Sono rimesse alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le questioni:
1) se la clausola 5) dell’accordo quadro di cui alla direttiva n. 1999/70/CE (Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, d’ora in avanti «direttiva»), intitolata «Misure di prevenzione degli abusi», letta in combinazione coi considerando 6) e 7) e con la clausola 4) di tal Accordo («Principio di non discriminazione»), nonché alla luce dei principi di equivalenza, d’effettività e dell’effetto utile del diritto eurounitario, osta a una normativa nazionale, nella specie l’art. 24, comma 3, lett. a) e l’art. 22, comma 9, l. n. 240 del 2010, che consenta alle Università l’utilizzo, senza limiti quantitativi, di contratti da ricercatore a tempo determinato con durata triennale e prorogabili per due anni, senza subordinarne la stipulazione e la proroga ad alcuna ragione oggettiva connessa ad esigenze temporanee o eccezionali dell’Ateneo che li dispone e che prevede, quale unico limite al ricorso di molteplici rapporti a tempo determinato con la stessa persona, solo la durata non superiore a dodici anni, anche non continuativi;
2) se la citata clausola 5) dell’Accordo quadro, letta in combinazione con i considerando 6) e 7) della direttiva e con la citata clausola 4) di detto Accordo, nonché alla luce dell’effetto utile del diritto eurounitario, osta ad una normativa nazionale (nella specie, gli artt. 24 e 29, comma 1, l. n. 240 del 2010), laddove concede alle Università di reclutare esclusivamente ricercatori a tempo determinato, senza subordinare la relativa decisione alla sussistenza di esigenze temporanee o eccezionali senza porvi alcun limite, mercé la successione potenzialmente indefinita di contratti a tempo determinato, le ordinarie esigenze di didattica e di ricerca di tali Atenei;
3) se la clausola 4) del medesimo Accordo quadro osta ad una normativa nazionale, quale l’art. 20, comma 1, d.lgs. n. 75 del 2017 (come interpretato dalla citata circolare ministeriale n. 3 del 2017), che, nel mentre riconosce la possibilità di stabilizzare i ricercatori a tempo determinato degli Enti pubblici di ricerca —ma solo se abbiano maturato almeno tre anni di servizio entro il 31 dicembre 2017—, non la consente a favore dei ricercatori universitari a tempo determinato solo perché l’art. 22, comma 16, d.lgs. n. 75 del 2017 ne ha ricondotto il rapporto di lavoro, pur fondato per legge su un contratto di lavoro subordinato, al “regime di diritto pubblico”, nonostante l’art. 22, comma 9, l. n. 240 del 2010 sottoponga i ricercatori degli Enti di ricerca e delle Università alla stessa regola di durata massima che possono avere i rapporti a tempo determinato intrattenuti, sotto forma di contratti di cui al successivo art. 24 o di assegni di ricerca di cui allo stesso art. 22, con le Università e con gli Enti di ricerca;
4) se i principi di equivalenza e di effettività e quello dell’effetto utile del diritto UE, con riguardo al citato Accordo quadro, nonché il principio di non discriminazione contenuto nella clausola 4) di esso ostano ad una normativa nazionale (l’art. 24, comma 3, lett. a, l. n. 240 del 2010 e l’art. 29, commi 2, lett. d e 4, d.lgs. 81 del 2015) che, pur in presenza d’una disciplina applicabile a tutti i lavoratori pubblici e privati da ultimo racchiusa nel medesimo decreto n. 81 e che fissa (a partire dal 2018) il limite massimo di durata d’un rapporto a tempo determinato in 24 mesi (comprensivi di proroghe e rinnovi) e subordina l’utilizzo di rapporti a tempo determinato alle dipendenze della Pubblica amministrazione all’esistenza di «esigenze temporanee ed eccezionali», consente alle Università di reclutare ricercatori grazie ad un contratto a tempo determinato triennale, prorogabile per due anni in caso di positiva valutazione delle attività di ricerca e di didattica svolte nel triennio stessa, senza subordinare né la stipulazione del primo contratto né la proroga alla sussistenza di tali esigenze temporanee o eccezionali dell’Ateneo, permettendogli pure, alla fine del quinquennio, di stipulare con la stessa o con altre persone ancora un altro contratto a tempo determinato di pari tipologia, al fine di soddisfare le medesime esigenze didattiche e di ricerca connesse al precedente contratto;
5) se la clausola 5) del citato Accordo Quadro osta, anche alla luce dei principi di effettività e di equivalenza e della predetta clausola 4), a che una normativa nazionale (l’art. 29, commi 2, lett. d e 4, d.lgs. 81 del 2015e l’art. 36, commi 2 e 5, d.lgs. n. 165 del 2001) precluda ai ricercatori universitari assunti con contratto a tempo determinato di durata triennale e prorogabile per altri due (ai sensi del citato art. 24, comma 3, lett. a, l. n. 240 del 2010), la successiva instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato, non sussistendo altre misure all’interno dell’ordinamento italiano idonee a prevenire ed a sanzionare gli abusi nell’uso d’una successione di rapporti a termine da parte delle Università(1).
Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 gennaio 2020, n. 240
Ricercatori-Contratto di lavoro a tempo determinato-Rimessone Corte di Giustizia
N. 00240/2020 REG.PROV.COLL.
N. 08128/2019 REG.RIC.
N. 08134/2019 REG.RIC.
N. 08369/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sui ricorsi riuniti
A) – NRG 8128/2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
contro
la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’istruzione dell’Università e della Ricerca e l’Università degli Studi di Perugia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e
e con l’intervento di
ad adiuvandum, -OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
B) – NRG 8134/2019, proposto dai sigg. -OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
contro
– il Ministero dell’istruzione dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro “pro tempore”, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e
– l’Università degli Studi di Perugia e la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;
C) – NRG 8369/2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avv.ti [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
contro
la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’istruzione dell’Università e della Ricerca e l’Università degli Studi di Perugia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, come sopra rappresentati, difesi e domiciliati per legge,
per la riforma
quanto al ricorso NRG 8128/2019, della sentenza del TAR Umbria n. -OMISSIS-/2019, resa tra le parti e concernente l’impugnazione avverso la nota prot. n. 0030097 del 19 aprile 2018, con cui l’intimato Ateneo, in riscontro alla missiva attorea pervenutale il precedente 29 marzo, ha respinto la richiesta per l’attivazione d’una procedura di chiamata volta all’assunzione a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 20, co. 1 del D.lgs. 75/2017 e della circolare n. 3/2017 adottata dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, nonché per l’accertamento del diritto dell’appellante ad esser assunto a tempo indeterminato come ricercatore, con conseguente condanna in tal senso dell’Ateneo stesso;
quanto al ricorso NRG 8134/2019, della medesima sentenza del TAR Umbria n. -OMISSIS-/2019, resa tra le parti e concernente le note prot. n. 27686 dell’11 aprile 2018, n. 30096 del 19 aprile 2018, n. 27687 dell’11 aprile 2018, n. 27678 di pari data, n. 27670 di pari data e n. 30095 del 19 aprile 2018, tutte d’identico tenore e con cui l’Ateneo intimato, in riscontro delle istanze attoree del 22 e, per il dott. -OMISSIS-, del 29 marzo 2018, ha respinto la richiesta d’attivazione d’una procedura di chiamata volta all’assunzione a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 20, co. 1 del D.lgs. 75/2017 e della citata circolare n. 3/2017, nonché per l’accertamento del diritto degli appellanti ad esser assunti a tempo indeterminato come ricercatori, con conseguente condanna in tal senso di detto Ateneo;
e, quanto al ricorso n. 8369 del 2019, della citata sentenza del TAR Umbria n. -OMISSIS-/2019, resa tra le parti e concernente la nota prot. n. 30099 del 19 aprile 2018, con cui l’Ateneo intimato, in riscontro all’istanza attorea del 10 aprile 2018, ha respinto la richiesta per l’attivazione d’una procedura di chiamata volta all’assunzione a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 20, co. 1 del D.lgs. 75/2017 e della citata circolare n. 3/2017, nonché per l’accertamento del diritto dell’appellante ad esser assunta a tempo indeterminato come ricercatore, con condanna in tal senso di detto Ateneo;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 12 dicembre 2019 il Cons. Silvestro [#OMISSIS#] Russo e uditi altresì, per le parti, l’avv. [#OMISSIS#] e l’Avvocato dello Stato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
Il dott. -OMISSIS-, i dott.ri -OMISSIS- e la dott. -OMISSIS-, già assegnisti di ricerca da vari anni, dichiarano d’esser tutti ricercatori a tempo determinato ex art. 24, co. 3, lett. a) della l. 30 dicembre 2010 n. 240 presso l’Università degli studi di Perugia, in diversi settori scientifico-disciplinari.
Essi rendono d’aver chiesto a detta Università di attivare i procedimenti di chiamata, volti alla loro assunzione a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 20, co. 1 del D.lgs. 25 maggio 2017 n. 75. Con le note dell’11 e del 19 aprile 2018 (meglio indicate in premessa), l’Università di Perugia ha tuttavia respinto la richiesta del dott. -OMISSIS- e consorti, in quanto, anche in base alla circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 3 del 23 novembre 2017, il procedimento di cui al citato art. 20 in nulla ha innovato nel rapporto d’impiego di professori e ricercatori universitari. Pertanto, il dott. -OMISSIS-, il dott. -OMISSIS- e consorti e la dott. -OMISSIS-, ciascuno per proprio conto, hanno proposto separati ricorsi al TAR Umbria contro i citati provvedimenti, contestando l’illegittimità di siffatte risposte, anche per violazione della direttiva n. 1999/70/CE.
L’adito TAR, con sentenza n. -OMISSIS- del 13 marzo 2019 e previa riunione dei tre citati ricorsi, ha rigettato il ricorso del dott. -OMISSIS- e consorti, i quali hanno proposto separati, ma in realtà simili appelli avanti a questo Consiglio di Stato, riproducendo le posizioni di partenza e ribadendo, tra le altre cose, i profili d’illegittimità dell’interpretazione resa dal Giudice di primo grado.
Sulla presente controversia il Collegio ritiene di sollevare avanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del TFUE, la questione pregiudiziale d’interpretazione dell’art. 29, co. 2, lett. d) e co. 4 del decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 e dell’art. 36, commi 2 e 5 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, nonché dell’art. 24, commi 1 e 3 della legge 30 dicembre 2010 n. 240, nei termini che di seguito saranno illustrati nella forma suggerita dalla «Nota informativa riguardante le domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali» n. 2011/C 160/01 della Corte di Giustizia stessa.
I. – Oggetto della controversia.
I.1. – il dott. -OMISSIS-, il dott. -OMISSIS- e consorti e la dott. -OMISSIS-, già da lungo tempo assegnisti di ricerca dal 2008, dichiarano: a): d’essere da vari anni ricercatori a tempo determinato ex art. 24, co. 3, lett. a) della l. 240/2010; b) di prestar servizio nell’Università degli studi di Perugia; c) d’aver fruito della proroga biennale dell’incarico, sancita da quest’ultima norma; d) d’esser in servizio già alla data d’entrata in vigore della legge 7 agosto 2015 n. 124.
Il dott. -OMISSIS- e consorti, in tale loro veste e ciascuno per proprio conto, hanno domandato al Rettore, al Direttore generale ed al Direttore dei loro rispettivi Dipartimento di detta Università l’attivazione del procedimento per la chiamata, volto alla loro assunzione a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 20, co. 1 del decreto legislativo 25 maggio 2017 n. 75. Con le note emanate tra l’11 ed il 19 aprile 2018, l’Università di Perugia ha respinto le richieste del dott. -OMISSIS- e consorti, in quanto, in base alla circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 3 del 23 novembre 2017 (sulla stabilizzazione del precariato presso le Amministrazioni pubbliche), la disciplina dell’art. 20 del D.lgs. 75/2017 in nulla ha innovato nel rapporto d’impiego di professori e ricercatori universitari.
I.2. – Contro tal statuizione e la circolare n. 3/2017, il dott. -OMISSIS- e consorti si son gravati, con tre distinti ma simili ricorsi, innanzi al TAR Umbria, deducendo in punto di diritto come il citato art. 20 non avesse affatto escluso i ricercatori universitari a tempo determinato da detta procedura di stabilizzazione del precariato, in caso contrario tal norma dovendo esser considerata inficiata da vizi d’illegittimità costituzionale ed eurounitaria (in particolare, per violazione dell’Accordo quadro di cui alla direttiva n. 1999/70/CE).
Il TAR Umbria, con sentenza n. -OMISSIS- del 13 marzo 2019, ha riunito i predetti tre ricorsi e ha rigettato la pretesa del dott. -OMISSIS- e consorti, perché, anche alla luce del parere di questo Consiglio di Stato dell’11 aprile 2017 (affare n. 00423 del 2017), la procedura di cui all’art. 20, co. 1 del D.lgs. 75/2017 costituisce una rilevante eccezione al principio del concorso pubblico, l’inderogabilità del quale è stata sempre sancita dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza del lavoro ed amministrativa. Pertanto detta procedura si deve intendere come uno strumento eccezionale, tant’è che soggiace, oltre ai principi di ragionevolezza e di proporzionalità, ai limiti programmatori e finanziari valevoli per tutto il pubblico impiego. Del resto, l’art. 20, pur se non escludendoli in modo espresso dal novero dei propri destinatari, è comunque inapplicabile ai ricercatori universitari a tempo determinato, il cui rapporto è regolato dalle specifiche norme per l’Università e la ricerca scientifica. Tutto ciò non sconta sospetti d’illegittimità costituzionale o di contrasto con la normativa UE, tant’è che la giurisprudenza della CGUE consente soltanto limitate applicazioni dell’Accordo Quadro al settore della funzione pubblica.
II.1. – Il dott. -OMISSIS- e consorti hanno dunque proposto appelli separati contro la sentenza n. -OMISSIS-/2019, deducendone l’erroneità perché:
A) – a differenza di quanto asserisce il primo Giudice, non è vero che l’art. 20, commi 9 e 10 del D.lgs. 75/2015 annoveri i ricercatori universitari a tempo determinato tra i soggetti comunque esclusi dalla stabilizzazione del precariato —prova ne sia l’art. 29, co. 2, lett. d) del D.lgs. 81/2015, il quale, anzi e nel porre le regole generali sui rapporti di lavoro a tempo determinato, non esclude espressamente i predetti ricercatori universitari di cui all’art. 24, co. 3 della l. 240/2010— e tutto ciò non è smentito né dalla modifica apportata dall’art. 22, co. 16 del D.lgs. 75/2015 all’art. 3 del D.lgs. 165/2001 (precisando tal ultima disposizione, ad avviso degli appellanti, il mero mantenimento di tutte le vigenti norme sul rapporto d’impiego dei docenti e dei ricercatori universitari e l’estraneità di essi al sistema del lavoro subordinato pubblico c.d. “contrattualizzato”), né dalla formulazione del predetto art. 20 (la quale, riferendosi alla possibilità per tali Amministrazioni di assumere precari «a tempo indeterminato» e non soltanto «con contratti a tempo indeterminato», riguarda tutti i precari, pure i pubblici impiegati “non contrattualizzati” e, dunque, i ricercatori universitari a tempo determinato), né dagli atti parlamentari inerenti allo schema di decreto, né, infine, dal divieto di nuove assunzioni di ricercatori a tempo indeterminato (che, in base ai nuovi compiti assegnati loro dall’art. 6 della l. 240/2010, non ne implica affatto la trasformazione del loro ruolo in uno ad esaurimento), risolutivo, quindi, appalesandosi l’incostituzionale eccesso di delega legislativa rinvenibile nel citato art. 22, co. 16 poiché non si rinviene nella legge di delegazione n. 124/2015 alcun’autorizzazione ad ampliare, mercé l’inserzione dei ricercatori a tempo determinato in una di esse, l’ambito delle categorie degli impiegati pubblici a regime di diritto pubblico;
B) – il TAR non ha colto, dichiarando manifestamente infondate le relative censure, come l’art. 20, co. 1 del D.lgs. 75/2015, qualora fosse reputato inapplicabile ai ricercatori a tempo determinato, si porrebbe in contrasto cogli artt. 2 (tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità), 3 (uguaglianza formale e sostanziale di tutti), 4 (riconoscimento a tutti i cittadini del diritto al lavoro, con obbligo per la Repubblica di promuovere le condizioni che rendano effettivo tal diritto), soprattutto a causa del diverso trattamento, ben più favorevole, verso i ricercatori precari in servizio presso gli Enti di ricerca (per i cui rapporti valgono le regole di stabilizzazione), nonostante non si ravvisi alcuna seria differenza tra la loro e l’attività svolta dai predetti ricercatori universitari;
C) – l’esclusione di tali ricercatori a tempo determinato dalla stabilizzazione manifesta la violazione pure dell’art. 9 (per cui la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica) e dell’art. 33, I co., Cost. (libertà delle arti e delle scienze e del loro insegnamento), non potendo essi esercitare pienamente la loro libertà di ricerca a causa della precarietà del rapporto di lavoro, pur se sottoposti a varie prove selettive.
II.2. – Si son costituiti nel giudizio d’appello la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il MIUR, concludendo per l’infondatezza del ricorso in esame. Resiste in giudizio pure l’Università degli studi di Perugia, concludendo per il rigetto dell’appello. All’udienza pubblica del 12 dicembre 2019 e su conforme parere delle parti, i ricorsi in esame sono assunti insieme in decisione dal Collegio.
II.3. – I tre appelli in epigrafe, in quanto rivolti contro la stessa sentenza del TAR e nella misura in cui esprimono censure d’identico tenore, vanno riuniti e contestualmente decisi.
Deve però il Collegio sospendere, allo stato, ogni decisione definitiva sulla controversia.
Per vero, gli appellanti deducono, tra l’altro anche nella memoria conclusiva, l’esistenza di svariati dubbi circa la compatibilità della disciplina dei contratti di ricercatore a tempo determinato previsti dalla l. 240/2010 con il diritto europeo e con la previsione dell’art. 20 del D.lgs. 75/2017, ove detta norma non fosse ritenuta loro applicabile. Sicché, a loro avviso, questo Consiglio dovrebbe operare un rinvio pregiudiziale alla CGUE, sottoponendole il complesso di quesiti enunciati e che formano, come meglio si dirà appresso, oggetto della presente rimessione.
III – Le fonti comunitarie che disciplinano la fattispecie.
IV.1. – L’art. 155 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea prevedeva che:
«1. Il dialogo fra le parti sociali a livello dell’Unione può condurre, se queste lo desiderano, a relazioni contrattuali, ivi compresi accordi.
2. Gli accordi conclusi a livello dell’Unione sono attuati secondo le procedure e le prassi proprie delle parti sociali e degli Stati membri o, nell’ambito dei settori contemplati dall’articolo 153 e, a richiesta congiunta delle parti firmatarie, in base ad una decisione del Consiglio su proposta della Commissione. Il Parlamento europeo è informato. //// Il Consiglio delibera all’unanimità allorché l’accordo in questione contiene una o più disposizioni relative ad uno dei settori per i quali è richiesta l’unanimità a norma dell’articolo 153, paragrafo 2».
V.2. – Su questa base pattizia fu assunta la citata direttiva n. 1999/70/CE, pubblicata nella G.U.C.E. n. L 175 del 10 luglio 1999 ed entrata in vigore lo stesso giorno.
Nei suoi “considerando”, la direttiva precisò, per quanto qui rileva, che:
– (3) il punto 7 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori stabilisce, tra l’altro, che la realizzazione del mercato interno deve portare ad un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunità europea. Tale processo avverrà mediante il ravvicinamento di tali condizioni, che costituisca un progresso, soprattutto per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale, il lavoro interinale e il lavoro stagionale;
– (14) le parti contraenti hanno voluto concludere un accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che stabilisce i principi generali e i requisiti minimi per i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato; hanno espresso l’intenzione di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione, nonché di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato;
– (15) l’atto appropriato per l’attuazione dell’accordo quadro è costituito da una direttiva ai sensi dell’articolo 249 del trattato; tale atto vincola quindi gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, ma lascia ad essi la scelta della forma e dei mezzi.
IV.3. – Ebbene, scopo della direttiva fu, come chiari il suo art. 1, di «… attuare l’accordo quadro (…), che figura nell’allegato, concluso (…) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)». Il successivo art. 2 previde che: «gli Stati membri mettono in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva al più tardi entro il 10 luglio 2001 o si assicurano che, entro tale data, le parti sociali introducano le disposizioni necessarie mediante accordi. Gli Stati membri devono prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione. //// Gli Stati membri possono fruire di un periodo supplementare non superiore ad un anno, ove sia necessario e previa consultazione con le parti sociali, in considerazione di difficoltà particolari o dell’attuazione mediante contratto collettivo. Essi devono informare immediatamente la Commissione di tali circostanze…».
Il contenuto sostanziale della direttiva è racchiuso, stante la sua genesi pattizia, in detto Accordo quadro, di cui si riportano di seguito le norme rilevanti per la presente controversia.
Ai sensi della clausola 1) dell’Accordo quadro, l’obiettivo di quest’ultimo è:
«a) – migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione; b) – creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».
La clausola 2), punto 1, dell’Accordo quadro dispone che: «Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro».
La clausola 3) dell’accordo quadro recita: «1. Ai fini del presente accordo, il termine indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico.
2. Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo indeterminato comparabile” indica un lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze. //// In assenza di un lavoratore a tempo indeterminato comparabile nello stesso stabilimento, il raffronto si dovrà fare in riferimento al contratto collettivo applicabile o, in mancanza di quest’ultimo, in conformità con la legge, i contratti collettivi o le prassi nazionali».
La clausola 4) dell’Accordo quadro («Principio di non discriminazione»), prescrive che: «1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. (…) //// 4. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive».
La clausola 5) dell’Accordo quadro («Misure di prevenzione degli abusi») recita: «1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti…».
IV.4. – La Raccomandazione della Commissione dell’11 marzo 2005 n. 2005/251/CE, riguardante la Carta europea dei ricercatori e un codice di condotta per l’assunzione dei costoro, previde, per quanto qui rileva, nel suo preambolo:
«… – (6) Si dovrebbero introdurre ed attuare nuovi strumenti per lo sviluppo della carriera dei ricercatori, contribuendo in questo modo al miglioramento delle prospettive di carriera per i ricercatori in Europa; … – (9) Gli Stati membri dovrebbero sforzarsi di offrire ai ricercatori dei sistemi di sviluppo di carriera sostenibili in tutte le fasi della carriera, indipendentemente dalla loro situazione contrattuale e dal percorso professionale scelto nella R&S, e impegnarsi affinché i ricercatori vengano trattati come professionisti e considerati parte integrante delle istituzioni in cui lavorano…»
E nelle raccomandazioni, la Commissione precisò che «… 2) Gli Stati membri si impegnino a compiere, laddove necessario, i passi fondamentali per garantire che i finanziatori e i datori di lavori dei ricercatori perfezionino i metodi di assunzione e i sistemi di valutazione delle carriere al fine di istituire un sistema di assunzione e uno sviluppo professionale più trasparenti, aperti, equi e accettati a livello internazionale, come presupposto per un vero mercato europeo del lavoro per i ricercatori…».
IV. – Norme interne d’interesse nella presente controversia.
IV.1. – La legge 30 dicembre 2010 n. 240, recante «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario» (in Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana del 14 gennaio 2011, supplemento ordinario n. 10), nel testo in vigore dal 1° gennaio 2018, all’art. 24 («Ricercatori a tempo determinato»), recita: «1. Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti, le università possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato. Il contratto stabilisce… le modalità di svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti nonché delle attività di ricerca.
2. I destinatari sono scelti mediante procedure pubbliche di selezione disciplinate dalle università con regolamento ai sensi della legge 9 maggio 1989, n. 168, nel rispetto dei principi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori, …e specificamente dei seguenti criteri:
a) pubblicità dei bandi sulla Gazzetta Ufficiale, sul sito dell’ateneo e su quelli del Ministero e dell’Unione europea; specificazione del settore concorsuale e di un eventuale profilo esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari; informazioni dettagliate sulle specifiche funzioni, sui diritti e i doveri e sul relativo trattamento economico e previdenziale; previsione di modalità di trasmissione telematica delle candidature nonché, per quanto possibile, dei titoli e delle pubblicazioni;
b) ammissione alle procedure dei possessori del titolo di dottore di ricerca o titolo equivalente, ovvero, per i settori interessati, del diploma di specializzazione medica, nonché di eventuali ulteriori requisiti definiti nel regolamento di ateneo, con esclusione dei soggetti già assunti a tempo indeterminato come professori universitari di prima o di seconda fascia o come ricercatori, ancorché cessati dal servizio;
c) valutazione preliminare dei candidati, con motivato giudizio analitico sui titoli, sul curriculum e sulla produzione scientifica, ivi compresa la tesi di dottorato, secondo criteri e parametri, riconosciuti anche in ambito internazionale, individuati con decreto del Ministro, sentiti l’ANVUR e il CUN… Sono esclusi esami scritti e orali, ad eccezione di una prova orale volta ad accertare l’adeguata conoscenza di una lingua straniera; l’ateneo può specificare nel bando la lingua straniera di cui è richiesta la conoscenza in relazione al profilo plurilingue dell’ateneo stesso ovvero alle esigenze didattiche dei corsi di studio in lingua estera; la prova orale avviene contestualmente alla discussione dei titoli e delle pubblicazioni. Nelle more dell’emanazione del decreto di cui al primo periodo, si applicano i parametri e criteri di cui al decreto del Ministro adottato in attuazione dell’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1;
d) formulazione della proposta di chiamata da parte del dipartimento con voto favorevole della maggioranza assoluta dei professori di prima e di seconda fascia e approvazione della stessa con delibera del consiglio di amministrazione.
3. I contratti hanno le seguenti tipologie:
a) contratti di durata triennale prorogabili per soli due anni, per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con decreto del Ministro; i predetti contratti possono essere stipulati con il medesimo soggetto anche in sedi diverse;
b) contratti triennali, riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti di cui alla lettera a), ovvero che hanno conseguito l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore di prima o di seconda fascia di cui all’articolo 16 della presente legge, ovvero che sono in possesso del titolo di specializzazione medica, ovvero che, per almeno tre anni anche non consecutivi, hanno usufruito di assegni di ricerca ai sensi dell’articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, o di assegni di ricerca di cui all’articolo 22 della presente legge, o di borse post-dottorato ai sensi dell’articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398…
4. I contratti di cui al comma 3, lettera a), possono prevedere il regime di tempo pieno o di tempo definito. I contratti di cui al comma 3, lettera b), sono stipulati esclusivamente con regime di tempo pieno. …
5. Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, nel terzo anno di contratto di cui al comma 3, lettera b), l’università valuta il titolare del contratto stesso, che abbia conseguito l’abilitazione scientifica di cui all’articolo 16, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera e). In caso di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato nel ruolo dei professori associati…
6. Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 18, comma 2, dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino al 31 dicembre dell’ottavo anno successivo, la procedura di cui al comma 5 può essere utilizzata per la chiamata nel ruolo di professore di prima e seconda fascia di professori di seconda fascia e ricercatori a tempo indeterminato in servizio nell’università medesima, che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica di cui all’articolo 16…».
IV.2. – Con la legge 7 agosto 2015 n. 124 («Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 187 del 13 agosto 2015), son state dettate regole di delegazione legislativa pure sul riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche.
A ciò hanno provveduto in particolare l’art. 16, commi 1, lett. a) e 2, lettere b), c), d) ed e) e l’art. 7, co. 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), Per quanto qui interessa, l’art. 17, co. 1, tra i criteri di delega, stabilisce, rispettivamente alle lettere a) ed o) la «… a) previsione nelle procedure concorsuali pubbliche di meccanismi di valutazione finalizzati a valorizzare l’esperienza professionale acquisita da coloro che hanno avuto rapporti di lavoro flessibile con le amministrazioni pubbliche…; … o) disciplina delle forme di lavoro flessibile, con individuazione di limitate e tassative fattispecie, caratterizzate dalla compatibilità con la peculiarità del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e con le esigenze organizzative e funzionali di queste ultime, anche al fine di prevenire il precariato…».
IV.3. – In attuazione di tal delega, è intervenuto il decreto legislativo 25 luglio 2017 n. 75, (in Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana n. 130 del 7 giugno 2017), il quale reca varie modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 (ossia il Testo unico organico sul lavoro subordinato alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni).
L’art. 20 («Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni») del D.lgs. 175/2017 tra l’altro prevede, nel testo in vigore dal 1° gennaio 2018, che: «1. Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione…; b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali …; c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione… che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni. …
3. Ferme restando le norme di contenimento della spesa di personale, le pubbliche amministrazioni, nel triennio 2018-2020, ai soli fini di cui ai commi 1 e 2, possono elevare gli ordinari limiti finanziari per le assunzioni a tempo indeterminato previsti dalle norme vigenti, al netto delle risorse destinate alle assunzioni a tempo indeterminato per reclutamento tramite concorso pubblico, utilizzando a tal fine le risorse previste per i contratti di lavoro flessibile, nei limiti di spesa di cui all’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 20 luglio 2010, n. 122…<