Nei giudizi per la conferma in ruolo in qualità di ricercatore universitario, nel rapporto tra l’attività didattica e l’attività di ricerca, anche a voler riconoscere, per mera ipotesi, un sistema di compensazione, questo non potrebbe comportare giammai una prevalenza dell’attività didattica sull’attività di ricerca (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2013 n. 4903). Ciò in quanto:
– per un verso, l’art. 31, comma 2, d.p.r. 11 luglio 1980, n. 382, definisce l’attività didattica “integrativa”, ossia attività di complemento dell’attività di ricerca;
– sotto altro profilo la ratio del procedimento di conferma, che emerge dalla lettura delle disposizioni che disciplinano l’istituto, mira a verificare l’idoneità del ricercatore alla successiva attività che aspira a svolgere stabilmente e che non consiste certo nella mera intensità quantitativa della ricerca, ma anche – se non soprattutto – nella sua valenza qualitativa, con la conseguenza che, a ragione, nel caso di specie la commissione si è fondata anche su tale aspetto.
Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 giugno 2019, n. 4201
Ricercatori a tempo indeterminato-Conferma-Attività di ricerca-Valutazione commissione
N. 04201/2019 REG.PROV.COLL.
N. 08900/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8900 del 2017, proposto dalla la signora [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, via Principessa [#OMISSIS#], n. 2;
contro
– UNICUSANO, Università degli Studi [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Telematica Roma, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e domiciliata presso la segreteria della Sezione sesta del Consiglio di Stato in Roma, [#OMISSIS#] Capo di [#OMISSIS#], n. 13;
– il Ministero dell’istruzione, dell’università e delle ricerca, in persona del Ministro pro tempore, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sez. III, 7 luglio 2017 n. 8053, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio della università Unicusano;
Esaminate le memorie e gli ulteriori atti depositati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del 21 giugno 2018 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti gli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con ricorso in appello la dottoressa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sez. III, 7 luglio 2017 n. 8053, con la quale è stato respinto il ricorso (R.G. n. 59/2016) da lei proposto per ottenere l’annullamento del decreto rettorale n. 1165 del 18 gennaio 2016 con il quale la Università degli Studi [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]-Telematica Roma ha disposto nei suoi confronti la cessazione dal ruolo dei ricercatori universitari, oltre [#OMISSIS#] atti e provvedimenti ad esso presupposti tra i quali, in particolare, il verbale del Comitato tecnico organizzatore della università Unicusano del 21 gennaio 2015 ed il verbale della commissione giudicatrice nazionale per la conferma in ruolo dei ricercatori universitari del 23 novembre 2015.
2. – Per come si legge [#OMISSIS#] parte descrittiva della sentenza qui fatta oggetto di appello, alla quale fa rinvio la odierna appellante nell’atto di gravame, era avvenuto che:
– la dottoressa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] veniva nominata ricercatore universitario presso la università Unicusano con decreto rettorale 1 ottobre 2009 n. 127 per il settore scientifico-disciplinare L-LIN/12 – Settore concorsuale 10/L1 – Lingue, letterature e culture [#OMISSIS#] e anglo americana per le esigenze del Corso di Studio in Scienze Politiche;
– nel corso del rapporto con la predetta università la ricercatrice era sottoposta ad un primo giudizio di conferma in ruolo ai sensi dell’art. 31 d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 e la commissione giudicatrice nazionale per la conferma in ruolo dei ricercatori universitari esprimeva giudizio negativo, sicché la sua posizione era sottoposta alla valutazione del Comitato tecnico organizzatore della università Unicusano che, in data 21 gennaio 2015, confermava l’avviso sfavorevole rispetto alla conferma in ruolo della dottoressa [#OMISSIS#];
– tale decisione era accompagnata dalla seguente motivazione: “nel corso del biennio la dott. [#OMISSIS#] ha realizzato una sola pubblicazione e, quindi, l’attività scientifica appare limitata. Ha svolto un’attività didattica di equivalente livello nell’ambito dell’insegnamento di Lingua e traduzione [#OMISSIS#] di cui è stata titolare nell’anno accademico 2013/2014. Quanto esposto unito ad una modesta partecipazione alla [#OMISSIS#] e alla crescita dell’Ateneo, non consente di esprimere un parere positivo sull’attività posta in essere”;
– seguiva la nuova valutazione da parte della commissione nazionale per la conferma in ruolo dei ricercatori universitari che confermava il giudizio sfavorevole in quanto: “la Commissione unanime, valutati i contenuti scientifici delle pubblicazioni esibite e preso atto della relazione presentata e del parere della Facoltà di appartenenza, esprime giudizio: contrario alla conferma nel ruolo dei ricercatori universitari della dottoressa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]”;
– in conseguenza dei giudizi negativi di cui sopra la università Unicusano, con decreto rettorale n. 1165 del 18 gennaio 2016, disponeva la cessazione della dottoressa [#OMISSIS#] dal ruolo dei ricercatori universitari;
– a questo punto, in data 25 febbraio 2016, la dottoressa [#OMISSIS#] inoltrava un’istanza alla università Unicusano, che veniva trasmessa per conoscenza anche al Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, chiedendo che venissero avviate “le procedure di cui al combinato disposto degli artt. 31, 4° comma, e 120, d.P.R. n. 382/80”;
– in realtà l’avvio della procedura (all’insaputa della dottoressa [#OMISSIS#], secondo quanto la stessa ha dichiarato negli atti depositati nel presente giudizio e per come è riferito [#OMISSIS#] sentenza qui oggetto di appello) era (già) stato autonomamente effettuato dalla università Unicusano attraverso una nota con richiesta di chiarimenti del 29 dicembre 2015 trasmessa al Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, alla quale il Ministero aveva risposto (con nota 14 gennaio 2016 prot. n. 487) segnalando che l’art. 5, comma 9, l. 537/1993 attribuisce alle università competenze in materia di stato giuridico dei professori e ricercatori universitari, sicché la procedura prevista dall’art. 120 del d.P.R. 382/1980 rientra nelle competenze dell’amministrazione universitaria di appartenenza del ricercatore universitario e che, nelle more del perfezionamento del passaggio ad altra amministrazione, l’interessato è mantenuto in servizio [#OMISSIS#] qualifica e [#OMISSIS#] sede di appartenenza e continua ad aver diritto al trattamento economico in godimento che deve essere corrisposto dall’Ateneo, concludendo nel senso che l’università avrebbe quindi dovuto avviare i necessari contatti con il Dipartimento della funzione pubblica;
– da [#OMISSIS#] il consiglio di amministrazione della università Unicusano, [#OMISSIS#] seduta del 18 luglio 2016, disponeva di far cessare dal ruolo la dottoressa [#OMISSIS#] a far data dal 30 ottobre 2016.
3. – La predetta dottoressa proponeva quindi ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con il quale sosteneva la illegittimità del decreto (di cessazione dal ruolo dei ricercatori) rettorale impugnato in quanto (come si legge [#OMISSIS#] parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello): patologicamente colpito dai seguenti vizi:
– la commissione nazionale era tenuta a valutare sia l’attività didattica che l’attività scientifica della ricercatrice e invece l’attività didattica non è stata resa oggetto della benché minima considerazione;
– i tre giudizi dei commissari sono sorprendentemente identici e la circostanza che tutti e tre i commissari abbiano impiegato le stesse, identiche parole è già di per sé significativo dell’assoluto difetto di istruttoria;
– il parere del comitato tecnico organizzatore fa contraddittoriamente riferimento allo svolgimento un’attività didattica “limitata” sebbene la valutazione ineriva all’insegnamento del corso di lingua e traduzione [#OMISSIS#] di 9 CFU, pari a non meno di 63 ore di lezione frontale, oltre al fatto che , come emerge dalla relazione presentata dalla ricercatrice, l’insegnamento de quo le è stato affidato anche per l’anno accademico 2014/2015, oltre che per il precedente, sicché se il giudizio in ordine all’anno accademico precedente fosse stata insufficiente, l’Ateneo non le avrebbe rinnovato l’affidamento dello stesso corso per il secondo anno accademico consecutivo;
– ciascuno dei tre commissari non ha valutato negativamente la produzione scientifica della dottoressa [#OMISSIS#] per i contenuti, ma esclusivamente per la brevità della pubblicazione prodotta, consistente in un lavoro di 42 pagine dal titolo “Self-presentation strategies and the construction of identity in NGO websites: a phraseological approach”, omettendo dunque di svolger la indispensabile valutazione in merito ai contenuti scientifici del lavoro nonché, più in generale, alla sua qualità scientifica;
– in tale contesto di insufficiente metodo valutativo, anche la mera notazione secondo cui la collocazione editoriale del lavoro è riferita ad un periodico nazionale non vale a spiegare per quale ragione quel lavoro non sarebbe idoneo a connotare positivamente il percorso di studi e i nuovi itinerari di ricerca che, almeno due commissari su tre, evidenziano come intrapresi dalla ricercatrice, la quale, [#OMISSIS#] relazione presentata, aveva spiegato che l’intrapresa di un nuovo itinerario di ricerca aveva implicato un impegno rilevante in termini di studio teorico non immediatamente spendibile in produzione scientifica;
– ad estendere il quadro deficitario della valutazione effettuata nei confronti dell’attività svolta dalla ricercatrice deve poi sottolinearsi come la commissione abbia fatto proprio un criterio di valutazione esclusivamente “numerico” delle pubblicazioni presentate, elemento che mai era stato indicato quale criterio di valutazione [#OMISSIS#] predeterminazione delle regole di valutazione da parte della commissione medesima.
4. – Il Tribunale amministrativo regionale riteneva infondati i motivi di ricorso dedotti dalla dottoressa [#OMISSIS#].
Dopo avere rammentato le disposizioni normative che disciplinano il percorso della procedura di conferma dei ricercatori universitari dopo il primo triennio dalla data di immissione in ruolo, il [#OMISSIS#] di primo grado ha ribadito la presenza di una significativa interpretazione giurisprudenziale tesa a limitare l’ampiezza del sindacato del [#OMISSIS#] amministrativo in materia, non allontanandosi da tale orientamento, rammentando quindi che nell’ambito del giudizio di valutazione in questione l’idoneità del ricercatore deve assumere un livello di conferma sia con riguardo al versante scientifico che con riferimento alla capacità didattica “senza alcuna possibilità di compensazione fra i due [#OMISSIS#] in [#OMISSIS#] di riconosciuta carenza di uno dei due” (così, testualmente, a pag. 7 della sentenza qui oggetto di appello).
Sulla scorta di tali considerazioni preliminari il [#OMISSIS#] di primo grado ha ritenuto di valorizzare la documentata presenza di due giudizi negativi consecutivi (dopo il primo triennio e nel corso del successivo biennio) a carico della ricercatrice e con riferimento all’attività didattica dalla stessa svolta rispetto ai quali le osservazioni sviluppate negli atti processuali dalla ricercatrice non sono apparse idonee a decretare la illogicità della valutazione della commissione. Quanto alle espressioni identiche utilizzate dai commissari nell’ambito della procedura di valutazione, tale circostanza non può ritenersi idonea a comprovare la carenza di istruttoria lamentata dalla ricercatrice.
Da [#OMISSIS#] il Tribunale amministrativo ha sottolineato come la commissione non abbia fondato il proprio negativo giudizio sulla mera circostanza che la dottoressa [#OMISSIS#] aveva presentato una sola pubblicazione nazionale, avendo la medesima commissione rilevato lo scarso pregio scientifico della stessa.
5. – Nei confronti della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha interposto appello la dottoressa [#OMISSIS#] precisando che erroneamente il [#OMISSIS#] di primo grado ha ritenuto integra e sufficiente l’istruttoria svolta [#OMISSIS#] il procedimento di valutazione, posto che la commissione nazionale nei giudizi assume di avere “verificato” l’attività didattica svolta dalla ricercatrice, ma non dimostra di avere “valutato” l’attività sviluppata dalla medesima e che il comitato tecnico ha espresso il suo giudizio sfavorevole all’esito di una istruttoria significativamente lacunosa e travisando gli elementi a propria disposizione.
Nell’appello proposto la dottoressa [#OMISSIS#] ribadisce che il giudizio si incentra su due elementi di fatto che dimostrano l’illegittimità delle valutazioni operate:
1) la commissione non ha effettuato alcuna valutazione propria sull’attività didattica svolta dalla ricercatrice, limitandosi a riferirsi – con mera motivazione per relationem – al giudizio negativo espresso sul punto dal comitato tecnico;
2) sia la commissione che il comitato tecnico hanno espresso un giudizio sfavorevole sull’attività scientifica prodotta nell’arco temporale di riferimento dalla dottoressa [#OMISSIS#] fondandolo sul mero riferimento quantitativo dei lavori svolti, in quanto limitati ad una sola pubblicazione.
In conclusione, ad avviso della appellante, “La tecnica impiegata dalla Commissione, quindi, contrasta con la ratio dell’art.31 del d.P.R. 382/80 e, più in generale, con ogni principio in materia di valutazione in ambito scientifico ai fini dell’inquadramento nei ruoli accademici” sicché “Dalla lettura dei verbali impugnati, sia del CTO che della Commissione nazionale, non è dato sapere per quale motivo, a fronte di un’attività didattica che non è stata valutata negativamente dallo stesso CTO, e dalla Commissione nazionale non è stata affatto valutata, l’attività scientifica, consistita principalmente – ma non solo – [#OMISSIS#] allegazione del lavoro dal titolo “Self-presentation strategies and the construction of identity in NGO websites: a phraseological approach”, sarebbe risultata inadeguata alla conferma in ruolo della dott.ssa [#OMISSIS#]”; e tutto ciò senza tenere in alcuna considerazione quanto la dottoressa [#OMISSIS#] aveva riferito nell’ambito della relazione prodotta al fine di chiarire ai suoi valutatori che l’intrapresa di un nuovo itinerario di ricerca ha implicato “un impegno rilevante in termini di studio teorico non immediatamente spendibile in produzione scientifica.” (i virgolettati sono tratti da pag. 10 dell’atto di appello).
In ragione di quanto sopra la appellante chiedeva la riforma della sentenza gravata.
6. – Nel silenzio processuale del Ministero intimato, si costituiva in giudizio la università Unicusano confermando la correttezza della valutazione operata dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio dei motivi di ricorso dedotti in primo grado
La università appellata chiedeva, quindi, la reiezione del gravame.
Seguiva la produzione di memorie nelle quali le parti confermavano le già rassegnate conclusioni.
7. – Come è noto, la [#OMISSIS#] rilevante nel [#OMISSIS#] di specie è costituita dall’art. 31 d.P.R. 11 luglio 1980, n, 382, a mente della quale “i ricercatori universitari, dopo tre anni dall’immissione in ruolo, sono sottoposti ad un giudizio di conferma da parte di una commissione nazionale composta, per ogni raggruppamento di discipline, da tre professori di ruolo, di cui due ordinari e uno associato, estratti a sorte su un numero triplo di docenti designati dal Consiglio universitario nazionale, tra i docenti del gruppo di discipline. La commissione valuta l’attività scientifica e didattica integrativa svolta dal ricercatore nel triennio anche sulla base di una motivata relazione del Consiglio di facoltà o del dipartimento”.
Nel [#OMISSIS#] di specie la motivazione posta a fondamento del decreto di mancata conferma appare, in via di diritto, coerente con riferimento al dato normativo e, in via di fatto, imposta dal percorso scientifico-didattico sviluppato dalla ricercatrice nell’arco temporale soggetto alla valutazione.
In via preliminare merita di essere chiarito che in ragione della previsione normativa, di cui sopra, il giudizio in ordine all’attività scientifica e didattica integrativa svolta dal ricercatore nel triennio è espresso dalla commissione nazionale sulla scorta di una motivata relazione del Consiglio di facoltà o del dipartimento. Ne deriva che tutte le censure dedotte in sede di appello attraverso le quali si contesta una sorta di “appiattimento” del giudizio della commissione sul parere (sfavorevole) espresso dal comitato tecnico della università, non meritano accoglimento giacché è proprio la [#OMISSIS#] a consentire alla commissione, qualora non ritenga di discostarsene per una qualche ragione, di fondare il proprio giudizio su quanto già rilevato dall’organo della università presso la quale è dipendente il ricercatore, come è avvenuto nel [#OMISSIS#] in esame.
Quanto poi al contenuto del giudizio che deve essere espresso nell’ambito della procedura in questione, la giurisprudenza della Sezione, con orientamento che non si ha motivo per non condividere, ha già avuto modo di evidenziare come nei giudizi per la conferma in ruolo in qualità di ricercatore universitario, nel rapporto tra l’attività didattica e l’attività di ricerca, anche a voler riconoscere, per mera ipotesi, un sistema di compensazione, questo non potrebbe comportare giammai una prevalenza dell’attività didattica sull’attività di ricerca (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2013 n. 4903). Ciò in quanto:
– per un verso, l’art. 31, comma 2, d.P.R. 382/1980 definisce l’attività didattica “integrativa”, ossia attività di complemento dell’attività di ricerca;
– sotto altro profilo la ratio del procedimento di conferma, che emerge dalla lettura delle disposizioni che disciplinano l’istituto, mira a verificare l’idoneità del ricercatore alla successiva attività che aspira a svolgere stabilmente e che non consiste [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] mera intensità quantitativa della ricerca, ma anche – se non soprattutto – [#OMISSIS#] sua [#OMISSIS#] qualitativa, con la conseguenza che, a ragione, nel [#OMISSIS#] di specie la commissione si è fondata anche su tale aspetto.
Dall’analisi della documentazione versata in atti, emerge come il giudizio della commissione abbia preso in esame l’attività didattica svolta dalla ricercatrice che nel corso dell’anno accademico di riferimento non ha segnato incrementi e miglioramenti o modifica di intensità rispetto all’anno accademico precedente e tale “sovrapponibilità” dell’attività didattica svolta, con tutta evidenza, è stata giudicata insufficiente, perché priva di sintomi di incremento e di miglioramento, accompagnata poi dalla riscontrata “modesta partecipazione alla [#OMISSIS#] e alla crescita dell’Ateneo”.
Pare evidente che la valutazione non positiva in ordine all’attività didattica svolta dalla ricercatrice, espressa dal comitato tecnico, non poteva determinare alcuna ulteriore valutazione (autonoma) da parte della commissione, non potendo quest’[#OMISSIS#] che fondare la propria disamina su quella già resa dal comitato tecnico, tenuto anche conto che su tale aspetto la dottoressa [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] sua relazione (così come negli atti processuali prodotti in entrambi i giudizi), non ha fornito alcun elemento significativo al fine di poter obiettivamente e nei contenuti ribaltare il giudizio non favorevole che si è basato su argomenti rilevanti quali la contestata ripetitività della proposta didattica e la scarsa partecipazione alla crescita dell’Ateneo.
8. – Con riferimento alla valutazione in ordine alla produzione scientifica, [#OMISSIS#] quanto già si è riferito in relazione alla possibilità per la commissione di attingere in modo rilevante dal parere espresso dal comitato organizzatore, quale organismo interno dell’università di appartenenza della ricercatrice, va segnalato come appaia evidente la non considerazione, da parte della commissione, delle ragioni espresse dalla dottoressa [#OMISSIS#] e contenute [#OMISSIS#] relazione dalla stessa depositata nel corso della procedura di valutazione attraverso le quali la ricercatrice spiegava la presenza di un solo contributo scientifico prodotto nell’arco temporale di riferimento. Tale mancata considerazione costituisce, già e di per sé, una valutazione operata dalla commissione sulla sufficienza o meno della produzione di un solo contributo scientifico, nonostante le indicazioni offerte dalla ricercatrice.
Sotto tale profilo il sindacato del [#OMISSIS#] amministrativo non può che arrestarsi, al fine di non invadere l’ambito della valutazione operata dalla commissione – obiettivamente scevra, [#OMISSIS#] specie, da [#OMISSIS#] critici di metodo – e addentrarsi verso non praticabili percorsi di verifica della “opinabilità” del giudizio.
Al di là delle, pur rispettabili, considerazioni espresse dalla appellante circa la possibilità che la produzione di un solo contributo scientifico possa comunque considerarsi idonea ad ottenere una valutazione in termini positivi del percorso svolto da un ricercatore, appare francamente difficile contestare la posizione [#OMISSIS#], uniformemente, dai componenti della commissione e del comitato che tutti hanno sottolineato la “esiguità delle pubblicazioni” nonché “lo scarso pregio scientifico” dell’unica pubblicazione prodotta.
Le due espressioni surriferite raccolgono una effettiva valutazione sfavorevole manifestata dalla commissione e dal comitato tecnico, rispetto alle quali il [#OMISSIS#] amministrativo non ha il potere di sovrapporre un proprio autonomo giudizio, essendogli precluso un sindacato così penetrante in assenza di evidenti spie di irragionevolezza ed illogicità nell’operazione valutativa che [#OMISSIS#] specie non si apprezzano.
Va infine tenuto conto che la dottoressa [#OMISSIS#] proveniva già da un primo giudizio sfavorevole e quindi gli organi valutatori hanno potuto effettuare un esame complessivo dell’attività didattica e di quella scientifica prodotte dalla ricercatrice proprio tenendo conto dei deficit rilevati nel corso della prima valutazione e che quindi non sono stati superati nel corso dell’ulteriore periodo accademico sottoposto a valutazione.
Dinanzi ad un siffatto quadro di non contestabilità, sia dal punto di vista giuridico che sotto il profilo dell’esame delle circostanze di fatto, dei giudizi espressi dagli organi valutatori nel corso della procedura di valutazione sviluppata nei confronti della dottoressa [#OMISSIS#], le censure dedotte con riferimento all’utilizzo del punteggio numerico e di espressioni simili e sovrapponibili nell’ambito delle motivazioni che hanno accompagnato il giudizio reso da parte di ciascun commissario non possono avere rilievo, al fine di evidenziare una illegittimità nell’operato degli organi di valutazione, tenuto conto della loro (eventuale) rilevanza solo formale e comunque inidonea a superare il complessivo giudizio sfavorevole espresso nei confronti del percorso accademico della ricercatrice odierna appellante.
In definitiva la valutazione appare, oltre che completa sotto il profilo giuridico, coerente alle risultanze istruttorie.
9. – Ritiene quindi il Collegio che le contestazioni proposte con il mezzo di gravame dalla appellante siano infondate e di conseguenza l’appello proposto vada respinto.
Le spese del grado di giudizio possono essere compensate, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a..
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. R.g. 8900/2017, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sez. III, 7 luglio 2017 n. 8053, con la quale è stato respinto il ricorso di primo grado (R.G. n. 959/2016).
Spese del secondo grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle Camere di consiglio del 21 giugno 2018, del 29 novembre 2018 e dell’11 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Pubblicato il 20/06/2019