Consiglio di Stato, Sez. VII, 9 febbraio 2023, n. 1426

Procedimento disciplinare - R.D. n. 1592/1933 - art. 10 legge n. 240/2010

Data Documento: 2023-02-10
Autorità Emanante: Consiglio di Stato
Area: Giurisprudenza
Massima

La sentenza impugnata va confermata nella parte in cui ha ritenuto applicabile, al caso di specie, la disciplina contenuta nell’art. 10 della legge n. 240/2010, attesa la riconducibilità del rapporto di impiego dei professori e ricercatori universitari nell’alveo del personale alle dipendenze delle amministrazioni “in regime di diritto pubblico” con conseguente assoggettamento alle relative disposizioni nell’ambito della disciplina dedicata al sistema universitario, come espressamente previsto dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 165/2001. La previsione di cui all’art. 10, comma 3, della legge n. 240/2010, laddove dispone che, per quanto non specificamente previsto, «il procedimento disciplinare avanti al collegio è disciplinato dalla normativa vigente», diversamente da quanto opina l’appellante, si riferisce alla specifica normativa applicabile ai professori e ai ricercatori universitari, dettata dall’art. 12 della legge n. 311/1958 e dagli artt. 87 e ss. del regio decreto n. 1592/1933, oltre che dal DPR n. 3/1957, in quanto compatibili. Tale regolamentazione risulta in parte ancora in vigore, sia pure con le modifiche introdotte dapprima dalla legge 16 gennaio 2006, n. 189 e poi dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240 (c.d. Riforma Gelmini). Ne discende l’infondatezza di tutte le censure in cui, in più punti, l’appellante deduce la violazione della disciplina recata dal d.lgs. n. 165/2001, trattandosi di normativa applicabile ai soli dipendenti pubblici “privatizzati”.

Contenuto sentenza

N. 01426/2023REG.PROV.COLL.
N. 05269/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5269 del 2022, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] Funari, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via [#OMISSIS#] da Carpi, 1;

contro

Università -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Petitto, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio De Vergottini in Roma, via Bertoloni, 44;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per -OMISSIS- n. -OMISSIS-.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];

Uditi, nell’udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2023, l’avvocato [#OMISSIS#] Funari per l’appellante, e gli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Petitto per la parte appellata;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. L’appellante impugna la sentenza del TAR -OMISSIS-n. -OMISSIS-del -OMISSIS- con cui è stato respinto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto per l’annullamento, unitamente [#OMISSIS#] atti presupposti, del decreto rettorale n. -OMISSIS- di destituzione dell’appellante, a far data dal -OMISSIS-, dal servizio prestato in qualità di Ricercatore universitario confermato di Psichiatria, [#OMISSIS#] facoltà di medicina e chirurgia -OMISSIS- della stessa Università.

L’Ateneo appellato si è costituito nel presente grado di giudizio per resistere all’appello, depositando atto di stile.

In vista della trattazione del ricorso le parti hanno depositato memorie conclusive e repliche e all’udienza pubblica del 24 gennaio 2023, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Devono essere ricostruiti i passaggi salienti della vicenda.

L’istante è stato dirigente medico ospedaliero e ricercatore universitario confermato di psichiatria [#OMISSIS#] facoltà di medicina e chirurgia dell’Università -OMISSIS-, a decorrere -OMISSIS-.

Con decreto rettorale del -OMISSIS-, in conseguenza dell’informativa proveniente dal Gip presso la Procura della Repubblica -OMISSIS-, che evidenziava a suo carico fatti penalmente rilevanti intercorsi [#OMISSIS#] svolgimento dell’attività medica assistenziale, lo stesso è stato sospeso cautelarmente dallo stipendio e dal servizio “comunque svolto” presso l’Università, comprese quindi sia le funzioni didattiche di ricercatore sia le funzioni assistenziali di dirigente medico.

Il -OMISSIS-, il Rettore dell’Ateneo ha avviato il procedimento contestando i fatti come da imputazione contenuta nel provvedimento del Gip, qualificati “di particolare gravità” e pregiudizievoli per l’Ente.

Con lo stesso decreto il Rettore ha sospeso il procedimento disciplinare, stante la pendenza del procedimento penale, ed ha confermato la già disposta sospensione dal servizio e dallo stipendio.

Con nota rettorale del -OMISSIS- (decorsi cinque anni dal provvedimento di sospensione del -OMISSIS-), l’istante, [#OMISSIS#] restando la già disposta sospensione del procedimento disciplinare, è stato riammesso in servizio nelle sole funzioni di docente, con esclusione delle attività assistenziali, con revoca dell’assegno alimentare e ripristino del trattamento stipendiale.

L’istante impugnava tale atto relativamente alla mancata riattribuzione anche delle funzioni assistenziali con un giudizio conclusosi negativamente sia dinanzi al -OMISSIS-sia dinanzi al Consiglio di Stato con sentenza n.-OMISSIS-.

Nelle more la Corte di appello penale -OMISSIS-, con sentenza n. -OMISSIS-in data -OMISSIS- (divenuta definitiva a seguito di decisione della Corte di cassazione in data -OMISSIS- dichiarativa della inammissibilità del relativo ricorso), ha dichiarato di non doversi procedere in ordine ai reati ascritti in quanto estinti per intervenuta prescrizione ed ha confermato la sentenza ivi impugnata limitatamente alle statuizioni civili.

L’Università ha, pertanto, riavviato il procedimento disciplinare con decreto rettorale in data -OMISSIS-.

Il -OMISSIS- l’istante riceveva la convocazione innanzi al Collegio di disciplina per l’audizione del -OMISSIS-per essere ascoltato in merito alle condotte oggetto di contestazione, alla quale presenziava esponendo le sue ragioni, anche illustrate in una apposita memoria scritta.

Seguiva il decreto rettorale n. -OMISSIS- recante l’irrogazione della sanzione della destituzione dal servizio.

L’istante che, con istanza del-OMISSIS-, chiedeva l’accesso [#OMISSIS#] atti richiamati nel decreto di destituzione, nelle more impugnava tale provvedimento dinanzi al TAR-OMISSIS-, una volta ottenuto l’accesso [#OMISSIS#] atti richiesti, proponeva motivi aggiunti.

3. Il -OMISSIS-, esaminando congiuntamente le censure mosse con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti in quanto sostanzialmente coincidenti, le ha integralmente respinte.

Schematizzando, il primo [#OMISSIS#] ha ritenuto:

– inapplicabili le previsioni, invocate in ricorso, di cui [#OMISSIS#] articoli 55 bis e seguenti del decreto legislativo n. 165/2001, essendo invece applicabile la specifica disciplina contenuta nell’art. 10 della legge n. 240/2010, attesa la riconducibilità del rapporto di impiego dei professori e ricercatori universitari nell’alveo del personale alle dipendenze delle amministrazioni “in regime di diritto pubblico”, con conseguente assoggettamento alle relative disposizioni nell’ambito della disciplina dedicata al sistema universitario, come previsto dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 165/2001;

– conforme, il procedimento disciplinare svolto dall’Ateneo, alle prescrizioni dettate dall’articolo 10 della legge n. 240/2010;

– sufficientemente precisa la contestazione degli addebiti formulata in sede disciplinare, riportata nelle note rettorali n. -OMISSIS- espressa anche mediante riferimento a quanto risultato in sede penale, nonchè adeguati sia l’accertamento degli elementi fattuali ascritti sia la relativa valutazione a fini disciplinari;

– insindacabile il giudizio di proporzionalità della sanzione irrogata in quanto sorretta da adeguata motivazione;

– pertinenti i fatti addebitati, in quanto inerenti allo svolgimento delle funzioni assistenziali, alla sfera del rapporto di servizio in qualità di ricercatore universitario;

– non esaminabili alcune censure (una perché proposta tardivamente e con memoria non notificata, l’altra perché afferente a questione già decisa con la precedente sentenza n. -OMISSIS- confermata dal Consiglio di Stato con sentenza, n.-OMISSIS-);

– priva dei presupposti, alla luce della statuizione di rigetto dell’impugnazione, la domanda di condanna alla riammissione in servizio e alla restituzione delle differenze stipendiali.

4. L’appellante ritiene errata la sentenza per i seguenti due motivi, che sono sostanzialmente riproduttivi delle censure formulate nei quattro motivi di primo grado.

I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 55 bis e dell’art. 55 ter del D.Lgs. 165/2001; violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 10 della legge 240 del 2010; incompetenza dell’organo procedente; violazione dei principi generali in materia: di prevalenza delle leggi sui regolamenti e di successione delle leggi nel tempo e di rapporto tra norme.

Secondo l’appellante erroneamente la sentenza avrebbe ritenuto non applicabile al [#OMISSIS#] di specie la disciplina dettata dagli artt. 55 bis e ter del D.Lgs. 165/2001 per il pubblico impiego in generale. L’art. 3, comma 5, della legge 18/2006, applicabile ratione temporis al procedimento avviato nell’agosto -OMISSIS- l’art. 10 comma 3 della legge 240/2010, che ha sostituito e modificato le norme della legge n. 18/2006, rimandano espressamente, con due previsioni pressoché identiche, alla normativa generale (D.Lgs. 165) per quanto non specificamente previsto; quindi, la competenza a decretare la destituzione, o altra sanzione più grave della censura, sarebbe stata del Collegio di disciplina.

Inoltre la nota del -OMISSIS-, qualificata come contestazione degli addebiti:

– sarebbe tardiva tenuto conto che già in data -OMISSIS- l’istante era stato sospeso cautelarmente dal servizio e dalla retribuzione;

– sarebbe incompleta perché non conterrebbe né una [#OMISSIS#] contestazione degli addebiti ma solo la pedissequa riproduzione dei capi di imputazione penale), né una motivata proposta della sanzione applicabile, che sarebbe necessaria se si ritiene applicabile l’art. 10 della legge 240/2010 (emanata successivamente all’apertura del procedimento);

– sarebbe stata adottata da organo incompetente atteso che anche il “Regolamento sulla procedura disciplinare applicabile ai docenti”, adottato con decreto rettorale n.-OMISSIS- prevede all’art. 3 che l’organo competente per i procedimenti disciplinari nell’Università è il Collegio di disciplina, restando di competenza del Rettore solo i fatti sanzionabili con la censura;

– non avrebbe disposto la trasmissione degli atti al Collegio competente per lo svolgimento del giudizio disciplinare, trasmissione che si è avuta solo con la nota del -OMISSIS- indirizzata al [#OMISSIS#], dunque oltre il [#OMISSIS#] di “trenta giorni dal momento della conoscenza dei fatti” previsto sia dall’art. 10, comma 2, della legge n. 240/2010 sia dall’art. 3, comma 2, della legge n. 18/2006.

Le previsioni dell’art. 3 del Regolamento n. 1100/2014 che attribuiscono competenze sul procedimento disciplinare ad organi diversi e non al solo Collegio di disciplina, sarebbero in contrasto con la normativa nazionale (artt. 55 e ss. D.Lgs. 165/01) e con la legge n. 240/2010, il cui art. 10 assoggetta il procedimento disciplinare alla normativa vigente, ossia al D.Lgs. 165/01, anche perché la distribuzione delle competenze fra organi diversi necessiterebbe di tempi incompatibili con i termini previsti dalla normativa nazionale.

Non sarebbero stati rispettati i termini di avvio e di conclusione del procedimento, né quelli previsti dagli artt. 55 bis, comma 4, e 55 ter, comma 4, del D.Lgs. 165/01, né quelli previsti dall’art. 10, comma 2, della legge n. 240/2010, i quali non sarebbero ordinatori come ritenuto dal TAR.

La sospensione del procedimento disciplinare per ben 11 anni sarebbe da una parte irragionevole e, dall’altra, ingiustificata alla luce dell’autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale. L’Università non avrebbe dovuto attendere la definizione del giudizio penale, bensì procedere autonomamente e con immediatezza a vagliare la rilevanza disciplinare dei fatti a lui addebitati.

La sentenza sarebbe errata laddove ha ritenuto di non poter esaminare la censura inerente la non tempestività dell’avvio del procedimento disciplinare -OMISSIS-, perché tardivamente introdotta con la memoria difensiva del -OMISSIS- osserva che già nel ricorso introduttivo (punto 3 pag. 15) l’istante aveva sostenuto l’intervenuta estinzione del procedimento per mancato avvio e/o ripresa nel [#OMISSIS#] di legge.

Così facendo il TAR avrebbe omesso di pronunciarsi sulla eccezione di estinzione del potere disciplinare in capo all’Università, per il decorso dei termini prescritti dalla legge per il suo avvio: si tratterebbe di un profilo di nullità della sanzione irrogata, come tale rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

Sarebbe stato violato il diritto di difesa dell’incolpato, non essendogli stato concesso un [#OMISSIS#] sufficiente per lo svolgimento delle sue deduzioni difensive: il TAR avrebbe errato laddove ha respinto tale censura rilevando sia che l’art. 55 bis citato non era applicabile al [#OMISSIS#] di specie (disciplinato invece dall’art. 10 della legge n. 240/2010 che non prevede alcun [#OMISSIS#] a difesa), sia che, comunque, le difese svolte dall’incolpato in quella sede dimostrano che egli ha avuto tempo sufficiente per articolare la sua difesa.

II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 55 bis e dell’art. 55 ter del D.Lgs. 165/2001; violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 10 della legge 240 del 2010; violazione e falsa applicazione dell’artt. 578 cp.p.; violazione in parte qua del Regolamento dell’Ateneo n. -OMISSIS-, sulla procedura disciplinare applicabile ai docenti; eccesso di potere per erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti; ulteriore profilo di violazione del diritto di difesa; difetto ed erroneità della motivazione; difetto di istruttoria e sproporzionalità della sanzione irrogata; sviamento; contraddittorietà; incompetenza dell’organo procedente; violazione dei principi generali in materia: di prevalenza delle leggi sui regolamenti e di successione delle leggi nel tempo e di rapporto tra norme, nonché di imparzialità dell’azione amministrativa; illogicità manifesta; contrasto col giudicato di cui alla decisione del Consiglio di Stato n.-OMISSIS-.

Secondo l’appellante sarebbe mancata un’appropriata contestazione degli addebiti nonché la “motivata proposta” della sanzione avanzata al Collegio di disciplina.

La declaratoria di estinzione per prescrizione dei reati ascritti all’imputato non avrebbe consentito al Collegio di disciplina di fondare le sue valutazioni sugli accertamenti svolti in sede penale ma avrebbe richiesto un’autonoma valutazione di quei fatti, anche nel rispetto del principio di autonomia tra i due procedimenti.

La motivazione spesa dal TAR sul punto sarebbe errata: in primo luogo, perché l’art. 538 c.p.p. (condanna per la responsabilità civile) [#OMISSIS#] dice sugli effetti delle statuizioni civili, ma prevede solamente che il [#OMISSIS#], quando pronuncia sentenza di condanna, decide anche sulla domanda per le

restituzioni e il risarcimento del danno. Quindi, quella [#OMISSIS#] sarebbe irrilevante atteso che quella della Corte d’Appello non è una sentenza di condanna, ma dichiarativa dell’estinzione dei reati per prescrizione.

Come tale essa rientrerebbe nel campo di applicazione dell’art. 578 c.p.p., comma 2, il quale prevede che il [#OMISSIS#] dell’appello, quando dichiara estinto il reato per prescrizione decide sull’impugnazione ai soli effetti civili.

Invece, dall’art. 538 c.p.p. il TAR erroneamente avrebbe desunto l’efficacia di tale sentenza efficacia sul procedimento disciplinare, quanto all’accertamento dei fatti ascritti.

Tale ricostruzione troverebbe conferma [#OMISSIS#] sentenza della Corte costituzionale n. -OMISSIS-.

Il Collegio di disciplina avrebbe utilizzato formule vaghe, quali “almeno in alcuni casi”, in contrasto col principio di specificità che deve connotare l’esercizio del potere disciplinare; sarebbe irragionevole aver dedotto l’abitualità e continuità con cui l’istante avrebbe compiuto i fatti ascrittigli “da soli 8 casi, verificatisi nel corso di alcuni anni, -OMISSIS- a fronte del lungo servizio prestato … presso l’Università -OMISSIS-a partire -OMISSIS-” (così a pag. 24 dell’atto di appello).

Rispetto alla contestazione degli addebiti, contenuta sia [#OMISSIS#] nota dell’agosto-OMISSIS- in quella del -OMISSIS-, sarebbero mutati i capi di incolpazione, inizialmente individuati [#OMISSIS#] “corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, falsificazioni di atti pubblici e false dichiarazioni e attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, e favoreggiamento personale” e successivamente divenuti “scorrettezze e negligenze professionali”.

La modifica dell’incolpazione sarebbe avvenuta [#OMISSIS#] seduta del -OMISSIS-, dopo l’audizione dell’incolpato, avvenuta -OMISSIS-nel corso della quale egli si era difeso sui reati contestatigli, ma non sulle scorrettezze e negligenze poste a fondamento della sanzione irrogatagli.

Il TAR avrebbe omesso di pronunciarsi su tale modifica del capo di incolpazione.

L’organo disciplinare, come risulterebbe dal verbale del -OMISSIS-, non avrebbe riscontrato con certezza il verificarsi della corruzione e delle falsificazioni degli atti addebitate all’incolpato e l’assenza di certezze vizierebbe il provvedimento, tanto più in considerazione della sanzione adottata, che è la massima prevista.

Inoltre gli addebiti sono relativi allo svolgimento della professione medica, ma sarebbero stati mossi da un organo i cui membri non sono medici e, come tale, incompetente: anche su tale rilievo il TAR non si sarebbe pronunciato.

Né il Collegio avrebbe precisato le ragioni per le quali le scorrettezze e negligenze contestate giustificassero l’irrogazione della sanzione della destituzione ai sensi dell’art. 1, comma 3, n. 2 del Regolamento sulla procedura disciplinare per i docenti.

La sentenza sarebbe errata laddove ha giudicato legittimo il procedimento svolto dall’Università sul presupposto dell’inscindibilità delle funzioni, in precedenza negata per giustificare la mancata riammissione alle attività mediche, tenuto conto che il procedimento disciplinare era stato aperto in relazione alla qualità di ricercatore universitario dell’incolpato e, quindi, relativamente alle sue funzioni didattiche, nonostante tutti i capi di incolpazione (e prima ancora di imputazione) si riferissero a fatti e/o condotte riferiti all’esercizio delle funzioni assistenziali assegnategli [#OMISSIS#] sua qualità di dirigente medico.

Sarebbe errata la sentenza del TAR anche per non essersi pronunciata su questo capo della domanda perché asseritamente coperto dalle precedenti pronunce di primo e secondo grado.

La sanzione irrogata sarebbe sproporzionata rispetto ai fatti addebitati che sono “quelli relativi a soli 8 casi rispetto ai tanti che avevano portato all’imputazione penale” (così a pag. 33 dell’atto di appello), anche perché temporalmente collocati tra i-OMISSIS-ossia due anni rispetto [#OMISSIS#] oltre 30 nei quali l’appellante ha prestato servizio presso l’Università.

Il TAR avrebbe errato nel ritenere la sanzione adeguatamente motivata.

5. L’Università resiste come segue a tutte le censure innanzi riassunte, previa ricostruzione dei fatti di causa.

In ordine al primo motivo innanzitutto sarebbero inconferenti i ripetuti richiami alle disposizioni del D.Lgs. 165/2001 dal momento che l’art. 3, comma 2, di tale decreto ha sancito l’esclusione del rapporto di impiego dei docenti e ricercatori universitari dall’ambito di operatività della contrattualizzazione, sicchè, la materia Disciplinare dei ricercatori non è soggetta alle norme previste per i dipendenti pubblici “privatizzati”.

Il procedimento disciplinare si sarebbe regolarmente svolto in conformità alla legge n. 240/2010 che ne detta la disciplina, dalla quale deriverebbe l’infondatezza della censura relativa ad una asserita incompetenza del Rettore.

Sarebbe, altresì, infondata è la doglianza relativa all’asserito mancato rispetto dei termini procedimentali di avvio e di conclusione del procedimento e di quello fornito a difesa dell’interessato ai fini della sua audizione. Inoltre il [#OMISSIS#] di trenta giorni di cui all’articolo 10, comma 2, della legge n. 140/2010 sarebbe ordinatorio; l’unico [#OMISSIS#] avente natura perentoria sarebbe quello di 180 giorni, previsto dall’articolo 10, comma 4, della legge 240/2010 per la conclusione del procedimento, che nel [#OMISSIS#] di specie sarebbe stato rispettato.

Sarebbe infondata la tesi per cui il procedimento disciplinare si sarebbe estinto in relazione all’attività di dirigente medico, stante l’unitarietà del rapporto di lavoro, né vi sarebbe stata lesione del [#OMISSIS#] a difesa.

Quanto al secondo motivo l’Ateneo osserva che la contestazione degli addebiti correttamente sarebbe stata effettuata richiamando i capi di imputazione in sede penale e che correttamente tali fatti siano stati considerati, in sede disciplinare, essendo stati accertati ed ascritti all’appellante ai fini delle statuizioni civili contenute [#OMISSIS#] sentenza della Corte di appello.

Il Collegio di disciplina comunque avrebbe svolto un’approfondita ed accurata analisi di ciascuno dei singoli episodi contestati all’appellante; la difesa dell’Ateneo si sofferma su ciascuno di tali episodi a sostegno della correttezza dell’operato dell’Ente.

Quanto alla pretesa dell’appellante di ottenere un reinserimento nelle funzioni assistenziali e di docenza svolte prima dell’avvio del procedimento disciplinare, l’Ateneo ricorda la scindibilità delle funzioni assistenziali da quelle di ricerca in materie cliniche che, comunque, non implica anche la scindibilità del rapporto di lavoro, che è e rimane unico.

Infine contesta il dedotto vizio di non proporzionalità che affliggerebbe la sanzione, rimarcando la gravità dei fatti.

6. L’appello è infondato.

Le varie censure formulate con i due motivi devono essere esaminate nel complesso, seguendo il relativo ordine logico.

6.1. Innanzitutto la sentenza impugnata va confermata [#OMISSIS#] parte in cui ha ritenuto applicabile, al [#OMISSIS#] di specie, la disciplina contenuta nell’art. 10 della legge n. 240/2010, attesa la riconducibilità del rapporto di impiego dei professori e ricercatori universitari nell’alveo del personale alle dipendenze delle amministrazioni “in regime di diritto pubblico” con conseguente assoggettamento alle relative disposizioni nell’ambito della disciplina dedicata al sistema universitario, come espressamente previsto dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 165/2001.

La previsione di cui all’art. 10, comma 3, della legge n. 240/2010, laddove dispone che, per quanto non specificamente previsto, «il procedimento disciplinare avanti al collegio è disciplinato dalla normativa vigente», diversamente da quanto opina l’appellante, si riferisce alla specifica normativa applicabile ai professori e ai ricercatori universitari, dettata dall’art. 12 della legge n. 311/1958 e dagli artt. 87 e ss. del regio decreto n. 1592/1933, oltre che dal DPR n. 3/1957, in quanto compatibili.

Tale regolamentazione risulta in parte ancora in vigore, sia pure con le modifiche introdotte dapprima dalla legge 16 gennaio 2006, n. 189 e poi dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240 (c.d. Riforma [#OMISSIS#]).

Ne discende l’infondatezza di tutte le censure in cui, in più punti, l’appellante deduce la violazione della disciplina recata dal d.lgs. n. 165/2001, trattandosi di normativa applicabile ai soli dipendenti pubblici “privatizzati”.

Inoltre, la collocazione dello svolgimento del procedimento disciplinare per cui è causa a [#OMISSIS#] della suddetta riforma depone per l’infondatezza di tutte le censure inerenti la presunta incompetenza del Rettore, sia la asserita inapplicabilità della disciplina di cui alla legge n. 240/2010 in quanto successiva all’avvio del procedimento.

Invero -OMISSIS- al momento dell’avvio del procedimento, tale potere era attribuito al Rettore dall’articolo 3, comma 2, della legge n. 18/2006 a [#OMISSIS#] del quale «L’azione disciplinare innanzi al collegio spetta al rettore competente, al [#OMISSIS#] di un’istruttoria locale per ogni fatto che possa dar luogo all’irrogazione di una sanzione più grave della censura […]. La sanzione è inflitta dal rettore, su conforme parere del collegio, entro trenta giorni dalla ricezione del parere».

Nel [#OMISSIS#] di specie, con raccomandata del -OMISSIS-, prot. -OMISSIS- inviata all’appellante il Rettore ha confermato la sospensione cautelare dallo stipendio e dal servizio svolto presso l’Ateneo (ai sensi degli artt. 91 e 92 del testo unico 10 gennaio 1957, n. 3), avviando il relativo procedimento disciplinare innanzi al Collegio di disciplina (all’epoca incardinato presso il Consiglio universitario nazionale ai sensi dell’art. 3 della legge 16 gennaio 2006, n. 18), con contestuale sospensione del procedimento stesso, in attesa della definizione del procedimento penale a carico dell’appellante.

Il richiamato potere di avviare il procedimento disciplinare «per ogni fatto che possa dar luogo all’irrogazione di una sanzione più grave della censura tra quelle previste dall’articolo 87 del testo unico della legge sull’istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933 n. 1592» è oggi attribuito espressamente al Rettore dall’articolo 10 della legge n. 240/2010.

6.2. Ciò posto, l’art. 10 della richiamata legge n. 240/2010 ripartisce la competenza in materia di procedimento disciplinare e di assunzione del provvedimento finale tra diversi soggetti (distinguendo tra fase di impulso, di istruttoria e decisoria), ripartizione di competenze che risulta pedissequamente ripresa nel Regolamento universitario che, pertanto, stesso va esente da censure.

Nel [#OMISSIS#] di specie la riferita ripartizione di competenze è stata rispettata.

Invero, il Collegio di disciplina, nelle sedute del -OMISSIS-e del -OMISSIS-, dopo aver analizzato i fatti e le difese dell’appellante, ha ritenuto che il quadro emerso “appare da solo sufficiente a giustificare l’irrogazione della massima sanzione disciplinare, così come proposta, ovvero la destituzione ai sensi dell’art.1, co. 3, n. 2 del Regolamento disciplinare per i docenti. Sanzione che questo collegio si permette dunque di raccomandare ai competenti organi accademici” (cfr. verbale del -OMISSIS-).

A seguire, il Senato accademico, nell’adunanza del -OMISSIS-, ha confermato la proposta del Collegio di disciplina.

In conformità a quanto previsto dall’articolo 10, comma 4, «entro trenta giorni dalla ricezione del parere», il Consiglio di amministrazione [#OMISSIS#] seduta del -OMISSIS-all’unanimità ha inflitto la sanzione proposta e deliberato di darvi esecuzione.

Dunque, diversamente da quanto lamenta l’appellante, la sanzione è stata irrogata dal Consiglio di amministrazione dell’Università, mentre il decreto rettorale n. -OMISSIS- ha natura meramente dichiarativa delle decisioni già assunte dall’organo competente.

6.3. La sentenza va confermata anche [#OMISSIS#] parte in cui ha respinto le censure relative all’asserito mancato rispetto dei termini di avvio e di conclusione del procedimento.

6.3.1. Quanto al mancato rispetto del [#OMISSIS#] di “avvio” del procedimento disciplinare, ossia -OMISSIS- censura che l’appellante ha riproposto in appello, se ne deve confermare l’inammissibilità per tardività, statuita dal TAR, in quanto introdotta con la memoria depositata in giudizio in primo grado in data -OMISSIS-, laddove nel ricorso introduttivo (come integrato dal successivo atto di motivi aggiunti) la denunciata violazione del [#OMISSIS#] di avvio del procedimento risulta espressamente circoscritta alla fase di “riattivazione” intervenuta -OMISSIS-.

Né la suddetta censura può essere validamente proposta in appello, stante il cd. divieto dei nova.

In ogni [#OMISSIS#] è infondata la censura dell’appellante secondo cui “il Rettore-OMISSIS-aveva omesso la trasmissione degli atti al Collegio di disciplina”.

Invero, la disciplina vigente-OMISSIS-non prevedeva l’invio degli atti al Collegio di disciplina essendo stato istituito tale organo soltanto successivamente, con la legge n. 240/2010.

6.3.2. Quanto al mancato rispetto del [#OMISSIS#] di ripresa del procedimento disciplinare -OMISSIS-, è infondata la tesi secondo cui il procedimento sarebbe dovuto essere riattivato nel [#OMISSIS#] di 30 giorni di cui all’articolo 10, comma 2, della legge n. 240/2010, non essendo ivi previsto un [#OMISSIS#] per la ripresa del procedimento disciplinare sospeso, una volta conclusosi il procedimento penale.

Il [#OMISSIS#] previsto dall’art. 10, comma 2, si riferisce infatti all’avvio del procedimento disciplinare e non già alla rinnovazione della contestazione.

Si tratta di un [#OMISSIS#] ordinatorio e non perentorio; invero «Tutti gli altri termini stabiliti dalle norme di settore, [#OMISSIS#] specie l’art. 10, comma 3, l 240/2010, con riferimento alla fase (istruttoria) precedente al momento di avvio del procedimento disciplinare, coincidente con la comunicazione della contestazione degli addebiti, debbono considerarsi ordinatori, tenuto conto che il legislatore espressamente non li qualifica come perentori e che la fase pre-procedimentale non può giuridicamente equipararsi a quella realmente procedimentale» (Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2019, n. 2379 che cita Cass., Sez. II, 23 gennaio 2014, n. 1437).

Tale [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] fattispecie in esame, in ogni [#OMISSIS#] non inizia a decorrere dal -OMISSIS-come ritiene l’appellante, ossia dal momento della pubblicazione della sentenza della Cassazione, bensì dall’accertamento dei fatti posti a fondamento dell’azione disciplinare da parte del Rettore.

Infatti «L’atto di contestazione degli addebiti, in quanto volto a far conoscere i fatti ritenuti rilevanti, può essere adottato solo allorquando si sia delineato il quadro della vicenda» (Cons. Stato, n. 1437/2019 cit.).

Correttamente la sentenza impugnata ha evidenziato che l’unico [#OMISSIS#] perentorio è quello di 180, giorni previsto dall’articolo 10, comma 4, della legge n. 240/2010 per la conclusione del procedimento: [#OMISSIS#] che, nel [#OMISSIS#] di specie, è stato pienamente rispettato.

Infatti il provvedimento di destituzione impugnato è stato adottato in data -OMISSIS-, ossia dopo 110 giorni dalla data di riapertura del procedimento (-OMISSIS-).

La giurisprudenza citata dall’appellante non è pertinente.

Invero il -OMISSIS-, laddove [#OMISSIS#] sentenza n. -OMISSIS-, riferisce di “nullità” di un provvedimento disciplinare irrogato nei confronti di un professore universitario per violazione del [#OMISSIS#] di 30 giorni per l’apertura del relativo procedimento, e dunque “adottato nell’esercizio di un potere inesistente perché già consumato”, lo fa [#OMISSIS#] parte in cui tratteggia la tesi del ricorrente; viceversa ha accolto in quel [#OMISSIS#] il ricorso, in una vicenda più complessa, in cui erano intervenute in tempi diversi, più sentenze penali riferite a più capi di imputazione, senza che l’ateneo avesse proceduto disciplinarmente di volta in volta, bensì attendendo l’[#OMISSIS#] delle pronunce penali, peraltro favorevole all’incolpato, sul presupposto, indimostrato, dell’unitarietà della vicenda.

6.3.3. Non è fondata neanche la doglianza secondo cui l’Università non avrebbe dovuto attendere l’esito del processo penale, ciò in quanto, come già visto, l’atto di contestazione degli addebiti può essere adottato solo allorquando si sia delineato un chiaro e completo quadro della vicenda, anche e soprattutto nell’interesse dell’incolpato che deve essere posto in grado di conoscere con precisione i fatti addebitatigli.

Né osta a tale conclusione il principio di “autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale”, invocato dall’appellante atteso che è proprio dalla suddetta regola che discende la facoltà discrezionale attribuita all’amministrazione di sospendere il procedimento disciplinare in pendenza del procedimento penale laddove, per la complessità degli accertamenti o per altre cause, la stessa «non disponga di elementi necessari per la definizione del procedimento, essendo legittimata, peraltro, a riprendere il procedimento disciplinare, senza attendere che quello penale venga definito con sentenza irrevocabile, allorquando ritenga che gli elementi successivamente acquisiti consentano la decisione (Cassazione civile, sez. lav., 13 [#OMISSIS#] 2019, n. 12662)» (Cons. Stato, Sez. I, 26 agosto 2020, n. 1440).

Peraltro, tale facoltà risulta, nel [#OMISSIS#] di specie, correttamente esercitata se si considera la gravità dei fatti addebitati all’appellante in sede penale e la necessità, anche a garanzia dell’incolpato, che tali fatti fossero accertati in giudizio (accertamento intervenuto ai fini civili), prima di poterli valorizzare nel procedimento disciplinare.

6.3.4. Non è ravvisabile neanche la dedotta violazione del [#OMISSIS#] a difesa, che l’appellante riconduce all’art. 55 bis, comma 4, del D.Lgs. 165/2001, sia per la già rilevata inapplicabilità di tale [#OMISSIS#], non essendo invece tale [#OMISSIS#] previsto dalla legge 240/2010, sia perché risulta che egli si è difeso anche con memoria scritta, in cui, peraltro, non ha lamentato alcuna violazione in tale senso, e della quale il Collegio di disciplina ha tenuto conto, avendo espressamente replicato nel parere conclusivo allegato al verbale della riunione del -OMISSIS-.

6.4. Infondata in punto di fatto è la dedotta genericità della contestazione degli addebiti, in quanto effettuata mediante trascrizione dei capi di imputazione formulati dal Gip -OMISSIS- sicché non emergerebbe “l’indicazione delle supposte violazioni concretizzanti la contrarietà ai doveri di comportamento e/o di servizio né la dimostrazione dei fatti addebitati al ricorrente”.

È sufficiente rilevare che sia [#OMISSIS#] nota rettorale –OMISSIS- (di avvio) sia [#OMISSIS#] successiva n. -OMISSIS- (di riattivazione) sono chiaramente indicate le condotte, ossia quelle di cui ai capi di imputazione (che, a tutela dell’appellante, in questa sede non si riportano, essendo le stesse rinvenibili negli atti di causa) con l’espressa considerazione che le azioni riportate “incrinano il vincolo di fiducia posto a fondamento del rapporto di lavoro e costituiscono, altresì, una violazione dei doveri di comportamento di estrema gravità sia in considerazione del

ruolo da Lei ricoperto in questo Ente, sia alla luce della natura universitaria-ospedaliera di quest’[#OMISSIS#]” (così nel provvedimento -OMISSIS-).

6.5. Parimenti infondata è la tesi secondo cui l’amministrazione non avrebbe potuto utilizzare in sede disciplinare le risultanze del processo penale, in quanto non conclusosi con sentenza di condanna.

6.5.1. Come correttamente rilevato dal TAR, la sentenza di proscioglimento non esclude di per sé la possibilità per il datore di lavoro pubblico di prendere in considerazione le risultanze del processo penale nel più ampio quadro della valutazione complessiva dei fatti condotta in seno al procedimento disciplinare.

Ciò posto, l’infondatezza della censura è avvalorata dal fatto che, come emerge dalla sentenza della Corte di appello -OMISSIS-, n. -OMISSIS- (passata in giudicato), il giudizio penale sui fatti oggetto dei capi di imputazione formulati a carico dell’appellante non si è limitato alla declaratoria di estinzione dei reati ascritti per intervenuta prescrizione, ma si è esteso alla conferma delle statuizioni civili contenute [#OMISSIS#] sentenza n. 14369/2015 del Tribunale penale -OMISSIS-, ivi impugnata, recante la condanna dello stesso al risarcimento del danno cagionato all’Università -OMISSIS–OMISSIS-, costituita parte civile nel processo.

La conferma delle statuizioni civili resa con la citata sentenza della Corte di appello n. -OMISSIS- postula, in virtù del disposto di cui [#OMISSIS#] articoli 538 e ss. c.p.p., l’accertamento dei fatti ascritti, [#OMISSIS#] loro connotazione materiale e quanto alla loro riferibilità, sul piano oggettivo e soggettivo, alla persona del condannato, quali elementi costituenti necessario presupposto per il riconoscimento della responsabilità civile ex art. 2043 e 2059 cod. civ. e 185 c.p..

6.5.2. Le argomentazioni dell’appellante sulla presunta erronea interpretazione dell’art. 538 c.p.p. sono eccentriche rispetto all’oggetto del giudizio, non dovendosi in questa sede stabilire quali siano “gli effetti” delle statuizioni civili: ciò che rileva ai fini disciplinari è la circostanza che quei fatti siano risultati “accertati” anche se la condanna dell’autore degli stessi è potuta intervenire soltanto in sede civile essendo stata quella, corrispondente, in sede penale, resa impraticabile in ragione dell’intervenuta prescrizione dei reati.

È stato osservato che «per consolidata giurisprudenza di questo Consiglio il procedimento disciplinare può riguardare fatti oggetto dell’imputazione nel processo penale, conclusosi con sentenza irrevocabile di non luogo a procedere in ordine al reato ascritto, perché estinto per prescrizione, e applicare la sanzione disciplinare sulla base di autonomi elementi di valutazione tratti da tutti gli atti formati ed acquisiti nell’ambito del procedimento penale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 20 ottobre 2016, n. 4381).

Gli accertamenti effettuati in sede di procedimento penale sfociato nel proscioglimento dell’imputato per prescrizione del reato possono senz’altro essere utilizzati in sede disciplinare, [#OMISSIS#] restando che l’Amministrazione procedente è tenuta a procedere ad una autonoma valutazione degli stessi. In altri termini, in tali casi, la sanzione disciplinare è legittimamente irrogata all’esito di una autonoma e necessaria rivalutazione, al fine di accertarne il rilievo disciplinare, dei fatti che hanno costituito oggetto del giudizio penale; il riferimento [#OMISSIS#] motivazione del provvedimento impugnato alle sentenze penali, che hanno dichiarato il reato estinto per prescrizione, non comporta che l’Amministrazione abbia fatto discendere automaticamente da queste l’applicazione della sanzione, ma deve ritenersi compiuto per evidenziare come le condotte accertate in sede istruttoria ben possano reputarsi disciplinarmente rilevanti in quanto l’offensività delle stesse e la loro riconducibilità all’interessato non sono state escluse, ma sono state in certa misura evidenziate nel giudizio penale (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 9 marzo 2020, n. 1689).

Nelle ipotesi di conclusione del giudizio penale, nelle quali non si è giunti ad una condanna in conseguenza dell’intervento di cause di prescrizione o di altre cause di estinzione del reato, l’Amministrazione può legittimamente utilizzare a fini istruttori gli accertamenti effettuati [#OMISSIS#] sede penale senza doverli ripetere, salva la possibilità del dipendente di addurre elementi ed argomenti che, qualora dotati di oggettivo spessore e [#OMISSIS#], devono essere adeguatamente ponderati (Cons. Stato Sez. IV, 14 [#OMISSIS#] 2019, n. 3125)” (Cons. Stato, Sez. II, 23 giugno 2022, n. 5182 che richiama id. 16 febbraio 2022, n. 1163).

6.5.3. Non pertinente è il richiamo alla sentenza n. -OMISSIS- della Corte costituzionale, che ha dichiarato infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 578 c.p.p. per asserita contrarietà al principio della presunzione di innocenza.

Ivi la Corte ha precisato che «Il [#OMISSIS#] dell’impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla [#OMISSIS#] incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato; egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.). Con riguardo al “fatto” – come storicamente considerato nell’imputazione penale – il [#OMISSIS#] dell’impugnazione è chiamato a valutarne gli effetti giuridici, chiedendosi, non già se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all’imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto se quella condotta sia stata idonea a provocare un “danno ingiusto” secondo l’art. 2043 cod. civ., e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta [#OMISSIS#] lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno. Nel contesto di questa cognizione rilevano sia l’evento lesivo della situazione soggettiva di cui è titolare la persona danneggiata, sia le conseguenze risarcibili della lesione, che possono essere di natura sia patrimoniale che non patrimoniale. La mancanza di un accertamento incidentale della responsabilità penale in ordine al reato estinto per prescrizione non preclude la possibilità per il danneggiato di ottenere l’accertamento giudiziale del suo diritto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, la cui tutela deve essere assicurata, [#OMISSIS#] valutazione sistemica e bilanciata dei valori di rilevanza costituzionale al pari di quella, per l’imputato, derivante dalla presunzione di innocenza».

Osserva questo Consiglio che, in coerenza con i suesposti principi, il Collegio di disciplina ben può assumere quei “fatti”, che non hanno condotto a condanna penale per intervenuta prescrizione del reato, per valutare se la condotta dell’incolpato sia rilevante sul piano disciplinare, ossia se risulti idonea a compromettere il rapporto di fiducia fra le parti e a vulnerare l’immagine e la serietà dell’istituzione medica e universitaria.

6.6. Alla luce dei princìpi testé riportati risulta infondata anche la doglianza secondo cui il Collegio di disciplina non avrebbe verificato autonomamente i fatti e avrebbe utilizzato “formule vaghe”; dalla lettura dell’articolato parere rilasciato dal Collegio (che a tutela dell’appellato non si riporta in questa sede), emerge un’approfondita ed accurata analisi di ciascuno dei singoli episodi contestati all’appellante e della rilevanza che ciascuno di essi ha assunto in sede disciplinare.

Inoltre, nel paragrafo dedicato alle “conclusioni”, il Collegio precisa che la valutazione dei fatti contestati all’incolpato e dei [#OMISSIS#] di eventuale responsabilità disciplinare, “deve essere conclusivamente effettuata sulla base del complesso degli episodi esaminati”.

Dunque non sussiste la dedotta vaghezza o genericità del giudizio.

6.7. Né risulta fondata la tesi secondo cui sarebbe intervenuta, dopo l’emanazione del parere del Collegio di disciplina, una “modifica del capo di incolpazione” che inficerebbe l’intero procedimento disciplinare, essendosi passati da passati dalla “corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, falsificazioni di atti pubblici e false dichiarazioni e attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, e favoreggiamento personale” contestate alle “scorrettezze e negligenze professionali” richiamate, invece, nel parere.

Premesso che sulla portata disciplinare di tutti gli episodi che gli venivano contestati l’appellante si è lungamente difeso, senza mai dolersi di alcuna presunta modifica delle incolpazioni, va osservato che l’appellante confonde l’imputazione penale, consistente nei fatti punibili come reati, con l’incolpazione disciplinare, consistente [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di quelle stesse condotte quali scorrettezze e negligenze professionali in grado di ledere l’immagine e il prestigio dello stesso incolpato e dell’istituzione per la quale lavora, nonché il rapporto di fiducia esistente fra il datore di lavoro e il lavoratore, specie in un campo così delicato come quello dell’assistenza ospedaliera: profilo, quest’[#OMISSIS#], chiaramente posto in luce dal Rettore, fin dall’avvio del procedimento-OMISSIS-

6.8. Analoga confusione è ravvisabile in ordine alla censura secondo cui non gli sarebbe stata rappresentata l’intenzione dell’amministrazione di irrogargli la sanzione della destituzione.

Invero il corpus normativo che regola il procedimento disciplinare prevede che all’incolpato sia comunicata la sola contestazione degli addebiti; la “proposta” invece è quella che il Rettore fa al Collegio di disciplina ai sensi dell’articolo 10, comma 2, della legge n. 240/2010 (non riferibile all’avvio del procedimento per cui è causa, intervenuto prima dell’entrata in vigore della citata legge).

Ciò posto, l’art. 87 RD n. 1592/1933, ancora oggi applicabile in forza dell’art. 12 della legge n. 311/1958, confermato dal combinato disposto del comma 1, dell’art. 1 D.Lgs. n. 179/2009 con l’allegato 1 allo stesso decreto, come modificato dall’allegato C al D.Lgs. n. 213/2010), dispone che «possono essere inflitte, secondo la gravità delle mancanze, le seguenti punizioni disciplinari: 1° la censura; 2° la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio fino ad un anno; 3° la revocazione; 4° la destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni; 5° la destituzione con perdita del diritto a pensione o ad assegni».

Pertanto, ricevuta la contestazione degli addebiti, l’incolpato è edotto che, come conseguenza delle condotte poste in essere, può essergli irrogata una delle sanzioni previste dalla legge, in base alla gravità dei fatti.

6.9. Irrilevante è la censura secondo cui i componenti del Collegio, in quanto non medici, sarebbero stati incompetenti, sia perché la composizione di tale organo non è oggetto di contestazione in giudizio sia perché non si trattava di valutare fatti attinenti alla scienza medica bensì condotte disciplinarmente rilevanti.

6.10. L’appellante lamenta che il [#OMISSIS#] di primo grado non si sia espresso sulla censura secondo cui in sede disciplinare sarebbe mancata la valutazione autonoma dei fatti addebitati all’incolpato e quindi ripercorre quegli 8 casi che, a suo dire, sarebbero insufficienti per irrogargli la sanzione impugnata che, quindi, sarebbe non proporzionata.

Sul punto è sufficiente rilevare che nell’ampio parere reso da tale organo, i singoli casi sono stati partitamente esaminati e valutati, raggiungendo conclusioni di volta in volta motivate in modo esaustivo, né questo [#OMISSIS#] può rieditare il potere disciplinare sostituendosi nelle valutazioni all’organo a ciò preposto.

Come correttamente rilevato dal TAR, «Quanto alla valutazione da parte del [#OMISSIS#], dinanzi al quale è contestata la legittimità di un procedimento disciplinare a carico di un pubblico dipendente e la conseguente sanzione, circa la congruità della sanzione, la giurisprudenza di questo Consiglio si è più volte espressa nel senso che la determinazione relativa all’entità della sanzione disciplinare costituisce manifestazione di una tipica valutazione discrezionale della pubblica amministrazione datrice di lavoro, insindacabile di per sé dal [#OMISSIS#] amministrativo – tranne nei casi in cui essa appaia manifestamente anomala o sproporzionata o particolarmente severa» (Cons. Stato, n. 2378/2019 cit.).

Con particolare riferimento al sindacato sulla congruità della sanzione della destituzione, è stato ha precisato che «il [#OMISSIS#] può verificare che l’atto sia sorretto da motivazione adeguata e basata su fatti manifestamente gravi e tali da indurla a considerare i fatti commessi incompatibili con la prosecuzione del rapporto di pubblico impiego; che il provvedimento punitivo è illegittimo se [#OMISSIS#] una sufficiente connessione logico-giuridica tra le responsabilità effettivamente accertate, la motivazione dell’atto e la sanzione adottata» (Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2002, n. 449, richiamata nell’ambito della menzionata sentenza n. 2378/2019).

Come già visto, il parere reso dal Consiglio di disciplina reca l’indicazione delle ragioni sottese alla proposta di irrogazione della sanzione della destituzione, come desumibile dal tenore delle considerazioni conclusive all’esito dell’articolata e puntuale valutazione condotta circa i fatti contestati al ricorrente e della loro possibile rilevanza disciplinare, ove si afferma che “emerge in modo univoco, al minimo, una serie di gravissime scorrettezze e negligenze professionali, tanto più gravi in quanto reiterate, e anzi apparentemente abituali, e vieppiù in quanto relative a situazioni particolarmente delicate, perché legate a doveri spiccatamente pubblicistici, e specificamente a situazioni che implicavano un obbligo particolare di attenzione, diligenza, prudenza, trasparenza e massima correttezza nei confronti dell’autorità giudiziaria. Il tutto coinvolgendo in tali sistematiche e gravissime irregolarità la struttura del Day Hospital, con sostanziale e grave pregiudizio dell’ente datore di lavoro (il -OMISSIS-) e l’immagine dell’Ateneo tutto”.

6.11. La sentenza impugnata va confermata anche [#OMISSIS#] parte in cui ha respinto la censura di presunta estraneità dei fatti addebitati, in quanto inerenti allo svolgimento delle funzioni assistenziali, alla sfera del rapporto di servizio in qualità di ricercatore universitario inciso dal provvedimento disciplinare gravato: censura prospettata al fine di ottenere un reinserimento nelle funzioni assistenziali e di docenza svolte prima dell’avvio del procedimento disciplinare.

Come desumibile dalle affermazioni rese nell’ambito delle pronunce intervenute su una vicenda tra le parti in causa connessa a quella oggetto della presente controversia (-OMISSIS-, Sez. III, 14 [#OMISSIS#] 2018, n. 5312, confermata da Cons. Stato, Sez. VI, 3 luglio 2019, n. 4551), le funzioni assistenziali, pur non apparendo strettamente inerenti allo status di ricercatore in materie cliniche, ove attribuite, accedono inevitabilmente al rapporto di impiego quale ricercatore universitario, rinvenendo in tale posizione il loro presupposto ai fini della relativa attribuzione rimessa alla scelta dell’Ateneo; ne deriva la sussistenza di un preciso nesso funzionale tra attività assistenziale, da un lato, e attività didattica e di ricerca, dall’altro.

Questo Consiglio, [#OMISSIS#] richiamata sentenza n.-OMISSIS-, di conferma della sentenza del TAR, ha precisato che «le funzioni assistenziali non sono strettamente inerenti allo status di ricercatore in materie cliniche, per cui spetta all’ateneo di appartenenza scegliere se attribuirgliele o meno. [#OMISSIS#] specie nessuna [#OMISSIS#] o principio imponeva quindi all’Università di reintegrare in servizio l’appellante assegnandogli anche le reclamate funzioni».

6.12. Va, infine, confermata la sentenza anche nel capo in cui non ha esaminato le censure, in questa sede riproposte, relative alla pretesa estinzione del procedimento disciplinare per mancata ripresa dell’azione disciplinare in relazione alle funzioni di dirigente medico attribuite all’appellante, trattandosi di questione già delibata nei precedenti pronunciamenti (-OMISSIS-, n. -OMISSIS- e Cons. Stato n.-OMISSIS-), con statuizione di reiezione delle censure formulate avverso il provvedimento dell’Università di riammissione in servizio dell’appellante -OMISSIS-, con esclusione dei compiti assistenziali.

Pertanto la sentenza va confermata anche [#OMISSIS#] parte in cui ha respinto la domanda di condanna dell’Università alla riammissione in servizio e alla restituzione delle differenze stipendiali.

Conclusivamente, per quanto precede, l’appello deve essere respinto.

7. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione, in favore dell’Università -OMISSIS-, delle spese e competenze del presente grado di giudizio che liquida in € 3.000,00 (tremila), oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità delle parti e degli estremi della sentenza impugnata.

Così deciso in Roma, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 24 gennaio 2023, con l’intervento dei magistrati:

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Francola, Consigliere

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore