Cons. Stato, Sez. VII, 16 maggio 2024, n. 4386

Revoca degli assegni ad personam: l'interessato deve dimostrare che l’importo oggetto di recupero comprometta le sue esigenze e il suo stile di vita

Data Documento: 2024-05-16
Autorità Emanante: Consiglio di Stato
Area: Giurisprudenza
Massima

Per opporsi alla revoca degli assegni ad personam, l’interessato deve provare che l’importo oggetto di recupero comprometta le sue esigenze e il suo stile di vita, in ossequio a pacifici profili in punto di onere della prova.

Contenuto sentenza

04386/2024 REG.PROV.COLL.

08733/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8733 del 2023, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via OMISSIS;

contro

Università degli Studi Roma La Sapienza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi Roma La Sapienza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 marzo 2024 il Cons. OMISSIS e viste le conclusioni della parte appellante come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 – L’appellante riferisce che veniva nominato con decreto rettorale n. -OMISSIS-, quale vincitore di concorso, ricercatore universitario presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma, con effetti giuridici ed economici decorrenti dal 1.11.2010. Con Decreto Rettorale n. -OMISSIS- gli veniva altresì attribuito, a decorrere dal 1.11.2010 ed in aggiunta allo stipendio (di € 12.789,48) e all’indennità integrativa speciale (di € 9.489,10), l’assegno personale pensionabile riassorbibile ex D.P.C.M. 30.4.2010, art. 202 DPR 3/1957, artt. 36 e 38 DPR 382/1980 ed art. 3 co. 57 e 58 L. n. 537/1993 (pari ad € 32.892,29) in ragione del trattamento retributivo goduto dal docente quale Viceprefetto aggiunto presso il Ministero dell’Interno prima della sua nomina a ricercatore universitario.

L’assegno personale veniva poi rimodulato dai successivi provvedimenti rettorali (D.R. -OMISSIS- € 19.871,88; -OMISSIS- € 27.53,53; -OMISSIS- in € 22.659,72).

Con D.R. n. -OMISSIS- l’appellante veniva poi nominato professore di ruolo di seconda fascia per il settore scientifico disciplinare SPS/11 presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia e Comunicazione, servizio divenuto efficace a far data dal 1.3.2022, con assunzione dell’effettivo servizio (a tempo pieno) a far data dal 31.3.2022 e tutt’ora in atto.

2 – Per quel che concerne il trattamento retributivo goduto dall’appellante e, in particolar modo, l’assegno ad personam goduto dal 1.11.2010 sino al 31.3.2022, l’Università riteneva che il trattamento, pur a seguito dell’avvento della novella legislativa di contenimento della spesa pubblica cui all’art. 1 co. 458 e 459 L. 147/2013, recante l’abrogazione dell’art. 202 DPR 3/1957 e dell’art. 3 co. 57-58 L. 537/1993, fosse comunque dovuto, in quanto l’appellante era stato assunto, con riconoscimento dell’assegno, prima dell’avvenuta abrogazione della norma, sulla base dell’interpretazione ed applicazione della nota prot. 49968 del 9.6.2014 del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato dove era stato chiarito che l’obbligo previsto dall’art. 1, comma 459, della Legge n. 147/2013 di adeguare i trattamenti economici dei pubblici dipendenti, con la soppressione dell’assegno ad personam, a partire dalla prima mensilità successiva all’entrata in vigore della suddetta disposizione, operava esclusivamente con riferimento ai dipendenti pubblici che avessero ricoperto ruoli e incarichi dopo che erano cessati dal ruolo o dall’incarico.

3 – Tuttavia, prosegue la narrazione dell’appellante, la predetta interpretazione restrittiva della disciplina caducatoria, condivisa anche dall’Avvocatura di Stato (parere del 30.7.2014), veniva innovata dalla sentenza n. 6620/2019 del 2.10.2019 del Consiglio di Stato in un’analoga controversia, dove era parte l’Università odierna appellata, statuendosi la retroattività impropria della L. 147/2013 e, dunque, la sua efficacia integrale e senza alcun regime transitorio sull’art. 202 DPR 3/1957 e sulla disciplina legittimante l’erogazione dell’assegno ad personam a far data dall’entrata in vigore della L. 147/2013 ossia l’1.2.2014.

4 – Sulla base di tale pronuncia, a distanza di circa tre anni dalla pronuncia del Consiglio di Stato e di circa nove anni dalla novella legislativa recante l’abrogazione della disciplina legittimante il beneficio, continua l’appellante, l’Università emetteva l’impugnato provvedimento di revoca e, senza considerare l’affidamento ingenerato nel percipiente ed il suo sostanziale status di buona fede, disponeva la ripetizione sia delle somme a tal titolo erogate, sia delle ritenute previdenziali ed assistenziali che non erano mai entrate materialmente nella disponibilità economica del ricorrente in quanto corrisposte direttamente all’istituto previdenziale.

5 – La predetta pretesa dell’Ateneo veniva impugnata dall’odierno appellante, che deduceva la sussistenza di un evidente grave pregiudizio, per l’ovvia considerazione che, complice il modesto trattamento retributivo corrisposto (specie all’indomani dell’inquadramento nella qualifica di ricercatore e, comunque, anteriormente al recente conferimento di quella di professore di II fascia), l’importo erogato a titolo di assegno ad personam era stato utilizzato per far fronte alle ordinarie esigenze di vita dell’appellante e del suo nucleo familiare.

6 – Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) respingeva il ricorso con la sentenza n. -OMISSIS-, che viene ritualmente impugnata con il ricorso in appello in epigrafe.

7 – Vengono dedotti, in particolare, i motivi di seguito sintetizzati.

7.1 – “Error in iudicando nella parte in cui non è stato ritenuto fondato il primo vizio motivo e, dunque, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 co. 458 e 459 L. 147/2017 con riferimento all’art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, la violazione ed errata applicazione del principio di irretroattività, l’illogicità ed irragionevolezza della pretesa retroattiva nonché l’illegittimità della soppressione dei diritti quesiti”

Il TAR, deduce l’appellante, ha rigettato il primo motivo dedotto con il ricorso ritenendo che la revoca dell’assegno anche per il caso di passaggio tra diverse amministrazioni si porrebbe quale atto di natura doverosa, discendente direttamente dalla legge, richiamando una sua precedente pronuncia (sentenza n. 4186/2023), in tal modo, però, il TAR si sarebbe limitato ad osservare la costituzionalità e ragionevolezza della disciplina abrogatrice dell’assegno ad personam per esigenze pubblicistiche, non anche a legittimare un’azione di ripetizione per le erogazioni passate.

7.2 – “Error in procedendo et iudicando nella parte in cui non è stata ritenuta fondata la violazione dell’art. 2909 c.c. per indebita estensione del giudicato amministrativo e la violazione dell’art. 3 L. 241/1990 per motivazione errata ed insufficiente”

Secondo il TAR, prosegue l’appellante, i richiami del ricorso ai presupposti dell’autotutela e a quello all’art. 2909 cc per la revoca dell’assegno anche per il caso di passaggio tra diverse amministrazioni si porrebbe quale atto di natura doverosa, discendente direttamente dalla legge, quando invece il richiamo all’art. 2909 c.c. ed ai relativi principi che disciplinano le possibili ipotesi di estensione del giudicato era stato fatto dal ricorrente l’appellante sulla base della concreta motivazione posta dall’Università a sostegno dell’azione di recupero. Quindi, ciò che il TAR avrebbe dovuto valutare e considerare era la concreta motivazione sottesa al provvedimento e, in particolare, quella di estendere la portata del giudicato, peraltro illegittimamente assente.

Il deficit motivazionale riguarderebbe sia la decisione di estendere all’appellante il provvedimento giurisdizionale di un altro giudizio, sia la mancata comparazione e valutazione dei presupposti che tale decisione avrebbe arrecato al beneficiario in buona fede delle somme erogate. Il TAR, tuttavia, pur sollecitato, sul punto si sarebbe indebitamente limitato a rilevare la natura di atto dovuto della decisione, senza contestualizzare e concretizzare la specificità della fattispecie.

7.3 – “Error in procedendo ed in iudicando nella parte in cui la censura non è stata integralmente esaminata e non è stata conseguentemente ritenuta fondata la violazione del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 21 quinques e nonies L. 241/1990, per violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 1 L. 241/1990 in tema di buon andamento, nonché per insussistenza dei presupposti per la revoca e l’annullamento”.

Il TAR non avrebbe affatto esaminato la censura concernente l’avvenuto superamento del limite temporale per agire in autotutela, differenziato tra revoca ed annullamento.

7.4 – “Error in iudicando nella parte in cui non è stata ritenuta fondata la violazione dell’art. 1 commi 458 e 459 della legge n.147/2013, sotto il diverso profilo della erronea interpretazione fatta dalla sentenza della VI Sez. n.6620/2019, richiamata nel provvedimento impugnato, della violazione dell’art. 3 della Costituzione e dell’illegittima soppressione del diritto quesito”.

Non sarebbe spettato al giudice amministrativo porre la corretta interpretazione dell’art.1, comma 458 e 459 della Legge n.147/2013, essendo casomai necessaria una legge interpretativa;

7.5 – La sentenza impugnata sarebbe inoltre viziata sotto il profilo della non corretta applicazione dell’art. 1 comma 458 e 459 della Legge n.147/2013 in quanto, come ammesso dalla stessa sentenza il citato comma 458 riguardava due fattispecie diverse: la prima, prevista nella prima parte, concernente l’assegno in caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione; la seconda, nella seconda parte, concernente il caso di assegni legati al rientro nel ruolo di provenienza del dipendente che abbia cessato dall’incarico ricoperto o dal diverso ruolo assunto. La medesima sentenza riconosceva, prosegue l’appellante, che il comma 459 disponeva l’adeguamento dei trattamenti giuridici ed economici (con soppressione dell’assegno) solo nei confronti dei dipendenti previsti nella seconda parte del comma 458, e solo la Corte Costituzionale avrebbe potuto valutarne la ragionevolezza.

Sarebbe stato quindi violato, afferma l’appellante, l’art.12 delle Disposizioni sulla legge in generale, che dispone che nell’applicazione della legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse.

Lo stesso Dipartimento MEF della Ragioneria Generale dello Stato, preposto alla salvaguardia dei conti pubblici, con la nota Prot. n. 49968 del 9/6/2014, avrebbe avvallato tele soluzione. Pertanto, una diversa applicazione della legge in questione poteva essere fatta direttamente dal giudice ma necessitava di una previa pronuncia della Corte Costituzionale.

7.6 – La parte appellante ritiene quindi che la sentenza impugnata vada annullata per i vizi anzidetti e vada riconosciuto il diritto dell’appellante al mantenimento dell’assegno personale in godimento corrisposto ex art. 202 del TU n.3/1957, diritto maturato prima dell’entrata in vigore della norma abrogativa.

7.5 – “Error in iudicando nella parte in cui non è stata ritenuta fondata l’eccepita illegittimità per violazione della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo Pagina 11 di 17 (art. 1 Protocollo Addizionale) della richiesta di ripetizione di somme non dovute, come affermato dalla giurisprudenza comunitaria e recepita dalla giurisprudenza amministrativa”

Il TAR, riferisce l’appellante, tra le condizioni poste dalla sentenza della CEDU 11/02/2021, ha ritenuto necessario verificare anche la situazione economico-patrimoniale del dipendente al momento della domanda di restituzione e quindi, con l’ordinanza istruttoria n.-OMISSIS-, ha chiesto l’acquisizione di elementi sulla situazione economico patrimoniale del ricorrente, che non vi ha dato ottemperanza, oltre che per la tutela della sua privacy e di quella di terzi, principalmente perché relativa ad un aspetto giuridicamente irrilevante.

7.8- L’imputabilità della predetta situazione ricadrebbe, comunque, esclusivamente all’Amministrazione non essendo conoscibile dal dipendente che ha riscosso le somme in buona fede. La Corte EDU ha poi stabilito le condizioni oggettive, tutte presenti nel caso in esame, in presenza delle quali è da ritenere sussistere la violazione dell’art.1 del citato Protocollo, con conseguente irripetibilità delle somme indebitamente versate dall’Amministrazione per sua esclusiva responsabilità al suo dipendente, per un tempo sufficiente a ingenerare il legittimo affidamento del lavoratore di percepire somme a lui spettanti.

7.9 – Viene infine esperita una istanza istruttoria ai fini dell’acquisizione della nota n. 49968 del 9.6.2014 della Ragioneria Generale e del parere del 30.7.2014 dell’Avvocatura Generale dello Stato, richiamati dal provvedimento impugnato in primo grado.

8 – In realtà, così come dedotto dal Ministero resistente, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 8 del 2023, nel rigettare le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’art. 2033 c.c, ha confermato in plurimi passaggi e obiter dicta l’obbligo, per le amministrazioni pubbliche, di avviare il recupero delle somme eventualmente indebitamente corrisposte senza distinguere fra le diverse tipologie di versamento, tutte unificate dalla medesima ratio di buon andamento economico finanziario e di parità di trattamento, e tale circostanza preclude l’accoglimento delle censure illustrate, in particolare, ai punti 7.1, 7.3, 7.5.

8.1 – L’Adunanza Plenaria n. 10 del 5 agosto 2022 ha quindi ritenuto “manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità sollevati” in ordine alla normativa intervenuta in materia di revoca degli assegni ad personam. Il lasso temporale trascorso dall’entrata in vigore della stessa norma sarebbe, infine, dipeso dall’incertezza sull’ambito applicativo della stessa normativa, e ciò rende non decisive le ulteriori censure di ordine formale e procedurale dedotte (in particolare, punti 7.2, 7.3).

La Corte Edu, per altro verso, con la sentenza Casarin, n. 4893 dell’11 febbraio 2021 non ha mai affermato una totale preclusione all’intrapresa di iniziative recuperatorie: ha riscontrato la violazione dell’art. 1 Prot. add. CEDU alla luce delle particolari circostanze del caso concreto e delle condizioni non floride economico personali dell’accipiens,

9 – Alla stregua delle pregresse considerazioni l’appello deve essere respinto in presenza di una disciplina univocamente chiarita nei suoi contenuti nei sensi che precedono anche in considerazione delle specifiche circostanze economiche del caso (non potendosi accogliere, in particolare, le censure dedotte ai punti 7.4, 7.6) e non essendo necessaria alcuna istruttoria (punto 7.9): il Collegio ritiene infatti la causa istruita e non necessitante ulteriori incombenti istruttori, quanto alle modalità dell’azione recuperatoria; l’appellante (come è suo diritto, peraltro) non ha ritenuto di ottemperare agli incombenti istruttori ordinati dal Tar al fine di conoscere la sua situazione patrimoniale e alla luce di questa scrutinare il quomodo dell’azione recuperatoria, né in primo grado, e neppure nell’odierno grado di giudizio; tale – legittima, si ripete- strategia processuale, però, implica che siano rimaste del tutto indimostrate le critiche quanto a tale versante dell’azione amministrativa: era l’appellante a dovere provare che l’importo oggetto di recupero compromettesse le sue esigenze e il suo stile di vita, in ossequio a pacifici profili in punto di onere della prova. Ma ciò non è avvenuto, e pertanto anche sotto questo profilo (giurisprudenza della Corte di Giustizia e della CEDU, al fine di consentire una rateizzazione compatibile con le esigenze di una esistenza libera e dignitosa del lavoratore e della sua famiglia secondo l’insegnamento dell’art.36 della Costituzione) l’azione amministrativa sembra immune da mende.

10 – La peculiarità della fattispecie impone, infine, la compensazione fra le parti delle spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge..

Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2024 con l’intervento dei magistrati:

OMISSIS, Presidente

OMISSIS, Consigliere

OMISSIS, Consigliere, Estensore

OMISSIS, Consigliere

OMISSIS, Consigliere

L’Estensore OMISSIS

Il Presidente OMISSIS

Pubblicato il 16 maggio 2024