18571/2023 REG.PROV.COLL.
04310/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4310 del 2018, proposto da
[#OMISSIS#] Fiori, [#OMISSIS#] Marchi, [#OMISSIS#] Pacifico, [#OMISSIS#] Manni, Sara [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] De Jancour, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], Barbara Ferri, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Morleo, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Samengo, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Di Lauro, [#OMISSIS#] Leuzzi, [#OMISSIS#] Salvucci, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Gallina, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Rosa Verde, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Albertarelli, [#OMISSIS#] Guido, [#OMISSIS#] Langella, [#OMISSIS#] Marino, Domenica [#OMISSIS#] Pellicano’, [#OMISSIS#] Tassone, [#OMISSIS#] Tassone, [#OMISSIS#] Barucco, [#OMISSIS#] Paonessa, [#OMISSIS#] Morgante, [#OMISSIS#] De Piano, [#OMISSIS#] Novelli, [#OMISSIS#] Sanzo’, [#OMISSIS#] D'[#OMISSIS#], [#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Selleri, [#OMISSIS#] Seracino, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Virili, Barbara Zannol, [#OMISSIS#] Mazzaglia, [#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Leporini, [#OMISSIS#] Occhioni, [#OMISSIS#] Zucconi Galli Fonseca, [#OMISSIS#] Pia Del Vecchio, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Ausilia Coviello, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Cau, Salvatore [#OMISSIS#] Scalia, [#OMISSIS#] Marchi, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Moschella, [#OMISSIS#] Rossi, Gemma [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Mortolini, [#OMISSIS#] Buanne, Letizia Celani, [#OMISSIS#] Buzzi, Letizia Appolloni, [#OMISSIS#] Vacatello, Giovanni Pignoli, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Pignoli, Danika Tognotti, [#OMISSIS#] Mantello, rappresentati e difesi dall’avvocato [#OMISSIS#] Naso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Saluta di S. [#OMISSIS#] Da Tolentino 1;
contro
Ministero Istruzione Università e Ricerca, non costituito in giudizio;
Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
[#OMISSIS#] Pedersini, [#OMISSIS#] Aureli, [#OMISSIS#] Pedersini, [#OMISSIS#] Aureli, rappresentati e difesi dall’avvocato [#OMISSIS#] Naso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
Del diritto dei docenti ricorrenti di essere ammessi a partecipare al concorso semplificato per il reclutamento dei docenti di scuola secondaria di primo e secondo grado, in quanto docenti in possesso dell’abilitazione all’insegnamento costituita dal titolo di dottori di ricerca.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 24 novembre 2023 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con l’atto introduttivo del giudizio la parte ricorrente chiedeva l’annullamento del Decreto dirigenziale della Direzione Generale per il Personale Scolastico – MIUR, prot. n. IUR.AOODPIT.REGISTRO DECRETI DIPARTIMENTALI. 85 del 1 febbraio 2018 (pubblicato sulla GURI – 4° serie speciale, n. 14 del 16 febbraio 2018) (doc. 1), recante il bando di indizione della procedura concorsuale per il reclutamento del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado in possesso del titolo di abilitazione ai sensi dell’art. 12, co. 2, lett. b) e commi 3, 4, 5 e 6 del D.Lgs. 13 aprile 2017 n. 59, nella parte in cui esclude i docenti in possesso del dottorato di ricerca dalla partecipazione al concorso indetto ai sensi del D.Lgs. 59/2017, per il reclutamento del personale docente della scuola di secondaria di primo e secondo grado in quanto ritenuti non in possesso del titolo di abilitazione.
Si costituiva l’amministrazione resistente chiedendo rigettarsi il ricorso.
2. Il ricorso non può trovare accoglimento.
RITTO
1.I ricorrenti, in possesso di diploma di laurea non abilitante all’insegnamento e di dottorato di ricerca, impugnano i provvedimenti in epigrafe indicati nella parte in cui non consentono loro l’iscrizione nella II fascia delle Graduatorie di Circolo e di Istituto, parimenti gravate con successivo ricorso per motivi aggiunti.
In particolare parte ricorrente sostiene che il titolo di dottore di ricerca sia equipollente all’abilitazione.
Si è costituita l’Amministrazione resistente chiedendo il rigetto del ricorso.
All’udienza del 14 luglio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Il ricorso è infondato.
2.1 La questione in rilievo è stata oggetto anche di una pronuncia della Corte costituzionale, la quale con la sentenza n. 130 del 2019 – nell’evidenziare la differenza ontologica tra abilitazione e dottorato di ricerca – ha affermato che l’abilitazione consiste in “un’attività di formazione orientata alla funzione docente” che ha “come specifico riferimento la fase evolutiva della personalità dei discenti” ed esige “la capacità di trasmettere conoscenze attraverso il continuo contatto con gli allievi, anche sulla base di specifiche competenze psico-pedagogiche”.
Sul presupposto che l’abilitazione all’insegnamento si pone come ontologicamente diversa rispetto al percorso di dottorato, la Corte costituzionale ha, con la richiamata pronuncia, ritenuto non irragionevole la norma di legge che per partecipare ad un concorso richiede l’abilitazione stessa.
el possesso dell’abilitazione all’insegnamento, la possibilità di partecipare ad un concorso riservato, contrassegnato tra l’altro da marcati connotati di specialità (cfr. Tar Lazio, sez. III bis, 13 dicembre 2019, n. 14415).
Del resto, è stato diffusamente osservato che “[n]on risulta, dunque, irragionevole e illogico, ovvero frutto di violazione del principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione, né violativo dell’articolo 97 della Costituzione, limitare la partecipazione al peculiare concorso in esame ai soli insegnanti in possesso del titolo di abilitazione, in considerazione dei sopra indicati marcati tratti di specialità della procedura.
Va, in proposito, ricordato che la Corte costituzionale ha avuto modo di precisare che, seppur la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico è rigorosamente limitata, in alcuni casi determinate deroghe devono essere considerate legittime “quando siano funzionali esse stesse alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle” ( cfr. Corte Cost., 10-11-2011, n. 299).
Dalla sentenza della Corte costituzionale n. 106 del 2 maggio 2019, resa in una fattispecie relativa ad un concorso straordinario per dirigenti scolastici, si desume, poi, che le norme che prevedono concorsi straordinari del tipo di quello oggetto della presente controversia sono in linea di principio conformi a Costituzione nel momento in cui sono emanate per garantire il buon andamento dell’amministrazione, sopperendo alle carenze di organico e per dare certezza ai rapporti giuridici, superando il precariato; esse, infatti, in tal caso operano una compromissione definita “non irragionevole” del diritto di accesso al pubblico impiego e del principio del pubblico concorso.
Osserva il Collegio che, nel caso oggetto del presente giudizio, le esigenze di servizio e di certezza sussistono certamente con la medesima intensità, onde la costituzionalità della norma non è revocabile in dubbio.
D’altra parte, nella fattispecie in esame, l’esigenza di garantire il rispetto del principio del pubblico concorso risulta comunque soddisfatta attraverso la previsione di una apposita procedura concorsuale, idonea ad assicurare la professionalità dei soggetti prescelti (cfr. Corte cost.,29-4-2010, n. 149).
La piena ragionevolezza della previsione legislativa è stata, inoltre, affermata dalla Corte costituzionale proprio con riferimento alla procedura in esame.
Rileva in proposito la sentenza della Corte 7 maggio 2019 n. 130, che ha definito il giudizio di costituzionalità sulle norme del d.lgs. 59/2017, sollevato dalla VI Sezione di questo Consiglio con l’ordinanza 3 settembre 2018 n. 513.
Tale sentenza non prende in considerazione, per ritenuto difetto di rilevanza, la questione relativa alla complessiva legittimità di tutta la procedura e si limita a dichiarare non incostituzionale la norma che impedisce la partecipazione dei dottori di ricerca, il cui titolo era stato prospettato come di livello per lo meno equivalente ad un’abilitazione; detta pronuncia, tuttavia, contiene affermazioni di principio utilizzabili anche per la definizione del presente giudizio, nella parte in cui afferma che non può predicarsi l’equipollenza del titolo di dottore di ricerca con quello di abilitazione per l’insegnamento nella scuola secondaria, essendosi in presenza di titoli comportanti l’acquisizione di competenze specifiche diverse.
La Corte ha precisato, in particolare, che i percorsi abilitanti consentono di conseguire competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali necessarie sia a far raggiungere agli allievi i risultati di apprendimento previsti dall’ordinamento, sia a sviluppare e sostenere l’autonomia delle istituzioni scolastiche; ne deriva che tale requisito, in ragione della sua elevata specificità e dell’importanza che riveste non è in alcun modo surrogabile, ragion per cui deve ritenersi legittima l’esclusione dalla procedura di coloro i quali comunque ne siano privi.
La Corte ritiene, infatti, che l’abilitazione consiste in “un’attività di formazione orientata alla funzione docente” che ha “come specifico riferimento la fase evolutiva della personalità dei discenti” ed esige “la capacità di trasmettere conoscenze attraverso il continuo contatto con gli allievi, anche sulla base di specifiche competenze psico-pedagogiche”; in tali termini, è agevole concludere che tale requisito, in ragione della sua elevata specificità e dell’importanza che riveste, come delineata dalla Corte, non sia in alcun modo surrogabile, e quindi che sia legittima l’esclusione dalla procedura di coloro i quali comunque non lo posseggano.
In relazione alle specifiche finalità della procedura ed alla circostanza che trattasi di una concorso riservato avente una struttura semplificata, il requisito non surrogabile dell’abilitazione all’insegnamento, quale certificazione del possesso del bagaglio di conoscenze e professionalità necessarie per l’esercizio della funzione docente e per l’inserimento stabile nei ruoli dell’amministrazione scolastica, esprime anche un evidente profilo meritocratico del candidato, coerente con il principio di buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’articolo 97 della Costituzione, offrendo adeguate garanzie che il candidato, una volta superato il concorso, possa esercitare la funzione docente con la necessaria competenza.
15. Il requisito dell’abilitazione all’insegnamento costituisce, dunque, nella ragionevole e discrezionale valutazione del legislatore, un equo contemperamento tra le esigenze del buon andamento dell’azione amministrativa e quella di tutela del precariato più antico e qualificato, ai fini della sua stabilizzazione, privilegiandosi ragionevolmente, nella scelta dei soggetti da stabilizzare, i soggetti precari maggiormente qualificati per effetto del possesso del suddetto titolo e soprattutto coloro che, nel conseguirlo, abbiano, con sacrifici personali ed economici, acquisito tale titolo ponendo affidamento nella sua spendibilità, nel previgente regime, ai fini dell’inserimento stabile, con contratto a tempo indeterminato, nei ruoli dell’amministrazione scolastica.
16. La statuizione del giudice delle leggi è già di per sé sufficiente a rendere infondata la pretesa degli appellanti alla partecipazione al concorso, in considerazione della mancanza del titolo abilitante direttamente prescritto dalla norma di rango legislativo, costituzionalmente legittima nella sua prescrizione limitativa.
Si osserva, poi, che lo stesso servizio prestato in qualità di supplente non consente di integrare il possesso dell’abilitazione, essendo questa titolo ulteriore che si consegue all’esito di peculiari percorsi formativi, definiti abilitanti e che si aggiungono al mero titolo di studio.
Laddove, dunque, la norma prevede il possesso dell’abilitazione all’insegnamento, tale titolo si palesa diverso ed ulteriore rispetto al mero titolo di studio e al servizio prestato, con la conseguenza che a quest’ultimo, in assenza di specifiche disposizioni normative in tal senso, non può riconoscersi il valore di abilitazione e non è, pertanto, sufficiente per prendere parte alla procedura concorsuale, anche se unito al possesso del dottorato di ricerca.
L’abilitazione all’insegnamento – giova ribadirlo – si consegue all’esito di uno specifico percorso di studi, finalizzato a consentire al soggetto che intende esercitare la funzione docente, di acquisire peculiari competenze psico-pedagogiche, necessarie per l’esercizio della funzione educativa degli allievi ed alla trasmissione a questi ultimi delle conoscenze proprie del corso scolastico intrapreso.
L’acquisizione delle suddette competenze psico-pedagogiche, in uno a quelle necessarie per poter esercitare le mansioni di docente nell’ambito della complessa realtà scolastica, richiede la sottoposizione del docente ad un necessario percorso formativo che non può essere surrogato dal mero esercizio dell’attività di insegnamento, sia pure per un rilevante periodo temporale.
Vi è, invero, che la procedura concorsuale della quale si controverte è finalizzata all’inserimento stabile dei partecipanti nei ruoli della scuola, risultando diretta alla stabilizzazione e, dunque, alla acquisizione dello status di docenti a tempo indeterminato.
In tale contesto, risulta evidente e ragionevole che l’accesso ai ruoli (e, in via propedeutica, la partecipazione alla procedura) sia consentito solo a soggetti in possesso di una qualificata ed accertata idoneità all’esercizio della funzione attraverso il previo conseguimento del titolo di abilitazione.
Il mero servizio e, dunque, la cd. “esperienza acquisita sul campo” non costituiscono, in relazione allo scopo della procedura dell’inserimento stabile nei ruoli del personale scolastico, sufficiente dimostrazione della necessaria qualificazione professionale di base per lo svolgimento a tempo indeterminato della funzione docente.
D’altra parte, deve essere considerato che le supplenze consentite in assenza di titolo di abilitazione sono quelle “brevi”, dunque di ambito temporale limitato, rivenienti dall’inserimento del soggetto nella III fascia delle graduatorie di circolo e di istituto ovvero l’attività di insegnamento svolta negli istituti scolastici paritari.
Trattasi di attività di insegnamento non assimilabile né equipollente al possesso dell’abilitazione.
Le cd. “supplenze brevi”, sia pur reiterate nel tempo, non risultano espressione di una qualificata formazione professionale, proprio in relazione al loro ambito temporale di durata che esclude quella continuità nel rapporto con i discenti necessaria a poter qualificare il suo svolgimento quale espressione della piena qualificazione conseguita dal docente; evidenziandosi, altresì, che l’inserimento nella III fascia presuppone il possesso del solo titolo di studio, mentre l’assunzione negli istituti paritari non soggiace alle più stringenti regole previste per la scuola pubblica ai fini dell’esercizio dell’attività di insegnamento.
Va, inoltre, ribadito che si è di fronte ad una procedura concorsuale di carattere straordinario e semplificato, caratterizzata dalla sottoposizione dei partecipanti ad una sola prova orale.
In tale contesto, il richiesto possesso dell’abilitazione – cui per le ragioni sopra dette non è assimilabile il mero servizio prestato – si palesa quale requisito necessario a qualificare un grado di formazione e di idoneità alla funzione certificato, che concorre a palesare l’esistenza di profili di merito, che invece non sono ravvisabili nei soggetti che ne siano sprovvisti, pur avendo svolto attività di insegnamento come supplenti.
17. Né va trascurato che il legislatore, con l’articolo 17, comma 2, lettera c) del d.lgs. n. 59/2017 ha previsto altra procedura concorsuale riservata, la quale contempla espressamente, ai fini della partecipazione, il requisito di “almeno tre anni di servizio, anche non continuativi negli otto anni precedenti”.
Il servizio di insegnamento prestato nelle istituzioni scolastiche è, dunque, valorizzato in altra procedura concorsuale, accessibile da parte di tutti gli interessati, inclusi i ricorrenti, in possesso dei requisiti, essendo, peraltro, dalla stessa esclusi i soggetti ricompresi tra i fruitori del concorso riservato per cui è controversia.
La circostanza che in tale procedura venga valorizzato il servizio prestato non vale, dunque, a scalfire la legittimità della procedura concorsuale oggetto del presente giudizio, nella quale tale requisito non assume validità alcuna, richiedendosi il titolo di abilitazione all’insegnamento.
Si è detto, infatti, della ragionevolezza della prescrizione, coerente con la finalità di assorbimento del precariato sulla base di una prioritaria – ragionevole e discrezionale- scelta legislativa in ordine ai soggetti da stabilizzare alla luce della peculiare posizione di affidamento degli stessi sulla spendibilità del titolo di abilitazione richiesto dal previgente regime di accesso ai ruoli del personale docente.
La previsione di due distinte procedure concorsuali riservate, con distinti requisiti di partecipazione, non si presenta, di conseguenza, contraria a Costituzione.
Essa è, infatti, il frutto di un ragionevole bilanciamento nella considerazione dei differenti aspetti e manifestazioni in cui può palesarsi il fenomeno del precariato e la figura dei docenti precari. Va rimarcato in proposito che la poziore considerazione del personale abilitato non risulta, in relazione al complesso delle finalità perseguite ed alla posizione soggettiva degli interessati, scelta irragionevole, quanto piuttosto espressione di una consentita discrezionalità del legislatore nel modulare le procedure di stabilizzazione in relazione alle diverse categorie dei docenti interessati.
17. In tale contesto, non vi è violazione dell’articolo 33 della Costituzione, atteso che la laurea, quando non essa stessa abilitante per espressa previsione normativa, pur se conseguita all’esito di un esame di Stato, consente in via eccezionale e limitata l’attività di insegnamento in ragione dell’esistenza di un titolo di studio valido all’accesso, mentre l’esercizio in forma stabile della funzione docente consegue comunque all’abilitazione propria degli specifici corsi abilitanti all’insegnamento (comportante anch’essa il superamento di un esame di Stato); in tal modo, non rinvenendosi violazioni della predetta disposizione costituzionale.
18. Alla luce di quanto sin qui argomentato, inoltre, il Collegio non ritiene che le argomentazioni con le quali gli appellanti hanno insistito per la non manifesta infondatezza della questione di illegittimità prospettata possano essere condivise, avuto riguardo all’assetto di disciplina applicabile ratione temporis, che ha previsto accanto ad un regime ordinario, aperto a tutti gli aspiranti docenti provvisti di idoneo titolo di studio, a prescindere dal possesso dell’abilitazione, un regime transitorio, incentrato su specifiche procedure riservate, risultando, dunque, inconferenti i riferimenti della difesa degli appellanti alla successiva evoluzione della normativa in materia attraverso i più recenti interventi di riforma, come pure le circostanze di fatto, oggetto, peraltro, di una postuma ricostruzione, evidenziate dagli appellanti, insuscettibili di assumere rilievo al fine di sostenere l’illegittimità costituzionale della disposizione.
19. Non possono, inoltre, neanche invocarsi dubbi di compatibilità unionale della disciplina legislativa fondante la procedura concorsuale per cui è causa, avuto riguardo alle previsioni di cui alla Direttiva 2005/36/CE (ma trattasi di rilievo formulabile anche alla luce della Direttiva 2013/55/UE); al riguardo, questo Consiglio (cfr. Sez. VI, 2 dicembre 2019, n. 8212) ha in primo luogo ritenuto non pertinente la questione, evidenziando che tali corpi normativi riguardano il riconoscimento delle qualifiche professionali già acquisite in uno o più Stati membri dell’Unione Europea che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente, essendo pertanto irrilevanti nel caso in esame, in cui si tratta della validità da riconoscere in Italia ad un presunto titolo professionale formato per intero nell’ordinamento interno. In ogni caso, nel merito, è stata esclusa la violazione delle richiamate Direttive, tenuto conto che: «i sistemi generali di riconoscimento intraeuropeo dei diplomi non regolano le procedure di selezione e reclutamento per l’assegnazione di un posto di lavoro, risultando precipuo oggetto della disciplina comunitaria l’imposizione delle qualifiche ottenute in uno Stato membro per consentire agli interessati di candidarsi ad un posto di lavoro in un altro Stato, ma pur sempre nel rispetto delle relative procedure di selezione e reclutamento ivi vigenti (cfr. C. giust,. UE, VIII, 17 dicembre 2009, n. 586)» (cfr. Cons. Stato, VI, 3 dicembre 2019, n. 8288).
20. Va, altresì, considerato che nella fattispecie in esame non risulta applicabile il principio giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, VI, 11-6-2018, n. 3544; 5-7-2019, n. 4683), secondo il quale la mancata indizione dei corsi o dei percorsi abilitanti nel lungo periodo di tempo trascorso tra il momento in cui l’abilitazione è divenuta requisito per diventare docente e la riforma attuata con il d.lgs. n. 59/2017 (situazione cui è assimilabile la discriminatoria regolamentazione dei percorsi attivati) avrebbe imposto una interpretazione ampia, ritenuta costituzionalmente orientata, delle norme sulla partecipazione ai concorsi, in modo da consentire di parteciparvi anche ai soggetti non formalmente abilitati, sulla base del possesso del solo titolo di studio; ciò operando riferimento alla previgente disciplina transitoria.
20.1. Difatti, la più recente giurisprudenza (cfr. sul punto Cons. Stato, VI, 3-2-2020, n. 868) ritiene che deve escludersi che da tale costruzione esegetica derivi in via automatica l’illegittimità della previsione del concorso in esame, il quale si connota per la sua natura speciale e “riservata”, potendosi al più applicarsi ai soli concorsi “ordinari”.
20.2. Risulta, infatti, del tutto ragionevole ritenere che il legislatore abbia previsto un concorso riservato, richiedendo il titolo di abilitazione e agli ITP la condizione di essere iscritti nelle GAE o nella seconda fascia delle graduatorie di istituto, al fine di superare il fenomeno del precariato. Nella fattispecie, infatti, si dà rilevanza, da un lato, al possesso di ulteriori competenze professionali e, dall’altro, a quelle condizioni eccezionali individuate dal giudice delle leggi, rappresentate da peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico, che giustificano la previsione di deroghe ai principi del concorso pubblico.
Sotto diverso profilo, è stato pure ritenuto (cfr. Cons. Stato, VI, 30-12-2019, n. 8900) che una opzione interpretativa ampliativa può valere solo per il pregresso e comunque solo nei casi in cui la fonte primaria nulla dica o sia ambigua sul punto; mentre essa non può valere per casi, quale quello in esame, in cui l’esclusione è disposta in modo espresso da una norma di legge, la cui incostituzionalità è stata esclusa. Invero, l’interpretazione estensiva non può in ogni caso superare la lettera della legge, quando questa, in relazione alle espressioni in concreto utilizzate, delinei in maniera inequivoca i requisiti per la partecipazione alle procedure concorsuali.
21. Quanto alla contestazione della disciplina regolatoria della procedura con la quale è stata prevista in via esclusiva la modalità informatica di presentazione della domanda per la partecipazione al concorso, il Collegio rileva che tale previsione non ha valore autonomamente lesivo, considerato che tale modalità, ma, soprattutto, i limiti da essa imposti, rappresentano la diretta conseguenza dell’applicazione delle contestate clausole di bando che per i motivi appena visti, essendo immuni dai vizi denunciati, costituivano un inevitabile sbarramento alle condizioni di accesso alla procedura a prescindere dalla forma utilizzabile per ivi fare ingresso.” (Cons. Stato, Sez. VII, sent. n. 9214/2022).
2.2 Dalla normativa rilevante in materia emerge difatti che i “percorsi” per l’abilitazione (sui quali si vedano: il decreto ministeriale n. 249 del 10 settembre 2010 in relazione all’introduzione dei tirocini formativi attivi TFA; d. m. 23 marzo 2013 e DDG n. 58 del 25 luglio 2013, in relazione all’istituzione dei percorsi speciali abilitanti (PAS); art. 1, commi 110 e 114, della legge n. 107 del 2015 sulla “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”) sono rivolti a sviluppare esperienze e professionalità sulla base di procedimenti ben diversi, in ambiti differenziati e non assimilabili.
L’art. 2 del d. m. n. 249 del 10 settembre 2010 prevede difatti che “1. La formazione iniziale degli insegnanti di cui all’articolo 1 è finalizzata a qualificare e valorizzare la funzione docente attraverso l’acquisizione di competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali necessarie a far raggiungere agli allievi i risultati di apprendimento previsti dall’ordinamento vigente. 2. E’ parte integrante della formazione iniziale dei docenti l’acquisizione delle competenze necessarie allo sviluppo e al sostegno dell’autonomia delle istituzioni scolastiche secondo i principi definiti dal decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275”. Viene dunque chiaramente in risalto una attività di formazione orientata alla ‘funzione docente’, che di per sé si caratterizza per il continuo contatto con gli allievi, ai quali vanno trasmesse conoscenze anche sulla base di competenze psico — pedagogiche.
2.3 In definitiva, va condiviso e confermato l’orientamento che, sul punto, valorizza la “diversità ontologica tra percorsi di abilitazione e dottorato di ricerca” nonché con il percorso diretto al conseguimento della laurea, evidenziando come non vi siano “né diposizioni espresse, né considerazioni di ricostruzione sistematica che possano indurre l’interprete a ritenere il conseguimento del dottorato di ricerca titolo equipollente all’abilitazione all’insegnamento”.
In tali termini, è facile concludere che tale requisito, in ragione della sua elevata specificità e dell’importanza che riveste, come delineata dalla Corte, non sia in alcun modo surrogabile, e che quindi, in mancanza di chiara ed espressa disposizione di legge di segno contrario, i percorsi e i titoli descritti da parte ricorrente non possano in alcun modo essere ad essi equiparati.
La disciplina sui percorsi abilitanti e quella del dottorato di ricerca, così come quella del conseguimento della laurea sono distinte e perseguono finalità diverse.
2.4. Quanto alla accennata (in ricorso) disciplina europea, è sufficiente osservare come essa non ha escluso che lo Stato membro possa subordinare l’accesso a una professione regolamentata al possesso di determinate qualifiche professionali (per considerazioni ulteriori si rinvia, anche ai sensi degli articoli 60, 74 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a., a Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1516 del 2017, che ha confermato la sentenza che aveva respinto un ricorso diretto all’annullamento dell’art. 3, comma 1, del decreto n. 106 del 2016, con cui veniva richiesto il possesso dell’abilitazione, quale requisito di ammissione alla procedura concorsuale).
Non emerge, d’altro canto, un contrasto tra la disciplina europea e la normativa nazionale sul tema, posto che la disciplina dei titoli abilitanti rimane di competenza dell’ordinamento nazionale e posto che i requisiti necessari per lo svolgimento dell’attività di insegnante e la loro subordinazione a un titolo abilitante non appaiono contrastare con puntuali disposizione di diritto europeo. Sul punto, (cfr. parere Cons. St. n. 963 del 2019) deve osservarsi che i sistemi generali di riconoscimento intraeuropeo dei diplomi non regolano le procedure di selezione e reclutamento, limitandosi al più a imporre il riconoscimento delle qualifiche ottenute in uno Stato membro per consentire agli interessati di candidarsi ad un posto di lavoro in un altro Stato, nel rispetto delle procedure di selezione e di reclutamento vigenti (Cons. giust. Ue, VIII, 17.12.2009, n. 586; sul tema si veda anche Cons. Stato, 6868/2018).
Il ricorso deve pertanto essere respinto.
3. La natura delle situazioni giuridiche sottese e l’esistenza di orientamenti non uniformi della giurisprudenza amministrazione al momento della proposizione del ricorso giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2023 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Sapone, Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] Piemonte, Referendario