Con sentenza n. 3657 del 13 dicembre 2024, il TAR della Lombardia ha annullato la sanzione disciplinare della censura inflitta a una professoressa associata dell’Università degli Studi dell’Insubria, ritenendo che nel caso di specie fosse stato violato il diritto di cui all’art. 21 Cost. della ricorrente.
Nel caso di specie, il vincitore di un concorso bandito dall’ateneo lombardo aveva denunciato la docente, colpevole di aver dichiarato che le date del concorso sarebbero state fissate ad hoc per favorirlo e che gli atti della procedura sarebbero stati insolitamente segretati e che “questa secretazione sarebbe avvenuta soltanto per il concorso in questione e […] non avverrebbe per nessun altra procedura dell’ateneo o di altra università”. All’esito dell’istruttoria procedimentale, il collegio di disciplina, non ritenendo confermata la prima affermazione, esprimeva parere favorevole all’irrogazione della sanzione della censura in verità del fatto attestato nella seconda dichiarazione.
Il provvedimento adottato dall’Università dell’Insubria è stato annullato dal Tribunale milanese, a detta del quale l’espressione pronunciata dalla ricorrente, “secretare”, ossia la mancata ostensione al consiglio di Dipartimento di alcuni atti della procedura per la chiamata di un ricercatore, ha un significato neutro, di per sé privo di accezioni positive o negative. Benché la parola sia stata utilizzata per recriminare all’Università un’irregolarità, non può sostenersi, secondo i giudici meneghini, che la dichiarante abbia esorbitato dal canone della moderazione e della continenza verbale.
Del resto, la dichiarazione, poiché era riferita ad un avvenimento realmente accaduto e, per come riconosciuto dallo stesso collegio di disciplina, integrante un modus procedendi scorretto da parte degli organi universitari, giustificava a pieno il tono di critica non tanto del termine in sé quanto della complessiva dichiarazione.
Per il TAR della Lombardia, dunque, vista la moderazione delle espressioni e il contesto in cui il fatto ha avuto luogo, addebitare alla ricorrente una condotta irregolare o non consona ai doveri d’ufficio equivale a pretendere piena deferenza all’Ateneo e a censurare qualsivoglia manifestazione del pensiero critico da parte del personale, così compromettendo una elementare libertà, riconosciuta sin dall’art. 21 Cost.