Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 marzo 2014, n. 1082

Diniego nulla osta trasferimento da università straniera-Legittimità test preselettivo

Data Documento: 2014-03-10
Area: Giurisprudenza
Massima

L’ordinamento comunitario garantisce- a talune condizioni- il riconoscimento dei soli titoli di studio e professionali e non anche delle mere procedure di ammissione (in alcune modo armonizzate a livello comunitario). Del resto, lo stesso art. 149 TCE (ora art. 165 T. Lisbona) esclude qualunque forma di armonizzazione delle disposizioni nazionali in tema di percorsi formativi, demandando alla Comunità il limitato compito di promuovere azioni di incentivazione e raccomandazioni.
 
A differenza del riconoscimento delle qualifiche professionali, disciplinato a livello comunitario dalla direttiva 2005/36/CE (recepita nell’ordinamento nazionale con decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 206), il c.d. riconoscimento accademico, il quale consente al possessore di un diploma di continuare gli studi o di avvalersi di un titolo accademico in un altro stato membro, non conosce, allo stato attuale dell’evoluzione del diritto comunitario, misure di armonizzazione o di riavvicinamento delle legislazioni e resta interamente rimesso alle scelte normative dei singoli Stati membri. Se ciò è vero per il predetto riconoscimento accademico, a maggior ragione è vero in relazione ai corsi di laurea e l’individuazione dei presupposti e delle condizioni per l’accesso agli anni dei corsi di laurea successivi al primo.

Contenuto sentenza

N. 01082/2014REG.PROV.COLL.
N. 07417/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso r.g.a.n. 7417 del 2012, proposto da Salvatore Bellantone, rappresentato e difeso dall’avv. Umberto Cantelli, con domicilio eletto presso lo studio legale [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] &Partners, in Roma, via S. [#OMISSIS#] D’Aquino, 47; 
contro
il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del ministro in carica, e l’Università degli studi Magna Graecia di Catanzaro, in persona del rettore in carica, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
per la riforma
della sentenza del T.a.r. Calabria, Catanzaro, sezione II, n. 906/2012, resa tra le parti e concernente il diniego di trasferimento di uno studente presso l’Università degli studi Magna Graecia di Catanzaro, perché proveniente da ateneo non italiano, con le connesse richieste risarcitorie.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati, con tutti gli atti e i documenti di causa.
Visti gli atti di costituzione in giudizio del M.i.u.r. e dell’Università Magna Graecia appellati.
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2014, il Consigliere di Stato [#OMISSIS#] SCOLA e uditi, per le parti, l’avvocato Umberto Cantelli e l’avvocato dello Stato [#OMISSIS#] Vittoria [#OMISSIS#].
Ritenuto e considerato, in fatto e diritto, quanto segue:
FATTO
A) Salvatore Bellantone, iscritto al corso di laurea in odontoiatria presso la facoltà di medicina, farmacia e medicina dentale dell’Università West University “Vasile Goldis” di Arad (Romania), nei termini prescritti presentava domanda di nulla osta per il trasferimento nei posti rimasti vacanti presso l’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro, nel corso di laurea in odontoiatria e protesi dentale.
Con deliberazione del 26 ottobre 2011 del Consiglio di facoltà veniva rigettata l’istanza di trasferimento del ricorrente, in quanto proveniente da un ateneo straniero e senza aver superato le prove di accesso al corso di laurea in odontoiatria (né chiesto di sottoporvisi).
L’interessato proponeva dunque ricorso, chiedendo l’annullamento di tale deliberazione del 26 ottobre 2011 del Consiglio di facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, con cui era stata respinta la sua istanza di trasferimento, l’accertamento del suo diritto ad ottenere il trasferimento al III anno del corso di laurea in odontoiatria e protesi dentaria dell’Università Magna Graecia di Catanzaro ed il risarcimento di tutti i danni derivanti dall’impugnato diniego d’iscrizione, come pure la condanna in forma specifica (ex art. 30, comma 2, c.p.a.) delle amministrazioni intimate all’adozione del relativo provvedimento di ammissione al citato corso di laurea, nonché, comunque, in via subordinata, al pagamento delle relative somme, con interessi e rivalutazione monetaria.
B) Egli deduceva:
1) violazione degli artt. 7 e ss. e 18, legge n. 241/1990, dato che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo, in quanto adottato in assenza di preavviso procedimentale;
2) violazione dell’art 2, legge 11 luglio 2002 n. 148, della Convenzione relativa al riconoscimento dei titoli di studio superiori nella regione europea, sottoscritta a Lisbona l’11 aprile 1997, come pure dell’art. 31, d.lgs. 9 novembre 2007 n. 206, concernente il riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché dell’art. 3, legge 2 agosto 1999 n. 264, in materia di accesso ai corsi universitari.
La motivazione del provvedimento impugnato sarebbe errata, essendo basata sulla programmazione nazionale delle immatricolazioni e, quindi, sulla competenza ministeriale quanto alla gestione delle stesse.
La vigente normativa europea prevederebbe la competenza delle Università, nell’ambito della loro autonomia ed in conformità ai rispettivi ordinamenti, in relazione alle valutazioni di equivalenza per il riconoscimento dei cicli e dei periodi di studio svolti all’estero e dei titoli di studio stranieri; secondo la giurisprudenza, il mancato superamento del concorso di ammissione presso un ateneo italiano non sarebbe ostativo al trasferimento presso la facoltà di medicina e chirurgia di un’Università italiana, non essendovi un espresso divieto in rapporto ai trasferimenti degli studenti iscritti ad Università appartenenti ad altri Stati ed in quanto il rispetto del numero programmato nazionale andrebbe rapportato al solo primo anno del corso di laurea, mentre il diniego di trasferimento sarebbe contrario al principio di libertà di circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati comunitari: la legge n. 264 del 2 agosto 1999 dispone l’obbligatorietà dei test di ammissione per chi effettui l’iscrizione al primo anno dei corsi universitari in essa disciplinati e non anche per chi abbia intenzione di trasferirsi da un’Università estera ad una nazionale.
C) Secondo la giurisprudenza comunitaria le condizioni di accesso alla formazione professionale, in cui andrebbe compresa l’istruzione universitaria, rientrerebbero nel campo di applicazione del T.f.U.e., non essendo possibile applicare alcun tipo di discriminazione nei confronti degli studenti comunitari provenienti da Atenei dell’Unione.
Per il caso di non accoglimento della domanda principale di annullamento del diniego, il ricorrente, in via subordinata, chiedeva la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno in forma specifica, mediante ammissione al corso di laurea e, sempre in via subordinata, la sua condanna al risarcimento dei danni per equivalente.
Si costituiva in giudizio l’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro, resistendo al ricorso, mentre veniva accolta l’istanza cautelare proposta da Salvatore Bellantone.
D) Il ricorso veniva poi respinto nel merito, dato che il tradizionale orientamento maggioritario, negante l’obbligo della comunicazione di avvio per i procedimenti sorti ad istanza di parte, non veniva abbandonato, pur a seguito dell’introduzione, ad opera della legge 11 febbraio 2005 n. 15, della norma di cui alla lettera c) –ter del secondo comma dell’art. 8, legge n. 241/1990, secondo cui, nei procedimenti avviati ad iniziativa di parte, nel preavviso dev’essere indicata la data di presentazione della relativa istanza.
Tale previsione, che a parere di alcuni avrebbe definitivamente consacrato l’obbligo dell’invio della comunicazione di avvio, anche nei procedimenti incardinati ad istanza di parte, ben potrebbe essere riferita, infatti, ad altri soggetti diversi dall’istante che, in tale categoria di procedimenti, dovrebbero essere destinatari della comunicazione di avvio, a norma dell’art. 7, legge n. 241/1990.
La norma in discorso, quindi, non toglierebbe fondamento all’argomento per cui la comunicazione nei confronti dell’istante costituirebbe un inutile aggravamento procedimentale, dato che lui aveva certamente avuto conoscenza dell’esistenza dello stesso, onde detto preavviso avrebbe costituito una mera duplicazione di formalità (cfr. C.S., sezione V, sent. 8 settembre 2003 n. 5034).
E) Le censure di cui al secondo motivo facevano leva su una serie di precedenti giurisprudenziali che, nell’ottica essenzialmente dei princìpi europei di libera circolazione e soggiorno e di non discriminazione dei cittadini comunitari, hanno affermato che, ai fini del trasferimento in università italiane di studenti provenienti da atenei di Paesi comunitari, non costituirebbe elemento ostativo il mancato superamento delle prove selettive per l’accesso al primo anno di corso, sostenute presso un’università italiana.
Il T.a.r. di Catanzaro, anche alla luce della giurisprudenza del giudice d’appello (cfr. C.S., sezione VI, sent. 10 aprile 2012 n. 2063), riteneva le argomentazioni del Bellantone non fondate e ne respingeva il ricorso, con sentenza poi impugnata dal medesimo, che sostanzialmente riprospettava le stesse doglianze già dedotte in prima istanza.
Il Ministero e l’Università appellati si costituivano in giudizio e resistevano al gravame.
All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione.
DIRITTO
I) L’appello è infondato e va respinto, dovendosi condividere le argomentazioni del primo giudice, come di seguito sintetizzate dal collegio, sulla falsariga della richiamata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, per cui (anche ad ammettere l’equipollenza fra il corso di studi frequentato in Romania dall’appellato e l’omologo corso di studi italiano), l’ordinamento comunitario garantisce – a talune condizioni – il riconoscimento dei soli titoli di studio e professionali e non anche delle mere procedure di ammissione (in alcun modo armonizzate al livello comunitario).
Del resto, lo stesso art. 149 T.f.U.e. (divenuto art. 165 con il Trattato di Lisbona) esclude qualunque forma di armonizzazione delle disposizioni nazionali in tema di percorsi formativi, demandando all’Unione il limitato compito di promuovere azioni d’incentivazione e raccomandazioni.
Se ne deduce che:
– una cosa è il riconoscimento delle qualifiche professionali, disciplinato al livello comunitario dalla direttiva 2005/36/U.e. (recepita nell’ordinamento nazionale con d.lgs. 6 novembre 2007 n. 206);
– ben altra cosa è il c.d. ‘riconoscimento accademico’, il quale consente al possessore di un diploma di continuare gli studi o di avvalersi di un titolo accademico in un altro Stato membro; questo secondo tipo di riconoscimento non conosce, allo stato attuale dell’evoluzione del diritto comunitario, misure di armonizzazione o di ravvicinamento delle legislazioni e resta interamente rimesso alle scelte normative dei singoli Stati membri e se ciò è vero per il c.d. ‘riconoscimento accademico’ in senso proprio, a maggior ragione è vero in relazione alle previsioni (che qui vengono in rilievo) di cui alla legge n. 264/1999, circa l’accesso ai corsi di laurea e l’individuazione dei presupposti e delle condizioni per l’accesso agli anni dei corsi di laurea successivi al primo;
– lo stesso articolo 149 del T.f.U.e. si limita a fissare quale obiettivo meramente tendenziale dell’operato dell’Unione quello di favorire la mobilità degli studenti e di promuovere il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio; tuttavia, lo stesso articolo 149, comma 4, chiarisce che l’azione dell’Unione europea si limita all’adozione di mere ‘azioni d’incentivazione’, “ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri”.
D’altra parte, il medesimo comma 4, al secondo trattino, stabilisce che, in subjecta materia, le istituzioni comunitarie possano, altresì, adottare raccomandazioni (annoverate fra gli atti non vincolanti degli Organi comunitari).
II) La norma di riferimento in materia d’istruzione, a livello comunitario, è quella di cui all’art. 165 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il cui primo comma prevede che “L’Unione contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità, incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione, nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche… .”.
Il secondo comma prevede, tra l’altro, che l’azione dell’Unione è intesa “a favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti, promuovendo tra l’altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio”.
Il quarto comma, infine, dispone che, per contribuire alla realizzazione degli obiettivi previsti dallo stesso articolo, “…il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando in conformità della procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, adottano azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri”.
Tra gli obiettivi del legislatore comunitario vi sono quelli di favorire la mobilità degli studenti e promuovere il riconoscimento accademico, non solo dei diplomi, ma anche dei periodi di studio.
Le previsioni in parola non si traducono, però, in previsioni vincolanti per gli Stati membri, ponendo essi, come affermato nella citata sentenza del Consiglio di Stato, degli obiettivi meramente tendenziali.
Il quarto comma dell’art. 165 sopra richiamato afferma espressamente, infatti, che gli organi dell’Unione devono intraprendere delle azioni d’incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri: ciò implica che, come peraltro specificato nel primo comma dell’art. 165, pur essendovi un obiettivo di omogeneizzazione, restano ferme le specifiche responsabilità dei singoli Stati in materia, tra l’altro, di organizzazione dell’istruzione.
III) Ne consegue che devono trovare applicazione le norme che, in rapporto, tra l’altro, ai corsi di laurea in odontoiatria, prevedono la programmazione a livello nazionale (v. art. 1, legge 2 agosto 1999 n. 264) e il conseguente svolgimento presso Università italiane delle prove selettive per l’ammissione al primo anno di corso della facoltà, nei limiti dei posti predeterminati ai sensi dell’art. 3, legge n. 264/1999: non potrebbe condividersi in alcun modo l’argomento (fondato su un’imperscrutabile ratio) secondo cui le norme di cui alla legge ora menzionata imporrebbero il superamento delle prove di accesso solo in rapporto all’iscrizione al primo anno di corso e non per quanto attiene all’iscrizione agli anni successivi, come richiesto con l’istanza di nulla osta.
È fin troppo agevole osservare come una tale interpretazione consentirebbe una facile elusione delle norme tendenti ad attuare una programmazione nazionale per i corsi di laurea per i quali sia prevista la prova selettiva.
Le censure mosse dall’originario ricorrente (e soccombente) Salvatore Bellantone risultavano, pertanto, condivisibilmente da disattendere (ciò che il primo giudice faceva, compensando tutti gli oneri processuali di prime cure, con correlativa ritenuta infondatezza delle domande di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno in forma specifica e per equivalente, formulate sulla base dell’assunto della (peraltro, non provata) illegittimità dell’atto impugnato.
Come già posto in luce, il Bellantone impugnava detta pronuncia (di cui il giudice d’appello non sospendeva l’esecuzione: v. ordinanza della sezione VI n. 514/2013), senza neppure chiedere di essere sottoposto ai discussi test preselettivi, ma solo sostanzialmente riproponendo le medesime doglianze già dedotte in prime cure e depositando note d’udienza e nota 22 gennaio 2013 prot. 512/st dell’Università di Catanzaro, attestanti la sussistenza di posti disponibili per il corso di laurea in questione, donde la possibile immatricolazione dell’attuale appellante, altrimenti esposto asseritamente a gravi conseguenze e danni.
IV) Alla luce delle risultanze processuali, il presente gravame non può avere [#OMISSIS#] sorte di quello di prima istanza, per le considerazioni appena esposte nella narrativa che precede, nel pieno rispetto della disciplina europea e di quella nazionale, nonché nell’ottica di non vanificare la programmazione interna dell’accesso alle facoltà accademiche caratterizzate da una previsione di necessario contenimento del medesimo, in rapporto alle risorse disponibili ed ai prevedibili sbocchi professionali (individuati mediante insindacabili scelte di merito amministrativo), per cui, conclusivamente, l’appello non può che essere rigettato, con salvezza dell’impugnata sentenza e degli atti gravati in primo grado, mentre gli oneri processuali di seconda istanza possono interamente compensarsi per giusti motivi tra le parti costituite in giudizio, tenuto anche conto della peculiare natura della controversia.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione VI, respinge l’appello r.g.n. 7417/2012 e compensa tutti gli oneri processuali di secondo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2014, con l’intervento dei giudici:
[#OMISSIS#] Scola, Presidente FF, Estensore
[#OMISSIS#] Meschino, Consigliere
[#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] Mosca, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)