Mobbing quale violazione del Codice etico: il Consiglio di Stato si pronuncia sulla legittimità della sanzione disciplinare al docente universitario

11 Novembre 2024

Con la sentenza n. 8823 del 5 novembre 2024 il Consiglio di Stato, riformando la sentenza del giudice di primo grado, ha affermato la legittimità della sanzione disciplinare irrogata a una professoressa ordinaria responsabile di aver posto in essere condotte mobbizzanti.

La vicenda trae origine da una segnalazione di specializzandi e dottorandi con cui si comunicava la presenza di un clima di forte disagio e conflitto causato da comportamenti gravi, aggressivi, prevaricatori e degradanti della professoressa, che – inquadrati come comportamento lesivo dell’onore e della dignità del ruolo di docente e abituale violazione dei doveri di ufficio di cui all’art. 89 del R.D. n. 1532 del 1933 – venivano poi sanzionati dal Consiglio di amministrazione con la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per quattro mesi, congiuntamente alla ineleggibilità come Rettrice di Università o Direttrice di Istituzione universitaria per dieci anni.

La sentenza è interessante in quanto offre importanti delucidazioni sulla natura della condotta sanzionata, sul grado specificità degli addebiti contestati, anche in relazione al Codice etico, sui poteri/doveri istruttori del Collegio di disciplina e sulla natura della sanzione della ineleggibilità.

Anzitutto, i giudici amministrativi hanno dichiarato infondato il vizio, addotto dall’appellata, della genericità degli addebiti disciplinari.

Secondo il Consiglio di Stato, infatti, è sufficiente che il Rettore abbia richiamato all’apertura del procedimento disciplinare ogni singolo fatto per relationem, posto che si trattava in ogni caso di circostanze immediatamente conoscibili dall’incolpata essendo state allegate alla contestazione disciplinare. Secondo i giudici, infatti, sarebbe la stessa natura dell’addebito a prestarsi a una sorta di “generalizzazione”: trattandosi di mobbing, il fatto contestato prescinderebbe da un esame dei singoli episodi che, nel caso di specie, assumono rilievo disciplinare solo se valutati nel loro complesso. Da qui, il rispetto del diritto di difesa dell’appellata.

Quanto alla natura dell’illecito, i giudici riconoscono come le condotte contestate non siano riconducibili a un “giudizio di valore di tipo soggettivo”, come addotto dalla appellata, bensì alla violazione di doveri etici oggettivi e prefissati elencati nel Codice etico dell’Ateneo. Anche in questo caso, quindi, le condotte generalmente indicate dal R.D. n. 1532 del 1933 sono state “riempite” attraverso condotte specificate a livello regolamentare.

Relativamente ai poteri istruttori del Collegio di disciplina, il Consiglio di Stato offre un’interpretazione dell’art. 10, comma 3 della L. n. 240/2010. Secondo l’appellata, infatti, la procedura sarebbe stata affetta da un deficit di istruttoria per non aver il Collegio udito tutti i soggetti appartenenti al team della docente che, a suo avviso, avrebbero potuto smentire i fatti e offrire una rappresentazione imparziale e completa. Anche questa contestazione viene disattesa dai giudici, alla luce di un’interpretazione letterale della previsione normativa che impone unicamente di udire il docente e il Rettore.

Da ultimo, il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla legittimità della sanzione accessoria prevista agli artt. 87 n. 2 e 89, comma 2, del R.D. n. 1592 del 1933 del divieto di nomina come rettore di Università o Direttore di istituzione universitaria. Sotto questo profilo, l’appellata aveva sollevato questione di legittimità costituzionale affermandone la natura di automatismo sanzionatorio incompatibile con i principi costituzionali, come recentemente affermato dalla Corte costituzionale n. 51 del 2024 sulla illegittimità della norma che prevedeva la rimozione automatica dei magistrati nel caso di condanna penale ad una pena detentiva per diritto non colposo non inferiore ad un anno la cui esecuzione non sia stata sospesa.

Secondo i giudici, però, la questione sarebbe infondata trattandosi di una sanzione a carattere preventivo e non retributivo. In questo caso, infatti,  lo scopo non è quello di punire il docente, bensì quello di evitare la possibilità che la grave condotta – sanzionata in via principale – possa reiterarsi in futuro con ulteriore pregiudizio per il bene tutelato. Da qui la legittimità dell’automaticità e non modulabilità della sanzione.