Corte dei conti reg., Calabria, 26 gennaio 2016, n. 12

Personale ATA – Pensione anticipata lavoratrici – Applicabilità a lavoratori di sesso maschile

Data Documento: 2016-01-26
Area: Giurisprudenza
Massima

Esclusa, l’ammissibilità di un’interpretazione analogica di una norma eccezionale – quale quella che legittima la pensione anticipata per le lavoratrici di sesso femminile – e negata altresì, agli effetti di una interpretazione estensiva, l’ipotesi secondo la quale nella specie il legislatore minus dixit quam voluit, è da rilevare che la direttiva 2002/73/CE, recepita dall’art. 249 d.lgs. 30 maggio 2005, n. 145 enuncia il principio della parità di trattamento tra uomini e donne solo per quanto riguarda l’accesso al lavoro, la formazione e promozione professionali e le condizioni di lavoro; con la conseguenza che, a rigore, non v’è spazio alcuno per riferire un’incondizionata parità di trattamento anche al possesso dei requisiti per il riconoscimento della pensione di vecchiaia. Del resto, l’art. 1, comma 3, d.lgs. n. 145/2005, attuativo della direttiva 2002/73/CE, stabilisce che il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso femminile.

Contenuto sentenza

PENSIONI
C. Conti [#OMISSIS#] Sez. giurisdiz., Sent., 26-01-2016, n. 12
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per la Regione [#OMISSIS#]
Il [#OMISSIS#] Unico delle Pensioni
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]
Ha emesso la seguente
Sentenza
Sul ricorso in materia di pensioni civili iscritto al n. 20766 del registro di segreteria, promosso ad istanza di P. C., nato a Omissis il Omissis ( c.f. Omissis), rappresentato e difeso dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Catanzaro alla v. G. Scipanoi n. 130 avverso l’Inps .
Svolgimento del processo
Il ricorrente, dipendente statale di ruolo, in servizio presso l’Università degli studi “Magna Grecia” di Catanzaro – Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ritenendo di essere in possesso di tutti i requisiti previsti dall’art. 1, comma 9 della L. n. 243 del 2004, ha presentato in data 22.5.2015 domanda diretta di pensione di anzianità.
Con Provv. del 9 giugno 2015, l’Inps ha respinto la suddetta istanza rilevando che l’art. 1, comma 9, invocato dal ricorrente per ottenere il pensionamento, introduce la c.d. “opzione donna” in via sperimentale laddove prevede, per le sole [#OMISSIS#] che optino per la pensione liquidata interamente con il sistema contributivo, la possibilità di accedere a pensione in presenza di un’età pari o superiore a 57 anni e una contribuzione pari o superiore ad anni 35.
Avverso detto provvedimento di rigetto, il ricorrente ha proposto ricorso amministrativo al Comitato di Vigilanza dei dipendenti pubblici, il quale, con deliberazione n 1152 del 23 settembre 2013, ha deciso per la reiezione del ricorso.
Con atto introduttivo del presente giudizio, il sig. La Banca, dunque, oppone l’illegittimità della delibera testè richiamata evidenziando, in primo luogo, che l’art. 24 comma 14 del D.L. n. 201 del 2011 avrebbe mantenuto le disposizioni relative ai requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima dell’entrata in vigore del decreto medesimo ai soggetti di cui all’art. 1, comma 9 della L. n. 243 del 2004.
Ciò premesso, richiama l’art. 1, 25 e 30 del il D.Lgs. n. 145 del 2005 con il quale lo Stato Italiano ha attuato la direttiva 2002/73/CE in materia di parità di trattamento tra uomini e [#OMISSIS#] , per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro.
Al fine di escludere ogni dubbio in ordine al [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per la maturazione dei requisiti anagrafici, oppone la Risoluzione in Commissione n. 7-00159 con la quale l’on. Gnecchi impegna il Governo a sollecitare l’Inps a rivedere il punto 7.2 della circolare n. 35, concernente la liquidazione del trattamento pensionistico per lavoratrici in regime sperimentale, nel senso che per tali lavoratrici non deve essere applicata la finestra mobile per la decorrenza del trattamento.
Oppone, altresì, l’Atto della [#OMISSIS#] A/021 presentato da Martelli [#OMISSIS#] e relativo sempre all’interpretazione restrittiva della circolare 35 laddove stabilisce che l’art. 24, comma 14 della L. n. 214 del 2011vada interpretato nel senso che le lavoratrici possano accedere all’opzione di cui all’art. 1 comma 9 solo se il [#OMISSIS#] del 31.12.2015 venga computato facendo riferimento alla decorrenza del trattamento e non alla semplice maturazione dei requisiti.
Tanto premesso, e quindi evidenziando di aver maturato i requisiti previsti dall’art. 1, comma 9 della L. n. 243 del 2004, eccepisce l’illegittimità del provvedimento di diniego impugnato in quanto altamente discriminatorio nei propri confronti; ciò in ragione della direttiva 2002/73/CE e dell’art. 117 della Costituzione che sanciscono la eliminazione di tutte le diversità in ragione di sesso , di razza e di lingua.
Infine, a sostegno della propria pretesa, richiama la sentenza della Corte di Giustizia Europea Sez. II n C-356/09 del 18.11.2010 che sancisce la parità uomo-donna sull’età pensionabile in ragione dell’art. 3, n.1 lett. C) della direttiva 76/207/CEE.
Tanto premesso conclude chiedendo il riconoscimento del proprio diritto alla pensione di anzianità ai sensi e per gli effetti dell’art. 1 comma 9 della L. n. 243 del 2004.
Con memoria depositata [#OMISSIS#] atti il 16 dicembre 2015, si è costituito l’Inps eccependo la correttezza del proprio operato.
In proposito evidenzia che la disposizione invocata dal legislatore ha natura sperimentale ed è stata prevista per le sole lavoratrici; che la possibilità di una disparità di accesso al sistema pensionistico è coerente con la possibilità di deroghe in materia pensionistica, peraltro previste dalla stessa direttiva 79/7/CEE, all’art. 7.
Infine, dopo aver argomentato sulla inconferenza della sentenza Kleist C-356/09, conclude chiedendo la reiezione del ricorso.
All’odierna udienza, la causa è posta in decisione.
Motivi della decisione
La questione posta al vaglio del giudicante attiene al diritto del ricorrente di vedersi riconoscere la pensione di vecchiaia in ragione dell’art. 1, comma 9 della L. n. 243 del 2004.
Il ricorso è infondato e non può trovare accoglimento.
La disposizione invocata dall’istante a sostegno della propria pretesa, infatti, introduce nell’ordinamento previdenziale, in via sperimentale, la cd “opzione donna” laddove stabilisce che ” in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2015, è confermata la possibilità di conseguire il diritto all’accesso al trattamento pensionistico di anzianità , in presenza di un’anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni e un’età pari o superiore a 57 anni per le lavoratrici dipendenti e a cinquantotto anni per le lavoratrici autonome, nei confronti della lavotratrici che optano per una liquidazione del trattamento medesimo secondo le regole di calcolo del sistema contributivo previste dal D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 180. Entro il 31 dicembre 2015 il Governo verifica i risultati della predetta sperimentazione, al fine di una suo eventuale prosecuzione”.
Ebbene, il tenore letterale della disposizione in rassegna è talmente chiaro che non consente a questo [#OMISSIS#] di estendere, in via interpretativa, tale opportunità anche [#OMISSIS#] uomini.
Non solo; anche il suo carattere eccezionale, ( che si riferisce alle sole [#OMISSIS#] e in via sperimentale) ne preclude un’applicazione analogica al genere maschile.
Né si condividono le argomentazioni con le quali la difesa sostiene la propria istanza.
In primo luogo si rileva che le norme comunitarie richiamate [#OMISSIS#] scritto difensivo, che imporrebbero il riconoscimento del diritto del ricorrente alla pensione di vecchiaia anticipata, sono contenute [#OMISSIS#] direttiva 2002/73/CE relativa appunto all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le [#OMISSIS#] per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro.
Tale direttiva è stata recepita, ai sensi dell’art. 249 del trattato, con il D.Lgs. n. 145 del 2005.
Ebbene, nessuna delle disposizioni contenute [#OMISSIS#] legge di recepimento impone la parità dei requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia.
Né, tantomeno, [#OMISSIS#] direttiva 2002/73/CE, vi è una disposizione dettagliata ( self-executing) che indichi con precisione la [#OMISSIS#] interna che lo stato è tenuto ad adottare [#OMISSIS#] materia; in altri termini la fonte comunitaria in esame non impone allo Stato Italiano di abrogare le disposizioni che prevedono un’opportunità ( e non un obbligo) di pensionamento di vecchiaia anticipato per le sole [#OMISSIS#].
Ciò preclude a questo [#OMISSIS#] un’applicazione diretta della disposizione comunitaria, per come chiesto dal ricorrente.
Si aggiunga poi che proprio l’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, stabilisce che “Il principio della parità ( tra uomo e donna) non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato”.
Così come proprio la direttiva invocata, all’art. 2 comma 7 stabilisce che “La presente direttiva non pregiudica le misure relative alla protezione della donna……. “.
Ma anche l’art. 7 della direttiva 79/7/CEE prevede la possibilità di deroghe a favore di categorie di soggetti.
Peraltro le pronunce in materia della Corte di Giustizia, e, quindi sia la sentenza invocata dal ricorrente ( Sentenza della Corte di Giustizia Europea Sez. II n. C-356/09 del 18.11.2010) che la sentenza n. 46/2007/CE, ma anche le altre pronunce, affermano tutte che il diverso limite di età, in base al sesso, per la concessione di una pensione, è discriminante per le [#OMISSIS#].
[#OMISSIS#] sentenza 356/09, infatti, la causa petendi attiene alla illegittimità del licenziamento fondato sul raggiungimento dell’età pensionabile; la Corte rileva, al riguardo, che una normativa nazionale che consente al datore di lavoro di licenziare gli impiegati che abbiano maturato il diritto a pensione per favorire l’inserimento professionale di persone più giovani, laddove tale diritto è maturato ( obbligatoriamente) per le [#OMISSIS#] a un’età inferiore di cinque anni rispetto [#OMISSIS#] uomini , costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso, discriminazione vietata dalla direttiva 2002/73/CE.
[#OMISSIS#] parte motiva della decisione, la Corte chiarisce che il licenziamento di una donna per il solo motivo che essa ha raggiunto o superato l’età alla quale ha diritto ad una pensione di vecchiaia , età che a [#OMISSIS#] della legge statale, è diversa per le [#OMISSIS#] costituisce una discriminazione vietata .
Così come [#OMISSIS#] sentenza n. 46/07 la causa petendi attiene alla illegittima discriminazione delle [#OMISSIS#] che vedendosi obbligate ad andare in pensione prima degli uomini , godranno di una retribuzione pensionistica inferiore, il tutto in violazione dell’art. 141 dei Diritti Fondamentali dell’Uomo.
La Corte, infatti, [#OMISSIS#] sentenza testè richiamata ha condannato l’Italia per il mantenimento di un sistema discriminante che “obbligherebbe” le [#OMISSIS#] ad andare in pensione cinque anni prima degli uomini e a percepire, quindi, una pensione inferiore, che non compensa l’accesso anticipato alla pensione.
Ebbene, non è revocabile in dubbio che la fattispecie in rassegna ( art. 1, comma 9 della L. n. 243 del 2004), non determini alcuna discriminazione nei termini indicati dalla Corte di Giustizia proprio in quanto prevede non un obbligo di pensionamento ma un’opportunità concessa ai dipendenti pubblici di sesso femminile.
Esclusa la possibilità di accogliere l’istanza del ricorrente alla luce del diritto comunitario, deve altresì evidenziarsi che i benefici in materia pensionistica previsti dal [#OMISSIS#] ordinamento per i dipendenti pubblici di sesso femminile, sono stati più volte riconosciuti legittimi dalla Corte Costituzionale in quanto, mirano a soddisfare esigenze peculiari della donna, e soprattutto perché non contrastano con il fondamentale principio costituzionale di eguaglianza, in quanto trovano giustificazione [#OMISSIS#] “essenziale funzione familiare” della donna, riconosciuta dall’art. 37 della Costituzione.
Tanto premesso, si può affermare che il beneficio dell’accesso anticipato, [#OMISSIS#] restando il diritto di scelta che hanno le [#OMISSIS#] di lavorare fino [#OMISSIS#] stessi limiti di età degli uomini, non realizza alcuna discriminazione diretta o indiretta nei confronti degli uomini.
A ciò si aggiunga che l’opzione donna è stata mantenuta nel [#OMISSIS#] ordinamento previdenziale in via sperimentale, per mitigare gli effetti del brusco innalzamento dell’età pensionabile delle [#OMISSIS#] che dai 62 anni richiesti nel 2012 arriverà ai 66 anni ( pari all’età maschile) tra il 2018 e il 2020.
Tale innalzamento è stato previsto nel D.L. n. 201 del 2011, proprio per garantire il rispetto degli impegni presi con l’Unione Europea , rispetto ai vincoli di [#OMISSIS#] alla stabilità economica-finanziaria e per assicurare la sostenibilità , nel lungo periodo, del sistema pensionistico.
Pertanto, si ritiene che il mantenimento di una tale opzione sia perfettamente coerente con il potere discrezionale del legislatore proprio perché ragionevole; e, tra l’altro, gli obiettivi raggiunti con tale disposizione non sono in contrasto con i principi costituzionali, anzi perfettamente coerenti alla disposizione contenuta dall’art. 37 della Costituzione.
Conclusivamente detta disposizione non determina una illogica disparità di trattamento a svantaggio degli uomini.
Per quanto sin argomentato non ritiene questo [#OMISSIS#] di dover sollevare questione di incostituzionalità.
Tutto ciò premesso, il ricorso è infondato e non merita accoglimento. Ai fini del rimborso, si condanna la parte soccombente al pagamento di Euro 300,00 ( trecento/00) nei confronti dell’Inps
P.Q.M. 
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione [#OMISSIS#], definitivamente pronunciando
RIGETTA
il ricorso in epigrafe. Per le spese dispone come in parte motiva.
Così deciso in Catanzaro alla pubblica udienza del 26 gennaio 2016.
Depositata in Cancelleria 26 gennaio 2016.