Il potere di revoca degli atti che si situano a monte dell’accordo, in ragione della natura consensuale dell’atto sottoscritto dalle amministrazioni, è subordinato alla sussistenza di determinate condizioni più restrittive rispetto a quelle che ordinariamente governano il generale potere di revoca degli atti amministrativi.
Vale a dire che la revoca, nel caso in esame, diversamente da quanto previsto dall’art. 21 quinques l. 241/90, non è consentita (ad esempio) per una diversa valutazione di opportunità effettuata alla luce delle medesime circostanze di cui l’amministrazione aveva cognizione quando ha concluso l’accordo.
Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 giugno 2019, n. 4206
Università-Recesso dal centro interuniversitario di ricerca per lo sviluppo sostenibile - trasferimento sede amministrativa presso altro ateneo convenzionato
N. 04206/2019 REG.PROV.COLL.
N. 01435/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1435 del 2016, proposto da
Università degli Studi di Roma La Sapienza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via [#OMISSIS#] Da Carpi n.6;
contro
Cirps – Centro Interuniversitario di Ricerca per lo Sviluppo Sostenibile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] La Grotteria in Roma, Lungotevere dei Mellini 24;
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] non costituito in giudizio;
nei confronti
Universita’ degli Studi De L’Aquila, Universita’ degli Studi di Cassino, Università degli Studi del Salento, Universita’ degli Studi di Macerata, Universita’ degli Studi di Palermo, Universita’ degli Studi di Perugia, Universita’ degli Studi di Sassari, Politecnico di Torino, Universita’ degli Studi di Torino, Universita’ degli Studi della Tuscia A Viterbo, Universita’ degli Studi del Molise A Campobasso, Universita’ degli Studi di [#OMISSIS#], in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
[#OMISSIS#] Università di Lingue e Comunicazione – Iulm non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 10295/2015, resa tra le parti, concernente recesso dal centro interuniversitario di ricerca per lo sviluppo sostenibile – trasferimento sede amministrativa presso altro ateneo convenzionato
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Cirps – Centro Interuniversitario di Ricerca per Lo Sviluppo Sostenibile e di Universita’ degli Studi De L’Aquila e di Universita’ degli Studi di Cassino e di Università degli Studi del Salento e di Universita’ degli Studi di Macerata e di Universita’ degli Studi di Palermo e di Universita’ degli Studi di Perugia e di Universita’ degli Studi di Sassari e di Politecnico di Torino e di Universita’ degli Studi di Torino e di Universita’ degli Studi della Tuscia A Viterbo e di Universita’ degli Studi del Molise A Campobasso e di Universita’ degli Studi di [#OMISSIS#];
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 [#OMISSIS#] 2019 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti gli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per delega dell’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] dell’Avvocatura Generale dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Terza) n. 10295/2015, d’accoglimento del ricorso proposto dal Centro Interuniversitario di Ricerca per lo Sviluppo Sostenibile (d’ora in poi CIRPS) avverso le deliberazioni del Consiglio di amministrazione e del Senato accademico dell’Università di Roma “La Sapienza” aventi entrambe ad oggetto la volontà di recedere dalla convenzione rinnovata nel 2012, per la situazione debitoria accusata dal CIRPS.
2. Il CIRPS – istituito nel 1988 in forza dell’art. 91 del d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382 con convenzione sottoscritta da alcuni istituti universitari italiani (fra cui: Università di Roma “La Sapienza”, Università di Cassino e Università “La Tuscia” di Viterbo, alle quali si sono aggiunte, nel 1996, le Università di Perugia, Torino e Sassari ed altre negli anni successivi) al fine di costituire un centro di ricerca o di servizi interuniversitario per la collaborazione scientifica tra docenti di Università diverse – deduceva nei motivi d’impugnazione la violazione dell’art. 12 della convenzione disciplinante la durata ed il recesso e/o disdetta dalla convenzione, nonché l’eccesso di potere delle deliberazioni impugnate per difetto d’istruttoria.
3. Qualificata la convenzione come accordo fra pubbliche amministrazioni o “accordo di diritto pubblico”, ritenuta ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett.a) n. 2, c.p.a. la propria giurisdizione, i [#OMISSIS#] di prime cure hanno accolto il ricorso.
Assorbiti i motivi di censura relativi al procedimento sfociato nell’adozione degli atti impugnati, ed “applicando i canoni ermeneutici di cui [#OMISSIS#] art. 1362 e ss. del c.c.”, il Tar capitolino è [#OMISSIS#] alla conclusione che l’art. 12 della convenzione, con riferimento all’esercizio del potere di recesso da parte degli enti aderenti, non prevedesse in favore delle Università stipulanti alcun “diritto potestativo unilaterale [#OMISSIS#] il periodo di vigenza dell’accordo, da esercitare previo preavviso di sei mesi; e che al di fuori di tale ipotesi di recesso (o disdetta), per gli enti aderenti che vogliano svincolarsi dall’accordo [#OMISSIS#] la vigenza della convenzione, rimane(va) quindi l’ipotesi dell’accordo tra le parti secondo quanto previsto dall’art. 1372 c.c. (mutuo dissenso)”.
3.1 Sicché, conclusivamente, il Tar annullava le deliberazioni impugnate.
4. Appella la sentenza l’Università degli Studi di Roma La Sapienza. Resistono il CIRPS, che ripropone le censure assorbite nelle sentenza appellata, e le altre Università sottoscrittrici la convenzione.
5. Alla pubblica udienza del 16 [#OMISSIS#] 2019 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
6. Con il primo motivo, l’Università appellante ribadisce il difetto di giurisdizione già dedotto in prime cure sul rilievo che la convenzione istitutiva del CIRPS non sarebbe riconducibile [#OMISSIS#] accordi ex art. 15 l. 241/90, essendo preordinata alla costituzione di un soggetto giuridico autonomo che persegue finalità proprie, ancorché di comune interesse delle Università.
6.1 L’eccezione è infondata.
6.2 La convenzione, sottoscritta ai sensi dell’art. 91 d.P.R. n. 382 del 1980, è strumentale alla costituzione di un modello organizzativo di collaborazione scientifica tra Università: ossia mira al soddisfacimento della specifica finalità istituzionale che accomuna gli istituti universitari, ed è attuativa di un medesimo interesse pubblico, costituente l’ubi consistam dell’accordo di diritto pubblico, attratto nell’orbita della giurisdizione esclusiva del [#OMISSIS#] amministrativo (cfr, in tema, C.G.U.E., Grande Sezione, 19 dicembre 2012, n. 152; Cons. Stato, sez. V, n. 3849/2013).
7. Con il secondo motivo d’appello si denuncia l’errore di giudizio in cui sarebbero incorsi i [#OMISSIS#] di prime cure nel denegare la compatibilità del recesso unilaterale con la convenzione del CIRPS.
L’incompatibilità del recesso unilaterale, lamenta l’ateneo appellante, sarebbe stata erroneamente desunta dal Tar sulla scorta del mancato rinvio dell’art. 15 l. 241/90 al comma 4 dell’art. 11 l.cit., laddove è espressamente prevista la facoltà di recesso dall’accordo.
L’assenza del dato testuale, secondo l’appellante, non sarebbe affatto dirimente, dovendosi (comunque) riaffermare, in presenza dei presupposti che lo giustificano, il generale potere di revoca degli atti amministrativi, anche di quelli adottati in via consensuale.
8. Il motivo è fondato.
Sia che si scrutini la questione sul piano esclusivamente privatistico-negoziale che pubblicistico-autoritativo si perviene alla medesima conclusione: ossia al riconoscimento dello ius poenitendi in capo all’Università appellante.
8.1 Quanto al primo profilo, non va passato sotto silenzio che la convezione istitutiva del CIRPS riproduce un modulo negoziale c.d. associativo, non riconducibile tout court al sinallagma contrattuale tipico dei contratti a prestazioni corrispettive specificamente disciplinati dagli artt. 1372 e 1373 c.c. , ed a cui – va sottolineato – fanno perspicuo riferimento sia il Tar che le parti appellate.
I contratti associativi, con comunione di scopo, obbediscono ad una specifica (e diversa) ratio: l’interesse della parte aderente è necessario non solo per la costituzione ma anche per la permanenza del rapporto (cfr., significativamente, artt. 24 e 2285 c.c.).
Se l’interesse viene meno o sopravvengono fatti con esso contrari o incompatibili, alla parte è consentito l’esercizio – seppure variamente condizionato – del diritto potestativo di recedere che – è [#OMISSIS#] sottolineare – non è ad nutum fondandosi su sopravvenienze.
In senso paradigmatico: anche qualora l’associato si sia impegnato a fare parte dell’associazione per un tempo determinato, la comunicazione scritta di recesso – quale espressione di libertà negativa – produce, ai sensi dell’art. 24, comma 2, c.c., comunque il suo effetto dall’1 gennaio dell’anno successivo; in presenza di [#OMISSIS#] causa, ai sensi dell’art. 2285, comma 2, c.c., il socio, a prescindere da quanto previsto nel contratto sociale, può (sempre) recedere dal contratto sociale.
8.2 Nel [#OMISSIS#] in esame l’esposizione debitoria in cui versava il CIRPS – con il rischio ancorché allo stato solo potenziale di ripercuotersi negativamente sulla situazione patrimoniale dell’Ateneo – costituiva [#OMISSIS#] causa per l’esercizio del diritto di recesso.
Sicché l’assenza di rinvio nell’art. 15 l. 241/90 al comma 4 dell’art. 11 l. cit., lungi da attestare sul piano (di diritto) positivo l’esclusione del jus poenitendi, riposa sul fatto che l’espresso rinvio alla facoltà di recesso, stante la natura associativa dell’accordo per disciplinare (come recita l’art. 15, comma 2, l. 241/90:) “lo svolgimento in collaborazione di attività d’interesse comune (ossia: con comunione di scopo)”, sarebbe meramente tautologico se non (addirittura) pleonastico.
8.3 In quest’ottica va letto l’art. 12 della convenzione disciplinante la durata ed il recesso e/o disdetta dalla convenzione, laddove espressamente prevede che “Ciascuna Università consociata può esercitare l’azione di disdetta o recesso da comunicarsi almeno sei prima della scadenza con lettera raccomandata R.R. indirizzata al Direttore del Centro”.
Senza che, in contrario da quanto ritenuto dai [#OMISSIS#] di prime cure, l’ambito precettivo della disposizione – e del diritto potestativo di recedere – sia circoscritto al momento successivo in cui è scaduto il sessennio di vigenza della convenzione, e la convenzione debba essere sottoposta alla procedura di rinnovo.
9. Anche sul versante strettamente pubblicistico, va affermato la facoltà ([#OMISSIS#] il potere) di svicolarsi dall’accordo.
9.1 Certamente il potere di revoca degli atti che si situano a monte dell’accordo, in ragione della natura consensuale dell’atto sottoscritto dalle amministrazioni, è subordinato alla sussistenza di determinate condizioni più restrittive rispetto a quelle che ordinariamente governano il generale potere di revoca degli atti amministrativi.
Vale a dire che la revoca, nel [#OMISSIS#] in esame, diversamente da quanto previsto dall’art. 21 quinques l. 241/90, non è consentita (ad esempio) per una diversa valutazione di opportunità effettuata alla luce delle medesime circostanze di cui l’amministrazione aveva cognizione quando ha concluso l’accordo.
In [#OMISSIS#] contrario l’affidamento delle parti e, con esso, la portata precettiva del principio pacta sunt servanda, che conforma ab imis qualsivoglia accordo consensuale, sarebbero irrimediabilmente penalizzati, frustrando la ratiostessa dell’istituto.
9.2 Nondimeno la sopravvenienza di fatti nuovi o la sopravvenuta conoscenza di circostanze ignote al momento della decisione di sottoscrivere l’accordo, e che pregiudichino il perseguimento degli interessi pubblici di cui l’amministrazione è istituzionalmente portatrice, giustificano l’esercizio del potere di revoca.
9.3 Nel [#OMISSIS#] in esame, la situazione debitoria accumulata dal CIRPS nei primi sei anni d’esercizio, emersa dopo il primo rinnovo, integrava a tutti gli effetti il fatto sopravvenuto, motivo di revoca.
10. Né venendo alle censure assorbite dal Tar, e qui riproposte da CRPS, assume rilevanza il fatto che – stante l’accusata scarsa liquidità momentanea – non ricorreva affatto alcuna situazione in grado di compromettere la solidità economica dell’ente e la capacità di perseguimento delle proprie finalità.
Da cui l’appellata CIRPS deduce il vizio di travisamento dei fatti e il difetto d’istruttoria delle deliberazioni impugnate.
10.1 In realtà le anticipazioni di cassa che la Sapienza è stata costretta ad effettuare per il deficit di liquidità accusato dal CIRPS rappresentano, secondo la valutazione espressa dall’Università appellante – valutazione di merito, va ricordato, sottratta al sindacato di legittimità – un peso insostenibile come si evince per tabulas dalla lettura delle deliberazioni del Consiglio d’amministrazione e del Senato Accademico.
Tanto più in ragione del fatto che, [#OMISSIS#] percezione dei terzi, si sarebbe ingenerata una indebita confusione tra il CIRPS e la Sapienza, dovuta all’utilizzo della sede amministrativa e degli strumenti amministrativi e dello stesso “logo” dell’Università la Sapienza.
In proposito le delibere impugnate del Consiglio d’amministrazione e del Senato danno espressamente conto che i creditori di CIRPS hanno tratto la convinzione di potere aggredire la Sapienza per il soddisfacimento dei loro crediti, sicché essa è “costretta ad affrontare l’onerosa difesa dalle azioni giudiziali che subisce per loro iniziativa”.
10.2 In definitiva, anche sotto il profilo pubblicistico, ricorrevano molteplici e concorrenti motivi che giustificavano l’esercizio del potere di revoca.
11. Conclusivamente l’appello è fondato e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, il ricorso di prime cure deve essere respinto.
12. In assenza di specifici precedenti giurisprudenziali e in ragione della natura della controversia, le spese del doppio grado di giudizio [#OMISSIS#] compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, respinge il ricorso di prime cure.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 16 [#OMISSIS#] 2019 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Pubblicato il 20/06/2019