Non è possibile procedere alla riqualificazione del rapporto di lavoro da professore “a contratto” a rapporto di lavoro a tempo determinato, poiché tale effetto è impedito radicalmente dall’art. 36, comma 5, del D.lgs. 165/2001, in base al quale dalla violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori non può mai conseguire la costituzione di rapporti a tempo indeterminato, e dall’art. 97, comma 4 della Costituzione che sancisce il principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione.
TAR Lombardia, Sez. V, 24 giugno 2024, n. 1962
Non è in nessun caso possibile stabilizzare il docente a contratto presso l'Università dove ha svolto in maniera continuativa attività di docenza
N. 01962/2024 REG.PROV.COLL.
N. 01331/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1331 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Università degli Studi Milano, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Ministero dell’Economia e delle Finanze, non costitutosi in giudizio;
per l’annullamento
– della nota dell’Università degli Studi di Milano prot. 25921 Dir. RU/AC/mn trasmessa il 16 marzo 2020 (doc. 8) avente ad oggetto “Docenze a contratto ai sensi dell’art. 23 – Legge 240/10” nonché di qualsivoglia ulteriore atto, provvedimento comunque connesso o collegato alla predetta nota nonché ancora ed alle relative determinazioni nonché ancora, per quanto occorra, per l’annullamento, in parte qua, del “Regolamento Generale d’Ateneo” (doc. 10) e del “Regolamento per la disciplina dei contratti per l’attività di insegnamento” (doc. 9) nonché, in ogni caso, previa per quanto occorrer possa la disapplicazione degli atti impugnati;
– per l’accertamento del diritto della ricorrente, previo accertamento dello status ascrivibile alla medesima, al pagamento delle somme meglio specificate in ricorso, per i titoli dedotti o per qualsivoglia ulteriore e diversa ragione di diritto comunque ritenuta di giustizia, previo accertamento dell’illegittimità della condotta tenuta dai medesimi resistenti;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi Milano e del Ministero dell’Università e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 17 maggio 2024 il dott. OMISSIS e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La ricorrente, a far tempo dall’A.A. 2002/2003, in forza di autonomi contratti di insegnamento stipulati con l’intimata Università a tempo determinato, ha svolto in modo continuativo attività di insegnamento della lingua italiana a stranieri e della linguistica italiana.
Con istanza del 18 dicembre 2019 la docente ha richiesto all’Ateneo di “regolarizzare” (i.e.: stabilizzare) la propria posizione sotto ogni aspetto (in quanto, a suo dire, assimilabile a quella di un professore associato confermato a tempo pieno), con conseguente “trasformazione” del contratto di lavoro a tempo determinato in altro a tempo indeterminato, con la corresponsione delle spettanze dovutele in ragione dell’assimilabilità della prestazione svolta a quella di professore associato, oltre al risarcimento di tutti i pregiudizi patiti.
Con la nota impugnata prot. 25921 Dir. RU/AC/mn trasmessa il 16 marzo 2020 l’Università ha ritenuto di non poter dar luogo alle sopracitate richieste sulla base delle seguenti osservazioni.
Ai sensi del secondo comma dell’art. 23 della Legge 30 dicembre 2010 n. 240 le Università possono stipulare contratti a titolo oneroso con soggetti ritenuti in possesso di adeguati requisiti scientifici e professionali e ciò al fine di fare fronte a specifiche esigenze didattiche, anche a carattere integrativo; l’Università ha recepito tale disposizione sia nel suo “Regolamento Generale d’Ateneo” (art. 42) che nel suo “Regolamento per la disciplina dei contratti per attività di insegnamento”; il comma 4 dell’art. 23 Legge 240/2010 prevede anche che “La stipulazione di contratti per attività di insegnamento ai sensi del presente articolo non dà luogo a diritti in ordine all’accesso ai ruoli universitari, ma consente di computare le eventuali chiamate di coloro che sono stati titolari dei contratti nell’ambito delle risorse vincolate di cui all’articolo 18, comma 4”: di conseguenza i titolari di tali contratti d’insegnamento, stipulati sulla base della citata normativa, possono (solo) partecipare alle procedure pubbliche di selezione dopo una valutazione comparativa ai fini dell’accesso ai ruoli universitari di ricercatore a tempo determinato o di docente.
Con ricorso notificato in data 02.07.2020 e depositato in data 29.07.2020, la dott.ssa -OMISSIS- ha impugnato tale nota e i presupposti Regolamenti di Ateneo.
Ha chiesto (si riporta testualmente):
“In via principale, per le ragioni di cui in narrativa e/o per qualsivoglia ulteriore ragione, di fatto o di diritto, comunque ritenuta dall’Ill.mo Tribunale Amministrativo Regionale, previe le declaratorie comunque ritenute, previa – se del caso, ove non annullati – disapplicazione del “Regolamento Generale d’Ateneo” e del “Regolamento per la disciplina dei contratti per l’attività di insegnamento” dell’Università degli Studi di Milano – annullare, ove ritenuto, i provvedimenti impugnati come indicati in epigrafe e, in ogni caso, accertata e dichiarata l’illecita e/o illegittima applicazione delle forme contrattuali usate ai fini delle prestazioni lavorative rese dalla dott.ssa -OMISSIS- a beneficio dell’Università degli Studi di Milano a far data dall’Anno Accademico 2002/2003 e sino all’anno accademico 2017/2018 e previo, ove ritenuto ed anche solo ai fini delle relative pretese patrimoniali, accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro per lo svolgimento, da parte della ricorrente, di attività accademica di professore associato, o comunque di attività equiparabile, con ogni conseguente statuizione in punto status giuridico, condannare le resistenti al pagamento, in favore della dott.ssa -OMISSIS-, di un importo pari alle differenze retributive maturate nel medesimo periodo, secondo quanto vorrà accertare l’Ill.mo Collegio in corso di causa avendo riguardo dei relativi conteggi e, pertanto: (a) per un importo pari ad Euro 457.065,05, ove venga accertato lo svolgimento di attività accademica di/o equiparabile a quella svolta dai docenti associati confermati a tempo pieno, oltre all’importo maturato a titolo di Trattamento di Fine Servizio per Euro 54.220,18, ovvero, in via subordinata, (b) per un importo pari ad Euro 243.238,89 ove venga accertato lo svolgimento di attività accademica di/o equiparabile a quella svolta dai docenti associati confermati a tempo definito, oltre all’importo maturato a titolo di Trattamento di Fine Servizio per Euro 37.161,51. Il tutto, ove ritenuto, condannando altresì le resistenti alla compiuta regolarizzazione, sotto ogni profilo, previdenziale e assistenziale, della posizione della ricorrente con conseguente pagamento delle relative contribuzioni così come accertate in corso di causa. Ovvero, in ogni caso, condannare le resistenti al pagamento di quella somma, anche inferiore, che verrà accertata in corso di causa, se del caso anche in via equitativa, dall’Ill.mo Collegio. In via subordinata, per le ragioni di cui in narrativa e/o per qualsivoglia ulteriore ragione, di fatto o di diritto, comunque ritenuta dall’Ill.mo Tribunale Amministrativo Regionale, previe le declaratorie comunque ritenute e, ove ritenuto, previa, se non annullati, disapplicazione del “Regolamento Generale d’Ateneo” e del “Regolamento per la disciplina dei contratti per l’attività di insegnamento” dell’Università degli Studi di Milano; previo annullamento, ove ritenuto, dei provvedimenti impugnati come indicati in epigrafe; previo accertamento dell’illecita e/o illegittima applicazione delle forme contrattuali usate ai fini delle prestazioni lavorative rese dalla dott.ssa -OMISSIS- a beneficio dell’Università degli Studi di Milano a far data dall’Anno Accademico 2002/2003 e sino all’anno accademico 2017/2018 e previo, anche solo ai fini delle relative pretese patrimoniali, accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro o anche soltanto dello svolgimento in fatto, da parte della ricorrente, di attività accademica di docenza per il periodo di riferimento, o comunque di attività equiparabile, se del caso con ogni conseguente statuizione in punto status giuridico, accertare e dichiarare che le resistenti si sono arricchite in danno alla ricorrente e, per l’effetto, condannare le resistenti ad un indennizzo pari:
(a) all’importo di Euro 457.065,05, ove venga accertato lo svolgimento di attività accademica di/o equiparabile a quella svolta dai docenti associati confermati a tempo pieno, oltre all’importo maturato a titolo di Trattamento di Fine Servizio per Euro 54.220,18, ovvero, in via subordinata, (b) all’importo di Euro 243.238,89 ove venga accertato lo svolgimento di attività accademica di/o equiparabile a quella svolta dai docenti associati confermati a tempo definito, oltre all’importo maturato a titolo di Trattamento di Fine Servizio per Euro 37.161,51. Ovvero, condannare le resistenti al pagamento di quella somma, anche inferiore, che verrà accertata in corso di causa, se del caso anche in via equitativa, dall’Ill.mo Collegio”; con vittoria di spese.
Ha dedotto i seguenti motivi di ricorso:
“1. Sulla condotta illegittima dell’Ateneo, reiterata violazione e falsa applicazione delle seguenti disposizioni ratione temporis applicabili: art. 25 del d.p.r. 382/1980, D.M. 21 maggio 1998, n. 242, art. 23 della l. 240/10, D.M. 21 luglio 2011 n. 313, art. 20 del d.lgs. 25 maggio 2017 n. 75, “Regolamento della disciplina dei contratti per l’attività d’insegnamento ai sensi dell’art. 23 della legge 30 dicembre 2010, n. 240”, “Regolamento Generale d’Ateneo”; violazione dell’art. 36 della Costituzione.”
L’Ateneo avrebbe abusato di uno strumento per sua natura straordinario qual è il contratto di docenza annuale, utilizzabile solo in casi eccezionali e comunque non rinnovabile più di due volte in uno stesso quinquennio, così operando oltre i limiti imposti dalla normativa e dai Regolamenti sopracitati.
In particolare, la ricorrente – che ha anche conseguito nel 2014 l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore di seconda fascia nel settore concorsuale 10/F3 – Linguistica e Filosofia Italiana, a seguito del Bando 2013 (D.D. n. 161/2013) – espone di aver insegnato presso l’intimato Ateneo per sedici anni per il tramite di una sequenza di contratti, svolgendo attività accademica, a suo dire, in tutto e per tutto equiparabile a quella di un docente di ruolo ma senza che le venissero riconosciuti i diritti patrimoniali, assicurativi e previdenziali propri dei docenti associati confermati a tempo pieno. E ancora, secondo la ricorrente, il rapporto di lavoro instaurato in esito ai plurimi contratti stipulati con l’Ateneo, dovrebbe considerarsi come unico e ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno.
Chiede, pertanto, la condanna delle Amministrazioni resistenti al pagamento delle differenze retributive sin dal primo contratto di lavoro sottoscritto (a.a. 2002/2003) e ciò avendo riguardo ai parametri retributivi applicati per i docenti di ruolo e, dunque, secondo un calcolo effettuato sulla base di quanto previsto dal d.p.r. 382/1980, novellato successivamente dalla Legge n. 240/2010.
Sotto altro profilo, inoltre, in via subordinata, la ricorrente chiede che le vengano corrisposte le somme richieste quale indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c.: l’Ateneo, invero, con il proprio comportamento si sarebbe indebitamente arricchito con pregiudizio della ricorrente.
“2. Con riferimento alla nota dell’Ateneo in data 17 marzo 2020; difetto d’istruttoria, difetto di motivazione, eccesso di potere, manifesta irragionevolezza e, ancora, violazione e falsa applicazione delle seguenti disposizioni ratione temporis applicabili: art. 25 del d.p.r. 382/1980, D.M. 21 maggio 1998, n. 242, art. 23 della l. 240/10, D.M. 21 luglio 2011 n. 313, art. 20 del d.lgs. 25 maggio 2017 n. 75, “Regolamento della disciplina dei contratti per l’attività d’insegnamento ai sensi dell’art. 23 della legge 16- 28 30 dicembre 2010, n. 240” (doc. 9), “Regolamento Generale d’Ateneo”; violazione della l. 241/90, violazione dell’art. 36 della Costituzione, difetto d’istruttoria e di motivazione.”
Nella nota impugnata l’Amministrazione avrebbe omesso di esplicitare i motivi del rigetto delle pretese patrimoniali avanzate dalla docente. Inoltre, sotto altro profilo, la ricorrente rileva la contraddittorietà della nota impugnata laddove fa riferimento all’art. 23 comma 4 l. 240/2010 che consente l’uso ma non l’abuso delle forme contrattuali ivi previste.
2. In data 31/07/2020, l’Università degli Studi di Milano si è costituita in giudizio con memoria di mero stile, con il patrocinio dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, chiedendo che “il ricorso de quo sia dichiarato nullo ex art. 44, comma 1, lett. b) per indeterminatezza della domanda, o comunque improponibile, inammissibile e in ogni caso rigettato nel merito per infondatezza oltre che per l’intervenuta prescrizione dei diritti azionati nella fattispecie”.
Ha eccepito, inoltre, che il ricorso sarebbe stato notificato in data 6.07.2020 all’Università di MILANO presso la sua sede legale “nonché ed erroneamente alla stessa presso l’Avvocatura Generale dello Stato a ROMA anziché presso la Scrivente Avvocatura”.
3. In pari data si è costituito il Ministero dell’Università e della Ricerca, eccependo, preliminarmente, il proprio difetto di legittimazione passiva e, in subordine, l’infondatezza del ricorso, di cui chiede il rigetto, vinte le spese.
4. In vista dell’udienza di discussione del ricorso, l’Università degli Studi di Milano e la ricorrente hanno depositato memorie e la sola ricorrente, altresì, una replica.
L’Ateneo, con la memoria depositata in data 15/4/2024, ha, altresì, eccepito, in limine, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo con riferimento alla domanda di “accertamento del rapporto di lavoro subordinato”, in favore del giudice ordinario.
5. All’udienza straordinaria del 17/05/2024, svoltasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, la causa è stata trattenuta in decisione.
6. Va, preliminarmente, esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall’Università degli Studi di Milano.
L’eccezione è infondata e va respinta.
6.1. Come chiarito di recente da questo Tribunale (TAR Lombardia, Milano, sez. V n. 513/2024), ai sensi dell’art. 3 co. 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (“Personale in regime di diritto pubblico”) e dell’art. 133 co. 1 lett. i) c.p.a. il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari, a tempo indeterminato o determinato, sia delle università statali che non statali, è in regime di diritto pubblico e le relative controversie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 18/01/2021, n.155 confermata da Consiglio di Stato, Sez. VII, 28/04/2023, n. 4330; Cons. Stato sez. VI, 10/11/2022, n.9869; Cass. civ., SS.UU., sent. n. 60, del 13.02.1999; id., n. 11623, del 21.11.1997; id., n. 98, del 12/03/2001; Cons. Stato, Sez. VI, 4550/2008; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, Sent., 28/02/2011, n. 232).
6.2. Ed invero, “La cognizione delle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni è devoluta, in linea generale, alla giurisdizione del giudice ordinario, fanno eccezione a tale regola i rapporti di lavoro indicati nell’art. 3 del d.lgs. n. 165 del 2001, con la conseguenza che le controversie relative ai rapporti di lavoro dei professori e dei ricercatori universitari, a tempo indeterminato o determinato, ai sensi del citato art. 3, comma 2, sono devolute alla giurisdizione amministrativa.” (Cass. Civ., Sez. Unite, 15 febbraio 2022, n. 4872).
7. Tanto premesso, ritiene il Collegio di dover accogliere l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Ministero dell’Università e della Ricerca, non risultando impugnati atti o provvedimenti imputabili a detto dicastero né proposte domande nei confronti dello stesso Ministero, che va pertanto estromesso dal giudizio de quo.
Lo stesso dicasi per il Ministero dell’Economia e delle Finanze, non costituitosi ma a cui il ricorso è stato pure notificato.
8. Va respinta l’eccezione di nullità del ricorso ex art. 44, comma 1, lett. b) c.p.a. per indeterminatezza della domanda formulata, genericamente e con memoria di mero stile, dall’Università degli Studi di Milano del 31 luglio 2020.
Il ricorso è stato ritualmente proposto e contiene tutti gli elementi indicati all’art. 40 c.p.a., ed in particolare quelli richiesti al comma 1 lett. b e d dell’art. 40.
Appare nella specie applicabile il condivisibile orientamento (Cons. Stato Sez. IV, 16/11/2020, n. 7046; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 03/02/2021, n.1396) per cui la mancata osservanza delle prescrizioni di cui all’art. 40 del D.Lgs. n. 104/2010 è causa di nullità del ricorso solo nell’ipotesi in cui vi sia incertezza assoluta sulle persone o sull’oggetto della domanda: evenienza che non ricorre nel caso in esame, in cui il significato delle censure emerge sufficientemente dal ricorso, che si presente suddivisa in motivi; le singole domande sono specificatamente indicate e chiaramente evincibile sia dall’epigrafe che dall’indicazione del petitum sia formale (il provvedimento giurisdizionale richiesto) che sostanziale (il bene della vita di cui si domanda il riconoscimento) nonché della causa petendi (intesa quale esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda).
L’infondatezza dell’eccezione è ulteriormente dimostrata dalla circostanza che, con successiva memoria, la stessa Università ha preso specifica posizione su tutte le domande e i motivi di ricorso, evidentemente in ragione dell’insussistenza dell’asserita “incertezza assoluta” sull’oggetto della domanda.
9. Per il resto, ritiene il Collegio di prescindere dall’esame dell’eccezione di prescrizione (parziale), in applicazione del c.d. principio della ragione più liquida e, quindi, degli artt. 24 e 111 Cost., posta l’infondatezza del ricorso nel merito.
10. Giova premettere che quelli via via stipulati dal 2002 al 2018 con l’Università degli Studi di Milano sono contratti di opera intellettuale soggetti alla disciplina generale di cui al libro quinto – Titolo III – Capo II del Codice Civile (artt. 2229-2238 c.c.) e a quella speciale vigente in materia di ordinamento universitario, succedutasi nel tempo.
10.1. La figura dei professori a contratto è stata introdotta dal DPR n. 382 del 1980 (artt.7, 25 e 100) che ha disciplinato la procedura di conferimento dei relativi incarichi.
In particolare, l’art. 25 del D.P.R. n. 382/1980 ha consentito alle Università la possibilità di stipulare contratti di diritto privato per l’“attivazione di corsi integrativi di quelli ufficiali” e per consentire alle stesse di acquisire “significative esperienze teorico – pratiche di tipo specialistico provenienti dal mondo extrauniversitario ovvero di risultati di particolari ricerche o studi di alta qualificazione”.
Nello specifico, il Consiglio di facoltà, nel quadro di coordinamento delle attività didattiche, poteva affidare a tali professori a contratto lo svolgimento di corsi “integrativi” rispetto a quelli ufficiali e finalizzati all’acquisizione delle suddette “significative esperienze” e di “risultati di particolari ricerche o studi di alta qualificazione” (art. 7).
Di conseguenza, le facoltà universitarie, d’intesa con i consigli dei corsi di laurea, potevano determinare i corsi integrativi da attivare di volta in volta (in misura comunque non superiore a un decimo degli insegnamenti ufficiali impartiti in ciascuna di esse), designando poi lo studioso o l’esperto a cui affidare il loro insegnamento (al contempo fissandone tipo di prestazioni e relativo compenso).
In attuazione dell’art. 17, comma 96, della Legge n. 127 del 1997 è poi intervenuto l’art. 1 del D.M. 21 maggio 1998 n. 242 che ha a sua volta previsto che “Per sopperire a particolari e motivate esigenze didattiche, le università e gli istituti di istruzione universitaria statali (…) possono stipulare con studiosi o esperti anche di cittadinanza straniera di comprovata qualificazione professionale o scientifica, non dipendenti da università italiane, contratti di diritto privato per l’insegnamento nei corsi di diploma universitario, di laurea o di specializzazione per lo svolgimento di attività didattiche integrative”.
Il successivo Decreto interministeriale del 16.9.1999 n. 94 ha altresì stabilito la misura del trattamento economico dei docenti a contratto (fissata nel 120% della retribuzione iniziale dei ricercatori confermati a tempo pieno ex art. 2 comma 2).
È poi anche intervenuta la L. 4 novembre 2005, n. 230, recante nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari e contenente la delega al Governo per il riordino della materia del reclutamento dei professori universitari ed essa ha tra l’altro ribadito, al suo art. 1 comma 10, la possibilità per ogni Ateneo di attribuire incarichi di docenza a contratto per qualunque insegnamento relativo ai vari corsi di laurea, specializzazione o dottorato, avuto a tal fine riguardo alle proprie esigenze didattiche e alle concrete disponibilità di bilancio.
Si rinviava poi all’emanazione di un altro decreto la definizione dei criteri e delle modalità necessarie a operare il previsto conferimento (D.M. 8 luglio 2008).
10.2. Successivamente, l’art. 23 della L. 30.12.2010 n. 240 (significativamente rubricato “Contratti per attività di insegnamento”) ha stabilito che “Fermo restando l’affidamento a titolo oneroso o gratuito di incarichi di insegnamento al personale docente e ricercatore universitario le università possono, altresì, stipulare contratti a titolo oneroso, nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio, per far fronte a specifiche esigenze didattiche, anche integrative, con soggetti in possesso di adeguati requisiti scientifici e professionali”, precisando comunque che “I contratti sono attribuiti previo espletamento di procedure comparative disciplinate con regolamenti di ateneo, nel rispetto del codice etico, che assicurino la valutazione comparativa dei candidati e la pubblicità degli atti”.
Tale normativa generale ha, poi, trovato la sua disciplina di dettaglio nell’art. 46 lett. a) del Regolamento generale d’Ateneo, nell’art. 3 del Regolamento per il conferimento degli incarichi di insegnamento e ricerca, nell’art. 2 comma 3 del Regolamento per la disciplina dei contratti per attività di insegnamento (cfr. doc. 1-3) oltre che, e infine, nell’art. 42 del Regolamento Generale vigente (doc. 35), che ha sostituito quello che esisteva all’epoca dei contratti stipulati tra l’Università e la Dott.ssa -OMISSIS- nel periodo dal 2002 al 2009 e con i quali l’Ateneo ha determinato al suo interno le specifiche procedure di selezione degli incarichi di docenza a contratto (all’uopo prevedendo in specie la pubblicazione di appositi bandi, assicurando la pubblicità dei relativi atti, la valutazione comparativa dei candidati e, in caso di rinnovo, la valutazione delle attività didattiche che erano state effettivamente svolte dal docente).
10.3. I contratti stipulati dalla ricorrente con l’Ateneo resistente sono, quindi, disciplinati da norme diverse.
Nello specifico: sino all’a.a.2008/2009 dall’art. 46 Regolamento Generale di Ateneo; dal 2009/2010 al 2012/2013 dall’art. 3 Regolamento conferimento incarichi di insegnamento e di ricerca; dal 2013/2014 dall’art. 2 comma 3 lett. B del Regolamento per il conferimento di contratti per attività di insegnamento, in applicazione dell’art. 23 della L.240/2010.
10.4. Orbene, i contratti di opera di opera intellettuale non determinano alcun vincolo di subordinazione né impongono al lavoratore alcuna obbligo o dovere di esclusività.
10.5. Come correttamente osservato dall’Università resistente, i docenti di ruolo, oltre a essere tenuti a svolgere i loro compiti didattici (per un numero complessivo di ore di gran lunga superiore a 20 o 40 o 60 ore, come nel caso dei contratti stipulati dalla ricorrente e versati in atti) sono tenuti a svolgere attività di ricerca e produzione scientifica, oltre alla necessaria partecipazione agli organi collegiali del Dipartimento di afferenza per assicurare il coordinamento e il buon funzionamento della rispettiva struttura di appartenenza (essendo le Università enti autonomi ai sensi dell’art. 33 Cost., dotati di organi di autogoverno).
Diversamente dai docenti a contratto, i docenti di ruolo, già in forza degli artt. 10 del DPR n.382/1980 e 1 comma 2 del D.L. n. 57/1987 convertito nella L. n. 158/1987, sono sempre stati tenuti a svolgere annualmente 250 ore di attività prettamente didattica (per i docenti a tempo definito) e/o 350 ore (per i docenti a tempo pieno).
Attualmente, in forza dell’art. 6 della L. 240/2010 e dello stesso art. 4 comma 6 del Regolamento di Ateneo sui doveri accademici dei professori e ricercatori (doc. 36), “i professori dell’Università sono tenuti a riservare annualmente a compiti didattici e di servizio agli studenti, inclusi l’orientamento e il tutorato, nonché ad attività di verifica dell’apprendimento, non meno di 350 ore se in regime di tempo pieno e non meno di 250 ore se in regime di tempo definito.”.
In particolare l’art. 6 della legge 30/12/2010, n. 240, prevede che «1. Il regime di impegno dei professori e dei ricercatori è a tempo pieno o a tempo definito. Ai fini della rendicontazione dei progetti di ricerca, la quantificazione figurativa delle attività annue di ricerca, di studio e di insegnamento, con i connessi compiti preparatori, di verifica e organizzativi, è pari a 1.500 ore annue per i professori e i ricercatori a tempo pieno e a 750 ore per i professori e i ricercatori a tempo definito. La quantificazione di cui al secondo periodo, qualora non diversamente richiesto dai soggetti finanziatori, avviene su base mensile. 2. I professori svolgono attività di ricerca e di aggiornamento scientifico e, sulla base di criteri e modalità stabiliti con regolamento di ateneo, sono tenuti a riservare annualmente a compiti didattici e di servizio agli studenti, inclusi l’orientamento e il tutorato, nonché ad attività di verifica dell’apprendimento, non meno di 350 ore in regime di tempo pieno e non meno di 250 ore in regime di tempo definito».
L’art. 4 co. 8 del Regolamento in esame puntualizza anche che “nell’ambito dell’impegno orario indicato al comma 6 ciascun professore è tenuto a svolgere ogni anno non meno di 120 ore se a tempo pieno, 90 ore se a tempo definito, di (sola) attività didattica frontale”.
11. Le pretese di parte ricorrente sono, quindi, infondate, come già affermato in fattispecie identiche da consolidata giurisprudenza amministrativa dalla quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 24/07/2023, n.2305; T.A.R., Lombardia, Milano, sez. III, 18/01/2021 n.155 confermata da Cons. Stato, Sez. VII, 28/04/2023, n. 4330; T.A.R. Toscana sez. I, 06/09/2021, n.1147; Cons. Stato Sez. VI, 10-11-2022, n. 9869, 9872 e 9873; T.A.R. Toscana, Sez. I, 6 giugno 2021, n. 1147; TAR Piemonte, Sez. I, 12 maggio 2020, n. 274;T.A.R. Friuli-V. Giulia, Sez. I, 6 aprile 2020; n. 114; T.A.R. Ancona, (Marche) sez. I, 12/12/2023, n.835).
11.1. Va, innanzitutto, osservato che la giurisprudenza formatasi in materia non ritiene possibile procedere alla riqualificazione del rapporto di lavoro e accertare la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, giacché tale effetto è radicalmente impedito dall’art. 36, comma 5° del D.lgs. n. 165/2001 in base al quale alla violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori non può mai conseguire la costituzione di rapporti a tempo indeterminato. Tale regola, confermata dalla consolidata giurisprudenza amministrativa e giuslavoristica (Cons. Stato Sez. VI, 29 marzo 2022, n. 2298; 5 ottobre 2018, n. 5720; Sez. IV, 29 maggio 2018, n. 3190; Sez. III, 15 aprile 2013, n. 2074; Cass. civ. Sez. lavoro ord. 13 febbraio 2023, n. 4360; ord. 28 marzo 2019, n. 8671), si correla al principio della necessaria assunzione per concorso, sancito dall’art. 97, comma 4° della Costituzione, nonché alla necessità di assicurare il buon andamento della Pubblica Amministrazione, che sarebbe pregiudicato qualora si consentisse l’immissione stabile nei ruoli a prescindere dall’effettivo fabbisogno del personale e dalla previa programmazione delle assunzioni, indispensabili per garantire efficienza ed economicità della gestione dell’ente pubblico (Cass. civ., sez. lav., ord. 11 febbraio 2021, n. 3558).
Quanto alle domande articolate in ricorso (risarcimento ex art. 35 del D.lgs. n. 165/2001, differenze retributive e oneri previdenziali, indennizzo per asserito ingiustificato arricchimento) le stesse sono infondate a fronte della specialità della figura del “professore a contratto” non configurabile quale lavoratore subordinato a termine.
Invero, il professore “a contratto” esercita le proprie funzioni secondo lo schema del lavoro autonomo, sia pure con il necessario ed inevitabile coordinamento con i profili organizzativi dei corsi disposti dall’Università nei confronti degli studenti (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III bis 6 dicembre 2018, n. 11834).
Nel caso in esame, il carattere di autonomia emerge nitidamente dall’esame dei contratti (consapevolmente e consensualmente sottoscritti dalla ricorrente) depositati in giudizio che sono espressamente qualificati di “prestazione d’opera intellettuale”, “regolat(i) dagli artt. 2229-2238 c.c.” che “non dà(nno) luogo a trattamento previdenziale ed assistenziale” previsti per i lavoratori dipendenti, né dà diritti in ordine all’accesso nei ruoli dell’Università, implicando lo svolgimento di una prestazione da eseguirsi “personalmente dalla Dott. -OMISSIS- secondo criteri di autonomia e senza valersi di sostituti”.
Come chiarito dalla giurisprudenza sopra citata, “la citata clausola, che recepisce l’analoga disposizione del D.M. n. 242 del 1998 (art. 2, comma 3, secondo periodo) delinea la totale separazione tra la figura del professore a contratto e quella dei docenti titolati di cattedra. Inoltre, nei citati contratti era espressamente convenuta: a) la mancanza di “qualsiasi potere gerarchico da parte dell’università nei confronti del professore a contratto; b) l’autonomia didattica del docente”, nonché c) “la piena facoltà del docente di svolgere ogni altra attività presso terzi senza alcuna autorizzazione dell’Università in quanto è esplicitamente escluso ogni rapporto di dipendenza del docente da essa”.
I contratti in parola rappresentano, dunque, un tipo contrattuale autonomo, con l’ulteriore peculiarità di iscriversi nell’alveo di una ben definita figura negoziale qual è il contratto di insegnamento universitario, tipizzato agli artt. 25, D.P.R. n. 382/1980, 1 del D.M. 21 maggio 1998 n. 242 e 23 della legge n. 240/2010 e hanno ad oggetto prestazioni di lavoro autonomo per far fronte a specifiche esigenze didattiche rilevatesi periodicamente in relazione alle necessità derivanti dall’offerta formativa; pertanto, né l’asserita continuità delle stesse, né l’oggetto dei contratti possono essere indice di lavoro subordinato (v. giurisprudenza consolidata, tra le tante: Cons. Stato Sez. VII, 28 aprile 2023, n. 4330; Sez. VI, 10-11-2022, n. 9869, 9872 e 9873; T.A.R. Toscana, Sez. I, 6 giugno 2021, n. 1147; T.A.R. Lombardia – Milano Sez. III, 18 gennaio 2021, n. 155; TAR Piemonte, Sez. I, 12 maggio 2020, n. 274;T.A.R. Friuli-V. Giulia, Sez. I, 6 aprile 2020; n. 114; T.A.R. Piemonte, sez. I, 12 maggio 2020, n. 274).
A fronte della specificità dei contratti di diritto privato per attività di insegnamento universitario di cui alla normativa sopra indicata risultano, inoltre, non pertinenti i dati normativi e i precedenti giurisprudenziali (anche del giudice eurounitario) invocati dalla ricorrente a fondamento delle proprie pretese che si riferiscono, invece, alle diverse ipotesi di rapporti di lavoro subordinato con l’ulteriore precisazione che, nel caso in esame, non è stato nemmeno dedotto alcun “discostamento” fra il contenuto del contratto stipulato dalla ricorrente e il concreto svolgimento del rapporto di lavoro, sicché manca in radice alcun indice rivelatore dell’eventuale subordinazione.” (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 24/07/2023, n.2305).
La giurisprudenza amministrativa ha, invero, di recente escluso che al rapporto costituito fra Università e professori a contratto possa anche astrattamente applicarsi la giurisprudenza relativa al riconoscimento degli indici di subordinazione, con conseguente riqualificazione in termini di lavoro subordinato, stante l’espressa qualificazione e sussunzione legislativa del predetto rapporto nell’alveo di una ben definita e tipizzata figura negoziale qual è il contratto di insegnamento universitario (T.A.R. Roma, sez. III, 06/12/2018, n. 11834).
Peraltro, anche a voler ammettere in linea astratta la possibilità di una riqualificazione del rapporto di professore a contratto in termini di prestazione di opera in regime di subordinazione va ricordato che secondo la giurisprudenza civile, allorché il contratto abbia ad oggetto una prestazione di carattere intellettuale, come è appunto quella di docenza, gli indici che connotano la subordinazione non possono essere desunti dalla sussistenza di un obbligo di rispettare rigidamente gli orari né alla soggezione alle direttive provenienti dal direzione, perché funzionali alla realizzazione dell’opera, garantita dal coordinato apporto di ciascun decente (Cassazione civile sez. lav., 04/05/2020, n. 8444).
Invero, la necessità di coordinare gli orari delle lezioni e degli appelli con il calendario della università, di compilare il registro delle lezioni o di presentare una relazione sulla attività svolta costituiscono elementi propri di qualunque prestazione di docenza in ambito universitario e non sono affatto elementi peculiari e connotanti di un rapporto di ruolo o comunque subordinato.
E anche l’asserito impegno quotidiano in attività di ricerca e di pubblicazione scientifica o di partecipazioni a conferenze, seminari, convegni e congressi non può costituire di per sé indizio di subordinazione atteso che occorrerebbe quantomeno dimostrare che tali attività non siano state svolte su base volontaria ma costituissero adempimenti esigibili dall’Ateneo in quanto rientranti in un quadro di obblighi di tipo istituzionale (elemento di cui nel ricorso non si fa cenno nemmeno in termini di allegazione).
La ricorrente vorrebbe inoltre attribuire rilevanza al fatto che oggetto dei contratti di insegnamento sarebbero stati corsi da lei interamente e autonomamente svolti e non mere attività integrative. Ma anche tale elemento non assume alcuna rilevanza sintomatica atteso che il limite del ricorso ai professori a contratto per corsi integrativi o per corsi di nuova istituzione, già previsto dal Dpr n. 382/1980, è stato poi eliminato dalla normativa successivamente intervenuta e non trova oggi riscontro nella disciplina dettata dall’art. 23 della L. 240/2010.
11.2. Del pari anche il superamento del periodo massimo di durata dei rinnovi previsto dal legislatore (anche ammesso che nel caso di specie di veri e propri rinnovi si sia trattato, trattandosi di corsi persino nominalmente diversi) non può avere alcuna rilevanza ai fini della tesi che la ricorrente vorrebbe dimostrare.
Invero, il tema del superamento del limite massima di durata del contratto trova la sua specifica collocazione nell’ambito dei contratti a termine di lavoro subordinato che, una volta accertata la nullità del limite temporale, possono essere a vari fini riconvertiti in rapporti a tempo indeterminato, ma non ha invece alcuna rilevanza dirimente allorché si tratti di rapporti di lavoro autonomo la cui reiterazione anche oltre i limiti di legge non può essere considerata come presunzione legale di simulazione della causa contrattuale.
La giurisprudenza, peraltro, ha escluso che la disciplina de qua presenti profili (o faccia sorgere dubbi) di incostituzionalità atteso che il riferimento all’art. 36 Cost. appare del tutto fuori luogo quando riferito a rapporti di carattere autonomo che non hanno il vincolo della esclusività.
Non sussiste inoltre alcuna ingiusta discriminazione legislativa fra professori a contratto e professori ordinari atteso che si tratta di figure tipizzate dal legislatore in maniera del tutto diversa sia in relazione alle condizioni di accesso che per le modalità di svolgimento della prestazione (basti ricordare che il numero le ore di docenza esigibili da parte dei secondi non trova alcun riscontro nella disciplina dettata con riguardo alla prima categoria).
Ed è stata parimenti ritenuta infondata la prospettata questione di illegittimità comunitaria della normativa nazionale in quanto la fonte UE invocata non è pertinente al caso di specie trattandosi della direttiva concernente i rapporti di lavoro subordinato a termine e non quelli di lavoro autonomo (T.A.R. Firenze, (Toscana) sez. I, 06/09/2021, n.1147).
11.3. Questo Tribunale ha poi chiarito “che, ai noti “indici rivelatori” (su cui cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, Sent., 02-10-2018, n. 5646) della presenza di un rapporto di pubblico impiego, può attribuirsi soltanto una funzione di astratta qualificazione ai fini della determinazione della giurisdizione e della disciplina economica e previdenziale delle prestazioni lavorative di fatto erogate, essendo comunque nullo e improduttivo di effetti un rapporto di lavoro instaurato al di fuori dei parametri legislativi che, nel rispetto dell’art. 97, comma 3 della Costituzione, regolano l’accesso al pubblico (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 15 novembre 2011, n. 6021; id., 5 aprile 2017, n. 1601; id., 30 maggio 2016, n. 2275; id., sez. V, 18 marzo 2010, n. 1580, per cui «anche ove si trattasse di rapporto di pubblico impiego, nullo “ex lege” in quanto instaurato in violazione di norme imperative, non potrebbe comunque trovare applicazione l’art. 2 l. 18 aprile 1962 n. 230, che ha previsto i casi in cui un rapporto di lavoro a tempo determinato si converte in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, atteso che l’art. 97 comma 3, cost. e le leggi di settore impongono che la trasformazione dei rapporti “de quibus” sia configurabile solo in presenza di uno degli atti genetici previsti dalla normativa specifica; di conseguenza l’Amministrazione non potrebbe trasformare il rapporto di lavoro subordinato a termine del dipendente in uno a tempo indeterminato, ostandovi l’art. 9, d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 che vieta, al pari di quanto già previsto per l’impiego statale dall’art. 3, t.u. 10 gennaio 1957 n. 3 e per il personale degli enti locali dall’art. 5 l. 8 gennaio 1979 n. 3, l’assunzione di personale non di ruolo a tempo indeterminato senza il prescritto concorso, con la conseguenza che al g.a. è preclusa la statuizione di accertamento sull’esistenza di un rapporto prodotto da un atto nullo per violazione delle norme sulle assunzioni»). Nel settore del pubblico impiego, contrattualizzato o meno, l’accesso ad un posto di ruolo può avvenire, ex art. 97 Cost., solo tramite pubblico concorso a ciò espressamente destinato (Cass. Civ., Sez. Lav., 25/6/2020, n. 12718; id., 29/4/2014, n. 9385; Cons Stato, Sez. VI, 13/5/2011, n. 2927; id., 25/6/2008, n. 3209). […] 10.1) Affinché possa configurarsi un rapporto di pubblico impiego, a prescindere, dalla qualificazione utilizzata nella definizione formale del rapporto o dall’atto di assunzione, devono contestualmente ricorrere tutti gli elementi sintomatici che strutturano tale tipo di rapporto, ovvero: «a) un’attività svolta in modo continuativo per un apprezzabile lasso temporale; b) un compenso mensile e predeterminato; c) un servizio prestato in orario e giorni predeterminati; d) il riconoscimento implicito per le modalità di svolgimento del servizio che si tratti di lavoro subordinato: vincolo di subordinazione gerarchica, mansioni corrispondenti a quelle della qualifica rivendicata, evidenziate da ordini di servizio, inserimento stabile nell’organizzazione dell’ente; e) l’esclusività della prestazione lavorativa» (così, Cons. Stato, Sez. V, Sent. 02-10-2018, n. 5646; nello stesso senso, fra le tante, Cons. Stato, V, 5 aprile 2017, n. 1601; id., 30 maggio 2016, n. 2275, T.A.R. Lazio Roma Sez. III bis, Sent., 29-11-2018, n. 11578). […]. Al riguardo, non va neppure sottaciuto come la giurisprudenza sia incline a ritenere che, in sede di verifica dell’effettiva esistenza di un rapporto di pubblico impiego, è irrilevante la circostanza che, per lo svolgimento del servizio, il dipendente fosse tenuto al rispetto di un orario di lavoro fisso o anche all’obbligo di firma dei fogli-presenza, atteso che «tali adempimenti sono garanzie rivolte a provare l’effettiva ed adeguata prestazione dei servizi a lui affidati, all’interno del contenuto naturale delle modalità esecutive connesse al tipo di contratto tra le parti, compatibili, cioè, anche quanto ai connessi poteri di verifica dell’adempimento, con l’esecuzione di un appalto o prestazione d’opera» (così, Consiglio di Stato, sez. V, 9 dicembre 2013, n. 5878; sulla stessa linea Cons. Stato, Sez. V, Sent., 01-12-2014, n. 5916, per cui: «Il semplice inserimento nella struttura pubblica per il conseguimento dei fini propri dell’Ente come pure la predeterminazione di un orario complessivo di lavoro mensile, l’erogazione del compenso per un ammontare fisso da corrispondere con cadenza mensile, non sono infatti sufficienti alla dimostrazione della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego, rappresentando elementi comuni anche al contratto d’opera ex art. 2222 ss. c.c. e in assenza, come nel caso di specie, dell’inserimento del lavoratore nella struttura dell’Ente con rapporto di subordinazione gerarchica»)” (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 18/01/2021, n.155 confermata da Consiglio di Stato, Sez. VII, 28/04/2023, n. 4330).
11.4. E il Consiglio di Stato (Sez. VII, 28/04/2023, n. 4330) ha ribadito che l’eventuale superamento del periodo massimo di durata dei rinnovi previsto dal legislatore non può avere alcuna rilevanza ai fini della conversione del contratto a tempo indeterminato, atteso che non sussiste alcuna presunzione relativa circa la natura subordinata del rapporto di lavoro derivante “quale effetto automatico dell’accertamento dell’invalidità dei contratti” non sussistendo alcuna “norma di legge, o altra previsione normativa, sulla quale della quale la suddetta presunzione relativa opererebbe. Va osservato, al contrario, che nel quadro normativo di riferimento vigente non sussiste alcuna presunzione automatica che operi nel senso appena prospettato, trattandosi di due accertamenti giuridici autonomi e distinti: l’uno riguardante il regime della validità ed efficacia dei contratti, l’altro la natura subordinata del rapporto di lavoro. A conferma della correttezza del ragionamento, vi è poi che la tutela accordata dall’art. 2126 c.c. riguarda la fattispecie particolare della prestazione di fatto, ossia della prestazione lavorativa che è stata eseguita dal lavoratore in virtù di un contratto di lavoro invalido. In tale ipotesi, la legge prevede, a tutela del lavoratore quale parte debole del rapporto, che, in deroga al principio generale civilistico, la nullità del contratto non produce effetto per il periodo in cui la prestazione lavorativa è stata eseguita, salvo la che nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa.” (Cons. Stato, Sez. VII, 28/04/2023, n. 4330).
12. Concludendo, il ricorso, sia con riferimento alla domanda di annullamento che nella parte in cui propone un’azione di accertamento e condanna al pagamento di pretese patrimoniali e/o dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento è, complessivamente, infondato e va rigettato.
13. La natura della controversia conduce a disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Dispone l’estromissione dal giudizio del Ministero dell’Università e della Ricerca e del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti del giudizio.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024 con l’intervento dei magistrati:
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Referendario, Estensore
OMISSIS, Referendario
Pubblicato il 24 giugno 2024