Consiglio di Stato, Sez. III, 18 giugno 2019, n. 4118

Università e Servizio Sanitario Nazionale-Diploma di medicina-UE

Data Documento: 2019-06-18
Area: Giurisprudenza
Massima

La sentenza CGUE 19 giugno 2003 C – 110/01 definisce il diploma in medicina rilasciato da uno Stato membro quale “passaporto di medicina”, che consente al suo titolare di circolare “come medico” nell’ambito dell’Unione Europea, e dunque di esercitare nello Stato membro ospitante senza possibilità di limiti e condizioni nazionali, e con il solo obbligo di rispettare le prescrizioni della normativa comunitaria.
Se, dunque, il riconoscimento dei titoli fosse soggetto a verifica, condizione, preclusione nazionale, ogni Stato membro potrebbe opporre alla domanda di riconoscimento la diversità del proprio ordinamento interno, in tal modo sgretolando il terreno comune europeo fondato da regole direttamente applicabili a tutti gli Stati membri.
Ogni limitazione e restrizione alla libertà di circolazione costituirebbe anche, per altro verso, indebita violazione della libertà di stabilimento riconosciuta ex art. 49 del vigente trattato, giacché ogni restrizione all’accesso al mercato per i professionisti degli Stati membri si risolve in ostacolo al commercio intercomunitario, come più volte la CGUE ha sottolineato.

Contenuto sentenza

N. 04118/2019 REG.PROV.COLL.
N. 02556/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2556 del 2017, proposto dal Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
contro
dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Roma, via [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] n. 5; 
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo del Lazio, sede di Roma, Sezione III quater, n. 9800/2016, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 [#OMISSIS#] 2019 il Pres. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti l’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e l’avvocato dello Stato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], cittadino italiano altoatesino, per motivi di vicinanza e praticità ha frequentato il corso di odontoiatria presso l’Università austriaca di Innsbruk dal settembre 2004 per la durata complessiva di 12 semestri. Nel marzo del 2006 si iscriveva anche al corso di medicina, anch’esso della durata di 12 semestri, presso la medesima Università, in accordo con le leggi austriache. Nel mese di gennaio del 2013, il sig. [#OMISSIS#] concludeva i suoi studi di odontoiatria e in data 27 febbraio 2013 l’Ordine austriaco degli Odontoiatri attestava che il titolo conseguito soddisfaceva i requisiti minimi richiesti dall’art. 34 della Direttiva 2005/36/CE. A seguito di tale attestato, il sig. [#OMISSIS#] richiedeva, con apposita domanda datata 23 marzo 2013, al Ministero della Salute italiano, il riconoscimento del titolo accademico. 
La domanda veniva accolta con decreto del Ministro del 20 [#OMISSIS#] 2013. Contemporaneamente il dott. [#OMISSIS#] proseguiva i suoi studi in medicina conclusi nel mese di agosto 2014. L’Ordine dei medici, in Austria, attestava quindi, in data 18 settembre 2014, che il titolo conseguito rispondeva ai requisiti minimi di cui alla Direttiva 2005/36/CE. 
Il sig. [#OMISSIS#], pertanto, con apposita domanda ed in allegato l’attestato di cui sopra, chiedeva al Ministero della Salute il riconoscimento del titolo di medico chirurgo.
Il Ministero della Salute, con nota del 4 dicembre 2014, esprimendo alcune perplessità circa il riconoscimento automatico del titolo di medico, ottenuto solo quindici mesi dopo il precedente titolo di odontoiatra, chiedeva chiarimenti all’Ordine dei Medici austriaco, il quale, con nota del 19 marzo 2015, confermava la correttezza dell’attestato in accordo con leggi austriache. 
Il Ministero della Salute, tuttavia, non procedeva al riconoscimento, provvedendo con nota prot. n. 27250 del 27 [#OMISSIS#] 2015 al diniego della domanda presentata.
Con il ricorso in primo grado, il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] impugnava la nota del Ministero della Salute prot. n. 27250 del 27 [#OMISSIS#] 2015, (chiedendone l’annullamento previa sospensione), con la quale il Ministero comunicava il diniego di riconoscimento del titolo di medico chirurgo conseguito in Austria. Il sig. [#OMISSIS#] impugnava, poi, anche la nota datata 6 marzo 2015, la nota n. 66801 del 4 dicembre 2014 ed anche ogni altro atto in [#OMISSIS#] modo connesso. Il ricorrente lamentava, in quella sede, la violazione e/o falsa applicazione del principio di libertà di stabilimento di cui [#OMISSIS#] artt. 49 ss del T.F.U.E. e del meccanismo di riconoscimento automatico dei titoli di formazione di medico negli Stati Membri UE di cui [#OMISSIS#] artt. 21 e 24 direttiva 2005/36/CE e alla relativa normativa nazionale di recepimento contenuti negli artt. 31 e 33 d.lgs. 206/2007; eccesso di potere per ingiustificata disparità di trattamento e per contraddittorietà con precedenti determinazioni della stessa amministrazione.
Il [#OMISSIS#] di prime cure ha accolto il ricorso ritenendo infondate le argomentazioni della parte resistente, già presenti [#OMISSIS#] motivazione del provvedimento, inerenti il fatto che, a dire del Ministero, “La direttiva comunitaria 2005/36/CE non prevede in alcuna disposizione che si possano effettuare contemporaneamente due corsi di formazione”, ed anche inerenti la circostanza che in Italia non è possibile essere iscritti a più corsi di laurea nel medesimo periodo, come sancito dall’art. 142, co. 2, Regio Decreto 31 agosto 1933, n. 1592. 
La sentenza è ora appellata dal Ministero della Salute. Secondo il Ministero appellante la direttiva 2005/36/CE (recepita in Italia col D.lgs. del 6 novembre 2007, n. 206) individua tassativi requisiti formativi che devono essere garantiti dagli Stati membri al fine del rilascio di un titolo di medico di base. In proposito, l’art. 24, disciplinante la “Formazione medica di base”, stabilisce in particolare ai commi 2 e 3: “2. La formazione medica di base comprende almeno sei anni di studi o 5.500 ore d’insegnamento teorico e pratico dispensate in un’università o sotto la sorveglianza di un’università. (…) …” Nel [#OMISSIS#] di specie numerosi esami svolti dal dott. [#OMISSIS#] sarebbero stati contestualmente valutati sia ai fini del rilascio del titolo di odontoiatra, sia ai fini del rilascio del titolo di medico chirurgo. Tale procedura costituirebbe un modus operandi previsto dalla legislazione interna dell’Austria, ma che – secondo l’appellante – si porrebbe in netto contrasto con quanto disciplinato dalla menzionata direttiva 2005/36/CE, comportando peraltro una sostanziale discriminazione tra i cittadini austriaci e i cittadini comunitari di altri Paesi – tra cui l’Italia – ove è espressamente vietata la simultanea iscrizione a due corsi di laurea.
Con ordinanza cautelare n. 2498/2017, la Sezione “Ritenuto che la questione relativa al riconoscimento, [#OMISSIS#] Stato italiano, del diploma di laurea in medicina conseguito dall’appellato presso università austriaca a seguito di un corso di studi parzialmente seguito contemporaneamente al corso di laurea in odontoiatria meriti l’approfondimento proprio dell’esame nel merito;” e che, nelle more, sia [#OMISSIS#] prevalga “l’interesse pubblico ad ammettere all’esercizio della professione medica esclusivamente soggetti sulla cui legittimazione professionale non esistono dubbi”, ha sospeso l’efficacia della sentenza di primo grado.
Successivamente, questo Consiglio, come richiesto dal sig. [#OMISSIS#], parte resistente nel giudizio, alla udienza pubblica del 12 ottobre 2017, con ordinanza n. 5249/2017, decideva di trasmettere gli atti alla Corte di Giustizia UE, chiamata a pronunciarsi, in fase pregiudiziale, circa l’esatta interpretazione degli articoli 21, 22 e 24 della Direttiva 2005/36/CE, oggetto della contesa, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. In particolare, il [#OMISSIS#] del rinvio chiedeva alla Corte di Giustizia se, nonostante l’automatismo con cui avviene il riconoscimento delle qualifiche professionali, una formazione a tempo parziale (dedotta dalla possibilità di frequentare contestualmente più corsi di laurea) soddisfi i requisiti cd. minimi di cui alla direttiva in esame. In [#OMISSIS#] affermativo, il Consiglio di Stato chiedeva, poi, alla Corte di Giustizia, se all’Autorità dello Stato membro al quale si chiede il riconoscimento sia comunque consentito verificare la condizione che la durata complessiva, il livello e la qualità di siffatta formazione non siano inferiori rispetto alla formazione cd. a tempo pieno (tipica di quegli ordinamenti, tra cui l’Italia, in cui non è possibile, per legge, essere iscritti contemporaneamente a più corsi di laurea).
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza della Terza Sezione pubblicata in data 7 dicembre 2018, ha preventivamente sottolineato al paragrafo 30 che “nessuna disposizione della direttiva menzionata osta a che gli Stati membri autorizzino la simultanea iscrizione a più formazioni”, concludendo, poi, al paragrafo 32 che “pertanto, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che gli articoli 21, 22 e 24 della direttiva 2005/36 devono essere interpretati nel senso che impongono ad uno Stato membro, la cui normativa prevede l’obbligo di formazione a tempo pieno e il divieto della contemporanea iscrizione a due formazioni, di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al [#OMISSIS#] di formazione in parte concomitanti”.
Nel rispondere al secondo quesito sollevato dal Consiglio di Stato, la Corte di Giustizia ha rilevato, al paragrafo 36, che “un sistema di riconoscimento automatico e incondizionato dei titoli di formazione quale quello previsto dall’art. 21 della direttiva 2005/36 sarebbe gravemente compromesso se gli Stati membri potessero mettere in discussione, a loro piacimento, la fondatezza della decisione dell’autorità competente di un altro Stato membro di rilasciare suddetto titolo”. Al paragrafo 40 la Corte di Giustizia chiarisce, poi, che “qualora un corso di studi soddisfi i requisiti di formazione stabiliti dalla direttiva 2005/36, circostanza che spetta all’Autorità dello Stato membro che rilascia il titolo di formazione verificare, le autorità dello Stato membro ospitante non possono negare il riconoscimento di tale titolo. Il fatto che l’interessato abbia seguito una formazione a tempo parziale, ai sensi dell’articolo 22, lettera a), della direttiva menzionata, o più corsi di laurea contemporaneamente o [#OMISSIS#] periodi che in parte si sovrappongono è irrilevante al riguardo laddove i requisiti in materia di formazione previsti dalla direttiva in parola sono soddisfatti”.
In conclusione, la Corte di Giustizia ha stabilito che gli articoli 21, 22 e 24 della direttiva in questione “devono essere interpretati nel senso che ostano a che lo Stato membro ospitante verifichi il rispetto della condizione che la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelle delle formazioni continue a tempo pieno”.
Con memoria del 4 aprile 2019, il Ministero della Salute ha insistito sulla fondatezza dell’appello, malgrado quanto stabilito dalla citata sentenza della Corte di Giustizia, sostenendo che l’Amministrazione ha agito nell’interesse pubblico improntato al rispetto del diritto alla salute come sancito all’art. 32 della Costituzione. 
La parte resistente, con memoria datata 26 aprile 2019, nel controdedurre rispetto ai motivi di appello del Ministero, insiste affinché l’appello sia rigettato con conseguente conferma della sentenza n. 9800/2016 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio.
DIRITTO
La chiarezza e puntualità della pronuncia, citata in premessa, CGUE 7 dicembre 2018, conduce, in via diretta, alla reiezione dell’appello del Ministero della Salute.
L’appellante, pur prendendo – ovviamente – atto della decisione della Corte, indica nel principio costituzionale ex art. 32 Cost. il fondamento del suo dovere di “mettere a confronto” il percorso formativo seguito in Austria dal dr. [#OMISSIS#], con quello previsto dall’ordinamento italiano.
La questione posta all’esame del Collegio, a seguito della decisione della CGUE [#OMISSIS#] citata sentenza pregiudiziale, non verte infatti sulla incidenza del diritto costituzionale alla salute sul sistema di riconoscimento della qualifica professionale di medico chirurgo in Austria, né tale verifica di costituzionalità potrebbe svolgersi con riguardo ad una legge straniera.
Ciò che questo Consiglio aveva chiesto alla CGUE di chiarire pregiudizialmente è se lo Stato italiano possa condurre una verifica comparativa tra percorso formativo austriaco ed italiano e, riscontrata la non identità, negare al titolare di un diploma austriaco la qualifica professionale di medico ai fini dell’esercizio in Italia.
La CGUE, come ricordato, ha affermato i seguenti principi essenziali per la soluzione della controversia:
– la direttiva 2005/36 non preclude a ciascuno Stato membro ([#OMISSIS#] fattispecie, l’Austria) di autorizzare la simultanea iscrizione a più corsi di formazione ([#OMISSIS#] fattispecie, il corso di odontoiatria in contemporanea con il corso di medicina, presso l’Università di Innsbruk);
– se uno Stato membro attesta che i titoli sono rilasciati in conformità alle condizioni minime di formazione di cui [#OMISSIS#] artt. 24 e 34 DIR 2005/36, ogni altro Stato membro è obbligato al riconoscimento automatico e incondizionato nel senso che l’equipollenza dei titoli di formazione non può essere subordinata ad alcuna condizione ulteriore rispetto a quanto stabilito dalla Direttiva;
lo Stato membro ospitante non può verificare, in particolare, il rispetto della condizione che la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno.
Il Collegio ritiene quindi che allo Stato membro ospitante non residui alcun margine di discrezionalità, giacché i principi alla cui stregua il riconoscimento del titolo professionale deve avvenire sono direttamente fissati dalle Direttive, cui ovviamente nessuno Stato membro può derogare con propri atti. Né, con l’atto di appello, il Ministero della Salute ha censurato proprio la Direttiva sopra citata, per le parti che vengono in applicazione, sostenendo che essa [#OMISSIS#] l’art. 32 della Costituzione.
In effetti, uno dei pilastri del trattato, di cui anche la Direttiva 2005/36 è applicazione, consiste nel riconoscimento reciproco fra Stati membri, derivante a sua volta dal principio di fiducia reciproca.
Ogni Stato membro, in altri termini, è tenuto a riconoscere – per restare alla materia in esame – in via automatica il titolo rilasciato in altro Stato membro, poiché deve esserci “fiducia condivisa” che ciascuno Stato membro abbia provveduto in conformità alle regole europee comuni.
Ciò che, [#OMISSIS#] fattispecie, è accaduto, avendo il governo austriaco attestato la conformità del suo sistema di formazione alle condizioni minime di cui [#OMISSIS#] artt. 24 e 34 della Direttiva.
La rottura di tale principio, cui inevitabilmente condurrebbe la sindacabilità del percorso formativo austriaco invocata dall’appellante, avrebbe diretta ripercussione su un altro principio essenziale del sistema di integrazione europea, e cioè il diritto di [#OMISSIS#] circolazione dei titolari di qualifiche professionali.
A proposito della [#OMISSIS#] circolazione dei medici, come disciplinata dalla precedente direttiva 93/16, l’appellato richiama correttamente la sentenza CGUE 19 giugno 2003 C – 110/01, che definisce il diploma in medicina rilasciato da uno Stato membro quale “passaporto di medicina”, che consente al suo titolare di circolare “come medico” nell’ambito dell’Unione Europea, e dunque di esercitare [#OMISSIS#] Stato membro ospitante senza possibilità di limiti e condizioni nazionali, e con il solo obbligo di rispettare le prescrizioni della normativa comunitaria.
Se, come l’appellante Ministero della Salute richiede, il riconoscimento dei titoli fosse soggetto a verifica, condizione, preclusione nazionale, ogni Stato membro potrebbe opporre alla domanda di riconoscimento la diversità del proprio ordinamento interno, in tal modo sgretolando il terreno comune europeo fondato da regole direttamente applicabili a tutti gli Stati membri.
Ogni limitazione e restrizione alla libertà di circolazione costituirebbe anche, per altro verso, indebita violazione della libertà di stabilimento riconosciuta ex art. 49 del vigente trattato, giacché ogni restrizione all’accesso al mercato per i professionisti degli Stati membri si risolve in ostacolo al commercio intercomunitario, come più volte la CGUE ha sottolineato.
In conclusione l’appello dev’essere respinto, giacché correttamente – come confermato dalla più volte citata sentenza pregiudiziale della CGUE il primo [#OMISSIS#] ha ritenuto l’illegittimità del diniego di riconoscimento – per l’esercizio della professione medica il Italia – del titolo professionale austriaco posseduto dall’odierno appellato.
Le spese seguono, come di regola, la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante a rifondere alla parte appellata le spese processuali, che liquida in euro 3.000 (tremila).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 30 [#OMISSIS#] 2019 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#], Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Pubblicato il 18/06/2019