Ai sensi dell’art. 15, comma 2, della legge 18 marzo 1959, n. 311, e dell’art. 111 del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, al fine del conferimento della onorificenza di professore emerito, rileva unicamente l’attività svolta nella qualità di professore ordinario per almeno venti anni e non anche il periodo di servizio prestato quale professore associato.
Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 23 gennaio 2025, n. 1
Gli anni di servizio come associato non sono computabili ai fini del riconoscimento del titolo di professore emerito
00001/2025REG.PROV.COLL.
00013/2024 REG.RIC.A.P.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale n. 1624 del 2024 della Settima Sezione (n. 13 del 2024 del ruolo dell’Adunanza Plenaria), proposto dal Prof. OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
dell’Università degli Studi “Roma Tre”, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma (Sezione Terza ter), n. 17912/2023, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Università e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nell’udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2024 la Cons. OMISSIS e uditi per le parti l’Avvocato OMISSIS e l’Avvocato dello Stato OMISSIS;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. – L’appellante, con il ricorso di primo grado proposto dinanzi al TAR Lazio, Sede di Roma, Sezione Terza ter, ha impugnato il provvedimento del Ministero dell’Università e della Ricerca del 30 giugno 2023, con il quale è stata respinta la proposta di conferimento in suo favore del titolo di professore emerito, inoltrata dall’Università degli Studi “Roma Tre” in data 26 luglio 2022.
Tale provvedimento ha rilevato l’insussistenza dei requisiti previsti dall’art. 111 del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore, approvato con il regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, secondo cui “Ai professori ordinari, che siano stati collocati a riposo o dei quali siano state accettate le dimissioni, potrà essere conferito il titolo di “professore emerito”, qualora abbiano prestato almeno venti anni di servizio in qualità di professori ordinari”.
L’appellante ha svolto l’attività di professore universitario di ruolo per 22 anni presso l’Università “Roma Tre”, con la qualifica, per alcuni anni, di professore associato, divenendo poi professore ordinario. Nel dettaglio, egli è stato chiamato dall’Università “Roma Tre” in qualità di professione associato a decorrere dal 1° novembre 1999 e dal 1° marzo 2002 ha conseguito la qualifica di professore ordinario, mantenuta fino al suo pensionamento, avvenuto il 31 ottobre 2021.
Il ricorrente, quindi, ha svolto per diciannove anni e nove mesi l’attività quale professore ordinario presso l’Università “Roma Tre”, e non per i venti richiesti dall’art. 111 del R.D. n. 1592/1933: per tale ragione, il MUR ha respinto la richiesta di conferimento dell’onorificenza di “professore emerito”, presentata dall’Ateneo in suo favore.
2. – Nel ricorso di primo grado, il ricorrente ha lamentato l’illegittimità dell’atto sotto i seguenti profili:
i) per erronea interpretazione dell’art. 111 del R.D. n. 1592/1933 e dell’art. 15, secondo comma, della legge 18 marzo 1958, n. 311, anche alla luce della disciplina attuale sullo statusdi professore universitario, prevista dal d.P.R. n. 382/1980 e dalla legge n. 240/2010, che ha istituito il ruolo unico per i professori universitari, distinguendoli in due fasce all’interno del medesimo ruolo;
ii) per violazione del regolamento dell’Università degli Studi “Roma Tre”, relativo al conferimento del titolo onorifico di “professore emerito”, adottato con la delibera del Senato accademico n. 564 del 2021.
2.1 – Il ricorrente ha anche prospettato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 111 del R.D. n. 1592/1933, per contrasto con l’art. 3 Cost., sostenendo che l’interpretazione seguita dal Ministero dell’Università sarebbe ‘anacronistica’ e, come tale, irragionevole alla luce del contesto normativo radicalmente mutato, che ha riconosciuto l’autonomia universitaria, ha introdotto la figura del professore associato ed ha mutato il regime sul pensionamento dei professori universitari, passato da 75 a 70 anni, rendendo più difficile per i professori ordinari il raggiungimento del limite dei venti anni nella relativa qualifica, necessario per conseguire l’onorificenza.
3. – Il ricorso è stato respinto dal TAR per il Lazio sulla base delle seguenti argomentazioni:
– il primo giudice ha ritenuto non condivisibile l’interpretazione dell’art. 111 del R.D. n. 1592/1933 e dell’art. 15 della legge n. 311/1958 prospettata dal ricorrente, richiamando due precedenti di questo Consiglio di Stato, il primo in sede consultiva (Sez. Seconda, parere n. 2203/2015) ed il secondo in sede giurisdizionale (Sez. Sesta, n. 1506/2021);
– ha disatteso la tesi dell’interessato, diretta a sostenere l’unitarietà della funzione docente svolta dai professori associati ed ordinari, rilevando che sussiste “la distinzione dei compiti e delle responsabilità dei professori ordinari e di quelli associati, inquadrandoli in due fasce di carattere funzionale” (cfr. l’art. 1 del d.P.R. n. 382/1980); quanto all’art. 22 dello stesso d.P.R. n. 382/1980, che dispone l’equiparazione dello stato giuridico dei professori associati a quello degli ordinari, il TAR ha sottolineato che tale equiparazione sussiste “salvo che non sia diversamente disposto”, con la conseguenza che sarebbe persistente la differenza tra le due posizioni;
– in merito al regolamento dell’Università “Roma Tre”, il TAR ha ritenuto che il regolamento di Ateneo non avrebbe potuto disporre diversamente da quanto previsto dalla legge, in quanto “il diritto delle Università di darsi un ordinamento autonomo non deve superare i “limiti stabiliti dalle leggi dello Stato””; tali limiti sarebbero inderogabili a fronte della necessità di disciplinare in modo uniforme il conferimento di un titolo avente valore su tutto il territorio nazionale;
– il giudice di prime cure ha poi ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in quanto la distinzione dei professori in due fasce, con differenti modalità di accesso alle rispettive qualifiche di professore associato e di professore ordinario, non consentirebbe di ritenere affetta da irragionevolezza la previsione recata dall’art. 111 cit.; peraltro, non sarebbe possibile individuare, in via ermeneutica, una disciplina alternativa quanto al periodo minimo di svolgimento del servizio come professore ordinario, al fine di conseguire il titolo di professore emerito, non potendo ritenersi equivalenti i due profili, tenuto conto di quanto stabilito dal legislatore in proposito.
4. – Tale sentenza è stata impugnata dall’interessato, che ha lamentato, con il primo motivo, il vizio di “errores in iudicando: Violazione e falsa applicazione dell’art. 111 R.D. n. 1592 del 1933; violazione e falsa applicazione dell’art. 15 legge n. 311 del 1958; contraddittorietà ed irragionevolezza della motivazione”.
Tale doglianza è stata articolata sulla base di tre profili, che possono così riassumersi:
I) mancata valutazione da parte del giudice di primo grado delle due pronunce di questo Consiglio di Stato in precedenza richiamate, secondo cui l’art. 111 R.D. n. 1592/1933 dovrebbe essere interpretato in stretta correlazione con l’art. 15, secondo comma, della L. n. 311/1958, il quale – pur rinviando all’art. 111 del R.D. n. 1592/1933, quale disciplina dei presupposti per il conferimento del titolo di professore emerito – ne avrebbe innovato il perimetro applicativo, estendendolo all’intera categoria dei professori universitari;
– l’art. 15, secondo comma, cit., infatti, dopo aver disciplinato in modo unitario il collocamento a riposo dei professori universitari senza considerare la fascia di appartenenza, ha disposto che “Ai professori collocati a riposo può essere conferito il titolo di professore emerito o di professore onorario, ai sensi dell’art. 111 del testo unico delle leggi sulla istruzione superiore approvato con regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592. Nulla è innovato alle disposizioni del comma ultimo del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore sopra citato”;
– secondo l’appellante l’art. 15, secondo comma, della L. n. 311 del 1958 avrebbe innovato la risalente disciplina recata del R.D. n. 1592 del 1933, poiché, in merito al conferimento dell’onorificenza di “professore emerito” o di “professore onorario”, si riferisce genericamente ai “professori” universitari collocati a riposo, anziché ai soli “professori ordinari”, a differenza di quanto previsto dall’art. 111 del R.D. n. 1592/1933;
– ciò sarebbe confermato dall’ultimo comma dello stesso art. 15 cit., secondo cui “Nulla è innovato alle disposizioni del comma ultimo dell’art. 110 del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore sopra citato”: secondo l’appellante tale previsione confermerebbe la volontà del legislatore di innovare la disciplina recata dall’art. 111 del R.D. n. 1592/1933, in quanto il legislatore – qualora avesse inteso ribadire le regole precedenti – si sarebbe premurato di aggiungere all’art. 110, ultimo comma, del T.U. n. 1592/1933 anche il richiamo all’art. 111 dello stesso T.U. in modo che fosse chiaro che “nulla era stato innovato” a tal proposito;
II) mancata interpretazione storico-sistematica del dato normativo: l’appellante ha dedotto che sussiste, ormai, un unico ruolo per i professori universitari anche se articolato sulla base di due fasce, rilevanti, soprattutto, a livello retributivo, tenuto conto della unitarietà della funzione docente con uguale garanzia di libertà didattica e di ricerca;
– i professori universitari hanno identità di status e svolgono la medesima attività didattica; residuano tra le due fasce di professori differenze che riguardano il reclutamento, le funzioni di coordinamento, tali da non incidere sull’identità delle funzioni svolte;
– inoltre, la tesi del Ministero dell’Università – secondo cui non sarebbe valutabile per il professore ordinario, ai fini della nomina come “professore emerito”, l’anzianità di servizio come professore associato – avrebbe effetti distorsivi ed irragionevoli alla luce del mutato ordinamento della materia;
III) – erronea interpretazione del regolamento dell’Università “Roma Tre” (art. 2, comma 1) che disciplina la concessione del titolo di professore emerito: con tale doglianza l’appellante ha censurato la decisione del TAR, secondo cui il potere delle Università di dotarsi di un regolamento autonomo non deve superare “i limiti stabiliti dallo Stato”, in quanto tale titolo ha valore sull’intero territorio nazionale;
– secondo l’appellante, invece, il regolamento universitario avrebbe valenza dirimente, laddove stabilisce che tale titolo può essere conferito ai “professori ordinari che siano stati collocati a riposo o dei quali siano state accolte le dimissioni, che abbiano prestato almeno venti anni di servizio, nella qualità di professori universitari di ruolo, alla data del collocamento a riposo o dell’accoglimento delle dimissioni”;
– tale disposizione, riferendosi ai professori ordinari con venti anni di servizio nella qualità di “professori di ruolo”, posizione nella quale ricadono sia i professori ordinari che gli associati, tenuto conto dell’unicità del ruolo in base all’art. 1 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, implicherebbe la valutabilità – nel caso di specie – del breve periodo di tempo nel quale l’appellante ha prestato servizio in qualità di professore associato presso l’Università “Roma Tre”;
– tale disposizione sarebbe stata introdotta, infatti, in applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in precedenza richiamati (parere n. 2203/2015 e sentenza n. 1506/2021);
– quanto alla autonomia dell’Università e al suo potere regolamentare, l’appellante ha richiamato la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (Sezione Sesta n. 696/2017), secondo cui occorre tener conto di quanto stabilito con il regolamento dell’Università: pertanto, se il regolamento ha ritenuto computabili anche gli anni di servizio come professore associato, tali anni si sarebbero dovuti valutare, in quanto la disciplina della materia ricade nella piena autonomia del singolo Ateneo.
4.1 – Con il secondo motivo, infine, l’appellante ha riproposto, in via subordinata, la questione di legittimità costituzionale, ribadendo la tesi secondo cui vi sarebbe un ‘anacronismo legislativo’, nel prevedere ancora, nonostante il riconoscimento dell’autonomia universitaria, che debba esservi il decreto del MUR (in origine decreto reale) a recepire la deliberazione del singolo Ateneo.
4.2 – Il Ministero dell’Università e della Ricerca, costituitosi in giudizio, ha ribadito le tesi difensive già svolte in primo grado ed accolte dal TAR, sostenendo la perdurante differenza tra le qualifiche di professore ordinario e associato, e la valutabilità dei soli anni di servizio resi nella qualifica di professore ordinario, tenuto conto che, secondo l’Amministrazione, “l’unitarietà della funzione docente non equivale all’unicità del ruolo dei professori universitari”, in quanto in base alle qualifiche svolte variano i compiti, le funzioni e le responsabilità connesse alle singole fasce di appartenenza; il Ministero ha inoltre ribadito che il potere delle Università di darsi un ordinamento autonomo non potrebbe svolgersi oltre i “limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”, limite che, nel caso di specie, sarebbe contenuto nella previsione dell’art. 111 del R.D. n. 1592/1933.
5. – Con l’ordinanza collegiale n. 7706 del 23 settembre 2024, la Sezione Settima – dopo aver richiamato puntualmente la sentenza di primo grado, la prospettazione della parte appellante (che è stata in precedente indicata) e le difese dell’Amministrazione – ha rilevato che la soluzione della controversia potrebbe dar luogo a un contrasto in relazione ai precedenti giurisprudenziali (parere della Sezione Seconda n. 2203 del 29 luglio 2025 e sentenza della Sezione Sesta 19 febbraio 2021, n. 1506), i cui principi sono stati richiamati nell’atto di appello.
La Sezione Settima ha quindi rimesso a questa Adunanza Plenaria la decisione sul quesito ivi formulato.
5.1 – Con memoria del 9 novembre 2024 l’appellante ha ribadito le proprie tesi difensive, chiedendone l’accoglimento.
6. – All’udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. – La Sezione Settima ha rimesso a questa Adunanza Plenaria la seguente questione di diritto: “se alla luce del combinato disposto dell’art. 15 della legge 18 marzo 1958, n. 311, in relazione all’art. 111 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, il periodo di servizio trascorso rivestendo la qualifica di professore associato possa essere riconosciuto ai fini del raggiungimento della soglia dei venti anni di servizio, indispensabile per l’attribuzione della qualifica di professore emerito”.
Tenuto conto della specificità del quesito, questa Adunanza Plenaria si limiterà a decidere la sola questione relativa all’interpretazione della normativa nazionale (art. 111 del R.D. n. 1592/1933 e art. 15, secondo comma, della L. n. 311/1958), prescindendo dalle ulteriori doglianze sollevate nell’appello, la prima delle quali riguarda l’interpretazione e la rilevanza, ai fini della decisione di merito, dell’art. 2, comma 1, del “Regolamento di ateneo per il conferimento dei titoli di professore emerito e di professore onorario” dell’Università “Roma Tre” (adottato nella sua ultima versione con delibera del Senato accademico n. 564 del 2021), secondo cui il conferimento del titolo di “professore emerito” può essere proposto “per i professori ordinari che siano stati collocati a riposo o dei quali siano state accolte le dimissioni, che abbiano prestato almeno venti anni di servizio, nella qualità di professori universitari di ruolo, alla data del collocamento a riposo o dell’accoglimento delle dimissioni”.
Tale questione – da approfondirsi da parte della Sezione Settima – riguarda due aspetti:
– quale sia la corretta interpretazione della disciplina regolamentare dell’Università “Roma Tre”, modificata con la delibera n. 564 del 2021;
– quale rilievo abbia tale regolamento, qualora fosse ritenuto contrastante con la legislazione nazionale.
2. – Tanto premesso può procedersi alla disamina del quesito.
Nell’ordinanza di rimessione, la Sezione Settima ha ricostruito i principi affermati da questo Consiglio di Stato (parere della Sezione Seconda n. 2203 del 20 luglio 2015 e sentenza della Sezione Sesta n. 1506 del 19 febbraio 2021), secondo cui, in base al combinato disposto dell’art. 111 del R.D. n. 1592 del 1933 e dell’art. 15, secondo comma, della legge n. 311 del 1958, nel computo dei venti anni di anzianità nel ruolo dei professori universitari, necessari per conseguire il titolo di professore emerito, dovrebbe essere computato anche il periodo di servizio prestato in qualità di professore associato.
2.1 – Tale ricostruzione si è basata su una considerazione di rilievo letterale: l’art. 15, secondo comma, cit., si riferisce a tutti i professori universitari quanto al collocamento a riposo e dispone che “Ai professori collocati a riposo può essere conferito il titolo di professore emerito o di professore onorario, ai sensi dell’art. 111 del testo unico delle leggi sulla istruzione superiore approvato con regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592. Nulla è innovato alle disposizioni del comma ultimo dell’art. 110 del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore sopra citato”.
Il riferimento ai “professori collocati a riposo”, anziché ai “professori ordinari collocati a riposo” è stata ritenuta innovativa di quest’ultima disposizione.
Inoltre, si è rilevato che l’ultimo periodo del secondo comma dell’articolo 15 (secondo cui “nulla è innovato alle disposizioni del comma ultimo dell’art. 110 delle leggi sull’istruzione superiore sopra citato”) non ha ribadito quanto previsto dall’art. 111 dello stesso T.U.
2.2 – La sentenza della Sezione Sesta n. 1506 del 2021 ha rilevato la portata innovativa dell’art. 15, secondo comma, della legge n. 311 del 1958 (rispetto alla previsione contenuta nell’art. 111 del R.D. n. 1592/1933) sulla base di una sua interpretazione storica-sistematica: la Sezione Sesta ha ritenuto, infatti, che “Gli sviluppi normativi registrati in subiecta materia dopo il 1958, peraltro, hanno confermato – ove ve ne fosse la necessità – la creazione di un unico ruolo di professori, con medesima dignità e prerogative, per cui la figura del professore universitario è unica anche se articolata nelle due fasce, rilevanti soprattutto ai fini retributivi, dei professori ordinari e dei professori associati caratterizzate dalla “unità della funzione docente, confermando implicitamente e tra l’altro l’evoluzione della disciplina del titolo di “emerito””.
Nel condividere tale interpretazione, nella sua memoria difensiva, l’appellante ha aggiunto ulteriori argomentazioni:
– la diversa lettura prospettata dalla Sezione remittente, diretta a sostenere la perdurante vigenza dell’art. 111 del R.D. n. 1592/1933, si risolverebbe in una interpretazione abrogante dell’art. 15, secondo comma, della legge n. 311/1958, atteso che non vi sarebbe stata ragione di duplicare una norma già esistente;
– sarebbe erronea la tesi contenuta nell’ordinanza di rimessione, secondo cui la figura del professore associato sarebbe assimilabile a quella del professore incaricato, esistente nel regime vigente al momento dell’entrata in vigore del T.U. sull’istruzione superiore del 1933, in quanto la figura del “professore incaricato” sarebbe semmai assimilabile a quella del “professore a contratto”, ben diversa da quella del professore associato, che appartiene al ruolo dei professori universitari.
2.3 – Quanto alla tesi dell’interpretazione storico-sistematica, l’appellante ha richiamato il principio dell’unitarietà del ruolo introdotto con la riforma universitaria recata dal d.P.R. n. 381 del 1980, e confermato dalla legge n. 240 del 2010, evocato dalla Sezione Sesta nella sentenza n. 1506/2021.
L’art. 1 del d.P.R. n. 382/1980 prevede, infatti, che “Il ruolo dei professori ordinari comprende le seguenti fasce: a) professori straordinari e ordinari; b) professori associati. Le norme di cui ai successivi articoli assicurano, nella unitarietà della funzione docente, la distinzione dei compiti e delle responsabilità dei professori ordinari e di quelli associati, inquadrandoli in due fase di carattere funzionale con uguale garanzia di libertà didattica e di ricerca”.
Il successivo art. 7 riconosce “la libertà di insegnamento e di ricerca scientifica” per tutti i professori universitari senza distinzione tra ordinari e associati; l’art. 22 dello stesso decreto prevede che “lo stato giuridico dei professori associati è disciplinato dalle norme relative ai professori ordinari”.
2.3.1 – L’art. 6 della legge n. 240 del 2010 considera in modo unitario lo “stato giuridico dei professori”, prevedendo le identiche mansioni di didattica, di ricerca, di servizio agli studenti e di verifica dell’apprendimento.
Le differenze di reclutamento esistenti per i professori ordinari rispetto agli associati e la regola per la quale ad alcune cariche elettive possono accedere solo i professori ordinari non sarebbero elementi tali da giustificare il differente regime ai fini del conferimento del titolo di professore emerito: non vi sarebbe una distinzione “gerarchica” tra le due fasce di professori, né potrebbe sostenersi che la qualifica di professore associato sia preliminare al successivo conferimento di quella di professore ordinario.
2.3.2 – L’appellante ha evidenziato che l’attuale sistema di reclutamento dei professori ordinari non richiede quale requisito di partecipazione alle procedure concorsuali la qualifica di professore associato, ma consente la partecipazione alla procedura di chiamata a tutti gli studiosi in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale di prima fascia, anche in assenza di un pregresso rapporto di servizio con una Università: il possesso della piena maturità scientifica è attestato, infatti, dall’abilitazione scientifica nazionale di prima fascia.
3. – La Sezione Settima ha disatteso tale ricostruzione, ritenendo perdurante la distinzione di compiti e funzioni esistente tra le due fasce di professore ordinario di prima fascia e associato di seconda fascia, ribadita dal legislatore, ai sensi dell’art. 1 del d.P.R. n. 382/1980 e degli artt. 16 e 18 della legge n. 240/2010.
L’ordinanza di rimessione ha rilevato che:
– l’art. 15, secondo comma, della legge n. 311/1958 stabilisce che “Ai professori collocati a riposo può essere conferito il titolo di professore emerito o di professore onorario, ai sensi dell’art. 111 del testo unico delle leggi sulla istruzione superiore approvato con regio decreto 31 agosto 1933, numero 1592”;
– tale disposizione prevede, quindi, che il titolo di professore emerito può essere assegnato solo ai professori ordinari collocati a riposo, in possesso dei requisiti previsti dall’art. 111 del T.U. n. 1592/1933 e dunque dello svolgimento per almeno venti anni di servizio dell’attività quale professore ordinario;
– la disposizione è chiara e anche coerente con la ratio dell’onorificenza, che è quella di premiare il professore ordinario che vanti una eccezionale carriera accademica universitaria, caratterizzata, in primis, dalla durevole presenza nella posizione apicale della docenza universitaria;
– il d.P.R. n. 382/1980 e la legge n. 240/2010 hanno ribadito la distinzione tra professori ordinari ed associati, individuando le prerogative spettanti ai soli professori ordinari, sicché il dato letterale e la perdurante distinzione di compiti e funzioni esistente tra i professori ordinari e gli associati giustificherebbero l’attuale regime e quindi la non valutabilità dell’anzianità conseguita nella qualifica di professore associato ai fini del conferimento dell’onorificenza di “professore emerito”.
4. – Questa Adunanza ritiene condivisibile la ricostruzione della Sezione Settima.
4.1 – Innanzitutto, come ha correttamente sottolineato tale Sezione, l’art. 15, secondo comma, della L. n. 311/1958 contiene un espresso richiamo all’art. 111 del R.D. n 1592/1933 che, a sua volta, individua la qualifica di “professore emerito” ed i requisiti per il suo conferimento: tale rinvio ha ribadito, dunque, il perdurante vigore della suddetta disposizione e dei requisiti ivi indicati.
Il dato letterale è chiaro ed insuperabile e comporta la non condivisibilità della ricostruzione effettuata da questo Consiglio di Stato con il parere della Sezione Seconda n. 2203 del 2015 e con la sentenza della Sezione Sesta n. 1506 del 2021.
Entrambe queste pronunce, infatti, hanno dato preminente rilievo alla prima frase del secondo comma del citato art. 15, mentre avrebbero dovuto rilevare il significativo richiamo contenuto nella frase successiva (“ai sensi dell’art. 111 del testo unico delle leggi sulla istruzione superiore approvato con regio decreto 31 agosto 1933, numero 1592).
4.2 – L’Adunanza Plenaria rileva come il primario criterio di interpretazione della legge sia quello letterale.
L’art. 12 (rubricato ‘Interpretazione della legge’) delle ‘disposizioni sulla legge in generale’ allegate al codice civile dispone che ‘Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore’.
La rilevanza del dato testuale della legge è desumibile anche dall’art. 101 della Costituzione, il quale – nel prevedere che ‘i giudici sono soggetti soltanto alla legge’ – dispone il dovere del giudice di darne applicazione, salve le possibilità, consentite da altre disposizioni costituzionali, di emanare una ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale o di dare applicazione a prevalenti regole dell’Unione europea.
Gli altri criteri di interpretazione rilevano solo quando risulti equivoca la formulazione linguistica dell’enunciato normativo e la disposizione presenti ambiguità e si presti a possibili differenti o alternative interpretazioni (per tutte, Cons. Stato, Sez. V, 18 luglio 2024, n. 6440).
Nel caso di specie, la formulazione linguistica risulta univoca e non si presta a dubbi interpretativi, atteso che occorre tenere conto anche dell’ultima frase contenuta nel sopra riportato secondo comma dell’art. 15.
5. – Va rimarcato, inoltre, come la tesi dell’appellante non risulta condivisibile anche sulla base dei criteri della interpretazione storico-sistematica e dell’interpretazione teleologica.
5.1 – Innanzitutto va disattesa la tesi dell’appellante secondo cui vi sarebbe stata la “implicita abrogazione” dell’art. 15, secondo comma, cit.
Come ha chiarito nei suoi scritti difensivi il Ministero dell’Università e della Ricerca, tale disposizione va letta in modo sistematico in relazione alle altre disposizioni della legge n. 311/1958, ed in particolare al suo art. 3, secondo cui “I professori di ruolo sono straordinari e ordinari”.
La portata innovativa di tale disposizione è consistita nell’estendere la valutabilità del servizio come professore di ruolo non solo nella qualità di professore ordinario (come previsto dall’art. 111 cit.), ma anche in quella di professore straordinario.
5.2 – La tesi dell’appellante neppure è supportata dalle considerazioni riguardanti la portata applicativa delle riforme universitarie, disposte dapprima con il d.P.R. n. 381/1980 (avente il rango di decreto legislativo) e poi dalla legge n. 240/2010.
Tali riforme hanno sì previsto l’unicità del ruolo dei professori ordinari e di quelli associati, ma li ha distinti per diversi aspetti.
L’art. 1 del d.P.R. n. 382/1980, pur prevedendo l’unicità del ruolo, ha distinto i compiti e le responsabilità degli uni e degli altri, inquadrandoli in due fasce funzionali.
Le perduranti differenze tra le due qualifiche riguardano:
– le regole sul reclutamento, poiché per accedere alla qualifica di professore ordinario occorre l’abilitazione scientifica nazionale di prima fascia, che dimostra il raggiungimento della piena maturità scientifica, mentre per accedere alla qualifica di professore associato occorre l’abilitazione scientifica nazionale;
– i presupposti per potere accedere alle due qualifiche, poiché alla qualifica di professore ordinario si accede a seguito del raggiungimento della ‘piena maturità scientifica’;
– le regole sul conferimento degli incarichi direttivi (Direttore di dipartimento, Rettore, Prorettore), riservati ai professori ordinari, con l’eccezione delle Università nelle quali essi non vi siano), con un regime diverso anche sull’elettorato attivo.
Anche dopo la riforma universitaria, pertanto, non si può ravvisare l’equiparazione tra la qualifica del professore ordinario e quella di quello associato.
5.3. Oltre alla persistente differenza sostanziale delle qualifiche di professore ordinario e di professore associato, in sede di interpretazione del secondo comma dell’art. 15 occorre tenere conto della sua specifica ratio.
Sulla base di una specifica valutazione del legislatore, l’onorificenza può essere conferita al professore ordinario in considerazione della perduranza nel tempo – fissato in venti anni – dello svolgimento dell’attività lavorativa nella posizione apicale della docenza universitaria.
Tale perduranza è stata considerata decisiva dal legislatore, affinché possa essere valutata la eccezionalità della carriera accademica, giustificativa dell’onorificenza.
Rileva, dunque, anche il dato testuale dell’art. 22 del d.P.R. n. 382/1980, per il quale sussiste l’equiparazione dello stato giuridico dei professori ordinari e di quello dei professori associati, ‘salvo che non sia diversamente disposto’: in materia di conferimento dell’onorificenza, il legislatore ha sempre attribuito rilievo esclusivamente alla qualifica di professore ordinario.
5.4. L’Adunanza Plenaria, pertanto, condivide e fa proprie le considerazioni poste a base della sentenza della Corte Costituzionale n. 990 del 1988, per la quale “l’unitarietà della funzione docente non equivale all’unicità del ruolo dei professori universitari. Il sistema normativo del 1980 stabilisce una gerarchia di valori e delle funzioni tra le due fasce del ruolo dei professori, riservando compiti direttivi, organizzativi e di coordinamento all’ordinario, acquisito all’istruzione universitaria attraverso più severa selezione concorsuale mirante ad individuare una personalità scientifica compiutamente matura, mentre le diverse modalità del reclutamento dell’associato è preordinata soltanto ad accertarne l’idoneità scientifica e didattica”.
5.5 – Non hanno pertanto rilievo gli indiscussi principi relativi alla unitarietà della funzione docente ed alla pari garanzia di libertà didattica e di ricerca, evocati dall’appellante.
5.6. La distinzione tra le due qualifiche, ciascuna delle quali correlata ad un diverso livello di maturità scientifica e didattica, è stata confermata anche dalla riforma universitaria recata dalla legge n. 240 del 2010, che nulla ha innovato in materia.
5.7 – Ritiene dunque questa Adunanza che l’art. 111 del R.D. n. 1592/1933 sia ancora integralmente in vigore, sia perché non inciso dalle leggi successive, sia perché – ai fini del conferimento dell’onorificenza in questione – a suo tempo il legislatore ha fissato un inderogabile requisito di ordine temporale.
L’attribuzione del titolo onorifico di “emerito” presuppone la sussistenza di un dato oggettivo, lo svolgimento dell’attività lavorativa quale professore ordinario per almeno venti anni, in presenza del quale l’Università può proporre il suo conferimento da parte del Ministero, in considerazione della piena maturità scientifica e del conseguimento di risultati eccezionali nello studio e nella ricerca.
Non si può dunque ammettere che nel computo del periodo minimo di venti anni si possa tenere conto dell’attività svolta quale professore associato.
5.8 – Va infine rilevato che, in presenza dell’insuperabile dato testuale contenuto nel sopra citato art. 111, non rilevano le altre considerazioni richiamate dalle parti, per evidenziare come sia cambiato il mondo accademico rispetto a quello esistente nella prima metà del secolo scorso.
Da un lato, l’appellante ha evidenziato che i professori universitari sono collocati a riposo al conseguimento del settantesimo anno di età, e non più al settantacinquesimo anno, sicché sarebbe divenuto più difficile il conseguimento del requisito temporale di venti anni.
Dall’altro lato, vi è stato un notevole aumento del numero degli atenei e dei posti di professore ordinario, con la conseguenza che si è notevolmente ampliato il numero dei docenti ai quali può essere conferita l’onorificenza.
Tali osservazioni, tuttavia, sono irrilevanti, poiché non incidono sulla chiara ed univoca portata applicativa dell’art. 111.
5.9 – Quanto alla problematica relativa alla legittimità costituzionale degli articoli 111 del R.D. n. 1592/1933 e 15, comma secondo, della legge n. 311 del 1958, per contrasto con l’art. 3 Cost., le suesposte considerazioni consentono di ritenere tale questione manifestamente infondata, così come già rettamente deciso dal giudice di prime cure.
6. – In conclusione, la risposta al quesito posto dalla Sezione Settima è la seguente: “ai sensi dell’art. 15, secondo comma, della legge 18 marzo 1959, n. 311, e dell’art. 111 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, al fine del conferimento della onorificenza di professore emerito, rileva unicamente l’attività svolta nella qualità di professore ordinario per almeno venti anni e non anche il periodo di servizio prestato quale professore associato”.
Ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a., l’Adunanza Plenaria ritiene opportuno restituire gli atti alla Sezione remittente, per ogni ulteriore statuizione, anche sulle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe proposto:
a) enuncia il principio di diritto di cui al punto 6) del considerato in diritto della motivazione;
b) restituisce gli atti alla Settima Sezione di questo Consiglio di Stato, per ogni ulteriore statuizione, anche sulle spese del giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2024 con l’intervento dei magistrati:
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Presidente
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere, Estensore
Pubblicato il 23 gennaio 2025