeva la sanzione della sospensione per mesi sei. Infine, il Consiglio d’Amministrazione, con il provvedimento in questa sede impugnato, deliberava l’irrogazione della sanzione della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per un periodo di sei mesi, con conseguente esonero dall’insegnamento, dalle funzioni accademiche e da ogni altra funzione, anche assistenziale, connessa all’insegnamento. Deliberava la perdita dell’anzianità di servizio per la stessa durata del periodo di sospensione e, quale sanzione accessoria, l’interdizione da incarichi istituzionali universitari. L’Organo rettorale, quindi, irrogava tale sanzione disciplinare, a decorrere dal 1 marzo 2021 e fino al 31 agosto 2021.
Premesso quanto sopra, si rileva che, nel ricorso, il prof. -OMISSIS- lamentava, in sintesi, quanto segue.
“IV.1. NULLITÀ PER DIFETTO ASSOLUTO DI ATTRIBUZIONE. ILLEGITTIMITÀ PER VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 10 DELLA LEGGE N. 240 DEL 2010; DEGLI ARTICOLI 5, 8 E 14 DEL REGOLAMENTO-2013 E DEGLI ARTICOLI 5, 7, COMMA 10, E 12 DEL REGOLAMENTO-OMISSIS-. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI TEMPESTIVITÀ DELLA CONTESTAZIONE DI ADDEBITO DISCIPLINARE. VIOLAZIONE DEL NE BIS IN IDEM. ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI MOTIVAZIONE E DI ISTRUTTORIA. VIOLAZIONE DEL [#OMISSIS#] PROCEDIMENTO. ECCESSO DI
POTERE PER SVIAMENTO. OVE OCCORRA, VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 55-BIS E 55 TER, DEL DECRETO LEGISLATIVO N. 165 DEL 2001”.
L’Università aveva avuto compiuta conoscenza di tutti i fatti oggetto della vicenda penale già in data 26 giugno -OMISSIS-, con l’acquisizione dell’intero fascicolo processuale. Da tale data, era decorso il [#OMISSIS#] – perentorio – entro il quale il Rettore avrebbe potuto, alternativamente, dichiarare concluso il procedimento, inviare gli atti al Collegio di disciplina, formulando proposta motivata, inviare gli atti alla Commissione Etica, irrogare la sanzione della censura, entro i trenta giorni successivi, ai sensi dell’art. 5, comma 4, del Regolamento del 2013 all’epoca vigente.
Il potere disciplinare dell’Ateneo si era quindi concluso con l’adozione della su ricordata censura in relazione ad alcuni fatti oggetto dell’indagine penale.
Aggiungeva il ricorrente che, in ogni [#OMISSIS#], anche a voler considerare (quod non) “sospeso” o “rinviato” il [#OMISSIS#] di trenta giorni all’esito delle risultanze del GUP (come disposto dal D.R. n. 1805/-OMISSIS-), queste erano intervenute – peraltro, come detto, in senso pienamente favorevole al ricorrente – in data -OMISSIS-, con il deposito della relativa sentenza. Al più, quindi, il potere disciplinare si sarebbe “nuovamente” esaurito nei successivi trenta giorni e, quindi, in data 5 agosto -OMISSIS-. La situazione non portava a diverse conclusioni nemmeno prendendo in considerazione, relativamente [#OMISSIS#] ulteriori capi di imputazione, la sentenza di assoluzione depositata il -OMISSIS-, perché anche in questo [#OMISSIS#] il relativo potere disciplinare si sarebbe “nuovamente” esaurito il -OMISSIS-.
I provvedimenti impugnati erano pertanto radicalmente nulli, perché adottati nell’esercizio di un potere inesistente, in quanto già consumato.
Né poteva avere peso quanto dichiarato dal Collegio di Disciplina, di avere appreso della precedente irrogazione della censura solo dalla difesa del prof. -OMISSIS- in quella sede e che comunque essa era da ritenersi “commisurata ad altri fatti”, dato che non risultavano indicati quali potessero essere tali “altri fatti”.
Era quindi mancato un doveroso approfondimento istruttorio, anche perché, in realtà, era riscontrabile la perfetta corrispondenza tra le condotte oggetto di valutazione in sede disciplinare nei due procedimenti, del -OMISSIS- e del 2021. Lo stesso dispositivo della sentenza di primo grado del -OMISSIS- non aveva messo in luce alcun fatto nuovo imputabile al ricorrente, né aveva fornito elementi diversi rispetto a quelli già noti al momento dell’apertura del primo procedimento disciplinare, tenuto anche conto che il Delegato del Rettore aveva avviato il procedimento sulla base proprio del solo dispositivo di condanna e, dunque, della mera elencazione delle condotte inserite nei capi d’imputazione.
Inoltre, la scelta di “ignorare” la precedente sanzione aveva, peraltro, determinato il fatto che il nuovo provvedimento sanzionatorio risultasse formulato in modo “unitario”, non distinguendo in alcun modo tra i diversi fatti oggetto delle vicende penali e, quindi, tra quelli già “coperti” dalla precedente sanzione e quelli per cui, invece, si era disposto un rinvio, con il conseguente mancato esercizio, nei termini, del potere di contestazione dell’addebito.
Risultava, in definitiva, la violazione del principio “ne bis in idem” e di quello della perentorietà del [#OMISSIS#] di avvio del procedimento disciplinare, dato che ciò che rileva (a partire dal fine di individuazione del [#OMISSIS#] di avvio del procedimento) è il fatto storico considerato rilevante sul piano disciplinare e, quindi, il fatto oggetto del dispositivo (o della sentenza) e la sua conoscenza (come detto, avvenuta già nel -OMISSIS-) da parte dell’amministrazione universitaria.
Il ricorrente, poi, precisava che tali conclusioni non potevano mutare nemmeno se l’Ateneo avesse voluto fare implicito riferimento alla disciplina dettata dal decreto legislativo n. 165/2001 per il lavoro pubblico c.d. “contrattualizzato”. In questo [#OMISSIS#], infatti, l’Università avrebbe violato tanto il [#OMISSIS#] di cui all’art. 55-bis, comma 4, quanto la stessa disciplina in materia di rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare, di cui all’art. 55 ter.
Non a [#OMISSIS#], aggiungeva il ricorrente, l’art. 12, comma 2, del Regolamento del -OMISSIS- oggi vigente prevede che un eventuale procedimento disciplinare possa anche essere avviato quando la conoscenza di un fatto sia acquisita solo per il tramite di un procedimento penale, ma a condizione che tale [#OMISSIS#] procedimento sia già concluso con “sentenza di condanna definitiva”, a conferma della necessità di una “stabilizzazione” degli esiti del processo penale stesso.
Né, infine, poteva trovare applicazione il disposto dell’art. 55-ter, comma primo, terzo periodo, d.lgs. cit. che recita: “Il procedimento disciplinare sospeso può essere riattivato qualora l’amministrazione giunga in possesso di elementi nuovi, sufficienti per concludere il procedimento, ivi incluso un provvedimento giurisdizionale non definitivo”. Tale periodo, infatti, è stato inserito dall’art. 14, comma 1, lett. a), del d.lgs. 25 [#OMISSIS#] -OMISSIS-, n. 75, che, all’articolo 22, comma 13, ha stabilito la sua applicabilità solo [#OMISSIS#] illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore del decreto stesso.
“IV.2. VIOLAZIONE DEL DIVIETO DI NE BIS IN IDEM, PER ALTRO ASPETTO. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 5, COMMA 2, DECRETO LEGISLATIVO N. 517 DEL 1999. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 24, COMMI 5 E 7, DEL PROTOCOLLO D’INTESA PER IL TRIENNIO -OMISSIS—OMISSIS- STIPULATO TRA LA REGIONE LAZIO E L’UNIVERSITÀ. INCOMPETENZA ASSOLUTA. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 3, COMMA 4, E DELL’ART. 11, COMMI 2 E 3, DEL REGOLAMENTO–OMISSIS- OVVERO, IN SUBORDINE, LORO ILLEGITTIMITÀ PER CONTRASTO CON LE NORME APPENA RICHIAMATE”.
Il ricorrente è stato oggetto di un provvedimento sanzionatorio sugli stessi fatti da parte del Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’[#OMISSIS#] di Roma, ai sensi dell’articolo 5, comma 14, del d.lgs. n. 517/1999.
L’Università, quindi, aveva dato luogo all’irrogazione di una seconda sanzione per il medesimo fatto storico, all’esito di un procedimento concluso dopo che la prima sanzione era divenuta definitiva.
In subordine, il ricorrente rilevava anche che il provvedimento dell’Università era certamente illegittimo [#OMISSIS#] parte in cui pretendeva di intervenire su un ambito – quali sono le attività assistenziali prestate dal docente “strutturato”, presso l’Azienda Sanitaria – di competenza del Direttore Generale dell’ente e, per di più, incidendo sugli effetti, con il prolungamento del periodo di sospensione dalle attività assistenziali, del provvedimento sanzionatorio già adottato da quest’[#OMISSIS#], in violazione di quanto disposto dall’art. 5 d.lgs. n. 517/99 (come ripreso a dai commi 5 e 7 dell’art. 24 del Protocollo d’Intesa per il triennio -OMISSIS—OMISSIS-, stipulato in data 10.02.-OMISSIS- dalla Regione Lazio e dall’Università La Sapienza).
Ugualmente non poteva invocarsi l’applicazione dell’art. 3, comma 4, del Regolamento del -OMISSIS-, secondo cui la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio fino a un anno comporta, oltre alla perdita degli emolumenti, l’esonero dall’insegnamento, dalle funzioni accademiche e da ogni altra funzione, anche assistenziale, connessa all’insegnamento, dato che tale [#OMISSIS#] non può che essere intesa – a pena di illegittimità (ed entro tali limiti, la stessa era da intendersi impugnata in questa sede) – come riferita ad attività assistenziali diverse da quelle svolte in convenzione con il sistema sanitario nazionale ovvero anche a queste ultime, ma soltanto quando il provvedimento adottato dall’Università non sia “autonomo” (come nel [#OMISSIS#] in esame), ma dipenda direttamente dal provvedimento sanzionatorio adottato dall’Azienda, come confermato dall’art. 11, commi 2 e 3, del suddetto Regolamento – pure impugnato in via subordinata – i quali prevedono un’apposita disciplina per il [#OMISSIS#] (implicitamente richiamato dal comma 4 dell’articolo 3) in cui il procedimento sia promosso dal Rettore “a seguito del provvedimento di sospensione disposto dal Direttore Generale” e, cioè, in dipendenza dello stesso.
“IV.3. DIFETTO ISTRUTTORIO E DI MOTIVAZIONE. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 2 DEL REGOLAMENTO–OMISSIS- E DELL’ARTICOLO 87 E 89 DEL R.D. 31.08.1993, N. 1592.
IV.4. IN VIA SUBORDINATA. SPROPORZIONATEZZA DELLA SANZIONE. VIOLAZIONE
DELL’ARTICOLO 11, COMMA 4, DEL REGOLAMENTO–OMISSIS-”.
I provvedimenti impugnati non tenevano conto degli elementi istruttori offerti dal ricorrente in sede di audizione e non fornivano alcuna autonoma valutazione circa la rilevanza, sul piano disciplinare, dei fatti oggetto delle vicende penali e ancora “sub judice”, né sulla proporzionalità della sanzione in relazione ai fatti accertati.
Con il decreto cautelare in epigrafe, la domanda ex art. 56 c.p.a. era respinta.
Si costituiva in giudizio l’Università intimata, depositando documentazione e una relazione sui fatti contenente anche la confutazione delle tesi di diritto del ricorrente.
Con l’ordinanza cautelare in epigrafe, questa Sezione, facendo applicazione del disposto di cui all’art. 55, comma 10, c.p.a., fissava la discussione di merito.
In prossimità di questa, parte ricorrente depositava una memoria illustrativa.
Alla pubblica udienza del 17 novembre 2021, la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei termini che si [#OMISSIS#] a illustrare.
Dall’esame della documentazione in atti, risulta incontrovertibilmente che il prof. -OMISSIS- sia stato sottoposto a procedimento penale nel -OMISSIS-, con rinvio a giudizio nell’-OMISSIS-. Risulta, altresì, che il Rettore dell’Università La Sapienza, con provvedimento del -OMISSIS-, provvedeva a comminare al ricorrente la sanzione disciplinare della “censura scritta” in relazione a fatti contestati anche nel procedimento penale, quale sanzione minima in considerazione dell’attenuante dell’inesistenza di precedenti disciplinari sanzionati.
In particolare, risultava dal medesimo provvedimento – fondato sulla vigenza e sull’applicazione del “Regolamento di Ateneo per il funzionamento del Collegio di Disciplina e per lo svolgimento del procedimento disciplinare nei confronti dei professori e ricercatori universitari”, approvato con D.R. n. 1685 del 20/05/2013 – che la contestazione di addebito aveva preso avvio dalla documentazione acquisita il 26 giugno -OMISSIS- (fascicolo processuale) in relazione al procedimento penale e che essa riguardava solo i fatti indicati al punto 4 della nota di avvio del procedimento, riassuntivi di quanto rubricato “sub D” nel capo d’imputazione e richiesta di rinvio a giudizio. [#OMISSIS#] contestazione di addebito dell’-OMISSIS- in sintesi, si evidenziava che le azioni considerate, di cui alla lettera D cit., riguardavano “…minaccia rivolta ai dottori specializzandi di estrometterli dalla Scuola se non si fossero adeguati alle sue direttive… presidiare di notte il reparto dl Terapia intensiva, anche in assenza di un anestesista strutturato”, azioni realizzatesi con modalità e finalità indicate dal P.M. con riferimento a documentazione testimoniale, a registrazioni ambientali, e altro.
Si precisava ulteriormente che, per quanto riguardava gli altri capi di imputazione (lett. A-B-C-E-F), si ravvisava l’opportunità di attendere le decisioni del GUP, realizzandosi in quella sede l’acquisizione delle risultanze delle indagini della Magistratura inquirente quali vagliate da un Organo decidente.
Richiamando, quindi, quanto emerso dal fascicolo processuale per l’imputazione sub D, il Rettore esercitava il suo potere disciplinare sulla base della considerazione per la quale era emersa una “…condotta irregolare grave perché perpetrata in violazione di norme, con l’aggravante dell’essere perpetrata da posizione dominante (professore) nei confronti di subordinati (specializzandi)”.
Il suddetto Regolamento vigente all’epoca prevedeva, all’art. 5, che il Rettore, nell’esercizio del potere disciplinare nei trenta giorni successivi alla conoscenza del fatto, poteva dichiarare chiuso il procedimento, ovvero rinviare gli atti al Consiglio di Disciplina o alla Commissione Etica, ovvero – come aveva fatto – irrogare la sanzione della censura. L’art. 9, comma 2, prevedeva la possibilità di sospendere il [#OMISSIS#] di conclusione del procedimento per esigenze istruttorie per non più di due volte e per un periodo non superiore a 60 giorni per ciascuna sospensione. Il successivo art. 14, sui rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, prevedeva che l’avvio di quest’[#OMISSIS#] non sospendeva quello disciplinare e che l’intervenuta conoscenza di una sentenza penale di condanna a carico del docente attivava in ogni [#OMISSIS#] il procedimento disciplinare.
Ebbene, nel [#OMISSIS#] di specie risulta che il Rettore abbia esercitato il potere disciplinare con l’irrogazione della censura.
La sospensione di rimandare ogni ulteriore determinazione sui fatti oggetto dei diversi capi di imputazione all’esito della decisione del GUP, doveva semmai trovare [#OMISSIS#] allorquando fosse intervenuta pronuncia di tale Organo decidente e ciò avveniva nel -OMISSIS-, con sentenza di non luogo a procedere per il prof. -OMISSIS- – perché il fatto non sussisteva – sui capi di imputazione A-D-E-F.
Come condivisibilmente osservato dal ricorrente, quindi, non si comprende per quale ragione l’Università non abbia all’epoca avviato nei termini un nuovo procedimento disciplinare sui residui fatti di cui ai capi di imputazione suddetti, tenuto conto che i fatti di rilevanza penale possono comunque essere oggetto di valutazione disciplinare anche in presenza di una conclusione processuale favorevole all’imputato, attesa l’autonomia dei due giudizi (TAR Lazio, Sez. II, 1.9.15, n. 10981).
Se pure dovesse ritenersi rilevante, come affermato dall’Università, che tale sentenza risultava poi, su appello del P.M., [#OMISSIS#] dalla Corte di Cassazione, ben poteva l’Università provvedere allora dopo tale pronuncia nel -OMISSIS-, ove un (altro e qualificato) organo giudicante si era espresso.
Anche a volere considerare necessario un giudizio su tutti i capi di imputazione, analoga iniziativa poteva essere ancora promossa all’esito del procedimento per l’ulteriore capo di imputazione B, su cui il Tribunale di Roma, con sentenza n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, aveva dichiarato l’imputato assolto dai reati ascrittigli, con conseguente potere disciplinare esaurito nei trenta giorni successivi, il -OMISSIS-.
In sostanza, l’avvio del procedimento disciplinare sugli ulteriori fatti poteva avvenire tutt’al più entro il -OMISSIS-, [#OMISSIS#] restando che il Collegio, ad ogni modo, ritiene sin da ora di precisare – come osservato dal ricorrente e sostanzialmente non smentito con elementi oggettivi in questa sede dall’Università – che i fatti da valutare erano e sono rimasti sempre quelli di cui al rinvio a giudizio del -OMISSIS-.
Che dagli atti del procedimento disciplinare del -OMISSIS- risulti come il Collegio di Disciplina avesse appreso solo dalle difese del ricorrente dell’esistenza del precedente provvedimento del Rettore del -OMISSIS- è circostanza irrilevante, in quanto era onere dell’Università e degli organi che avevano avviato il “nuovo” procedimento disciplinare verificare che non vi fossero stati precedenti, anche e soprattutto, alla luce del lungo tempo trascorso, tenendo conto che la stessa Università risultava costituita parte civile nel procedimento penale e poteva “monitorare” ogni fase dello stesso culminate nelle diverse sentenze tra il -OMISSIS- e il -OMISSIS-.
Ad ogni buon conto, è [#OMISSIS#] che, come pure osservato dal ricorrente, laddove il provvedimento in questa sede impugnato non distingue tra i capi di imputazione specifici, la “nuova” sanzione non poteva comprendere il capo di imputazione sub D, già oggetto dell’iniziativa disciplinare del Rettore nel -OMISSIS-, con conseguente violazione del principio del “ne bis in idem” sotto il profilo disciplinare almeno per questo capo di imputazione.
Sulla base di tale sfondo fattuale, pertanto, non può non rilevarsi che oggetto di valutazione siano stati i medesimi fatti storici cristallizzati nei capi di imputazione originari e in assenza di specificazione, da parte dell’Organo di disciplina, di quali nuovi [#OMISSIS#] il procedimento penale culminato [#OMISSIS#] sentenza del -OMISSIS- avrebbe arricchito il quadro probatorio, dato che non risulta svolta alcuna particolare attività istruttoria nel processo penale dopo l’acquisizione degli elementi valutati dal GUP, nel -OMISSIS-, della Corte di Cassazione, nel -OMISSIS-, e dal Tribunale, nel -OMISSIS-.
La sentenza di condanna del -OMISSIS- – peraltro non passata in giudicato in pendenza di appello – si è infatti limitata a riesaminare lo sviluppo fattuale e processuale già valutato a suo tempo.
In tal senso, quindi, vi erano all’epoca già tutti gli elementi per poter dare avvio al procedimento disciplinare, data la specificità dei capi di imputazione e delle rilevanze istruttorie penali (Cass. Civ, sez. lav. 11.9.18, n. 22075).
Si rammenta, infatti, che in campo disciplinare l’Amministrazione deve sempre procedere a un’istruttoria in tempi ragionevoli e, una volta acquisita la conoscenza qualificata, deve procedere subito alla contestazione, sicché, nel rispetto dei principi enucleati dell’ordinamento, il procedimento disciplinare deve essere sempre avviato a ridosso dell’acquisizione della notizia configurabile come illecito disciplinare (per tutte: Cons. Stato, Sez. IV, 29.12.17, n. 6171).
Né può dirsi che il “fatto nuovo” da cui ha preso avvio il procedimento disciplinare del -OMISSIS- possa essere costituito “in sé” dalla sentenza di primo grado non definitiva.
Valga osservare in proposito che, nel luglio -OMISSIS-, era vigente il Regolamento d’Ateneo di cui al D.R. n. 428/-OMISSIS-, di modifica del precedente del 2015, il quale prevedeva all’art. 12, comma 2, che “Qualora il Rettore (o il Suo delegato) abbia avuto notizia di un procedimento penale a carico di un professore o ricercatore, solo dopo la sentenza di condanna definitiva, promuove comunque l’azione disciplinare”.
Nel [#OMISSIS#] di specie la sentenza penale non è passata in giudicato, in seguito alla pendenza di appello, per cui non sussistevano i presupposti per provvedere già nel -OMISSIS-, come invece fatto.
L’Università afferma nelle sue difese che tale [#OMISSIS#] non intenderebbe dare facoltà di posticipare all’esito di sentenza definitiva l’avvio del procedimento disciplinare bensì, in coerenza con la vigente normativa, ribadisce che, per i più gravi fatti suscettibili anche di rilevanza penale, è possibile avviare il procedimento disciplinare anche a distanza di tempo dall’emersione del fatto rilevante, addirittura dopo aver avuto cognizione della sentenza definitiva. Altrimenti si realizzerebbe un contrasto con il comma 1 dello stesso art. 12, che prevede l’avvio autonomo del procedimento disciplinare.
Il Collegio non riscontra nel testo regolamentare tale distinzione tra “fatti gravi” di rilevanza penale e fatti non gravi sotto tale profilo; piuttosto appare più logica l’interpretazione secondo la quale il comma 1 fa esclusivo riferimento ai termini del procedimento disciplinare (“…si avvia e si conclude…”), nel senso che essi sono autonomi e non possono essere collegati alla (notoriamente estesa) durata del processo penale. Se l’Amministrazione apprende del procedimento penale e del fatto rilevante sotto un profilo disciplinare solo dopo la sentenza definitiva, il procedimento disciplinare può allora trovare inizio anche a distanza di tempo, ai sensi del citato comma 2.
Nel [#OMISSIS#] di specie, invece, come detto, i fatti erano ben noti all’Università dal -OMISSIS-, Università che si era costituita anche parte civile nel procedimento penale, per cui non si comprende per quale ragione abbia voluto attendere l’esito del solo giudizio di primo grado e non muoversi prima sui fatti di cui ai capi di imputazione diversi da quello sub D, già giudicato disciplinarmente nel -OMISSIS-, ovvero attendere la sentenza definitiva.
Ancor di più – rimarca il Collegio – emerge la contraddittorietà delle tesi dell’Università laddove affermano che “…la valutazione disciplinare del fatto penalmente rilevante si rivolge a [#OMISSIS#] che non necessariamente si identificano nell’esame di ciascun singolo capo di imputazione o di ciascun reato ma rilevano per il relativo complessivo disvalore ragguagliato alla rilevanza violazione degli obblighi di condotta e di servizio e alla funzione rivestita nell’ambito dell’ordinamento settoriale”. Se così è, ben l’Università poteva allora provvedere prima e indipendentemente dalla pronuncia del -OMISSIS- in relazione ai fatti contestati e in virtù dell’autonomia tra provvedimento disciplinare e penale.
Sostiene l’Università che “La vicenda in questione, oggettivamente e soggettivamente complessa, processualmente articolata e frammentata in varie fasi di giudizio e stralci processuali snodatasi nel corso degli anni fin dal 2013, è stata ricondotta ad unità e a complessiva definizione solo con la sentenza n. 5387/-OMISSIS-”, ma tale conclusione, di per sé apodittica, non trova alcun riscontro, ad opinione del Collegio, dato che la sentenza stessa, tra l’altro procedendo anche ad assolvere il prof. -OMISSIS- da una parte di imputazione e dichiarando di non doversi procedere per precedente giudicato, conferma che i fatti contestati sono rimasti i medesimi, come si legge [#OMISSIS#] lunga riproposizione dell’escussione dei testi e [#OMISSIS#] valutazione relativa, senza alcun riferimento a fatti o comportamenti successivi al -OMISSIS-.
In sostanza, il Collegio rileva la fondatezza di quanto dedotto nel primo motivo di ricorso, in quanto non è chiarito [#OMISSIS#] motivazione dei provvedimenti di irrogazione della sanzione impugnata per quale ragione la complessa vicenda processuale sarebbe stata ricondotta ad unità e a complessiva definizione solo con la sentenza n. 5387/-OMISSIS- e non anche con le precedenti del -OMISSIS- (del GUP) e del -OMISSIS- (dello stesso Tribunale), solo perché “favorevoli” al prof. -OMISSIS-. Così come non è chiarito perché, a quel punto, non sarebbe stato più logico attendere la definizione completa dell’intero “iter” giudiziario con il passaggio in giudicato, dato che ciò era comunque consentito dall’art. 12, comma 2, del regolamento vigente.
Se, quindi, come afferma l’Università [#OMISSIS#] sua relazione, “La valutazione disciplinare del fatto penalmente rilevante si rivolge a [#OMISSIS#] che non necessariamente si identificano nell’esame di ciascun singolo capo di imputazione o di ciascun reato ma rilevano per il relativo complessivo disvalore ragguagliato alla rilevanza violazione degli obblighi di condotta e di servizio e alla funzione rivestita nell’ambito dell’ordinamento settoriale”, non è dato comprendere, dalla motivazione dei provvedimenti impugnati, perché sia stato necessario attendere la riconduzione a unità e a complessiva definizione con la sentenza n. 5387/-OMISSIS-, quando già in precedenza i singoli fatti erano comunque conosciuti. Né l’Università spiega quali elementi mancanti siano stati integrati solo con la pronuncia del -OMISSIS-, in che modo la riconduzione a unità abbia potuto chiarire la rilevanza dei fatti sotto il profilo disciplinare considerato e dove essa sia intervenuta a chiarire le condotte addebitate al prof. -OMISSIS- rispetto alle imputazioni del -OMISSIS-.
Si aggiunga che, [#OMISSIS#] stesso verbale del -OMISSIS- del Collegio di Disciplina che ha portato alla proposta al CdA, si legge, al punto 8, che la “…contestazione mossa al prof. -OMISSIS- muove, non v’è dubbio, dalla sentenza di condanna, ma la stessa illumina gravi fatti di rilievo disciplinare, al netto delle conseguenze penali…”, con conseguente richiamo ai capi di imputazione originari.
Se così è, allora, se ne traggono le seguenti conclusioni: 1) la (nuova) contestazione disciplinare muove dalla sentenza penale di condanna; 2) i fatti di rilevo disciplinare possono essere considerati “al netto” delle conseguenze penali.
Emerge, allora, che non si rinvengono congrue motivazioni sul perché solo (e dove) la sentenza di condanna abbia illuminato gravi fatti di rilevo disciplinare e non siano state considerate anche quelle di assoluzione e perché non si sia ritenuto opportuno attendere l’esito dell’intero giudizio. Inoltre, non è motivata la ragione per la quale, se i fatti sono stati disciplinarmente considerati “al netto” delle conseguenze penali, perché alla relativa iniziativa non si sia dato luogo quantomeno nel -OMISSIS-, anno della prima assoluzione.
Alquanto significativa, a tale proposito, è la lettura delle premesse del decreto rettorale impugnato con cui è stata comminata la sanzione in attuazione della delibera del CdA, laddove risultano richiamati i soli provvedimenti penali “sfavorevoli” al ricorrente, di cui al rinvio al giudizio del dicembre -OMISSIS- e alla sentenza di condanna del -OMISSIS-, e non anche gli ulteriori provvedimenti che, sulla base dei medesimi fatti, avevano pronunciato in senso favorevole al prof. -OMISSIS-.
In sostanza, se i fatti erano noti già nel -OMISSIS- e pronunce di organi giudicanti erano intervenute già nel -OMISSIS- e nel -OMISSIS-, non si comprende per quale ragione si sia atteso il -OMISSIS- per intervenire di nuovo disciplinarmente sui medesimi fatti. E se pure tale intervento poteva essere legittimato da una pronuncia, non è dato comprendere per quale ragione l’Università non abbia allora atteso il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o l’esito del giudizio penale (di secondo ed eventuale terzo grado) al fine di provvedere disciplinarmente su fatti che solo allora sarebbero stati definitivamente configurati e “ricondotti a unità” dagli organi decidenti penali.
Per quanto riguarda l’eventuale applicazione dell’art. 55-ter, comma primo, terzo periodo, d.lgs. n. 165/01 – peraltro non esplicitamente richiamato in nessuno dei provvedimenti impugnati – che consente la sospensione del procedimento disciplinare e la sua riattivazione qualora l’amministrazione giunga in possesso di elementi nuovi, sufficienti per concludere il procedimento stesso, ivi incluso un provvedimento giurisdizionale non definitivo, il Collegio rileva che tale disposizione si applicherebbe a un procedimento disciplinare se avviato in termini, come non è in questo [#OMISSIS#], e che, comunque, essa risulta inserita dall’art. 14, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 75/17, il quale, all’art. 22, comma 13, ha stabilito la sua applicabilità solo [#OMISSIS#] illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore del decreto stesso, circostanza, questa, non propria del [#OMISSIS#] di specie ove gli eventuali illeciti erano tutti riconducibili al -OMISSIS-.
Si riscontra, poi, anche carenza di motivazione in ordine alla circostanza richiamata nel provvedimento impugnato per cui la precedente “censura scritta” riguardava fatti diversi, dato che le contestazioni di addebito nei due diversi atti di avvio risultano in realtà del tutto corrispondenti.
Altrettanta carenza di motivazione, secondo quanto lamentato in ulteriore motivo di ricorso, è riscontrabile per il fatto che – in virtù della complessità richiamata dalla stessa Università – la sanzione impugnata risulta formulata in modo generico, senza distinguere le singole condotte, pure oggetto delle vicende penali e dei diversi capi di imputazione, non risultando sufficiente allo scopo il richiamo alla “gravità” dei comportamenti e alla sussistenza dei presupposti per irrogare la sanzione [#OMISSIS#] proporzionalità da [#OMISSIS#] determinata.
In definitiva i provvedimenti impugnati si palesano illegittimi per tardività dell’avvio del procedimento disciplinare e per carenza di motivazione nei sensi su indicati.
Quanto dedotto consente di rilevare l’illegittimità dei provvedimenti impugnati all’origine dell’irrogazione della sanzione stessa, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso sulle conseguenze in merito all’attività assistenziale.
La complessità della fattispecie comporta eccezionalmente la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati con i quali è stata irrogata la sanzione disciplinare al ricorrente.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Vista la richiesta dell’interessato e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente, l’Università resistente e l’Azienda Ospedaliera richiamate [#OMISSIS#] presente sentenza.
Così deciso in Roma [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del 17 novembre 2021 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Referendario