N. 05383/2018REG.PROV.COLL.
N. 02509/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2509 del 2016, proposto da
Salvatore Massa, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Avignonesi, 5;
contro
Azienda Ospedaliera Universitaria [#OMISSIS#] II, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] Liguori, [#OMISSIS#] Titolo, con domicilio eletto presso lo studio [#OMISSIS#] Trevisan in Roma, via Ludovisi 35;
Università degli Studi di Napoli [#OMISSIS#] Ii non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Seconda) n. 04616/2015, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Azienda Ospedaliera Universitaria [#OMISSIS#] Ii;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 luglio 2018 il Cons. Umberto [#OMISSIS#] e uditi per le parti gli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] su delega di [#OMISSIS#] Liguori;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Si deve premettere che, la presente vicenda processuale è stata preceduta da due giudizi con cui l’odierno appellante prof. Massa, Professore Universitario di prima fascia (ora in quiescenza) – già titolare della cattedra di Chirurgia Generale presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi [#OMISSIS#] II e dal 23/7/2003 Responsabile dell’Area Funzionale (unità operativa complessa) di Chirurgia Generale dell’Azienda Universitaria Policlinico [#OMISSIS#] II –aveva lamentato la mancata messa a disposizione di personale paramedico ed amministrativo, nonché degli spazi e delle attrezzature propri di competenza dell’Area Funzionale Chirurgia Generale.
La VI sezione di questo Consiglio di Stato definiva il giudizio relativo al primo periodo (fino al 31 marzo 2005) con sentenza n. 2758 del 30/5/2007, e con sentenza n. 686/10 confermava la sentenza inter partes del 26/3/2009, n. 2480 del TAR Campania concernente il secondo periodo (1 aprile 2005 – 30 giugno 2008) che aveva riconosciuto la responsabilità dell’Azienda Ospedaliera Universitaria [#OMISSIS#] II, le cui carenze organizzatorie non avevano stato messo in condizione il ricorrente di espletare le funzioni assistenziali e scientifiche connesse al suo ruolo di Responsabile della predetta Area Funzionale, con il conseguente impoverimento della capacità professionale acquisita, con la mancata acquisizione di una maggiore capacità professionale e con la perdita del buon nome scientifico e professionale.
In conseguenza il prof. Massa aveva ottenuto il ristoro in via equitativa:
— per il periodo 1 aprile 2003-31 marzo 2005 dei danni patrimoniali e non patrimoniali nella misura di € 55.000,00 oltre agli accessori;
— per il successivo periodo I aprile 2005 -30 giugno 2008 dei danni patrimoniali liquidati per € 67.138,50 lordi e dei danni non patrimoniali per un importo di € 40.000,00; oltre ai relativi accessori.
Con il presente gravame, chiede l’annullamento della sentenza con cui il TAR ha disatteso la sua nuova richiesta diretta ad ottenere il risarcimento del danno per il periodo 1/7/2008 – 31 marzo 2013.
L’appello è affidato alla denuncia di cinque articolate rubriche di gravame relative all’error in iudicando, violazione degli artt. 1218, 2697 e 2103 c.c.; degli artt. 1 e ss. del d.lgs. n. 517/1999; dell’art. 15, comma 6 del d.lgs. n. 502/1992 e ss. mm. e ii.; dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 1 comma 2 legge n. 230/1985 e dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 30 del d.lgs. n. 114/2010.
Con memoria del 25.6.2018 il ricorrente ha ripreso le censure insistendo per l’accoglimento dell’appello.
Si è costituita in giudizio l’Azienda Ospedaliera Universitaria [#OMISSIS#] II che, con memoria per la discussione, ha replicato alle tesi del ricorrente insistendo per il rigetto.
Uditi all’Udienza pubblica di discussione i difensori delle parti la causa è stata ritenuta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.§. Con il primo motivo si lamenta che la sentenza gravata:
A. erroneamente avrebbe escluso che al periodo oggetto di causa (1/7/2008 – 28/3/2013) potessero essere applicate le statuizioni contenute nelle precedenti sentenze indicate in rubrica che avevano stabilito la sussistenza di un grave inadempimento contrattuale dell’Azienda in danno del ricorrente;
B. si sarebbe superficialmente limitata all’estrapolazione solo di alcune parti delle sentenze rese inter partes e da una pronuncia del Consiglio di Stato (V sezione, n. 2888/2015) riguardante una materia del tutto differente.
C. avrebbe disatteso i principi cardine dell’ordinamento in tema di giudicato: le sentenze passate in giudicato sui precedenti giudizi avrebbero fatto stato tra le parti in quanto l’accertamento così compiuto in ordine alla soluzione di questioni di fatto e di diritto sarebbe stato comune, e quindi avrebbe dovuto formare la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza. Il riesame dello stesso punto di diritto già accertato sarebbe restato precluso, anche se il nuovo giudizio aveva finalità, scopo e petitum riferito ad un periodo successivo, la domanda risarcitoria avanzata sarebbe stata identica a quella del presente giudizio in cui lamenta la persistente mancata assegnazione di risorse esclusive all’Area Funzionale da lui diretta.
D. Le condizioni di lavoro in cui l’Azienda appellata avrebbe costretto il Prof. Massa non avrebbero subito modifiche sino al 28/3/2013, per cui il Prof. Massa avrebbe comunque subito un demansionamento, nel periodo oggetto del presente giudizio.
E. Sul punto della conformazione illecita dell’assetto organizzativo del DAS – protrattosi sino a tutto il marzo 2013 – si sarebbe dunque formato il giudicato.
Il motivo è complessivamente infondato.
L’appellante ripete, sotto differenti profili, una doglianza sostanzialmente unica che, per questo, può essere confutata unitariamente.
Contrariamente a quanto vorrebbe l’appellante (sub A e E) esattamente il TAR ha escluso che potessero essere automaticamente applicate le statuizioni contenute nelle precedenti sentenze con cui si era ritenuto sussistente l’inadempimento contrattuale dell’Azienda, con riguardo al periodo oggetto della presente causa (1/7/2008- 28/3/2013).
Ciò per la fondamentale ragione che il giudicato inter partes si forma solo con riferimento alle questione di fatto e di diritto fatte valere in via di azione o di eccezione, e quindi con riferimento esclusivo al “dedotto ed al deducibile”.
L’estraneità della presente pretesa all’area propria del giudicato sulle sue precedenti azioni, del resto, è indirettamente avallata dal fatto che l’odierno ricorrente ha introdotto un giudizio in via ordinaria e non in sede di ottemperanza.
Contrariamente a quanto poi affermato al punto B, il richiamo del TAR alla pronuncia del Consiglio di Stato della Sezione (n. 2888/2015) è assolutamente corretto in quanto è chiaramente riferito al solo principio di carattere processuale ivi contenuto, restando per contro irrilevante che il merito di quella decisione riguardasse una materia del tutto differente.
Né può essere condiviso quanto lamentato poi sub C. ed D: se è vero che i due precedenti giudizi tra le stesse parti facevano riferimento al medesimo rapporto di servizio deve comunque escludersi che l’accertamento compiuto nelle precedenti sentenze dovesse comportare l’automatico accoglimento dell’identica censura con riguardo al successivo periodo luglio 2008- marzo 2013.
A parte il profilo della prova del fatto assunto come lesivo dall’appellante (ma sul punto vedi infra), si deve annotare che si tratta di un lasso temporale ulteriore e totalmente estraneo a quello coperto dalle prime due sentenze, e che comunque appare difficilmente credibile in punto i fatto che dopo dieci anni e dopo due condanne al risarcimento dei danni, la situazione fosse rimasta sempre la stessa.
In tal senso si devono condividere in pieno l’affermazione del primo giudice per cui la domanda risarcitoria avrebbe dovuto essere correlata a “nuove condotte attive o omissive dell’Azienda Ospedaliera suscettibili di assumere autonomo rilievo”.
Appare nella specie del tutto vano il richiamo dell’appellante ai precedenti contenziosi inter partes perché questi non potevano costituire “cosa giudicata” in senso tecnico con riguardo al periodo qui in esame né sotto il profilo del diritto e né relativamente all’accertamento dei “fatti” assunti come lesivi.
2.§. Con la seconda e la quarta rubrica si riprendono questioni sostanzialmente identiche che conseguentemente possono essere confutate in maniera unitaria.
2.§.1. Con la seconda rubrica si lamenta sul piano sostanziale:
A. l’erroneità della motivazione con cui il Tar ha affermato che il ricorrente non avrebbe puntualmente provato la condotta inadempiente tenuta nei suoi confronti da parte dell’Azienda resistente, e la tardività della impugnazione da parte del Prof. Massa delle determinazioni alla base dell’assetto organizzativo precedente a quello operante dal marzo 2013
B. la superficialità del Tar che non avrebbe considerato che, nel caso di specie, sarebbe stato esistente un duplice giudicato amministrativo sul demansionamento e la prova del fatto negativo (“… non avere disponibilità di …”) costituiva un onere dell’Azienda Universitaria appellata.
C. che il lavoratore ha il diritto a non essere lasciato in condizioni di forzata inattività e senza assegnazione di compiti, ancorché senza conseguenze sulla retribuzione.
D. che la sentenza sarebbe erronea poiché l’Area Funzionale da lui diretta sarebbe stata organizzata in modo “manchevole” e “negligente”: l’appellante non avrebbe potuto liberamente disporre dei ricoveri nella Area Funzionale da lui diretta e non avrebbe nemmeno conosciuto se poteva disporre di posti letto o i turni del personale o i turni di utilizzo di sala operatoria, personale anestesista, mezzi e strutture del caso impedendogli di operare. Singolarmente nella certificazione creata “ad arte” dal Direttore DAI del 28.5.2015 si sarebbe affermato che il prof. Massa non avrebbe effettuato richieste di prenotazione in regime istituzionale o libero professionale nei giorni prestabiliti del DAI. Al contrario il chirurgo potrebbe — ma non dovrebbe — prenotare l’utilizzo della sala operatoria essendo i turni di sala operatoria stabiliti dal Direttore e le attività libero professionali costituirebbero un accessorio consentito.
Il Prof. Massa, quindi, pur essendo sempre in servizio e pur svolgendo le attività didattiche e scientifiche proprie della qualifica rivestita, non sarebbe mai stato messo in condizione dall’Azienda Ospedaliera di espletare alcuna forma di attività assistenziale.
E. Anche il tentativo del ricorrente di invitare l’Ufficio a non effettuare ricoveri senza la sua preventiva autorizzazione aveva suscitato l’immediata reazione del Direttore del DAS, Prof. Persico, il quale, con nota del 10/11/2003, travisando il contenuto della sua richiesta, aveva sostanzialmente escluso che un direttore di una singola Area Funzionale avesse poteri decisionali relativamente ai ricoveri.
F. La sentenza gravata sarebbe erronea poiché non avrebbe tenuto conto che l’appellante non era stato posto in condizioni di esplicare le funzioni e prerogative tipiche della qualifica apicale dallo stesso ricoperta.
2.§.2. Con la quarta rubrica si reiterano profili del tutto analoghi.
A. Sarebbe erronea l’ulteriore statuizione contenuta nella sentenza gravata, secondo cui il ricorrente non avrebbe presentato alcuna richiesta di ricovero di pazienti, e non avrebbe avanzato alcuna richiesta di prenotazione, né prodotto specifiche istanze riferite ad esigenze di risorse umane, logistiche o strumentali correlate all’espletamento della propria attività. Al riguardo basterebbe il richiamo alla sentenza del TAR Campania n. 2490/09, per cui la stragrande maggioranza degli interventi, come desumibile dalla documentazione versata in atti dalla Azienda, era stata effettuata dal Direttore del Dipartimento. prof. Persico, dal prof. Percopo e dal prof. Leone-
B. I livelli di produttività di 9 delle 10 Aree Funzionali (ovvero di tutte, tranne quella diretta dal Prof. Persico) sarebbero stati meno che mediocri e la stragrande maggioranza dell’attività operatoria sarebbe stata effettuata solo dal Prof. Persico.
C. Il TAR avrebbe altresì omesso di considerare che il Prof. Massa, nel vano tentativo di esercitare le proprie funzioni apicali, avrebbe provato a regolare le modalità di accettazione dei pazienti ricoverati nella propria Area Funzionale (cfr. nota del 6/11/2003), salvo vedere le proprie legittime istanze ingiustificatamente rigettate dall’attuale appellata.
2.§.3. Entrambi i motivi sono complessivamente privi di pregio.
Sulla scia delle considerazioni di cui al punto che precede, si deve escludere che il Tar, per mera superficialità, non avrebbe tenuto conto della preesistenza di un duplice giudicato amministrativo sul suo demansionamento.
Quanto poi alla pretesa prova del fatto negativo (“… non avere disponibilità di …”) che sarebbe stato un onere dell’Azienda Universitaria appellata, si deve per contro rilevare che a tal fine l’appellante Prof. Massa avrebbe dovuto reiterare nuove istanze dirette ad ottenere sia l’assegnazione di risorse all’Area Funzionale da lui diretta e sia direttive precise per la gestione delle risorse in comune del Dipartimento Assistenziale oggetto di causa, e successivamente impugnare ritualmente nel termine decadenziale i provvedimenti negati e/o i relativi silenzi.
Né può essere utile al riguardo il tentativo del 2003 con cui il ricorrente aveva preteso che l’Ufficio non effettuasse ricoveri senza la sua preventiva autorizzazione, in quanto afferisce ad un periodo del tutto precedente.
In ogni caso la singolare posizione attendista adottata dal ricorrente non può giustificare la presente domanda risarcitoria.
Anche a tale proposito ha quindi ragione il TAR quando rileva la tardività della contestazione degli assetti organizzativi, effettuata solo in sede di richiesta risarcitoria, da parte del Prof. Massa.
In tale direzione, appare invocato invano il diritto dei lavoratori ad esercitare le proprie mansioni a proposito dell’attività chirurgica di un professore universitario, dato che l’appellante dichiaratamente afferma di aver svolto le attività didattiche e scientifiche proprie della qualifica rivestita.
Appare poi singolare, e significativo, il fatto che l’appellante contesti la certificazione del Direttore DAI del 28.5.2015, assumendo che sarebbe stata creata “ad arte” cioè che sarebbe sostanzialmente un falso, senza produrre – o per lo meno indicare — le date ed il numero dei pazienti per i quali avrebbe invano inoltrato richieste, nell’ambito dei turni di sala operatoria stabiliti dal Direttore del DAI, di prenotazione di interventi chirurgici in regime istituzionale o libero professionale.
Nella particolare situazione di carenza di personale e di probabili contrasti con gli altri chirurghi, solo le formali richieste di prenotazione per l’utilizzo della sala operatoria avrebbero dato un fondamento fattuale alla sua pretesa. Proprio perché i livelli di produttività di 9 delle 10 Aree Funzionali sarebbero stati sbilanciati a favore del Direttore del Dipartimento tale onere appariva oltremodo necessario per il ricorrente.
Il Prof. Massa non ha fatto dunque luogo a quegli adempimenti minimi che, in base alla ordinaria diligenza, si appalesavano giuridicamente necessari, al fine ottenere sul piano sostanziale le risorse umane e strumentali necessarie per espletare le attività assistenziali; ovvero sul piano procedimentale comunque indispensabili per rendere indirettamente evidenti erga omnes le eventuali carenze organizzative e/o gli ostruzionismi dei vertici dall’Azienda Ospedaliera Universitaria.
In sostanza, anche alla luce dei comportamenti complessivi dell’appellante, non vi sono reali elementi che depongano a favore della reale sussistenza, per artificio o per negligenza, di particolari inefficienze in danno dell’appellante.
La sentenza gravata dunque ha esattamente concluso per la tardività della pretesa e, comunque, per l’assenza di un qualsiasi principio prova della sussistenza di reali elementi di illegittimità o illiceità dell’assetto organizzativo, comunque tali da impedire all’appellante di esplicare ordinariamente le funzioni assistenziali.
3.§. Con il terzo motivo, a sua volta articolato in due capi, si lamenta la violazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 104/2010 perché:
A. la sentenza gravata erroneamente avrebbe ritenuto che l’omessa tempestiva impugnazione degli atti organizzativi adottati dall’Azienda sarebbe stata preclusiva del ristoro dei danni subiti, e che ciò avrebbe implicato la necessità di limitare il risarcimento cui avrebbe avuto diritto il prof. Massa ai sensi dell’art. 30, III comma, ultima parte del c.p.a. senza tener conto dell’insussistenza della pregiudiziale amministrativa, già stata affermata dal Consiglio di Stato adito nelle sentenze nn. 2758/07 e 686/2010 rese inter partes.
B. La sentenza n. 686/2010 aveva affermato che l’accertamento della responsabilità datoriale avrebbe carattere contrattuale per cui erronea al riguardo sarebbe stata la prospettazione del carattere affievolito dei diritti del lavoratore, e la conseguente riconduzione del caso alla lesione di interessi legittimi. Nella specie si tratterebbe invece di un rapporto di lavoro di carattere paritetico per cui alla potestà autoritativa di auto-organizzazione dell’Amministrazione si contrappone un vero e proprio diritto soggettivo non degradabile.
B.BIS. Il TAR Campania avrebbe poi erroneamente ritenuto di poter applicare al caso di specie il disposto dell’art. 30, III comma del c.p.a. che invece sarebbe collegato nella sua strutturazione alla giurisdizione di legittimità in senso stretto. L’azione risarcitorie così introdotta in sede di giurisdizione esclusiva sarebbe dunque sottoposta agli ordinari termini di prescrizioni e non ai termini speciali di decadenza di cui all’art. 30 CPA. I fatti oggetto di causa hanno avuto inizio ben prima dell’entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo (16/9/2010), così come stabilito sia dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sent. N. 6 del 6/7/2015), sia dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 57 del 31/5/2015).
Con l’ulteriore precisazione che, nel caso di specie, è stata dimostrata l’esclusiva responsabilità dell’Azienda in ordine al demansionamento
L’assunto è complessivamente infondato in tutti i suoi profili.
L’organizzazione delle attività dirette ad assicurare la tempestività e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa rientra nei poteri amministrativi di gestione di stretta spettanza dei vertici dell’Azienda. Per questo, di norma, non si ravvisa infatti alcuna peculiare posizione di diritto soggettivo di un professore universitario (come per qualunque altro dipendente apicale) che, in antitesi con i vertici politici-amministrativi, possa imporre una determinata organizzazione all’amministrazione di appartenenza in funzione dei suoi interessi particolari. In tale direzione è stato affermato che in capo ad un medico e professore universitario non può essere riconosciuto il diritto al risarcimento da demansionamento, a causa dell’impossibilità di utilizzo dei locali dell’Ospedale per le operazioni chirurgiche, derivante da obiettive ragioni (cfr. Consiglio di Stato sez. VI 08 settembre 2017 n. 4254). Come esattamente ricordato dalla difesa dell’Azienza, anche la stessa sentenza inter partes di questo Consiglio di Stato n. 2758/2007. più volte invocata dall’appellante, ha del resto affermato che non può ritenersi sussistente un diritto soggettivo del responsabile di area medico-universitaria od ottenere il personale, le strutture che sono poste in comune a causa della carenza delle risorse.
L’Azienda Ospedaliera è titolare di obblighi e di poteri di carattere pubblicistico e deve tener conto dei vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse.
Per questo, la sussistenza o meno dell’illecito da demansionamento ossia l’applicabilità dell’art. 2087 c.c. — a cui può essere ricondotto normativamente l’illecito posto in essere della P.A., datrice di lavoro nei confronti del proprio personale — non può prescindere dalla rilevanza delle regole pubblicistiche in materia di limiti di spesa, assunzioni di personale, rispetto delle mansioni, ecc. .
In conseguenza gli atti di organizzazione, che limitano le funzioni dei responsabili di area devono necessariamente essere impugnate nel termine decadenziale e, di conseguenza, devono quindi escludersi un diritto al risarcimento che prescinda del tutto dalla tempestiva impugnazione dei singoli provvedimenti organizzatori.
Come è noto l’art. 30, co. 3, prevede infatti la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento. Tale norma è ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un’interpretazione del comma 2 dell’articolo 1227 cit.: detto articolo, infatti, operando sui criteri di determinazione del danno -conseguenza ex art. 1223 c.c , regola la c.d. “causalità giuridica”, relativa al nesso tra danno -evento e conseguenze dannose da esso derivanti ed introduce un giudizio basato sulla cd. “causalità ipotetica”, in base al quale non deve essere risarcito il danno che il creditore non avrebbe subito se avesse tenuto il comportamento collaborativo cui deve attenersi (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 09 maggio 2018 n. 2778).
Inoltre, l’azione risarcitoria appare comunque tardiva in quanto, essendo stata introdotta successivamente all’avvento del Codice del Processo Amministrativo avrebbe dovuto rispettare gli ordinari termini di decadenza di cui all’art. 30, comma 4 del c.p.a. .
4.§. Con una quinta rubrica si lamenta che:
A. la sentenza sarebbe, altresì, affetta dai vizi nella parte in cui, facendo seguito al primo ed al secondo motivo;
B. la sussistenza nel caso di specie di un demansionamento perpetrato dall’Azienda appellata in danno del Prof. Massa che avrebbe dovuto essere acclarato dal duplice giudicato inter partes, e comunque l’Azienda, su cui gravava il relativo onere probatorio, non ha dimostrato il contrario;
C. La sussistenza di un danno patrimoniale da dequalificazione professionale sarebbe stato invece dimostrata dal Prof. Massa il quale nel periodo luglio 2008 – marzo 2013 non avrebbe potuto esercitare alcuna forma di attività assistenziale;
D. Il danno non patrimoniale che “costituisce una categoria unitaria non suscettiva di divisione in sottocategorie” (Corte Cass. Sez, Unite, 11 novembre 2008, n. 26972), avrebbe dunque dovuto ritenersi dimostrato in via presuntiva;
E. erroneamente il nesso causale è stato ritenuto non provato dal TAR Campania: gli atti di causa dimostrerebbero in maniera adeguata non solo l’esistenza di una condotta lesiva da parte dell’Amministrazione, ma anche la sussistenza di un nesso causale fra la condotta lesiva ed i danni subiti dal medesimo appellante per la reiterata sottoutilizzazione della professionalità del ricorrente, Infine il Tar non avrebbe considerato l’articolata perizia del dott. [#OMISSIS#] Bettini, non contestata dall’Azienda.
Tutti i profili sono privi di pregio.
Come è evidente si tratta infatti della mera riproposizione sostanziale delle medesime censure di cui alle precedenti rubriche alla cui analoghe confutazioni e contrarie argomentazioni, per evidenti ragioni di economia espositiva, ben può farsi riferimento in questa sede.
In ogni caso deve escludersi sia la rilevanza dei precedenti duplici giudicati inter partes, sia la sussistenza di un danno patrimoniale da dequalificazione professionale. Il preteso mancato esercizio delle attività assistenziale per colpa dell’azienda non sarebbe affatto stato dimostrato neanche indiziariamente dal Prof. Massa.
Infine irrilevante è la mancata considerazione della consulenza di parte. Tale relazione, che costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, come tale, è priva di un autonomo valore probatorio, così che il TAR, che non l’ha condivisa, non era affatto tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, avendo posto a fondamento del proprio convincimento considerazioni incompatibili con essa (cfr. Consiglio di Stato sez. V 11 agosto 2010 n. 5630; Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 2010 n. 2063; idem 11 febbraio 2002 n. 1902).
5.§. In conclusione il ricorso deve essere integralmente respinto e la sentenza impugnata merita dunque integrale conferma.
Le spese, secondo le regole generali, seguono la soccombenza e sono complessivamente liquidate in euro 2.500,00 oltre agli accessori come per legge.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando:
1. Respinge l’appello, come in epigrafe proposto.
2. Condanna l’appellante al pagamento delle spese che vengono liquidate in € 2.500,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Franco [#OMISSIS#], Presidente
Umberto [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] Ungari, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Pubblicato il 14/09/2018