Con sentenza n. 303 del 18 marzo 2024, il TAR della Toscana si è pronunciato con riferimento ad una fattispecie di presunto mobbing commessa all’interno di un Ateneo.
Nel caso di specie, il ricorrente chiedeva l’accertamento del proprio diritto ad ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali patiti, in ambito lavorativo, in conseguenza di condotte asseritamente discriminatorie e vessatorie poste in essere dalle parti resistenti – tra le quali figurava anche l’Università degli Studi di Siena – integranti, a suo dire, una fattispecie di cd. mobbing.
Esponeva, in particolare, di essere stato, per oltre vent’anni, chirurgo universitario di elevate competenza e professionalità, riconosciute a livello nazionale ed internazionale, nonché docente associato dell’Università di Siena; deduceva, inoltre, di aver conseguito, nel 2013, l’abilitazione scientifica nazionale per le funzioni di professore di prima fascia, funzioni, tuttavia, mai esercitate a causa dell’inspiegabile resistenza dell’Ateneo nel procedere con la chiamata di ordinari nel settore scientifico disciplinare di suo interesse “Med 18 Chirurgia Generale”, nonostante la presenza, da una parte, di carenze di organico e, dall’altra, della disponibilità di bilancio.
Secondo il ricorrente, le resistenze dell’Università di Siena a bandire il concorso di professore universitario di prima fascia per la chirurgia generale dei trapianti erano finalizzate esclusivamente ad impedirgli di divenire professore ordinario: tale comportamento, qualificato come intenzionalmente persecutorio, procrastinatosi sino al suo pensionamento avvenuto nel novembre 2021, gli avrebbe procurato gravi danni alla salute psico-fisica, con manifestazioni a partire dall’anno 2019.
Costituendosi in giudizio, l’Ateneo eccepiva la mancata allegazione e prova di comportamenti mobbizzanti tenuti ai danni del ricorrente e idonei a giustificare l’azione risarcitoria ed evidenziava, poi, di aver provveduto, nel luglio 2016, a bandire un concorso per il SSD MED18 al quale tuttavia il ricorrente non avrebbe partecipato.
Per il TAR della Toscana, il mobbing nel rapporto di impiego pubblico si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica. Sul piano processuale, questa condotta deve essere allegata nei suoi elementi essenziali dal lavoratore, che non può limitarsi davanti al giudice a dolersi genericamente di essere vittima di un illecito, ovvero ad allegare l’esistenza di specifici atti illegittimi, ma deve quanto meno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il giudice, eventualmente, anche attraverso l’esercizio dei suoi poteri ufficiosi, possa verificare la sussistenza, nei suoi confronti, di un più complessivo disegno preordinato alla vessazione o alla prevaricazione.
Alla luce di tali premesse, il Collegio fiorentino ha ritenuto che nel caso di specie difettasse l’allegazione e la prova degli elementi costitutivi che consentissero di ravvisare, sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo, la fattispecie di mobbing, come delineata dalla giurisprudenza.
Secondo il TAR, peraltro, l’Ateneo resistente non era tenuto ad istituire una cattedra di professore ordinario trattandosi di una scelta discrezionale nell’ an e nel quando e condizionata da varie circostanze tra le quali i vincoli di bilancio. Né, corrispettivamente, il ricorrente poteva vantare alcun diritto a conseguire tale avanzamento di carriera, comunque subordinato al superamento di una procedura selettiva.
Con tale motivazione, il TAR della Toscana ha rigettato il ricorso, condannando il ricorrente a rimborsare alle parti resistenti le spese di lite.