L’ art. 1, comma 2, della legge 4 novembre 2005, n. 230 non riguarda i ricercatori ma unicamente i professori ai quali soltanto riconosce, se docenti di materie cliniche, il diritto di esercitare, altresì, “funzioni assistenziali inscindibili da quelle di insegnamento e ricerca”.
Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 luglio 2019, n. 4551
Università e servizio sanitario-Ricercatore-Attività assistenziali-Sanzione disciplinare
N. 04551/2019REG.PROV.COLL.
N. 07364/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7364 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], n. 11;
contro
Università -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Petitto, con domicilio digitale pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso il loro studio, in Roma, via Bertoloni, n. 44;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma (Sezione Terza) n. 05312/2018, resa tra le parti, concernente un provvedimento di riammissione in servizio con esclusione dei compiti assistenziali.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 giugno 2019 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti gli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Petitto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il dr. -OMISSIS-, dirigente medico ospedaliero e ricercatore universitario confermato presso l’Università -OMISSIS-, è stato sospeso dallo stipendio e dal servizio, in ragione di un procedimento penale, con misura cautelare personale, cui il medesimo era stato sottoposto per fatti connessi all’attività lavorativa.
Venuta meno la misura restrittiva l’Università ha disposto nei confronti del dr.-OMISSIS-la sospensione facoltativa dal servizio e dallo stipendio.
Cessata l’efficacia della detta sospensione per decorso dei termini, il dr.-OMISSIS-è stato riammesso in servizio con esclusione dall’attività assistenziale (decreto rettorale in data 31/7/2013).
Ritenendo il provvedimento di riammissione in servizio illegittimo [#OMISSIS#] parte in cui ha previsto la suddetta limitazione, il dr.-OMISSIS-lo ha impugnato con ricorso al T.A.R. Lazio – Roma, il quale, con sentenza 14/5/2018, n. 5312, lo ha respinto.
Avverso la sentenza ha proposto appello il dr. -OMISSIS-.
Per resistere al ricorso si è costituita in giudizio l’Università -OMISSIS-.
Con successive memorie le parti hanno meglio illustrato le proprie tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 13/6/2019 la causa è passata in decisione.
Può prescindersi dall’esaminare l’eccezione di rito prospettata dall’Università appellata essendo comunque il ricorso da respingere nel merito.
Con un unico articolato motivo l’appellante, deduce:
a) l’illegittimità del provvedimento con cui a suo tempo venne disposta la sospensione facoltativa dal servizio e dallo stipendio e il conseguente diritto a conseguire gli emolumenti non percepiti per il periodo di allontanamento dal lavoro;
b) l’errore commesso dal Tribunale nel ritenere l’attività assistenziale non strettamente collegata alle funzioni didattiche e di ricerca proprie del ricercatore, collegamento che si ricaverebbe sia dagli artt. 5, comma 2, e 6 del D. Lgs. 21/12/1999, n. 517, sia dall’art. 1, comma 2, della L. 4/11/2005, n. 230.
Lamenta ancora che in ogni [#OMISSIS#], essendo stato reintegrato nelle funzioni svolte precedentemente alla sospensione, avrebbe dovuto essere necessariamente riammesso anche all’espletamento di quelle assistenziali, atteso che in sede di riammissione in servizio non sarebbe consentita alcuna modifica del pregresso rapporto lavorativo.
La riammissione limitata alle sole funzioni didattiche e di ricerca determinerebbe, infine, un’illegittima protrazione della sospensione oltre il [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] consentito.
La doglianza così sinteticamente riassunta non può trovare accoglimento sotto alcuno dei [#OMISSIS#] in cui si articola.
La censura sub a) è inammissibile in quanto rivolta contro il provvedimento con cui a suo tempo venne disposta la sospensione facoltativa dal servizio e dallo stipendio che non è stato fatto oggetto di impugnazione, essendo il thema decidendumlimitato alla verifica della legittimità del provvedimento di riammissione in servizio con esclusione dalle funzioni assistenziali.
La doglianza sub b) è infondata.
In primo luogo occorre rilevare che nessun argomento a favore della tesi dell’appellante circa la coessenzialità delle funzioni assistenziali con lo statusdi ricercatore può trarsi dagli artt. 5 e 6 del D. Lgs. n. 517/1999.
Ambedue le norme fanno riferimento all’ipotesi in cui professori e ricercatori universitari esercitino anche funzioni assistenziali, senza stabilire in alcun modo che le stesse debbano necessariamente essere svolte dal detto personale.
Ugualmente inconferente è il richiamo all’invocato art. 1, comma 2, della L. n 230/2005.
Quest’[#OMISSIS#] dispone che “I professori universitari hanno il diritto e il dovere di svolgere attività di ricerca e di didattica, con piena libertà di scelta dei [#OMISSIS#] e dei metodi delle ricerche nonché, nel rispetto della programmazione universitaria di cui all’articolo 1-ter del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, dei contenuti e dell’impostazione culturale dei propri corsi di insegnamento; i professori di materie cliniche esercitano altresì, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, e ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, funzioni assistenziali inscindibili da quelle di insegnamento e ricerca; i professori esercitano infine liberamente attività di diffusione culturale mediante conferenze, seminari, attività pubblicistiche ed editoriali nel rispetto del mantenimento dei propri obblighi istituzionali”.
La [#OMISSIS#] non riguarda, dunque, i ricercatori (come l’appellante), ma unicamente i professori ai quali soltanto riconosce, se docenti di materie cliniche, il diritto di esercitare, altresì, “funzioni assistenziali inscindibili da quelle di insegnamento e ricerca”.
Peraltro, che lo svolgimento delle funzioni assistenziali non sia strettamente connesso con lo statusdi ricercatore si ricava anche dal non impugnato decreto rettorale 18/1/2013 n. 72, adottato ai sensi della L. 30/12/2010, n. 240 (“Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario”), che non prevede, per i ricercatori in materie cliniche, l’esercizio delle dette funzioni come essenziale.
Non merita condivisione nemmeno la tesi secondo cui poiché l’attività svolta dal dr.-OMISSIS-al momento dell’intervenuta sospensione cautelare includeva anche compiti assistenziali, il provvedimento di riammissione in servizio non avrebbe potuto essere limitato alle sole funzioni didattiche e di ricerca.
Come più sopra rilevato le funzioni assistenziali non sono strettamente inerenti allo statusdi ricercatore in materie cliniche, per cui spetta all’ateneo di appartenenza scegliere se attribuirgliele o meno.
[#OMISSIS#] specie nessuna [#OMISSIS#] o principio imponeva quindi all’Università di reintegrare in servizio l’appellante assegnandogli anche le reclamate funzioni.
E’, infine, inammissibile la doglianza con cui si lamenta che la riammissione limitata alle sole funzioni didattiche e di ricerca avrebbe comportato un’illegittima protrazione della sospensione oltre il [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] consentito.
Trattasi, infatti, di motivo nuovo dedotto in violazione del divieto di novain appello sancito dall’art. 104, comma 1, c.p.a.
Il ricorso va, in definitiva, respinto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore dell’appellata, liquidandole forfettariamente in complessivi € 2.500/00 (duemilacinquecento), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52 del D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante. Così deciso in Roma [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 13 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Pubblicato il 03/07/2019