Con sentenza n. 112 pubblicata nella gazzetta ufficiale il 3 luglio 2024, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.1, comma 13, della Legge 8 agosto 1995, n. 335 (c.d. Riforma Dini del sistema pensionistico) e dell’art. 1, comma 707, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), sollevata dal Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro.
Nel caso di specie, il pensionando proponeva una domanda giudiziale di riliquidazione del proprio trattamento pensionistico, chiedendo, in particolare, la neutralizzazione della contribuzione derivante dal riscatto del periodo di studi universitari operato nel 1996 (allo scopo di incrementare l’anzianità contributiva anteriore alla data del 31 dicembre 1995 sino ai diciotto anni richiesti per ottenere il computo della futura pensione con il sistema interamente retributivo).
A fondamento della propria domanda, il medesimo deduceva che, in virtù del riscatto e del conseguente utilizzo del metodo di calcolo retributivo, l’importo della propria pensione, richiesta con la c.d. “quota 100”, fosse pari ad € 9.220,94 mensili, mentre in assenza dello stesso e con l’applicazione del sistema di calcolo misto sarebbe stato pari ad € 11.427,94 mensili.
Investito del caso, il Tribunale di Roma sollevava questione di legittimità costituzionale ritenendo gli artt. 1, comma 13, della Legge 8 agosto 1995, n. 335 e 1, comma 707, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 contrastanti con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui non è previsto il diritto alla neutralizzazione dei contributi versati in seguito al riscatto volontario degli anni di laurea, quando ciò sia necessario per uscire dal sistema retributivo di computo della pensione, applicabile all’interessato proprio in virtù del riscatto, e accedere al sistema misto, rivelatosi più conveniente al momento del pensionamento.
La Consulta ha giudicato infondata la questione sollevata per un duplice ordine di mortivi: in primis perché, secondo la sentenza, la neutralizzazione ha la finalità di tutelare il lavoratore da fattori indipendenti da sue scelte, mentre il riscatto degli anni di laurea è una decisione del dipendente (presa – peraltro – per accedere al sistema retributivo che, al momento del riscatto, era ritenuto generalmente più favorevole per il pensionato); in secondo luogo, perché nell’ipotesi prospettata il pensionando chiederebbe di neutralizzare gli anni riscattati non per annullare gli effetti negativi all’interno del metodo retributivo, bensì per uscire dallo stesso. Ciò si risolverebbe, secondo i Giudici, in una sostanziale pretesa di scelta del sistema di computo del trattamento pensionistico in base a una valutazione ex post, ossia effettuata nel momento del pensionamento, che si pone in contrasto con il principio di certezza del diritto, che deve pur sempre presidiare il sistema previdenziale, come già affermato con la sentenza n. 82 del 2017.