N. 06017/2017REG.PROV.COLL.
N. 07371/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7371 del 2016, proposto da:
Università Telematica E-Campus, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio Studio Lca in Roma, via G. P. Da Palestrina, 47;
contro
[#OMISSIS#] Candido, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Tanzarella, [#OMISSIS#] Sgroi, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni [#OMISSIS#] in Roma, via [#OMISSIS#] N.44;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO: SEZIONE III n. 00768/2016, resa tra le parti, concernente selezione pubblica per la copertura a tempo determinato di quindici posti di ricercatore presso la facoltà di psicologia
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di [#OMISSIS#] Candido;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2017 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti gli avvocati [#OMISSIS#] D'[#OMISSIS#], per delega dell’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], e Giovanni [#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame l’università odierna parte appellante impugnava la sentenza breve n. 768 del 2016 con cui il Tar Lombardia sez. III di Milano accoglieva l’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dall’odierno appellato, in qualità di candidato nelle procedure selettive per la nomina di un ricercatore universitario per il settore disciplinare IUS/09, al fine di ottenere l’annullamento dell’atto di esclusione, disposto con la motivazione della mancanza del requisito della previa titolarità, per almeno un anno accademico, di almeno un insegnamento che sia stato interamente erogato in modalità a distanza, per illegittimità del bando in parte qua, nonché il risarcimento dei danni con funzione di effetto deterrente rispetto a ulteriori future violazioni.
In particolare, con la sentenza breve adottata in sede cautelare il Tar accoglieva i vizi dedotti in termini di illegittimità del bando, respingendo la domanda risarcitoria.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello:
– omesso rilievo dell’inammissibilità dell’originario ricorso, con violazione degli artt. 2 comma 7 l. 2402010, 6 comma 9 l. 1861989, 41 cod proc amm 102 e 107 cpc, per omessa notifica al Ministero competente;
– nel merito violazione degli artt. 24 l. 240 cit, e 41 Cost., del principio di proporzionalità ed eccesso di potere giurisdizionale.
La parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 12102017, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, l’eccezione relativa alla mancata notifica del ricorso originario al Ministero – assorbito il tema del divieto di nuove eccezioni proprie in appello, ove mai questa potesse ritenersi tale – deve ritenersi infondata.
Infatti, se da un lato formalmente il bando in contestazione è imputabile direttamente all’Università appellante e il coinvolgimento del Ministero appare proceduralmente successivo ed eventuale in relazione ai possibili effetti, dall’altro lato e sul versante sostanziale nessuna delle clausole in contestazione risulta oggetto di specifico ed innovativo apporto ministeriale.
Dall’analisi della disciplina non emerge alcun elemento in base al quale qualificare il bando applicato in termini di atto complesso, in cui intervengano contestualmente, ai fini dell’assunzione della determinazione e della sua efficacia, diversi enti; infatti, nel caso in esame, l’atto oggetto di applicazione tramite il provvedimento di esclusione appare imputabile esclusivamente all’Università, come confermato dall’immediata efficacia dello stesso, a prescindere dal successivo controllo ministeriale.
L’intervento del dicastero integra un mero controllo ex post, che si estrinseca nella richiesta di un eventuale riesame, ai sensi dell’art. 6 comma 9 della legge n. 168 del 1989.
2. Anche nel merito l’appello è infondato.
La norma oggetto di applicazione (art. 24, comma 2, l. n. 240 cit.), come correttamente intesa dalla pronuncia impugnata, è chiara nel perseguimento delle seguenti finalità: garantire la par condicio e la massima partecipazione dei candidati; limitare la discrezionalità dell’autorità nel definire il profilo professionale richiesto ai partecipanti alla selezione.
Tali principi perseguono l’evidente fine di contrastare il rischio di dare vita ai cc.dd. bandi fotocopia.
In generale, anche in ambito universitario va fatta applicazione del principio dettato in tema di concorsi pubblici, dovendosi optare per l’interpretazione del bando di gara che sia in grado di tutelare gli interessati in buona fede, salvaguardando così l’ammissibilità delle domande e consentendo la maggiore partecipazione di concorrenti, in modo da tutelare l’interesse pubblico ad un più ampio confronto.
In tale contesto, la norma contestata del bando (art. 2, co. l, lett. b), laddove richiede che i candidati siano “in possesso del requisito della previa titolarità, per almeno un anno accademico, di almeno un insegnamento facente parte dell’offerta formativa di un Corso di Laurea, Diploma di specializzazione, Dottorato di ricerca o Master, presso qualsiasi università italiana e/o straniera, che sia stato interamente erogato in modalità a distanza“, risulta prima facie in contrasto con la doverosa lettura funzionale della norma applicata, in quanto viene a dettare specificazioni limitative ed irragionevoli, sia rispetto all’oggetto della selezione sia in rapporto ai principi predetti.
Infatti, tale disposizione dà vita ad una vera e propria irragionevole preselezione dei soli soggetti che siano in possesso di tale peculiare requisito.
Se è ben possibile che le modalità di insegnamento telematico spingano ad inserire clausole concernenti la verifica dell’effettivo possesso di conoscenze informatiche di base, così come evidenziato da parte appellante, ovvero dell’esperienza in seminari e lezioni svolte in modalità telematica, nel caso di specie la clausola oggetto di contestazione appare all’evidenza sproprozionata in quanto, lungi dal richiedere tali conoscenze ed esperienze, stravolge la funzione perseguita a mero ed esclusivo vantaggio dei soli soggetti che abbiano svolto insegnamenti con tale modalità.
In definitiva, un conto è richiedere – legittimamente – il possesso di adeguate conoscenze informatiche di base; un altro è limitare l’accesso all’insegnamento ai pochi soggetti che lo abbiano svolto con determinate modalità.
È irragionevole, quindi, subordinare la verifica dei requisiti necessari per l’insegnamento (elemento fondamentale dell’attività da svolgere) al solo accessorio elemento delle modalità con cui l’insegnamento è stato sin qui svolto.
A fronte della previsione in contestazione, un candidato di grande livello e preparazione che abbia altresì partecipato a seminari, lezioni e convegni anche nei contesti più prestigiosi e perfino in modalità telematica, non avrebbe alcuna possibilità di partecipare alla selezione; e ciò appare irragionevole, oltre che contrario ai principi che regolano la materia concorsuale, come sopra richiamati.
Se in definitiva è del tutto legittimo e anche auspicabile l’inserimento di criteri e requisiti tali da garantire la verifica della capacità informatica, occorre che gli stessi siano plurimi e non tali, come nella specie, da limitare a monte la possibile partecipazione ad un numero sostanzialmente predeterminato di soggetti che abbiano osservato l’esclusivo criterio voluto sul punto dalla contestata lex specialis.
3. La sentenza impugnata non merita riforma neanche in ordine alla dichiarata infondatezza dell’originaria domanda risarcitoria, a fronte dell’inammissibile finalità sanzionatoria perseguita.
Neppure sussistono i presupposti per l’accertamento della invocata lite temeraria, non risultando provato alcun elemento concretamente qualificabile in termini di mala fede o di colpa grave.
Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese del grado, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (tremila0), oltre s.g. e accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] de [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] Mele, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Pubblicato il 22/12/2017