Con sentenza n. 4465 del 20 maggio 2024, il Consiglio di Stato si è pronunciato sulle conseguenze derivanti dall’inosservanza del principio della parità di genere nella composizione di una commissione di una procedura selettiva.
Nel caso di specie, il TAR del Lazio annullava tutti gli atti e i provvedimenti successivi al bando di concorso accogliendo una delle plurime censure del ricorrente ”nella parte relativa alle doglianze inerenti alla violazione dei principi di buon andamento, parità di genere e trasparenza, in relazione alla assenza di motivazione in ordine alla mancata designazione di almeno un docente di genere femminile quale membro della Commissione giudicatrice”.
La decisione del TAR veniva impugnata dall’originario vincitore del concorso, il quale rilevava che il Collegio capitolino avesse erroneamente interpretato le norme sulla parità di genere nelle commissioni di concorso.
La censura dell’appellante è stata condivisa dai Giudici di Palazzo Spada che hanno, perentoriamente, affermato che la mancanza di componenti femminili in seno ad una Commissione esaminatrice è una censura che non esplica ex se effetti vizianti delle operazioni concorsuali. Ciò perché ”la ratio della normativa sulla parità di genere è di garantire la parità dei sessi e le reciproche pari opportunità, evitando che l’esercizio di determinate funzioni sia precluso ad uno dei due generi, maschile o femminile e non ha nulla a che vedere, come ha osservato il primo giudice, con presunte finalità anticorruttive se non in un senso talmente lato, e improprio, da comprendervi così, con una evidente petizione di principio, ogni disposizione di legge che regoli la composizione delle Commissioni per garantire il rispetto di fondamentali principi costituzionali che via via vengano in rilievo come, nel caso di specie, quello di cui all’art. 51, comma primo, nonché, a livello europeo, la Dir. n. 2004/113/CE e l’art. 157, par. 4, del T.F.U.E.)”.
Secondo il Consiglio di Stato, peraltro, l’inosservanza del requisito di genere potrebbe inficiare un concorso ove sia dimostrato, o quantomeno possa supporsi, che la Commissione abbia assunto una reale condotta discriminatoria, condotta che, nel caso di specie, non è stata per nulla dimostrata.
Con questa motivazione, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, ha respinto integralmente il ricorso e i motivi aggiunti proposti in primo grado dal ricorrente.