Nell’individuare il “parametro di riferimento” per adeguare il corrispettivo, si osserva che: “soltanto ai fini economici, e senza alcuna equiparazione del rapporto intercorrente tra i singoli ricorrenti e la università ad un rapporto di lavoro dipendente, il punto di riferimento più idoneo è rappresentato dalla retribuzione dei medici neo assunti a tempo pieno, poiché la prestazione dei ricorrenti appare assai prossima, in concreto, a quella resa da tali sanitari”. Avuto allora riguardo al significato proprio delle espressioni usate, e alla comune logica, si deve intendere la mancata “equiparazione” al lavoro dipendente come riferita al trattamento normativo della figura professionale richiamata, ovvero come esclusione della possibilità che lo specializzando possa reclamare lo status di dipendente di ruolo dell’amministrazione. L’equiparazione è invece fatta senza distinzioni sotto l’altro aspetto possibile, ovvero il richiamato aspetto economico, e in tal senso all’interessato devono essere riconosciute tutte le voci in proposito previste eccettuata la voce retributivo-indennitaria c.d. “di risultato”, afferente, per sua ontologica funzione, all’organico inserimento nei ruoli dell’Amministrazione.
Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2018, n. 508
Scuola di specializzazione in Chirurgia-Borsa di studio-Quantificazione
N. 00508/2018REG.PROV.COLL.
N. 04140/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4140 del 2017, proposto dalla
Universita’ degli studi di Roma “La Sapienza”, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, via Sicilia, 50;
contro
il signor [#OMISSIS#] Frati, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] Siciliano, con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Roma, via Paraguay, 5;
per la riforma, previa sospensione,
della sentenza del TAR Lazio, sede di Roma, sezione III bis, 11 maggio 2017 n.5706, resa fra le parti, che ha accolto il reclamo presentato nel ricorso n°13307/2015 R.G. proposto per l’annullamento parziale della relazione conclusiva del commissario ad acta depositata in segreteria il 21 luglio 2016 e del decreto di impegno al pagamento a favore del ricorrente emesso il giorno 16 febbraio 2016 in parziale esecuzione della sentenza 8 marzo 2016 n.2982 della stessa Sezione, nonché per l’accertamento del diritto di parte ricorrente a percepire un maggiore importo, con ordine all’amministrazione di corrisponderlo;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor [#OMISSIS#] Frati;
Viste le memorie difensive;
Visto l ‘art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2017 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti l’avvocato [#OMISSIS#] Salvatore in dichiarata delega dell’avv. [#OMISSIS#], e l’avv. Siciliano;
Rilevato che:
– il ricorrente appellato, con ricorso depositato il giorno 7 luglio 2001, ha adito il Giudice ordinario, assieme ad altri soggetti, esponendo di aver frequentato quale laureato in medicina e chirurgia un corso di specializzazione presso le strutture competenti, e di avere per ciò percepito una borsa di studio per un importo a suo avviso non legittimamente determinato; per tal motivo, chiedeva la condanna dell’Università intimata appellante al pagamento delle relative differenze;
– con sentenza 7 novembre 2003 n.25154, il Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Roma accoglieva la domanda, e per l’effetto, come da dispositivo della sentenza citata, decideva così come segue: “dichiara il diritto dei ricorrenti a percepire il trattamento economico dei medici neo assunti a tempo pieno e condanna l’Università convenuta al pagamento delle relative differenze a decorrere dal 30 giugno 1998, con rivalutazione ed interessi dalla data di maturazione dei singoli crediti” (doc. 1 ricorrente appellato in giudizio di ottemperanza, sentenza citata);
– la sentenza in questione passava in giudicato, dopo che la Corte di appello di Roma, con sentenza 18 ottobre 2007 n.6848, dichiarava inammissibile l’appello dell’Università e dopo che la Corte di cassazione, con sentenza 21 marzo 2013 n.7163, respingeva il ricorso della stessa contro tale decisione;
– il TAR Lazio Roma, adito dal ricorrente appellato stante la mancata esecuzione del giudicato, con la sentenza 2982/2016 indicata in epigrafe ordinava l’ottemperanza alla decisione civile, con nomina di un commissario ad acta;
– di conseguenza, con relazione conclusiva depositata in segreteria il giorno 21 luglio 2016, il commissario ha riconosciuto al ricorrente appellato un importo di € 23.798, 86, dichiaratamente calcolato in base alla “giurisprudenza maggioritaria” che si sarebbe formata nell’ambito dei giudizi di esecuzione della medesima sentenza civile promossi da altri interessati. In particolare, il commissario ha tenuto conto dell’esclusione da parte della sentenza della sussistenza di un lavoro subordinato; ha quindi escluso dal computo le voci retributive proprie di tale rapporto, ovvero gli oneri accessori; ha poi detratto dal risultato ottenuto l’indennità percepita all’epoca dagli specializzandi e gli importi corrispondenti ai giorni di assenza dal corso (v. sentenza appellata);
– contro tale relazione, il ricorrente appellato ha proposto reclamo, deducendo in sintesi estrema che il conteggio non sarebbe stato eseguito in modo corretto;
– con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha accolto il reclamo. In motivazione, ha ritenuto che la sentenza civile indicata equipari “a fini economici” la posizione degli specializzandi a quella dei medici del Servizio sanitario nazionale – SSN neoassunti, e quindi riconosca loro le “componenti del trattamento fondamentale” previste dai contratti collettivi all’epoca vigenti, ovvero “lo stipendio tabellare, l’indennità integrativa speciale (IIS), l’indennità di specificità medica, la retribuzione di posizione minima … l’indennità di esclusività del rapporto, trattandosi … di “tempo pieno”, e inoltre “il relativo trattamento di fine rapporto”, il tutto al netto delle ritenute fiscali e maggiorato di interessi e rivalutazione, e che solo da questo importo andasse sottratto l’importo della borsa di studio (v. sentenza impugnata);
– contro tale sentenza, l’Università intimata ha proposto impugnazione, con appello che contiene due motivi. Con il primo di essi, ha negato che l’originaria sentenza del Giudice del Lavoro costituisca titolo esecutivo, dato che a suo dire si tratterebbe di una sentenza di accertamento e condanna generica a pagare somme non determinabili. Con il secondo motivo, ha sostenuto la correttezza della liquidazione operata nel giudizio di ottemperanza;
– il ricorrente appellato ha resistito, con atto 16 giugno e memoria 18 luglio 2017, e chiesto che l’appello sia respinto;
– con ordinanza 4 agosto 2017 n.3290, la Sezione ha respinto l’istanza di sospensione cautelare della sentenza impugnata, stante il già avvenuto pagamento delle somme, ed ha fissato la camera di consiglio per la decisione del reclamo nel merito;
– con memoria 27 novembre 2017, l’Università ha ribadito le proprie asserite ragioni;
– alla camera di consiglio di oggi 12 dicembre 2017, il ricorso è stato trattenuto in decisione;
– l’appello è infondato e va respinto, nei termini che seguono;
– il primo motivo di ricorso, volto a contestare la possibilità di qualificare come titolo esecutivo la sentenza che si è fatta valere, è inammissibile, in quanto volto a rimettere in discussione una questione coperta dal giudicato formatosi sulla sentenza TAR Lazio 2982/2016, la quale ha ordinato l’ottemperanza alla sentenza civile in questione sul presupposto, appunto, che essa fosse una sentenza di condanna. Va comunque rilevato che la sentenza civile stessa contiene nel dispositivo una condanna che non è generica, poiché si riferisce a somme determinabili, nei termini di cui subito;
– il secondo motivo di ricorso è invece infondato. Il ragionamento, va premesso, va compiuto con esclusivo riferimento al giudicato qui rilevante, senza considerare quanto altre sentenze, per ragioni che qui non rilevano, potrebbero aver deciso su casi consimili, e quindi senza rimettere in discussione le statuizioni contenute nel giudicato stesso, ma limitandosi a interpretarle. Occorre allora considerare la motivazione della sentenza 25154/2003, la quale sul punto specifico, nell’individuare il “parametro di riferimento” per adeguare il “corrispettivo fin qui percepito”, afferma: “soltanto ai fini economici, e senza alcuna equiparazione del rapporto intercorrente tra i singoli ricorrenti e la università ad un rapporto di lavoro dipendente, il punto di riferimento più idoneo è rappresentato dalla retribuzione dei medici neo assunti a tempo pieno, poiché la prestazione dei ricorrenti appare assai prossima, in concreto, a quella resa da tali sanitari”. Avuto allora riguardo al significato proprio delle espressioni usate, e alla comune logica, si deve intendere la mancata “equiparazione” al lavoro dipendente come riferita al trattamento normativo della figura professionale richiamata, ovvero come esclusione della possibilità che lo specializzando possa reclamare lo status di dipendente di ruolo dell’amministrazione. L’equiparazione è invece fatta senza distinzioni sotto l’altro aspetto possibile, ovvero il richiamato aspetto economico, e in tal senso all’interessato devono essere riconosciute tutte le voci in proposito previste eccettuata la voce retributivo-indennitaria c,d. “di risultato”, afferente, per sua ontologica funzione, all’organico inserimento nei ruoli dell’Amministrazione. Nella sentenza in questione, infatti, non è dato trovare alcuna indicazione o criterio, esplicito o implicito, secondo il quale determinate voci del trattamento economico, ad eccezione di quella sopra menzionata, potrebbero essere escluse. Ne segue che il ragionamento del Giudice di primo grado, che ha riconosciuto al ricorrente appellato tutte le voci relative, deve ritenersi corretto;
– le spese seguono la soccombenza, e si liquidano così come in dispositivo;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello così come in epigrafe proposto (ricorso n.4140/2017 R.G.), lo respinge.
Condanna l’intimata appellante Università degli studi di Roma “La Sapienza” a rifondere al ricorrente appellato [#OMISSIS#] Frati le spese del presente grado di giudizio, spese che liquida in € 2.000 (duemila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Barra [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] Mele, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Pubblicato il 25/01/2018