Corte dei conti reg., Lombardia, 29 luglio 2016, n. 136

Preside di facoltà, coordinatori generali dei servizi di ateneo, Rettore e direttore amministrativo – Danno patito dall’ateneo per la condanna al risarcimento di un dipendente – Danno da demansionamento – Danno biologico

Data Documento: 2016-07-29
Area: Giurisprudenza
Massima

Un pagamento a terzi in sede civile effettuato dalla p.a. sulla base di sentenza esecutiva ma non in giudicato, non configura danno erariale (a fronte di titolo “liquido ed esigibile” ma non “certo”, in quanto ancora sub iudice) in capo ai funzionari responsabili della condotta dannosa imputata all’ateneo, né, a maggior ragione, fa decorrere la prescrizione, non essendo ancora azionabile la pretesa della procura contabile sulla base di un esborso provvisorio e non definitivo di denaro pubblico. In tal caso la prescrizione decorrerà fatalmente dal giudicato e solo con tale giudicato potrà ritenersi realizzato in modo certo il danno erariale che legittima ed abilità la procura contabile ad attivarsi innanzi al giudice contabile.

Contenuto sentenza

GIUDIZIO DI CONTO
C. Conti Lombardia Sez. giurisdiz., Sent., (ud. 13-07-2016) 29-07-2016, n. 136
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE LOMBARDIA
composta dai Magistrati:
Silvano DI SALVO – Presidente
[#OMISSIS#] TENORE – Magistrato rel.
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Magistrato
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità, ad istanza della Procura Regionale, iscritto al numero 28388 del registro di segreteria, nei confronti di:
G.F.A.S., nato a S.D.M. il (…), C.F.: (…), residente in S.D.M. (MI), via Europa 26, e M.B., nata a M. il (…), C.F.: (…), residente in M., via B. D. 2, rappresentati e difesi dall’Avv. [#OMISSIS#] Tundo, (…), del Foro di Pavia e dall’avv. [#OMISSIS#] Abraham [#OMISSIS#], (…), del Foro di Milano, giusta procura in calce alla costituzione, e con domicilio eletto presso il loro studio in Milano, via F. Sforza 43 – fax (…) – pec [#OMISSIS#].tundo@pavia.pecavvocati.it;
M.T.R., nato a M. il (…), residente in M., viale P. n. 27, (C.F.: (…)) nella sua qualità di Preside pro tempore della Facoltà di Sociologia dell’Università Statale Bicocca di Milano, rappresentato e difeso dall’avv. [#OMISSIS#] Mingione del Foro di Milano (C.F.: (…) – p.e.c.: [#OMISSIS#].mingione@milano.pecavvocati.it – fax (…)) e dall’avv. [#OMISSIS#] L. [#OMISSIS#] del Foro di Milano (C.F.: (…) I – p.e.c.: [#OMISSIS#].[#OMISSIS#]@milano.pecavvocati.it – fax (…)), unitamente e disgiuntamente tra loro come da procura agli atti ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] Mingione in 20122 Milano, via Fontana n.5/A;
B.C. (C.F.: (…)), nato a R. C. il (…) e residente in M., via S. M. n. 12, rappresentato ed assistito, come da procura in atti, dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] (C.F.(…)) fax (…) p.e.c. [#OMISSIS#].[#OMISSIS#]@cert.ordineavvocatimilano.it, e presso lo stesso elettivamente domiciliato in Milano, viale Regina Margherita n. 43;
F.M. (C.F. (…)), nato a R., in data (…), e residente in M., via S., 14, cap. 20122, rappresentato e difeso, anche in via disgiunta tra loro, dagli Avvocati M. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] (C.F. (…)), A.P.R. (C.F. (…)) e N.F. (C.F. (…)) del Foro di Milano ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in Milano, via Visconti di Modrone n. 12 (Studio Legale Amministrativisti Associati), giusta procura agli atti;
letta la citazione in giudizio ed esaminati gli altri atti e documenti fascicolati;
richiamata la determinazione presidenziale con la quale è stata fissata l’udienza per la trattazione del giudizio;
ascoltata, nell’odierna udienza pubblica del 13.7.2016, la relazione del Magistrato designato prof. [#OMISSIS#] Tenore e udito l’intervento del Pubblico Ministero nella persona dei Sost. Procuratori Generali dr.A. Napoli e Barbara Pezzilli e degli avv, [#OMISSIS#] Abraham [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Mingione, P.R., [#OMISSIS#] Arseni su delega dell’avv.[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per i convenuti;
viste le L. 14 gennaio 1994, n. 19 e L. 20 dicembre 1996, n. 639.
Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione depositato il 25 novembre 2015, la Procura Regionale conveniva innanzi a questa Sezione i soggetti in epigrafe nelle qualità, il prof.M., di Preside della Facoltà di Sociologia dell’Università Bicocca di Milano all’epoca dei fatti, la sig.ra M. ed il dr. G. (dal 2.11.2006) di coordinatori dei servizi generali dell’Ateneo, il prof.F. di Rettore dell’Università e il dr.B. di direttore amministrativo dell’Ateneo, per un duplice danno erariale, frutto di colpa grave:
a) quali asseriti coautori di un danno patrimoniale indiretto, di complessivi Euro 29.514,63, arrecato all’Università Bicocca a seguito del risarcimento di Euro 22.122,63 per danno da demansionamento e di Euro 2.700,00 per danno biologico temporaneo (oltre accessori e spese di lite per 4.992,00 e di CTU pari a Euro 2.400) liquidato dalla sentenza del Tribunale lavoro di Milano 12.2.2010 n.629 confermata, con lieve modifica sul solo periodo di demansionamento (da gennaio 2005 a novembre 2007), da C.app.lavoro Milano 8.10.2012, a favore del dipendente dr.P.A.;
b) quali asseriti coautori di un danno patrimoniale diretto di Euro 84.007,32 (riducibile del 15% ad Euro 71.406,23 in considerazione di una minimale utilità pur sempre arrecata dall’Apice alla PA datrice) arrecato all’Università Bicocca a seguito del pagamento di retribuzione “a vuoto” (ovvero in assenza di utile controprestazione lavorativa per il suddetto svuotamento di mansioni) al dr. A..
Chiariva la Procura che la grave colpevolezza dei convenuti in tale complessivo danno di Euro 100.920,86 si desumeva dalle dichiarazioni dagli stessi e da terzi rese sia in sede di escussione lavoristica, sia in riscontro agli inviti a dedurre in questa sede.
Aggiungeva la Procura che il danno diretto sub b) si era prescritto, con conseguente traslazione del danno di Euro 71.406,23 ex art.1, co.3, L. n. 20 del 1994, in misura eguale, pari cioè al 50%, in capo ai due soggetti apicali dell’Università, tenuti alla denuncia, ovvero il prof.F. quale Rettore e il dr.B. quale direttore amministrativo. Riteneva poi la Procura che il restante danno indiretto sub a), pari ad Euro 14.757,31, fosse imputabile per il 50% al direttore amministrativo B., per il 30% al Preside Mingione, per il 10% ciascuno al Rettore F. e ai coordinatori dei ss.gg. e capi uffici amministrativi sigg.M. e G..
Pertanto la istante Procura, ritenendo superabili le eccezioni formulate dai convenuti in riscontro ai notificati inviti a dedurre (ivi compresa quella di inattualità del danno in assenza di un giudicato lavoristico, pendendo ancora ricorso in Cassazione sul demansionamento de quo), chiedeva la loro condanna al risarcimento del complessivo danno patito, nella duplice prospettazione di danno diretto ed indiretto, dall’Università Bicocca di Euro 100.920,86, oltre accessori, secondo il riparto sopra sunteggiato.
2. Si costituivano i sigg.G. e M. difesi dagli avv.Tundo ed [#OMISSIS#], eccependo: a) la pendenza di giudizio in Cassazione sulla vicenda de qua, circostanza che rendeva inammissibile per carenza di interesse l’azione della Procura o sospendibile il giudizio in attesa del giudicato; b) la prescrizione dell’azione, risalendo il titolo esecutivo all’origine dell’esborso alla sentenza del Tribunale del Lavoro di Milano 12.2.2010, mentre l’invito a dedurre era del 5.3.2015; c) nel merito, la assenza di qualsiasi norma dell’Ateneo statuente un potere conformativo delle prestazioni lavorative di dipendenti in capo ai convenuti, coordinatori dei ss.gg. nell’ambito della Segreteria di Facoltà, operanti esclusivamente nell’area deputata alla didattica, in funzione di ausiliari della Facoltà e del Preside, quali coordinatori delle procedure e non del personale, e senza alcuna possibilità di controllo sull’attività di A., che si era relazionato sempre e solo con i vertici dell’Ateneo e con docenti, non con il personale amministrativo della Facoltà: in particolare le attività che l’A. svolgeva erano state conferite direttamente dai vertici dell’Ateneo e in particolare dal direttore amministrativo; d) che la gestione del “caso A.” era sempre stata di competenza del direttore amministrativo e del Rettore; e) che difettava in capo ad essi convenuti qualsiasi colpa grave.
Nel chiedere l’inammissibilità della domanda o la sospensione del giudizio e, in via gradata, il rigetto della pretesa, i convenuti formulavano poi richieste istruttorie.
3. Si costituiva il prof.M., Preside della Facoltà di Sociologia dell’Università Bicocca di Milano, rappresentato e difeso dagli avv.Mingione e [#OMISSIS#], eccependo: a) l’inammissibilità/improcedibilità della domanda, o la necessaria sospensione del giudizio, in assenza di un giudicato sulla vicenda originante il danno indiretto sub iudice; b) la nullità/invalidità della citazione per omesso invito, preventivo o comunque nell’atto di citazione stesso, al versamento del contestato minor ammontare del danno erariale rispetto a quello oggetto di invito a dedurre, circostanza ostativa ad una offerta del convenuto per chiudere stragiudizialmente il contenzioso; c) la prescrizione della domanda nei propri confronti, avendo tempestivamente e correttamente eseguito, ad ottobre 2006, le comunicazioni (denunce) sul caso A. agli organi competenti, ovvero al Magnifico Rettore dell’Università ed al direttore amministrativo; d) di non avere statutariamente compiti gestionali sulle mansioni (e dunque sul contestato demansionamento) del dr.A., che ambiva a compiti di addetto stampa non assegnabili dal Preside della Facoltà, e che, come emerso in sede lavoristica, aveva svolto per anni numerose attività che venivano a lui delegate direttamente dai vertici dell’Università, quale Rettore e direttore amministrativo, con i quali A. si relazionava personalmente; e) che il demansionamento contestato, ove accertato, era imputabile agli organi dell’Ateneo e non della Facoltà di Sociologia; f) che in ogni caso difettava la colpa grave nella propria condotta.
La difesa pertanto chiedeva l’inammissibilità della domanda o la sospensione del giudizio e, in via gradata, il rigetto della pretesa.
4. Si costituiva il dr.B., direttore amministrativo, difeso dall’avv.[#OMISSIS#], eccependo: a) che le mansioni svolte dall’A. erano espletate da data anteriore al suo insediamento nella Università e che il successivo presunto demansionamento (allontanamento da addetto stampa) era da imputare alla gestione del Preside Mingione, statutariamente responsabile in ordine al funzionamento dei servizi organizzativi di Facoltà unitamente al Coordinatore dei ss.gg.; b) che la domanda per danno indiretto era comunque prescritta, in quanto i bonifici attraverso i quali l’Università – a seguito della sentenza di condanna del Giudice civile – aveva corrisposto al dott. A. gli importi a titolo di risarcimento, erano stati effettuati in data 23 aprile 2010 e 24 giugno 2010 (nonchè a febbraio e maggio 2010 per le spese di lite) a fronte della notifica, in data 20 luglio 2015, al dott. B. dell’invito a fornire deduzioni, e che parimenti prescritta era la domanda per danno diretto da retribuzione “a vuoto”; c) che nessun obbligo di denuncia del danno erariale era imputabile al direttore amministrativo in base alla vigente normativa; d) che il riparto delle quote di danno tra i convenuti era non corretta.
La difesa pertanto chiedeva il rigetto della pretesa o, in via gradata, una corretta rimodulazione degli importi imputati pro quota.
5. Si costituiva infine, con memoria 15.3.2016, il Rettore, prof.F., difeso dagli avv.ti [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Rossi, F., eccependo la nullità della notifica della citazione ex art.143 c.p.c. nei propri confronti in quanto non effettuata né presso la residenza di via Serbelloni 12, né presso il domicilio eletto presso i difensori in sede di deduzioni depositate, e chiedendo differimento di udienza per depositare memoria difensiva ex art.166 c.p.c.
All’udienza del 16.3.2016 la Procura e le difese dei convenutisi soffermavano sulla eccezione preliminare della difesa del F.. Quindi la trattazione della causa veniva differita dal Collegio, su consenso delle parti presenti, all’udienza del 13 luglio 2016, per consentire il rispetto dei giorni liberi tra la notifica della citazione al F. e la fissazione della data di udienza e ai difensori del suddetto convenuto una adeguata costituzione, che veniva effettuata con memoria del 21/22 giugno 2016.
Con tale memoria la difesa del prof.F., nel rimarcare i rilevanti contributi dati dal Rettore per nobilitare scientificamente e sul piano organizzativo l’Università Bicocca, eccepiva: a) l’inammissibilità/improcedibilità della domanda per mancanza di un giudicato sul danno indiretto reclamato dalla Procura o, in via gradata, la sospensione del giudizio in attesa di tale giudicato; b) la prescrizione delle due voci di danno reclamate dalla Procura; c) la assenza di un danno a fronte della erogazione al dr.A. di una retribuzione non “a vuoto”, ma legata alle mansioni contrattualmente attribuite e svolte, come attestato al Rettore dal Preside Mingione; d) la inipotizzabilità di una condotta omissiva (omessa denuncia di danno) del Rettore, le cui funzioni riguardano non la gestione di uffici e del personale, ma l’attività di indirizzo, l’iniziativa e il coordinamento delle iniziative scientifiche e didattiche nonché latu sensu di indirizzo politico dell’Ateneo; e) che il carteggio agli atti confermava che il tema non era che il dott. A. “non facesse nulla” ma solo che egli lavorasse malvolentieri nell’assolvimento delle funzioni di sua competenza, evenienza non risolvibile né di competenze del Rettore, che, dunque, non era a conoscenza di un danno da denunciare alla Corte; f) che parimenti alcun obbligo vi era per il Rettore di denunciare il danno indiretto ipotizzato, non essendoci ancora un giudicato sul punto; g) la assenza di una colpa grave omissiva del Rettore; h) la erronea quantificazione del danno contestato.
Chiedeva pertanto la declaratoria di inammissibilità/irricevibilità della domanda (o la sospensione del giudizio), in via gradata la prescrizione del credito e, in via ulteriormente gradata, il rigetto della domanda e, comunque, la riduzione dell’addebito in caso di accoglimento della pretesa attorea.
All’udienza del 13.7.2016, udita la relazione del Magistrato designato, le parti sviluppavano i propri argomenti. Quindi la causa veniva trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1. La fattispecie al vaglio della Sezione attiene ad un preteso danno (diretto e indiretto, v.sopra) patito dall’Università Bicocca di Milano per il risarcito (in sede civile-lavoristica) demansionamento patito dal dipendente dr.P.A. ed ascritto, in varie vesti, ai convenuti. Poichè tale ipotizzato danno, nelle due articolazioni prospettate dalla Procura (danno indiretto per risarcimento statuito in sede civile e danno diretto da erogazione “a vuoto” di emolumenti), trae fondamento da un prioritario accertamento della certezza e inconfutabilità del danno acclarato in sede lavoristica, occorre prioritariamente vagliare l’eccezione, formulata da varie difese dei convenuti, afferente la assenza o meno di un danno “certo” in capo all’Università, in quanto la sentenza C.app.lavoro Milano 8.10.2012, concernente il risarcito demansionamento de quo, è attualmente oggetto di ricorso pendente in Cassazione e non ancora definito, con evidenti riflessi logico-giuridici anche in punto di danno diretto da erogazione di somme per pagamento di retribuzione “a vuoto” (ovvero in assenza di utile controprestazione lavorativa per il suddetto svuotamento di mansioni) al dr A..
2. La Procura istante ritiene superabile tale preliminare argomento difensivo, invocando un indirizzo giurisprudenziale di questa Corte fondato sulla sentenza n. 14/QM del 15 settembre 2011, con la quale le Sezioni Riunite della Corte dei conti hanno affermato il principio di diritto per cui “il dies a quo della prescrizione dell’azione di responsabilità per il risarcimento del danno c.d. indiretto va individuato nella data di emissione del titolo di pagamento al terzo danneggiato”, senza dover attendere, secondo la tesi della Procura, il futuro passaggio in giudicato della sentenza di condanna al risarcimento del danno, come del resto statuito anche dalle parimenti richiamate sentenze C. conti, App. Sicilia, 2 dicembre 2014 n. 474; id, I app., 13 marzo 2014, n. 402; id, 14 gennaio 2014, n. 43; id, 14 settembre 2015, n. 483; id, Sez. Piemonte, 15 ottobre 2014, n. 122; id, Sez. Toscana, 10 settembre 2014, n. 161.
3. Ad avviso della Sezione tale tesi attorea è invece non condivisibile, con conseguente improponibilità per carenza di un interesse attuale ad agire in capo alla istante Procura, in assenza di un danno “certo” da recuperare.
Ed invero tutta la giurisprudenza richiamata dalla Procura a sostegno della propria tesi (alla quale può aggiungersi anche la più recente C.conti, sez II app., 11.2.2016 n.139) si fonda su un equivoco interpretativo, sovente riscontrabile in molte sentenze di questa Corte in materia di danno c.d. indiretto (originate da previe condanne risarcitorie del giudice civile), ovvero su una non corretta lettura della sentenza 14/QM del 15 settembre 2011 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, i cui enunciati sono stati spesso stravolti o interpretati soggettivamente.
Difatti, tale sentenza, ove letta con attenzione ed anche con doveroso riferimento alla sua prioritaria parte “in fatto”, è relativa ad un danno indiretto acclarato con sentenza civile in giudicato (ergo non più sub iudice, come invece nel caso in esame) ed ha enunciato il principio di diritto, correttamente riportato dalla Procura, ovvero che “il dies a quo della prescrizione dell’azione di responsabilità per il risarcimento del danno c.d. indiretto va individuato nella data di emissione del titolo di pagamento al terzo danneggiato” (così risolvendo un antico contrasto interpretativo tra i propugnatori, probabilmente più corretti, del dies a quo prescrizionale ancorato al giudicato e i sostenitori del dies a quo ancorato all’incasso dell’importo dal danneggiato o all’emissione del titolo dalla p.a.). Ma la sentenza 14/QM citata non ha affatto affermato, come forzatamente interpreta la Procura (e come parimenti, in modo forzato, ha ritenuto parte della giurisprudenza richiamata da parte attrice), che l’azione dell’organo inquirente non debba attendere il futuro passaggio in giudicato della sentenza di condanna al risarcimento del danno. Difatti, proprio la fattispecie vagliata dalla sentenza 14/2011/QM riguarda un caso di azione della Procura proposta dopo il giudicato, che la stessa sentenza ritiene presupposto basilare per la propria azione, affermando che (pag.10 parte in DIRITTO) “Che l’obbligazione risarcitoria della P.A. si perfezioni in modo definitivo – almeno con riferimento ai mezzi ordinari di impugnazione – ed acquisisca concretezza ed attualità al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna in favore del terzo danneggiato, è un dato di tale solare evidenza da non richiedere ulteriori argomentazioni”, aggiungendo (pag.12 parte in DIRITTO) che “Da ciò consegue che un soggetto deve essere sottoposto a processo, per quanto riguarda la giurisdizione di responsabilità amministrativa, solo quando si siano realizzate tutte le condizioni di certezza, concretezza ed attualità del danno, che sono gli elementi alla cui tutela è posto il presidio della giustizia contabile, poiché non si vede per quali ragioni un soggetto debba essere costretto a subire un processo ed una condanna per poi, eventualmente, doversi nuovamente rivolgere ad un altro giudice (e quindi “subire”, sia pure come parte attiva, un altro processo) per ricondurre il tutto alla situazione quo ante in ipotesi di constatato ingiustificato arricchimento”.
Dunque, secondo tale lineare sentenza delle sezioni riunite, l’azione giuscontabile per danno c.d. indiretto è proponibile dopo il giudicato civile e la prescrizione dell’azione decorre dalla data di emissione del titolo di pagamento al terzo danneggiato, di regola successivo al giudicato (come nel caso vagliato dalla sentenza 14/QM). La sentenza enuncia dunque la doverosità, ai fini del decorso della prescrizione, di due presupposti giuridico-fattuali: il giudicato di condanna e la successiva emissione del mandato di pagamento (così superando il pregresso indirizzo di sez.riun. n.3/2003/QM, probabilmente più corretto e lineare, che ancorava il dies a quo prescrizionale, oltre che l’interesse all’azione della Procura attrice, al solo giudicato). La sentenza 14/QM non vaglia tuttavia la speculare evenienza (non configurata nel caso ivi esaminato) in cui la sequenza cronologica-giuridica risulti invertita, ovvero il caso di un pagamento (e dunque dell’emissione del relativo mandato) anteriore al giudicato, eseguito sulla base di sentenza di merito esecutiva, caso sottoposto invece a questa Sezione.
Avendo tuttavia le sezioni riunite autorevolmente affermato, come detto, che “l’obbligazione risarcitoria della P.A. si perfezioni in modo definitivo – almeno con riferimento ai mezzi ordinari di impugnazione – ed acquisisca concretezza ed attualità al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna in favore del terzo danneggiato, è un dato di tale solare evidenza da non richiedere ulteriori argomentazioni”, tale giudicato, ad avviso di questa Sezione, resta pur sempre il basilare e concorrente presupposto giuridico per la configurazione di un danno “certo” e per il decorso della prescrizione dell’azione della Procura anche qualora il pagamento da parte della p.a. fosse già avvenuto prima del giudicato stesso in ossequio a sentenza di merito esecutiva. In tale seconda evenienza, in ragionevole sviluppo dell’iter argomentativo della sentenza 14/2011/QM, deve concludersi che, essendo necessari per il decorso della prescrizione sia il giudicato di condanna della p.a. che il mandato di pagamento, qualora tale sequenza fosse invertita, l’interesse ad agire sorgerà e la prescrizione decorrerà, a fronte di un pagamento già espletato, fatalmente dalla data del sopravvenuto giudicato, successivo al mandato di pagamento.
In estrema sintesi, ad avviso della Sezione, leggendo a contrario l’argomentazione della autorevole e vincolante sentenza 14/QM delle sezioni riunite, deve concludersi che un pagamento a terzi in sede civile effettuato dalla p.a. sulla base di sentenza esecutiva ma non in giudicato, non configura danno erariale (a fronte di titolo “liquido ed esigibile” ma non “certo”, in quanto ancora sub iudice) né, a maggior ragione, fa decorrere la prescrizione, non essendo ancora azionabile la pretesa della Procura contabile sulla base di un esborso provvisorio e non definitivo di denaro pubblico. In tal caso la prescrizione decorrerà fatalmente dal giudicato e solo con tale giudicato potrà ritenersi realizzato in modo “certo” il danno erariale che legittima ed abilità la Procura contabile ad attivarsi innanzi alla Sezione.
4. Sovvertire tale lineare lettura della sentenza 14/2011/QM, traendone artatamente solo taluni enunciati a supporto della tesi attorea, porterebbe a risultati paradossali: se la prescrizione corresse sempre e comunque dalla data della emissione del mandato di pagamento della p.a. e se non occorresse il giudicato per azionare la rivalsa della Procura, si dovrebbe concludere che se la p.a. emettesse mandato di pagamento per ottemperare ad una sentenza esecutiva di primo o secondo grado, da tale data decorrerebbe la prescrizione dell’azione contabile anche se non fosse ancora intervenuto il giudicato e dunque in assenza di un danno “certo”, e ciò porterebbe ad un risultato illogico, paradossale, contra ius e persino lesivo delle prerogative attizie della Procura stessa, che la sentenza 14/QM ha in qualche modo voluto benevolmente “tutelare”, sovvertendo il più rigoroso e lineare indirizzo delle sezioni riunite 3/2003/QM che ancorava assai più ragionevolmente il dies a quo prescrizionale al passaggio in giudicato (senza affidare, come ha fatto la sentenza 14/QM, ad un criterio soggettivo e astrattamente sine die tale decorrenza, ovvero al pagamento del debitore, che potrebbe essere effettuato, in modo abulico ed indolente, anche dopo molti anni).
La Sezione, doverosamente, condivide appieno la solare evidenza logica e chiarezza espositiva di tale vincolante enunciato delle sezioni riunite del 2011, il cui decisum, come è noto, si impone alle sezioni di primo e secondo grado sulla base dell’innovazione introdotta dall’art. 42 della L. n. 69 del 2009, il quale ha modificato l’art.1, comma 7, del D.L. n. 453 del 1993, convertito nella L. n. 19 del 1994, prevedendo che se la sezione giurisdizionale centrale o regionale ritiene di non condividere il principio enunciato dalle Sezioni Riunite debba rimettere, a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del giudizio, quest’ultimo da intendersi non già riferito al merito della causa, ma “al principio di diritto in precedenza affermato” (SS.RR. n. 7/QM/2010).
Essendo stato introdotto nel nostro sistema, sia pure con esclusivo riferimento alle pronunce su questioni di massima emesse dalle Sezioni Riunite nell’ambito della loro funzione nomofilattica, il principio del c.d. “stare decisis”, tipico del modello anglosassone, conferendo alle pronunce giurisdizionali delle Sezioni Riunite, rispetto ai giudici di merito, autorità, oltre che l’autorevolezza proveniente dalla composizione e dalla collocazione istituzionale dell’organo (ed una forza vincolante attenuata solo dal meccanismo del motivato dissenso, anche al di là del processo nell’ambito del quale la pronuncia è resa, con un’incisività sinora sconosciuta al nostro ordinamento processuale), errano dunque le sentenze richiamate dalla Procura a giustificazione della propria attuale azione, allorquando propugnano reiteratamente e in illegittimo contrasto con gli enunciati -tra l’altro pienamente condivisibili per la loro ontologica esattezza giuridica- della sentenza 14/QM del 15 settembre 2011 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, ritenendo invece che l’azione della Procura per danno indiretto sarebbe proponibile anche prima del giudicato civile a fronte del fattuale esborso pecuniario della p.a.
5. A prescindere dal clamoroso contrasto di tale non condivisibile tesi con le indicazioni delle sezioni riunite 14/QM (violando così consapevolmente il predetto doveroso vincolo dell’art.1, co.7, L. n. 19 del 1994), gli argomenti addotti da tali sentenze (ex pluribus C. conti, App. Sicilia, 2 dicembre 2014 n. 474; id, I app., 13 marzo 2014, n. 402; id, 14 gennaio 2014, n. 43; id, 14 settembre 2015, n. 483; id, Sez. Piemonte, 15 ottobre 2014, n. 122; id, Sez. Toscana, 10 settembre 2014, n. 161) sono tutti, ad avviso della Sezione, agevolmente confutabili:
a) in primis l’appoggio sistematico agli enunciati della sentenza 14/QM compiuto in tale sentenze di primo e secondo grado è inconferente, per i motivi sopra enunciati;
b) parimenti non probante è l’argomento, sviluppato in tali sentenze, fondato sull’art. 22D.P.R. n. 3 del 1957, il quale, dopo aver statuito (comma 1) che “l’impiegato che, nell’esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto…è personalmente obbligato a risarcirlo”, aggiunge (comma 2) che “l’Amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente si rivale agendo contro quest’ultimo a norma degli articoli 18 e 19…”: secondo la giurisprudenza richiamata dalla Procura, tale disposizione normativa legherebbe l’insorgenza dell’obbligo di rivalsa e, dunque, l’esistenza di un interesse ad agire intestato alla Procura erariale, al semplice fatto del risarcimento del terzo danneggiato per il tramite del pagamento di una somma di denaro da parte dell’Amministrazione interessata, prescindendo del tutto dal carattere di irrevocabilità o meno della sentenza, fondante il predetto pagamento. Tale lettura non è ad avviso di questa Sezione condivisibile perché la rivalsa della p.a. (e quindi della Procura) si deve ontologicamente fondare su un “risarcimento” del terzo necessariamente definitivo, e dunque acclarato con sentenza in giudicato, essendo il danno alle casse pubbliche “certo” solo in tale momento. Del resto, quando fu scritta tale norma (1957), il pagamento al terzo da parte della p.a. era ancorato al solo giudicato o, in casi invero rari, alla sentenza di appello esecutiva ex art.373 c.p.c., in quanto la provvisoria esecutività delle sentenze di primo grado fu introdotta nell’art.282 c.p.c. solo con decorrenza dall’1.1.1993, per effetto dell’art. 33 della L. 26 novembre 1990, n. 353. Ma tale fattuale pagamento sulla base di titolo esecutivo non implica la “certezza” del danno, derivante invece solo e soltanto dal giudicato;
c) il danno erariale, secondo tale non condivisibile giurisprudenza, dovrebbe ritenersi “certo” quando risulti incontestabile nella sua “realtà materiale” ed “attuale” se sussistente al momento dell’esercizio dell’azione di responsabilità, rimanendo a tal fine irrilevante l’astratta possibilità che lo stesso possa in futuro essere risarcito o venir meno per cause esterne (così Sez.app.Sicilia n.474/2014; Sez. II centr., n. 195/A/2004; n. 198/A/2004; n. 286/A/2003; n. 174/A/2001; Sez. III Centr., n. 440/2003). Tale assunto dimentica, secondo questa Sezione, che in un processo e, più in generale, nell’esame degli istituti giuridici non rileva solo la “realtà materiale” (ovvero il fattuale esborso pecuniario della p.a.), ma come la stessa è inquadrata e normata dalla legge e, ancor prima, dalla logica: orbene sul piano logico-giuridico il concetto di “certezza” di un danno in capo alla p.a., che legittima la Procura (o un qualsiasi creditore) ad agire in rivalsa verso l’autore, è ontologicamente solo e soltanto quello ancorato al giudicato, garante e baluardo della stabilità dei rapporti;
d) il richiamo fatto poi dalla giurisprudenza, a cui si appella la istante Procura, all’art. 474 c.p.c., primo comma, il quale statuisce che “l’esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile”, annoverando, al successivo comma, tra i titoli esecutivi proprio “le sentenze ed i provvedimenti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva” quali sono, appunto, le sentenze di primo e secondo grado, ai sensi, rispettivamente, degli artt. 282 e 373 c.p.c., confonde concettualmente la esecutività della sentenza (anche di primo e secondo grado), che legittima l’esecuzione forzata sulla base anche di un titolo oggettivamente provvisorio, con il giudicato in senso tecnico-giuridico, che rende certo e inconfutabile il decisum e, dunque, il danno erariale patito dalla p.a., unica condizione che abilita la Procura a rivendicarne la refusione;
e) la possibilità poi che il danno già prodottosi possa venir meno per effetto di un esito diverso della lite civile in un successivo grado di giudizio, non escluderebbe, secondo la tesi giurisprudenziale qui avversata, che il pagamento eseguito sulla base del titolo giudiziario provvisorio assuma i caratteri del danno, con la conseguente possibilità di azionare il rimedio della responsabilità indiretta: secondo infatti Sez. II centr., n. 195/A/2004, l’inconveniente per cui l’eventuale esecuzione della condanna pronunciata dalla Corte dei conti nei confronti dell’agente pubblico possa dar luogo ad un indebito arricchimento nel caso di riforma della pronuncia civile favorevole all’Amministrazione, avrebbe un rimedio nell’azione d’indebito arricchimento, e non costituirebbe argomento per trarne l’esistenza di una nozione di “danno non definitivo”, quel danno di fronte al quale il pubblico ministero contabile dovrebbe restare in attesa degli incerti esiti di una lite giudiziaria tra l’Amministrazione danneggiata ed un terzo.
Tale criticabile argomento, ad avviso della Sezione, rappresenta un vero e proprio sovvertimento logico tra prius e posterius: difatti, non è il dipendente, già escusso, che dovrà successivamente tutelare le proprie ragione nei confronti della p.a. (riconosciutegli dal giudicato che sovverte gli esiti sfavorevoli del merito) esperendo una azione di indebito arricchimento per ottenere la refusione di quanto indebitamente versato alla p.a. sulla base di titolo provvisorio ma esecutivo (alla cui formazione, tra l’altro, di regola non ha egli partecipato, non essendo parte necessaria nel giudizio civile risarcitorio, ove è convenuta la sola p.a., evenienza che da troppi anni si presta ad auspicabili rimessioni alla Consulta per violazione di basilari principi costituzionali sul diritto alla difesa), ma è, al contrario, l’ordinamento (e dunque il creditore e/o la Procura contabile) che deve prioritariamente attendere l’esito del giudicato per aggredire il “definitivo” autore del danno erariale, al limite tutelandosi preventivamente con azioni cautel